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Colloqui di lavoro finiti in tragedia, capitolo 99836°

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Milano, mattina

«Scusi, l’agenzia pubblicitaria Verghe roventi?» chiedo.
Il portiere mi squadra con un misto di derisione e fastidio: «Terzo piano»

Capita l’antifona, in ascensore mi tolgo la giacca e la metto nel borsone. Esco al secondo piano, entro in bagno, sostituisco le scarpe con un paio di Converse bianche e la camicia con una maglietta. Arrivo, suono, mi aprono. Pareti bianche, mobili di frassino minimal, riviste intonse. Mi viene incontro una ragazza con occhiali a montatura spessa, rossetto di fuoco e vestito a fiori anni ’40. Siamo entrambi sulla trentina e ci basta un secondo per capirci: lei, Annamaria Friendzoney. Io, uno che dopo tre volte cancella il numero. Si ferma a distanza di sicurezza: «Sì?»
«Eeeeeh…»

In ambienti come questi è tutto complicato. Ogni dettaglio ha una funzione reale e un’apparenza opposta. Ci si veste casual per sembrare informali, ma ogni capo è studiato per ore allo specchio. Ci si dà del “tu”, ma si è più distanti che su alpha centauri. Si apologizza il reale, ma ci si giudica dal virtuale. Si idolatra la comunicazione, ma si passano le serate a mostrarsi stronzate sui cellulari. Si dice “c’è stato un misunderstanding”, ma si intende “non hai capito un cazzo”.

«Sono qui per il colloquio» dico.
«Seh, adesso, “colloquio”» sorride lei «dai, è una chiacchierata»
Ecco.

Mi siedo su un divano bianco, osservo le riviste sul tavolo. Arte, architettura, tomi pesanti come chiavi inglesi. Ne prendo uno, le pagine ancora incollate, mai stato aperto. Giro, 469 euro. Chi spende 469 euro per un libro? Quale editore ha il coraggio di proporlo? Sbircio dentro, foto di una mostra d’arte. Per un istante penso a quanti modi migliori ci sono per sputtanarsi una somma simile, poi realizzo che dev’essere lo stesso motivo per cui questi hanno uno studio avviato e io una Fiat seicento.

«Puoi venire» fa lei, sporgendosi «lascia il borsone lì, se vuoi»
Non ci penso nemmeno.

 

L’ufficio in milanese si definirebbe “open space”, in italiano si tratta di un’unica stanza dove tutti si fanno i cazzi degli altri e guardare porno è impossibile. Cinque postazioni iMac, un angolo con una parete bianca e una reflex su un cavalletto, apparecchiature fotografiche, poster, un paio di Transformers anni ’80. Il tizio in piedi è sulla trentina, maglietta larga bianca a V da cui sbocciano peli radi, barba ossigenata lunga fino all’attaccatura del collo, braccia coperte di diamanti, loghi di videogiochi, stelle, baffi. Noi associamo i tatuaggi a marinai, motociclisti ed ergastolani, i nostri figli li assoceranno a radical chic e studenti IULM.

«Ciao, Nebo, sono Paolo, il responsabile» dice, tendendomi la mano «loro sono Frenzi, il nostro grafico, Baduuzi, commerciale, Flehma, pubblicitario e lei è Annamaria Friendzoney, si occupa della parte amministrativa»
Mesti grugniti di saluto qui e lì, Annamaria invece trasuda odio.

«Tutto bene, a Milano? Hai sistemato le tue cose?» fa Paolo.
Intende rimarcare che io sono a Milano per ragioni diverse dal colloquio, e che quindi se andrà male loro non saranno tenuti a sentirsi in colpa per avermi fatto fare il viaggio.

«Sì»
«Mi fa piacere! Quando ti trasferisci?»
È sconvolto da quanto poco gli frega della mia vita e tenta di farsene una ragione.

«A gennembre»
«Ah, bene!»
Le sue orecchie fanno CHSHHHHHHHHHHH.

«E come mai ti piacerebbe entrare nel nostro team?»
Il suo ego esige coccole preliminari.

«Bè, perché mi piace come lavorate. Vi ho scoperti con la campagna ANAL INSURRECTION, sono andato a vedere il vostro sito e ho scoperto che avevate curato anche SLABBRAMI, poi STRAZIANTI STRONZATE e quella più controversa, il gioco a premi in rete TROVA LE PALLINE CINESI NELL’ANO DI VERUSKA»
«Quella è stata una mia idea» gongola Baduuzi.
Gli faccio il pollice in su.

«Hai fatto master, studi…» chiede Paolo, cercando il mio curriculum tra i fogli.
«No»
Alza la testa: «No?»
«No»
«Ah. Eh… qui siamo tutti laureati» dice, incerto.
«Nel vostro annuncio c’era scritto che non era necessaria la laurea»
«Vero. Però un minimo di esperienza sì»
«Bè, sono pubblicista. Sul curriculum ci sono testate e numeri dei referenti, vi diranno che collaboro o ho collaborato con la parte creativa»
«È quello di Cosmopolitan» fa qualcuno.
«Aaah, sì» annuisce «bravo, bravo»
È spaventoso quanto poco gliene frega.

«Senti… a noi serve qualcuno che sappia elaborare, innovare, pensare fuori dalla scatola, per capirsi»
Paolo si reputa circondato da rincoglioniti.

«Ok»
«Il problema dei pubblicitari è che stanno tra pubblicitari e parlano di pubblicità. Noi vogliamo qualcosa di diverso. Un social media manager che sappia uscire dalla sfera del comune know how e fare community»
Il tasso di hipsteria nell’ufficio ha oltrepassato la soglia d’allarme e siamo rimasti in cinque a ridere dei meme su Hitler.

«U-uh»
«Oggi lo storytelling è un must, non un optional. Servono sentimenti, emozioni, non numeri. Mi spiego?»
È difficile fare infografiche se non hai un cazzo da dire.

