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La canzone di Facebook

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Sunset party, terrazza Molino Stucky, Venezia. Quando lo spritz t’ha stufato, il prosecco è lo schema successivo. Mentre il sole cala, io e la crew del ritardo mentale osserviamo dall’alto la città che presto abbandonerò per trasferirmi a Milano. C’è una bella temperatura, il DJ mette stronzate house che fanno da sottofondo al tintinnare di calici e risate uterine. Turisti ricchi, figli di papà e figa trentenne con l’occhio del cacciatore che all’ora di cena non ha ancora ammazzato il pranzo. Non ero mai stato qui. Complice la bella stagione e il fatto che la polizia ha definitivamente chiuso il Verdi, stiamo esplorando altri lidi. La conversazione langue, abbacinati come siamo dalla bellezza del tutto. Dalle casse parte un remix di Cocciante. La canzone credo si chiami

«Margherita» fa Luca.
«Com’è che la conosci?» sogghigna Atza.
«Mi piace la musica italiana, problemi?»
«Ah, la famosa canzone di Facebook» annuisce Ario «grande testo, profondo»
Mi giro: «Sarà degli anni ’80, cazzo dici?»
«È la canzone di lui che vuole segarsi con le foto profilo di lei, ma non riesce»

 

anigif_enhanced-buzz-1706-1408633704-28La tizia seduta di fianco.

 

«Non rovinate anche questo posto» geme Leonora «vi scongiuro, non qui»
«Sentitelo bene» fa Ario, indicando l’aria come un predicatore mussulmano.

Io non posso stare fermo, con le mani nelle mani,
troppe cose devo fare, prima che venga domani

«Questo è lui col cazzo in mano che guarda i profili Facebook a caccia di figa, chiaro»
«E ti pareva» fa Leonora.
«Lampante, proprio»
«Evidente»

E se lei sta già dormendo, io non posso riposare,
farò in modo che al risveglio non mi possa più scordare.

«E qui si palesano gli intenti masturbatori, il cazzo è intostato, la preda localizzata»
«Ma perché?» faccio «dove lo vedi, come, quando?»
«Parla dell’erezione, o della moglie che dorme in camera, non importa»

Perché questa lunga notte non sia nera più del nero,
fatti grande dolce luna, e riempi il cielo intero

«Qui lui ha problemi perché la bacheca della fica è impestata di stronzate con immagini new age tipo luna, stelle, frasette sfighe, auguri della buonanotte, arcobaleni»
«Tu sei malato»

E perché quel suo sorriso possa ritornare ancora,
splendi sole domattina, come non hai fatto ancora.

«Per carburare gli serve lei in costume, magari un bel primo piano che sorride per il cumshot, invece è pieno di paesaggi del cazzo, foto delle vacanze, piatti di plastica con le lasagne della nonna, tristume»

E per poi farle cantare le canzoni che ha imparato,
io le costruirò un silenzio che nessuno ha mai sentito

«Lei è una delle stupide che posta le canzoni per mostrare che è sensibile, no? Per cui lui si trova nenie pallose e i filmati youtube che partono in automatico con le foto da desktop che si muovono. È incerto se crearsi una cartella dove scaricarsi le foto e potersi fare la sega in pace senza Masini che salta fuori ogni due scrollate, ma è indeciso, ormai ce l’ha in mano. Che fare?»
Leonora se ne va.

Sveglierò tutti gli amanti, parlerò per ore ed ore,
abbracciamoci più forte, perché lei vuole l’amore

«Ecco, spiega questa» dice Luca, incrociando le braccia.
«Eh, qui non è chiaro» concede Ario «o sua moglie s’è svegliata e lui deve raccontarle cazzate per paglieggiare, oppure più probabilmente ha l’ammosciamento perché la tipa ha scritto le solite puttanate sul fatto che è single perché non vuole abbassare i suoi standard ed è sola come una merda che s’abbraccia il cuscino, tipo le fiche di ‘sto posto»
«Io me le tromberei tutte» dice Atza.
«Queste stanno in riserva, bello, col cazzo che buttano il tuo seme in un goldone. Prima un figlio, poi il culo. Ricordati la regola: o prima dei 25, o dopo i 40» scuote la testa Luca.
«Comunque, dall’anda questa è una hipster vestita da ritardata» medita Ario.
«Andiamo avanti»

Poi corriamo per le strade e mettiamoci a ballare,
perché lei vuole la gioia, perché lei odia il rancore, poi

«Te l’ho detto, è una hipster. Ottomila foto di paesaggi con le scritte, amici con la barba da imbecille e tatuaggi sfigati, il sole che tramonta, altalene, giochi per bambini, il trionfo dello shabby chic»
«Scusa, com’è che sai cos’è lo shabby chic?» faccio, incredulo.
«Ho una moglie, coglione. Lo shabby chic è il passo successivo della miseria, quando la vernice spugnata sui muri inizia a non sembrare più una cosa figa, bensì lo squallore immondo che è. Le donne prima ti costringono a trasformare le pareti dell’appartamento in un cottolengo, poi a scartavetrare i mobili. Sposati e vedrai»

Con secchi di vernice, coloriamo tutti i muri, case piccole e palazzi,
perché lei ama i colori, raccogliamo tutti i fiori, che può darci primavera,
costruiamole una culla, per amarci quand’è sera, poi

«Visto?» fa lui, incrociando le braccia «shabby chic in piena. Lui cerca un centrino per fare schizzarello e invece scrolla tendine coi pizzi e tramonti sulle lenzuola, la senti la disperazione?»

Poi saliamo su nel cielo e prendiamole una stella,
perché Margherita è buona, perché Margherita è bella

«Qui ormai l’ha buttata in vacca da tanto ce l’ha duro, dice qualsiasi stronzata scrollando sempre più in fretta, stelle, cielo, luna, vaffanculo tutto, via»
Mi guardo attorno preoccupato qualcuno ci senta.

Perché Margherita è dolce, perché Margherita è vera,
perché Margherita ama, e lo fa una notte intera perché

«Lo senti?! Senti com’è incazzato? Ha passato il punto di non ritorno, tipo quando torni sbronzo dall’happy hour e ce l’hai di marmo, ti seghi forsennatamente che ti vengono i crampi al braccio ma niente, non ce la fai, allora cambi braccio ma diventa una questione d’onore e…
«Basta, ti prego» dico, notando orecchie che si tendono.
«…e giuri a te stesso che costi quel che costi tirerai la sborrata. Tutto torna, ti dico!»
«Ssst»

Margherita è un sogno, perché Margherita è sale,

«BAM! Il dramma, alla bambina seduta sulla luna che augura buon natale a Gesù Cristo è la rinuncia definitiva. Sentilo, malinconico, lento, capisce cosa deve fare»

Perché Margherita è il vento, e non sa che può far male

«La senti la quiete dopo la tempesta!? Quell’istante che molli l’uccello e sei tentato di dire basta, il braccio fa troppo male. Leggi proprio la sconfitta negli occhi di chi cerca carne e trova puttanate romantiche, aforismi, cazzate grilline? Crollo, senti? Crollo. Il cazzo s’ammoscia, il braccio casca, i sensi di colpa emergono. Senti com’è malinconico, introverso»
«Arioooo» sussurro, facendo con la mano cenno di abbassare il volume.

«MA POI» grida lui, saltando sulla poltrona «occhio che arriva la rivelazione»

Perché Margherita è tutto, ed è lei la mia pazzia.
Margherita… Margherita… Margherita, adesso è mia

«Ed ecco la soluzione! Con pazienza certosina si scarica le foto sul desktop, capisci? Margherita adesso è sua e la canzone se ne va, sparisce, vedi proprio la telecamera che scappa dalla finestra perché per lui sarà una lunga notte. Dovrà ricominciare tutto da capo, per riuscire nel suo nobile intento»

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Na na nana nana nanaaaa, canta Cocciante sui tetti di Venezia.
Ci sono cose che non cambieranno mai, nella mia vita.

Dio agisce per vie misteriose, incluso il mio impianto idraulico

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Mi sveglio alle 6.30 di domenica dilaniato da coliche intestinali. Nottetempo la donna m’ha scippato le coperte avvolgendosi a mulinello, e siccome in casa lei è sensibile siamo sensibili al surriscaldamento globale, la temperatura interna non supera i 9°. Raggiungo il cesso tremando come Michael J.Fox con un dildo nel culo e un taser nei denti. Mi siedo sulla tazza ancora addormentato e il pene eretto ci si appoggia invece di penetrarvi. Contemporaneamente alla prima scarica dissenterica, un missile di urina decolla rabbioso verso la porta irrorando l’accappatoio appeso. Scatto in avanti per infilare nel wc lo sputafigli, e la seconda scarica mi sorprende alle spalle detonando in uno SPRàH che dipinge cupi arabeschi sulla tavoletta.

Mi blocco così, immobile a metà strada, ansimando vapore di condensa. Effluvi mostruosi conquistano il bagno. Per un istante ripenso all’infanzia, gli Snorky, i puffi, mia madre che mi puliva il culo. Mi siedo piano coprendomi il viso. Singhiozzo, non so se di risate o pianto, e il pene ancora rigido batte contro la maiolica in un ripetitivo TUNG TONG TENG che ricorda un allarme antincendio.

Pulisco la Nutella dell’Isis canticchiando “vivono via da qui, nell’incantata città”.