«Bè, venendo dal giornalismo le storie un po’ so raccontarle» tento «credo la pubblicità sia un campo interessante. E po
«AO PAOLO FACCIAMOGLI QUELLA DEL DOTTORE» fa Frenzi.
Il capoccia sorride complice, poi si distende sullo schienale della sedia: «Dai, facciamo un gioco. Ti va? Una prova. Niente di complicato, una cosa a istinto»

 

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L’ultima volta che m’hanno ordinato di fare qualcosa “a istinto” mi sono sbronzato a merda, ho detto al portavoce dell’emiro dell’Oman che non volevo finire decapitato su Youtube e mi sono trovato a urlare madonne a bordo di un catamarano lanciato a 40 nodi durante la Extreme sailing race al largo di Trapani. Mai dirmi di fare qualcosa a istinto, perché in quanto a cappelle, su una scala da 0 a “oh, che sbadato”, io sono a livello tecnici di Chernobyl. “A istinto” il mio cervello si sente autorizzato a partorire le più inverosimili puttanate. C’è un motivo se la mia vita è il ritratto del degenero.

«D-D’accordo» gemo, prevedendo l’orrore.
«Viene da noi il dottor Pinco Pallino, chirurgo plastico. Vuole una pubblicità per il suo studio privato dove fa mastoplastiche additive. Rifà le tette, per intendersi. Tu come impronteresti il marketing?»

 

 

 

 

 

 

«Così, a istinto» ribadisce l’incauto Paolo «non pensarci. Buttati»

 

 

 

 

 

 

«Allora?» si sporge.
«…bè, di solito le tette se le rifanno le quarantenni, hanno i soldi per farlo e sono in piena crisi di mezz’età. Vedono le ventenni e s’imparanoiano» dico, aspettando il cervello mi consegni i compiti.

«Continua»
«Se ti rifai le tette è perché vuoi apparire meglio, attirare l’attenz
Il cervello consegna.

«SE SONO TETTE FINTE È VERO AMORE» esclamo.

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Ad Annamaria marcisce la faccia.

«Aspetta, c’è stato un misunderstanding» fa Paolo.
«Nonono, state a sentire» mi sporgo «un anello di fidanzamento può costare diecimila euro come venti. Non importa, perché la donna non lo sa. Questo logora il pollame da scopo»

«Il…?» Paolo.
«Il…?» Frenzi.
«Il…?» Flehma.
«Il…?» Baduuzi.
«COME?!» Annamaria.

«Tuo moroso potrebbe averlo comprato usato, o il diamante potrebbe essere finto! In pubblico dirai che conta solo il gesto, ma vorrai sempre andare da un gioielliere a fartelo valutare. Quanto ha speso per te? Quanto vali, per lui? QUANTO TI AMA?»
«Ssssno, Nebo, torniamo un attimo alla tua definizione d
«Aspettate! Il punto è che se il fidanzamento va a puttane, la donna restituisce l’anello. Se non lo fa partono abissi di squallore e miseria, urla, insulti, rinfacciamenti vari. Uno schifo, no? Bene, sentite questa: la mastoplastica additiva è il nuovo anello di fidanzamento»
«Ma tu sei malato, cazzo» fa Annamaria, inorridita.
«No! SI! È quello!» dico, alzandomi in piedi e dominando lo studio perché tanto ormai è tutto in banana «l’uomo ti regala l’anello perché sa che lo può riavere, una mastoplastica invece no! Non può! Non può riaverla! È andata per sempre! Quindi chi crede di più in quel fidanzamento? Chi è più coraggioso? Un uomo che regala un anello, o uno che regala una mastoplastica?»
«Ma che romantico, che meraviglia, che profondità!» urla la Friendzoney.
«Una mastoplastica costa perché garantisce standard qualitativi! Meno spendi, meno t’importa la tua donna rischi complicazioni fisiche. Se invece ricicli paccottiglia da sagra di patronato cazzo te ne frega? Può pure essere vetro delle biglie, non c’è rischio. Quindi: è vero amore? Tette finte. È un cialtrone? Anellino rivendibile»
«NESSUNA DONNA VUOLE QUESTO!»
«IMMAGINATE I CARTELLONI! “Il silicone t’è vicino al cuore”. Oppure due tette enormi di una testimonial tipo Cristina Del Basso coperte da una mano femminile e una maschile! “Mastoplastiche Pinco Pallo: un amore da vivere insieme“. O anche “Mastoplastiche Pinco Pallo: oltre l’apparenza, la sostanza”. Eh?»

 

 

 

Frenzi mi accompagna alla porta dicendo che sono uno un po’ fuori dagli schemi.
Sospetto in milanese significhi povero coglione.

Vi avrebbi spiegato, ma oleandri oleandri oleandri

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Sulla pagina Facebook del blog pubblico questo status.

"SE FOSSE STATO IMMIGRATO" TU TACEVI.
Un italiano stupra una ragazzina. Internet esulta: “haha non era un immigrato! Questo dimostra che i pregiudizi sono sbagliati, non è vero che tutti gli immigrati stuprano!” e subito dopo “haha, era un militare! Questo dimostra che tutti i militari sono fascidemmerda!”. C’è così tanta gioia, nella mia bacheca. Poter buttare la fica d’una sedicenne sul piatto dei propri pregiudizi è una grande soddisfazione.

La risposta a quelli che chiedono “e se era un extracomunitario?” è “tacevi”.

Perché è vero. Quando il criminale è uno straniero, le persone che oggi gioiscono tacciono. Dicono “non significa niente, è un caso isolato”, cioè la stessa cosa che oggi sostiene l'altro schieramento. Un crimine oggi non è più un crimine, due vite distrutte o un fatto fine a sé stesso: è un dato statistico per corroborare il proprio estremismo.

Se davvero vogliamo evitare che Mr.Ruspa prenda uno sfacelo di voti, ‘ste uscite sono l’idea più del cazzo possibile. Discorsi tipo “e se era un immigrato?” dimostrano che oggi, davanti a una ragazzina violentata, l'unica cosa che vale la pena commentare è la nazionalità dello stupratore.

La differenza con Salvini qual è?

Al quarto commento arriva questo.

 

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Ora, quando vado sui siti d’informazione non leggo i commenti. Mi irritano ai pazzi. Vado sul sito dell’ANSA per avere fonti attendibili, notizie, aggiornamenti; non opinioni. Infatti non ho idea di cosa stia parlando questo tizio. Nel mio post sto parlando di come un crimine, se viene svolto da determinate categorie di persone, viene subito usato per alimentare i pregiudizi. In questo caso, “tutti gli extracomunitari sono stupratori” (xenofobi, nazi, vecchi) e “tutti i militari sono criminali violenti” (centri sociali, SEL, frange del PD).

Puoi essere d’accordo o no, è legittimo. Ma io non ho mai parlato di dare la colpa alla ragazzina, né di chi lo fa. Ho detto che non c’è una gran differenza tra chi quando gli stupratori sono immigrati inneggia alle ruspe, e chi quando un militare delinque dice che sono tutti fasci violenti.

Secondo commento.

 

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È come se io dicessi “che tempaccio” e uno rispondesse “sì sì però a me stanno sui coglioni gli oleandri”. E ora, il terzo.

 

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“sticazzi del tempo, a me gli oleandri fanno molto più schifo”.

 

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Ancora: il punto è non usare una ragazzina per alimentare pregiudizi ed estremismi. Basta leggere.

 

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“vero, il tempo è uno schifo, però quanto gli oleandri? Che merda, eh?”

 

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Il signor Sergio mi chiede cosa vuol dire quello che ho scritto. Adesso, attenzione: quando qualcuno non capisce un testo, di solito il colpevole è l’autore. Se il tuo lavoro è scrivere, è colpa tua(cioè mia) se alla gente non arriva il messaggio. Montanelli diceva di scrivere per il lattaio. Farti capire quello che scrivo è IL MIO lavoro. Così rileggo. Rileggo ancora. Lo faccio leggere a morosa e amici, tutti colgono il punto. Noi però tendiamo a circondarci di persone simili, perché ripeto: se uno non capisce, per me il colpevole fino a prova contraria è l’autore. Provo a riscriverlo come se lo spiegassi a un bambino. Viene identico. Mi arrendo.

 

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Vabbè, niente. Oleandri.

 

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Se non sai che commenti ho letto io, come faccio a sapere che commenti hai letto tu? Che cazzo ne so, io, di che commenti leggi tu? Io sto parlando degli schieramenti Lega/Centri sociali. Tu mi stai parlando di quanto sia stupida la frase “se l’è cercata”. Ma dove l’ho scritta? Quando l’ho citata?

 

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Niente, è ufficiale: il punto del mio discorso sono gli oleandri. E io che pensavo di aver parlato del tempo e di non avere mai nominato gli oleandri da nessuna parte. Cerco di nuovo nel testo qualcosa che abbia a che fare con il colpevolizzare la ragazzina. Non c’è. Sul serio.

 

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Il discorso era “chi prende un individuo come riassunto di un popolo” e “chi prende un individuo come riassunto di una professione”. E sì, ho visto e letto 10, 100, 1000 Nassirja, ho letto ACAB, ho letto fascidemmerda. ED È DI QUESTO CHE STAVO PARLANDO DIOCRISTO. Non ho idea di come avrei insultato ‘sto tizio, né so con chi stia parlando, di dove io abbia detto le cose di cui mi accusa. Devo ritrattare cosa? L’idea che strumentalizzare uno stupro per alimentare estremismo e pregiudizi sia sbagliata? Se non sei d’accordo va bene, ma perché? L’obiezione, la contro argomentazione, qual è?

 

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Provo a spiegarmi con una tizia (non ho voglia di screenshottare tutto, la trovate sulla pagina). Anche qui, niente da fare. Rassegnato, aspetto sulle barricate che la redazione di un mensile maschile a caso mi quereli per… per… qualcosa. In tutto questo, se la domanda fosse stata “e allora davanti alla ragazzina stuprata cosa dovevamo dire” la mia risposta è: tacere.

Però magari sbaglio, eh.

Magari evocare mutilazioni genitali, genocidi, castrazioni, impiccagioni, donne blindate e gonne allungate risolve le cose. Restituisce l’innocenza alla ragazzina e a sua madre. Magari mozzare il cazzo allo stupratore ci rende migliori di lui, ci eleva a veri, onesti cittadini. Anche la pena di morte, ma solo in certi casi. Magari maiuscolare ITALIANI TUTTI SESSISTI è davvero meglio di maiuscolare RAGAZZINE TUTTE CAGNE. Magari MILITARI TUTTI FASCISTI è meglio di IMMIGRATI TUTTI STUPRATORI.

Magari sì.

È che poi penso all’ISIS che minaccia di conquistarci, e mi viene il dubbio che forse l’ha già fatto.

 

La vera trama di Jurassic world

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Prologo: ovetti si schiudono.
Fine del prologo.

La famiglia Sticazzi sta divorziando. È difficile stabilire se sia a causa del padre fedifrago o della madre cocainomane, ma siccome i due piccioncini devono massacrarsi a coltellate decidono di spedire i due figli, Segatron di anni 16 e Tedio di anni 11, al Jurassic world. Lì la vicedirettrice è zia Ceffoni; garantirà loro un tour coi VIP pass. All’arrivo i due ragazzini sono già molto delusi perché trovano una stagista di nome Teresa, laureata in biologia che ha dovuto mangiare merda e bere sperma per riuscire ad avere un posto nel parco dove viene schiavizzata 24/7 e costretta a fare i lavori più degradanti possibili, non ultimo la babysitter per i nipoti ricchi del capo.

«Non sei la zia» dichiara Segatron, sconsolato, poi si mette a guardare figa.
«Non c’è la zia» fa Tedio «dov’è la zia? Perché non è venuta a prenderci?»
«Questa non è la loro zia» dice una comparsa, guardando nella telecamera.
«LEI NON È LA ZIA» recita un’enorme scritta rossa in sovrimpressione.
«Ora bisogna capire se lei è davvero la zia o no» mormora intrigato uno seduto di fianco a me.
Gli conficco un coltello nel cuore.

Teresa, attaccata al cellulare, spara bubbole ai genitori e assicura che i loro sacrifici non sono stati vani. Nel frattempo mostra la suite imperiale ai ragazzi e cerca di essere cortese portandoli in giro, ma essendo Tedio e Segatron due stronzi figli di papà si guardano bene dall’essere educati, rispettare Teresa o attenersi alle direttive: si perdono tra la folla. Stacco. Zia Ceffoni appare in scena vestita come Daenerys Targaryen se Game of Thrones fosse stato girato nel 1980. Conduce i possibili investitori attraverso i laboratori genetici del parco.

«Come sapete, il primo Jurassic park è finito con falangi di morti» spiega zia Ceffoni «l’idea americana di costruire un parco di belve assassine in mezzo a uragani tropicali non ha funzionato»
«La Natura a volte è imprevedibile» commenta uno.
«Chissà se sorgerà il sole, domani» fa un altro.
«Mi capiterà mai di cagare?»
«Allora ci hanno riprovato» prosegue la zietta «ma nell’isola qui vicino»
«Ma dai? E com’è andata?»
«Una strage. Abbandonata l’idea del parco, allora, un vero americano s’è chiesto: perché metterli in gabbia, se si può lasciarli liberi e farci sopra parapendio?»
«Fantastico! E questa ha funzionato?» fa un investitore, intrigato.
«Macché, il tizio c’è caduto dentro. Hanno mandato una squadra a recuperarlo, cadaveri smembrati dappertutto. Ancora oggi coi tifoni piovono arti fino in Messico»
«Oh nooo»
«Ma il nostro illuminato capo, Taj Majal, guardando i Monty Python, è rimasto stregato dalla storia del castello costruito sulla palude. Così s’è detto: ricostruiamo il parco, stavolta con meno misure di sicurezza. Oggi i bambini possono andare in canoa tra i brontosauri, correre in mezzo agli stegosauri, cavalcare triceratopi e tutto senza la minima garanzia di sopravvivenza. Il posto ideale per mollare figli scomodi e raccattare l’assicurazione sulla vita»
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Zia Ceffoni entra nella sala comando. Un tecnico indossa una maglietta di Jurassic park e lei lo guarda con disprezzo: «Ti rendi conto che quella volta sono morte delle persone?» dice, schifata.
«Sì, ma io ho una maglietta con la svastica, voi avete rifondato il terzo reich» obietta il tecnico. Ceffoni non risponde, è convocata in plancia dove Taj Mahal la aspetta a bordo di un elicottero. Il pilota, seduto di fianco, prega e scrive il testamento.

«SIGNORE, È CERTO DI SAPER PILOTARE UN ELICOTTERO?!» domanda la zietta, salendo a bordo.
«HO LETTO WIKIPEDIA E HO GIOCATO UN SACCO A LOCK ON»
«TUTTO QUI?!»
«NO, SONO ANCHE ESPERTO DI STRATEGIA MILITARE, HO GIOCATO TUTTI I CALL OF DUTY, E HO SCOPERTO CHE L’AIDS NON ESISTE»
«VOGLIO SCENDERE»
Decollano.

Cambio scena. Osserviamo Chris Pratt mentre addestra velociraptor con la sola imposizione delle mani e una penna biro.

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Perché li addestra? Boh. Chi gli ha insegnato a farlo? Buio. A cosa serve? Non importa, perché un garzone cade nel recinto, Chris lo salva e sgattaiola fuori un istante prima che i velociraptor se lo mangino.
«Fantastico, fantastico» applaude il capo delle guardie Cattivis «è la prova che sono pronti e addestrati»
«M’hanno quasi sbranato vivo!»
«Sono femmine, se ci sei tu è normale»

Tedio e Segatron telefonano a mammina per lamentarsi. Lei uggiola scusandosi e telefona a zia Ceffoni. Lei prima mente per pararsi il culo, poi scarica la colpa su Teresa. Sistemato il principio che la merda scende sempre verso il basso, si reca da Chris Pratt e ci fa capire che se l’è quasi scopato. C’è un piccolo spot della Coca Cola, poi zia Ceffoni spiega a Chris che in segreto hanno creato lo Sventrosauro Ninja Predator e vorrebbe un consulto sulla sicurezza della cella contenitiva. Lui fa un pippone animalista, lei gli dice che puzza. Siparietto di una balena pleistocenica ottenuta grazie al DNA immagazzinato dalle zanzare che pungevano sott’acqua, poi siamo di nuovo con Chris e zia Ceffoni davanti al recinto dello Sventrosauro Ninja Predator.

«Con cosa avete fatto ‘sto dinosauro?» chiede lui.
«Segreto. Posso dirti che è alto e grosso»
«Per sapere se 12 metri di muro sono sufficienti devi dirmi se avete shakerato il DNA di un canguro o di una cavalletta, capisci?»
«No, sono cose tecniche da nerd, sfigati»
«Ok, ti faccio un esempio: se l’avete mescolato a uno scarabeo stercorario c’è il rischio che questo faccia palle di merda grosse come pianeti, e lì bisogna lavorare sullo spessore del muro o finisce come Pacific rim. Fin qui ci siamo?»
«Vorrei vedere più bicipiti sudati»
«Sì, ok, tirate fuori ‘sto coso che gli do’ un’occhiata»

Calano un quarto di bue per attirarlo, ma lo Sventrosauro Ninja Predator non si palesa. Ceffoni tocchigna un pad su cui ci sono le solite cazzabubbole che a me stanno grandemente sui coglioni. Nel primo Jurassic park i programmi erano funzionali, spartani, plausibili. Avevano un sistema operativo reale. Serviva tempo perché elaborassero. C’era la clessidra, i filmati sui monitor sgranavano, le postazioni erano sporche, incasinate, personali. In una parola, erano verosimili.

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Negli ultimi anni è tutto scivolato in un puttanaio di lucine colorate fighette via via più ritardo friendly fino al BOAT SAFE di Pacific rim, ossia l’equivalente di un tizio con un cartello che mi dice cose che non sei capace di mostrare.

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Difatti zia Ceffoni deve dirmi che ha attivato i sensori termici.
E deve anche dirmi che nel recinto non risulta niente.

«CAZZO È SCAPPATO» fa zia Ceffoni «ANDATE DENTRO A VEDERE, PRESTO!»
«Signò, fuori è pieno de operai, basta chiede» fa l’uomo delle pulizie, sporgendosi «aoh rega’, avete visto ‘n mostro che scavalcava e telava?»
«None»
«Niente»
«Zero»
«A posto. Saranno ‘sti cazzo de computer» fa l’uomo delle pulizie.

La zia Ceffoni lo ignora e fugge verso la sala controllo per far geolocalizzare lo Sventrosauro Ninja Predator. Due guardiani e Chris entrano nel recinto fischiettGNAM. Chris si salva coprendosi di benzina, il bestione fugge perché per i velociraptor fai tre celle contenitive superblindate, per il cugino di Godzilla basta un garage. Per fortuna tutti gli operai fuori erano svaniti d’incanto. Dalla sala comando zia Ceffoni fa partire otto incursori armati di pistole a pallini e fucili Nerf. Chris la raggiunge.

«Signore, lei non è autorizzato a entrare»
«Sono bianco, non mi servono autorizzazioni. Zia, che minchia è successo là, son morte due persone» fa Chris, spostando l’unico addetto alla sicurezza del film.
«Oh, bah, forse un errore del sistema» fa spallucce lei.

Gli otto spuntini raggiungono il punto geolocalizzato giusto in tempo per morire in diretta. Siamo a dieci morti orrende, a cui zia Ceffoni risponde con confusa impassibilità.

«Evacuate l’isola» dice Chris.
«Non riapriremo mai più» fa lei.
«Cazzo dici, è la quarta volta che vediamo ‘sta tarantella. Chiudete un mese, lo chiamate “Jurassic Universe” e arriveranno di nuovo a frotte. Siamo americani»

«Ne sei certo?»
«Zoomate un attimo quella telecamera nell’area ricreativa, per favore» indica Chris.

 

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«Non significa nulla»
«Ok, zoomate l’area ristoro»

 

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«V-va bene, ma non trasformerò il parco in una zona di guerra»
«Per ora sembra uno schema di Pac-man, vedi tu»

Zia Ceffoni fa chiudere la parte nord del parco, poi va a cercare i nipoti con Chris indossando un tailleur di Gandalfite©, tessuto bianco che non si macchia né lacera. Completano l’outfit un paio di tacchi 10 color carne coi quali supera agilmente pantani di merda, tronchi caduti, tuffi nella cascata e corre su ciottolati.

Tedio e Segatron vagano spensierati in una palla di vetro. Trovano una rete divelta con scritto restricted area e ci si buttano a capofitto perché loro possono, e se qualcuno gli creasse problemi basterebbe sventolare il VIP pass e dire “lo sai chi è nostra zia?”. Finiscono in mezzo a una rissa tra cazzosauri e lo Sventrosauro Ninja Predator. Non sento i dialoghi perché in sala sono partiti cori da stadio che sulle note di “anche oggi un arbitro di merda” gridano mangia-li, mangia-li, mangia-teli tut-ti, sveeeentrosau-ro, mangiateli tut-ti. Tedio e Segatron si rintanano in un vecchio bunker. Trovano una jeep di 20 anni fa con il serbatoio pieno, le gomme gonfie, le chiavi nel cruscotto e la batteria sul tavolo, carica.

La inseriscono e fuggono.

Nei laboratori genetici del parco, Taj Mahal chiacchiera con uno scienziato asiatico.
«E dire che sembrava tanto una buona idea» sospira Taj Mahal «i nostri soldati ormai sono troppo deficienti per operare al di fuori della gabbietta con le palline di McDonalds, i droni costano come scoparsi Emilia Clarke, le nucleari non si possono usare perché la gente s’indigna. Ci serviva un modo efficace per combattere il terrorismo»
«Sì, mi ricordo» fa lo scienziato «perché ripete tutto?»
«Non so spiegare le cose mostrandole come Miller. Quindi abbiamo optato per dinosauri ammaestrati» continua Taj Mahal «cazzo, era buona. Immagini uno Stato tipo l’Iranistan, o l’Afghàn, o quello che è. Noi invece di mandare soldati paracadutavamo velociraptor a stecchetto da due settimane. Se li mangiavano tutti e vavavuma»
«Sembra terrorismo»
«No. È terrorismo se prima gridi Allah u akbar. Se prima gridi SKRIEEEK gli animalisti approvano»
«Mi tolga una curiosità: se l’opinione pubblica s’indigna per due foto di bambini morti, come prenderebbe quella di una donna che urla mentre un raptor le mangia l’intestino viva?»
«Non sono uno che bada a questi dettagli» fa spallucce Taj «comunque, il progetto è andato in merda. Ricorda l’idea di creare un dinosauro superspaccaculi, no?»
«L’ho fatto io!»
«E si ricorda l’idea di farlo 435 volte più grosso?»
«MA HO DETTO CH
«È scappato»
«Come sarebbe?»
«Sì, sì. Scappato. Whoosh, fuori. Mangia gente a caso. Ci crede? Così. A caso. Il filtro kebab non funziona, mangia anche gli americani»

 

 

Sala comando.

«AO RAGA» dice Cattivis, entrando.
«Lei non pu
«Vaffanculo, negro. RAGA SENTITEMI QUA, IDEA DELLA MADONNA IN ARRIVO: sganciamo i velociraptor addestrati, brasano il bestione, il parco torna easy e noi svoltiamo»

Taj Mahal fa una faccia confusa come una lesbica cieca davanti a una pescheria: «Scusi, il suo compito non era di vedere se i raptor erano intelligenti?»
«Eeeeeh… Sì, sì, infatti» concede Cattivis «e abbiamo imparato che sono comunque più intelligenti dei Navy SEALs, così una cosa tira l’altra e ora… eddai, fatemeli liberare»
«Mandiamo quattro galline pazze contro un elefante?» s’intromette un tecnico.
«Sì. È figo»
«Senti, trippobombo, vattene» fa Taj Mahal.
«Hai ventimila persone là fuori, cosa pensi di fare?

Taj fa montare il vulcan sull’elicottero, poi si mette al comando. L’elicottero pilotato dall’utente medio di Internet raggiunge lo Sventrosauro Ninja Predator, il quale schiva con agilità una pioggia di fuoco e spacca la gabbia dov’erano contenuti gli pterodattili. Fuoriescono dalla gabbia centrando le pale dell’elicottero, che esplode glorioso in una sfera di fuoco tra i pianti disperati della sala controllo e la solita impassibilità di zia Ceffoni. Siamo a quattordici morti, poi gli pterodattili calano sulla popolazione come ufficiali di Equitalia a Cortina e il conteggio decolla verso cifre incommensurabili. Parte l’allarme generale secondo le conoscenze del popolo americano medio.

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La folla fugge impazzita.

Teresa trova Tedio e Segatron, cerca di portarli in salvo ma viene afferrata al volo, mangiucchiata e lanciata nella vasca del balenosauro, dove viene inseguita e masticata. L’ultima cosa che riesce a gridare al cellulare è che l’hanno promossa a esca per dinosauri, poi il balenosauro divora lei e lo pterodattilo together. Così impara a essere povera. Zia Ceffoni e i due piccoli merdosi riescono a mettersi in salvo.

Invece di fuggire Chris tira un cartone in faccia a Cattivis perché la sua idea di usare i raptor per fermare lo Sventrosauro era suicida: non sono addestrati manco a non mangiare il capo. Dopodiché riunisce tutti e spiega di avere avuto un’idea eccezionale: correre in moto con i raptor per fermare lo Sventrosauro. Tutti annuiscono ammirati: è un piano coraggioso. Raggiunto il bestione, però, quello si accorge che i raptor sono femmine e ci flirta. Loro cambiano idea e si mangiano tutti tranne Chris, che fugge. Quando lo raggiungono lui usa l’imposizione delle mani e i raptor cambiano idea di nuovo, colpo di scena che ci fa intuire Chris Pratt abbia un curriculum di avvocato divorzista. Attaccano lo Sventrosauro Ninja Predator che come previsto li lancia via come fossero bagigi. Zia Ceffoni corre a liberare il tirannosauro il quale esce dal recinto dove è cresciuto solo, fa due chiacchiere coi raptor, ammette i loro punti di vista politici siano complanari e mena lo Sventrosauro. Dalla piscina esce il Balenosauro ex machina e salva tutti. I dinosauri si salutano e se ne vanno, Chris e zia Ceffoni scopano, i bambini tornano dalla loro famiglia.

Il sequel, Jurassic truth, inizierà con loro due che trovano i genitori morti in un caso da manuale di suicidio omicidio. Verranno quindi spediti da zia Ceffoni, la quale, per pagarsi le cause legali, li venderà agli zingari. Tra pugni in bocca e digiuni forzati i due fratelli verranno separati. Dieci anni dopo uno sarà un poliziotto tormentato dai sensi di colpa per le morti che causò al parco, l’altro un maniaco sessuale che traveste le bambine da dinosauri prima di stuprarle. Quando Teresa, la figlia del poliziotto, viene rapita, le sue vecchie conoscenze zingare lo indirizzano su una pista che lo porterà tra le rovine dell’isola e della sua vita.

È UFFICIALE: LE DONNE SCOPANO Lo ha scoperto una giornalista

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Fare la puttana è un mestiere sacrosanto, antico, rispettabile e che richiede una discreta dose di talento, capacità, studio e improvvisazione. Esiste fin dall’alba dei tempi e non avrei alcun problema se mia madre, mia sorella, mia moglie o mia figlia lo facessero. Del resto per la giusta cifra mi prostituirei anch’io, e se finora non sono ricorso alle puttane è solo perché riesco a scopare nell’altro modo.

Le righe qui sopra, escludendo forse la parte sui parenti, la sottoscrive buona parte della popolazione europea. È uno status politicamente corretto che fa molto moderno, del resto siamo una popolazione di puttane e puttanieri fin dall’alba dei tempi. La prostituzione è uno dei punti chiave della nostra ipocrisia: al bar sei uomo di mondo, nell’urna sei un bigotto, in camera un pedofilo.

Se una volta “culattone”, “frocio” e “ricchione” erano insulti sanguinosi, oggi stan cadendo in disuso. Invece “puttana”, “troia”, “zoccola”, “bocchinara” e il nuovo (quanto patetico) “cagna” sono ancora in topten: puoi capire molto di una popolazione dagli insulti che usa. Oggi dare a una donna della prostituta è la massima degradazione possibile non solo secondo chi lancia l’insulto, ma anche secondo chi lo riceve. Dai a una donna della puttana e quella ti dirà cosa pensa davvero di prostitute e prostituzione. Se risponde “tua madre” è diverso da “ti piacerebbe”.

Come corollario, questo risponde alla domanda “perché un uomo che va con tante donne è figo e una che va con tanti uomini è troia?”. La risposta è: perché sei stupida.

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Ma oggi, siccome grazie a Internet siamo tutti più ignoranti, quando scopriamo che al mondo esistono donne che scopano gridiamo allo scandalo. E quel che è peggio, StimatiColleghi mi infestano i social urlandomelo e sperando io condivida e commenti. Ogni volta che leggo certi obbrobri il mio ano si dilata partorendo mandinghi mostruosi che m’inseguono per casa e tentano di reinfilarsi nel mio sfintere. “Nebo”, dicono “non pensi agli adolescenti?”, “Nebo”, gridano “non sei preoccupato per la moralità?”, “Nebo”, pigolano “non temi il declino della società?”.

Siccome oramai il mondo dei media pare un deserto di cactus carnosi e io non so più dove sedermi credo sia giunto il tempo di concludere questo strazio. Facciamo un rapido riassunto degli ultimi secoli dell’umanità riguardo a pedofilia, sesso e prostitute minorenni.

 

Nel 1400 a Venezia nacque il termine “fantolin da culo” che poi è diventato il più diffuso “culattone”. Le navi stavano in mare per mesi e le donne non erano (giustamente) ammesse a bordo. I marinai dovevano pur scopare altrimenti s’ammazzavano tra loro, così ci si dotava quindi di ragazzini efebici con un orecchino che li identificava come chiavabili. Portavi a bordo una dozzina di Justin Bieber e tutto andava a gonfie vele. Era talmente la norma che…

…Nel 1500 il Doge istituì il ponte delle tette. Si chiama così perché i palazzi attorno erano pieni di puttane. Il doge dovette sistemarle in un posto solo perché Venezia era un’orgia a cielo aperto da tante ce n’erano. Alcune di queste venivano messe alla finestra con le tette di fuori in modo da attrarre i marinai sbarcati e riportarli sulla strada della fica dopo mesi di Justin. Stando allo splendido libro di C. Redina, “Cardinali e Cortigiane” (Newton Compton, 2012), la media d’età delle ragazze era 15 anni. L’esordio però avveniva sempre a 12-13 saltando sul cazzo di cardinali, vescovi, sacerdoti, papi. Alla Chiesa è sempre piaciuta la carne acerba. Leggetelo, è un gran libro.

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(Noi invece dobbiamo compatire queste ragazze senza valori)

 

Nel 1791 De Sade scrisse “Justine, o le disavventure della virtù”. Parla di due sorelle di 12 e 13 anni rimaste orfane. La prima diventa una puttana e si arricchisce. La seconda segue la strada della virtù e finisce stuprata, torturata, mutilata, condannata. Fu un successo tale che il marchese fece una seconda stesura più ricca di dettagli sessuali e sanguinolenti.

Nel 1800 il problema della prostituzione minorile in Francia era talmente diffuso che dovettero prendere provvedimenti. Dopotutto,

Nel 1830 John Ruskin amava trombarsi ragazzine che gliela calavano per soldi. Si innamorò di una di loro, che aveva 12 anni. Oh, anche l’arcivescovo di Canterbury. A quel tempo, in Inghilterra, la prostituzione minorile era diffusa ma ignorata. Sempre a proposito di gente a caso,

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Nel 1880 Lewis Carroll scrive quel capolavoro di Alice nel paese delle meraviglie esplicitamente per convincere le adolescenti a scoparlo. Poi

Nel 1907 Apollinaire scrisse le 11.000 verghe, romanzo con prostitute di 12, 15, 17 anni impegnate in orge, sesso saffico, anal, torture atroci, ustioni, mutilazioni, omicidi. Playboy nella sezione “racconti” ripropone ciclicamente pezzi di quel libro. Passiamo

Nel 1955. Nabokov pubblica Lolita: la storia di un rapporto pedofilo. Titani del calibro di Graham Greene lo definirono “un capolavoro”. Questo scandalo che tutti indignava venne pubblicato dieci anni dopo, stranamente vendette cifre mostruose e fu tradotto in film…

…nel 1962, anno in cui i cinema vennero presi d’assalto da indignati con biglietto nella mano sinistra e cazzo eretto nella mano destra, totalizzando 4,5 milioni di dollari. In Italia c’erano la DC, la legge Merlin e i ragazzini che si facevano inculare da Pasolini in periferia di Roma. D’altra parte,

…Nel 1966 Pietro Germi gira “Signore e signori”, film controverso ambientato a Treviso dove si narrano tre capitoli, l’ultimo dei quali parla di tre grossi commercianti che a turno si scopano una sedicenne di campagna assai consenziente. Il film fu boicottato perché la sceneggiatura traeva spunto da storie di cronaca realmente avvenute.

Nel 1970 ci fu la rivoluzione sessuale, tutti scopavano in pace, amore e droghe psichedeliche. Tra cui, naturalmente, anche i minorenni, come narrato in lungo e in largo nel libro di Ronald B. Flowers, “The prostitution of women and girls“. SPOILER: la davano via per pagarsi la droga.

Nel 1992 c’è il caso delle baby prostitute di Voghera, fatto probabilmente dimenticato dai vari Borromeo&Travaglio che ai tempi di Ruby tromboneggiavano dicendo “è il risultato del Berlusconismo” e con quelle dei Parioli “una cosa così non si è mai vista, in che tempi degenerati viviamo?”. Ed eccoci

Nel 2003, quando esce Thirteen – Tredici anni, film che racconta di adolescenti che scopano. “È perché abbiamo smesso di pestarle” dicono su Il Giornale. “Vogliono bruciare le tappe“, dicono sul Sole 24 Ore. “Sono costrette dal consumismo“, dice Repubblica. È lo stesso anno in cui esce il romanzo “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire” che narra, tra scandalo e incredulità, di un’adolescente che fa orge, pompini, eccetera.

Nel 2013 da un lato esce la versione Harmony del BDSM come “50 sfumature di grigio”, dall’altro ogni giorno ragazzine italiane si prostituiscono “come negli anni ’50”. Come sarebbe, negli anni ’50? La prostituzione minorile è una cosa nuova causata da Internet e da Berlusconi, lo sappiamo tutti.

Solo a dei degenerati potrebbero piacere le adolescenti.

5f23afe8_0ZPkdSedicenni. Puàh.

 

Il riassunto è che, piaccia o meno, non è cambiato un cazzo. Fin dall’alba dei tempi le donne scoprono il sesso attorno ai 13 anni. Alcune lo mettono in pratica, altre lo fantasticano, altre lo sfruttano, altre lo godono. Per il resto ho visto solo una razza stupenda, feroce, esagerata, crudele, inconsapevole, stupida, geniale, incosciente, eroica e bellissima che si chiamano tredicenni, e che combattono in un’arena da cui usciranno adulti o cadaveri.

Attorno, adulti che li ascoltano per farsi fare un pompino, o per farsi raccontare di quando fanno un pompino.

Suona meglio.

06. I grillini giuocano a nascondino

diventare+portiere+condominiale

L’interno del palazzo della Casaleggio associati è molto simile a una banca degli anni ’80. Anche il computer sulla scrivania del portiere è un vecchio 486, monitor a tubo catodico e tastiera bianca lurida. Nick attraversa l’androne come una slavina, seguito da Gaetano Ciconte che indossa un completo Boggi nuovo di zecca. Un completo nuovo non è mai bello, dev’essere indossato almeno 12 ore, aveva spiegato a Nick, indossandolo.

«Desidera!?» fa il portiere, abbandonando la partita a solitario.
«Cuccia, conosco la strada» dice Nick, andando dritto all’ascensore.
«Signori! Signori, non potete entrare!» fa quello, inseguendoli.

Nick preme il tasto. L’ascensore segna quinto piano, residenza di Casaleggio senior. Il numero inizia a calare. Il portiere si frappone tra la porta e i due, allargando le braccia.

«Devo chiedervi di andarvene»
«Bravo, missione compiuta. Ora fuori dai coglioni»
«Non costringetemi a usare le maniere forti» fa il portiere «ultimo avviso»
4, dice lo schermo dell’ascensore.

«Ex militare?» domanda Nick con un mezzo sorriso.
«Sì» fa l’altro. Abbassa le braccia.
3.

«Ma no, polizia municipale» sbotta Gaetano.
2.

«Sicuro?» domanda Nick senza girarsi.
«Certo! Quella cintura Vuitton è falsa. Le originali si riconoscono se il monogramma è tagliato o perfettamen
1.

Il braccio destro di Nick scatta in avanti, dietro la nuca del portiere. La sua mano sinistra afferra la destra dell’uomo torcendola e alzandogliela dietro la schiena, facendolo piegare in avanti e ruotandogli la faccia contro la parete dove si fotografa con un THUD. L’usciere crolla a terra.
Bing, fa l’ascensore.

«COSA DIAVOLO FAI?!» sbotta Gaetano.
«Entra, Sherlock dei Parioli» fa Nick, studiando la pulsantiera. Tira fuori dalla tasca un coltellino multiuso, estrae la lama a cacciavite e fa leva tra il quadro comandi e la parete. Appena riesce a infilarci le dita tira, spalancandolo a metà. C’infila un braccio e rovista all’interno.

«Dio, i marchi in vista sono così truzzi» fa Gaetano, osservando l’uomo a terra «anche Ralph Lauren ora che ha ingrandito il logo è inguardabile. Non trovi?»
«Guarda, mi sono rimasti solo due vaffanculi» fa Nick, dando uno strattone all’interno. C’è una momentanea interruzione dell’elettricità, poi un sussulto. Le porte si chiudono, l’ascensore scende.

«Dove si va?» fa Gaetano.
«Nei sotterranei segreti di questo porcile» fa Nick «il bello dei grillini è che a livello di tecnologia stanno fermi al 1990. Li inculi coi bastoni e le pietre, quando non si dimenticano la roba aperta. Ti ricordi gli hacker del PD, le mail sputtanate? Tutti gridavano al complotto internazionale, in realtà la parlamentare aveva lasciato il portatile acceso, l’account di Outlook aperto ed era andata a prendersi il caffè»
«Come fai a saperlo?»
«L’ho guardata in faccia»

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L’ascensore scende in silenzio.

«Dove hai imparato a fare quella roba?» fa Gaetano.
«Quale?»
«Quella con l’usciere. Mi tornerebbe utile con la Borromeo»
«È una storia noiosa» dice Nick.
Bing, fa l’ascensore, e le porte si spalancano.

 

 

 

«Cristo» sibila Nick, sgranando gli occhi.

 

 

 

 

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Il piano interrato è distrutto. Le pareti annerite, gli scaffali deformati, resti di tavoli di legno carbonizzati. C’è un puzzo di urina ed escrementi disgustoso. A terra, detriti e schegge di vetro sono disseminate per il pavimento. Centinaia di telefoni nuovi messi in fila compongono una ragnatela che attraversa tutta la lunghezza e la larghezza della stanza. Dal centro viene un flebile bagliore elettrico, su cui si staglia una sagoma forse umana. Fa freddo, lì. Nick e Gaetano escono, cauti e increduli. Le scarpe crocchiano sul cemento e i pezzi d’intonaco, riecheggiando. Dal fondo della sala proviene il ripetitivo, isterico, suono delle notifiche Twitter.

Avvicinandosi, i due vedono un uomo sulla trentina. È nudo, la barba lunga, sporco come la coscienza di Berlusconi. Sta davanti a un immenso pannello di smartphone tenuti uno vicino all’altro, tutti collegati al cavo di alimentazione. Le braccia esili dell’uomo corrono da uno schermo all’altro. Attorno a lui migliaia di confezioni vuote di ramen, lattine di Monster, pacchetti di sigarette, cenere. Non li ha nemmeno sentiti arrivare, e balza da una parte all’altra toccando gli schermi mentre con la mano sinistra, ogni tanto, mangia qualcosa. Nick e Gaetano sono immobili davanti alla grandiosa miseria della scena.

UUUOOOOOOO, fa una sirena da qualche parte. L’uomo improvvisamente sussulta, lascia andare quello che stava mangiando, si mette perfettamente di fronte agli schermi, le mani sulle ginocchia e il culo in fuori, proteso verso Nick e Gaetano.

LA CONSEGNA DELLO STIPENDIO, CITTADINO dice una voce metallica.
«Hihi, hihi» saltella quello, felice, mantenendo la posizione.

Con uno FTHOM dal pavimento deflagra una pompa metallica che spara un dildo enorme dritto dentro le cavità intestinali dell’uomo, dove impatta con un CRUNK e lo solleva da terra di qualche centimetro. Per un istante resta così, sospeso a mezz’aria come la polena di una nave fantasma, poi il dildo scende piano, permettendo all’uomo di appoggiare i piedi a terra.

LO STIPENDIO È STATO CONSEGNATO. IL POPOLO DELLA RETE TI RINGRAZIA PER IL TUO LAVORO, CITTADINO 8839938 dice la voce metallica. Il dildo scompare nel pavimento.

«Hihi, hihi» ridacchia l’uomo, ricominciando a smanettare sui cellulari.

«Cosa diavolo è? Chi è?» fa Gaetano, inorridito.
«Circa mille followers di Repubblica, Il Fatto quotidiano, Travaglio, Borromeo, Jovanotti e company» risponde Nick «ti compri stronzi come questo per 16 euro. Italiani, eh. Li riconosci perché non hanno un avatar, retwittano e basta e hanno un nome irriproducibile tipo cifre alfanumeriche. Fatti un giro tra i followers di qualsiasi VIP. Ogni mille account farlocchi, c’è uno di questi»
«Uhuhuhuhuhuh» ride quello in falsetto.

«Cosa spinge un uomo a ridursi così?»
«Che ne so. Frequentiamo gente sbagliata. Diamo importanza ai loro giudizi. Roba così, chi se ne frega. Il punto è che qui Lucrezia non c’è. Quindi o Cora ti ha mentito, cosa di cui dubito, o Lucrezia ha mentito a sua madre, cosa possibile. Sia come sia, abbiamo appena scoperto che la Casaleggio associati non esiste più. O non è qui»
«E allora dov’è?»

Nick si china a raccogliere un telefono. Lo gira, osservadolo alla luce del cellulare.

«Che c’è scritto?» fa Gaetano, sporgendosi.
«Made in Germany»
[continua]