Terminata l’opera mi ficco sotto la doccia utilizzando una saponetta biologica artigianale che odora di palude, non pulisce un cazzo ma rispetta l’ambiente. Appena il dannato entra a contatto con l’acqua muta in una poltiglia argillosa che si squaglia e precipita nello scarico, ingorgandolo. Tento di rimuoverlo, ma siccome sono così sfigato che mi reincarnerei a Hiroshima nel ’45, faccio peggio. Nel grattare lo spalmo tipo Bostik e sigillo ermeticamente lo scarico. La cabina doccia si riempie e trabocca. Chiudo l’acqua, apro l’armadietto e impugno la ventosa come He-Man la spada di Grayskull, e con la forza, la rabbia, l’orgoglio, la disperazione E LA MUSCOLATURA DI HULK L’IMMENSO PIANTO CON ENTRAMBE LE MANI IL MARTELLO DI THOR NEL SARLACC CH

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Da qualche parte nella casa sento SBLàNF, poi tiro. Dalle viscere delle tubature esplodono capelli, peli, unghie, tarzanelli, pezzi di sapone biologico. Mi sto riesumando, penso.

Finisco, mi asciugo. Sono le 7.05. Posso tornare a dormire. A letto i muscoli si rilassano, le coperte ridiventano calde, tutto tace nella quiete degli uccellini primaverili quando un boato mostruoso sancisce la rottura del quarto sigillo e l’avvento dell’apocalisse. Fuori un rombo subsonico fa tremare muri, finestre, vetri. Al gatto esplode la testa, ma non m’importa. Posso e voglio trapassare qui, al caldo, passando dal sonno alla morte. La femmina che ho accolto in casa per scopi meramente pneumatici si drizza a sedere, non capisce cosa cazzo succede e quindi mi percuote.

«Cos’è?!» urla, evidenziando le vocali a ceffoni «oddìo è il terremoto, amore sveglia, SVEGLIA, È IL TERREMOTO, SVEGLIA»
Apro gli occhi nella tempesta di botte. Ah, come sono sveglio.

«SVEGLIATI! NON SENTI? TREMA TUTTO!»
Acuisco l’udito. Riconosco la causa.
Guardo l’orologio.
Digrigno i denti.

«MA SEI DROGATO, NON LO SENTI?»
«È la crisi di mezz’età del vicino di casa» dico.
«Eh?»
«Ha quarant’anni, s’è comprato l’Harley Davidson. O quello o s’iscriveva in palestra»
«E rompe i coglioni alle sette di domenica mattina?!»

Tengo gli occhi chiusi mentre prego non arrivi il seguito della frase, ma siccome se io mi tuffassi in un barile di sigari ne emergerei con uno stronzo in bocca, puntualmente

«Vai a dirgli qualcosa, no?»

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Braghe della tuta, felpa rossa, montone, occhi abbinati alla felpa. Non c’è nessuno, solo una moto accesa. Aspetto, osservandola. È il solito reggipalle che tanto piace a noi scrotocefali. A me le moto fanno cagare. L’unica eccezione sono quelle anni ’30 e ’40, che effettivamente mi arrapano. Per il resto sono un fan delle quattro ruote. Avessi il cash peso mi comprerei una Lamborghini decappottabile, non questa roba qui. Sopra di me si apre una finestra.

«Vuole spegnere quella roba?!» grida un uomo «lo sa che ore sono?!»
«Non è mia» dico.
Si guarda attorno: «No? E di chi è?»
Mi guardo attorno anch’io: «È… del vicino»
«EH, DEL VICINO» fa quello, incazzato a faina «LA SPEGNE O NO?»

Si apre un’altra finestra.
La moglie.

«M’HA SVEGLIATO IL BAMBINO, È CONTENTO?!»
«Guardate che sono qui per lo stesso motivo vostro»
«Ma la smetta, cos’è, un bambino di tre anni?! Spenga quella roba e si vergogni!»
Richiude la finestra.
Il marito sta lì a guardare: «Devo venire giù?»

L’amigdala mi ricorda che sventrare di botte il vicino, l’uomo, la moglie, vendere il bambino agli zingari e la moto ai moldavi è comunque un’opzione. Poi ripenso alla mole di debiti che ho con avvocati e querelanti. Mi giro, osservo il quadro comandi del mezzo. C’è una chiave, in effetti. La giro, il rombo d’acciaio tace. La finestra si chiude. Resto lì, confuso come Adamo alla festa della mamma, quando dal garage esce il vicino quarantenne in giacca di pelle nera borchiata, jeans sdruciti, anfibio militare, spalle da impiegato e faccia da grillino.

«Cos’ha fatto?!» urla correndomi incontro.
«L’ho spenta» dico.
«Lei non si deve permettere di toccare la mia moto, ha capito?!» fa quello, arrivando e squadrandomi con astio.

«No, è perché faceva… rumore»
«Deve scaldarsi, e allora? Io vengo ad accenderle la macchina?» dice, montando in sella. Tento di rispondere ma lui accende il motore. Mi fa il gesto di andarmene a quel paese, s’infila il casco e parte. Resto a guardarlo che sparisce nella strada. L’amigdala protesta.

Rientro in casa.

Entro in cucina per farmi il caffè e realizzo cos’era lo sblànf. Il contraccolpo idraulico ha fatto il giro delle acque bianche e sparato sul piano cottura, sulla macchinetta del caffè, sui piatti puliti e su pressoché qualunque cosa delle primizie deliziose. Ci sono pezzi di insalata marcita, nervi di pollo putridi, fondi di caffè, olio vecchio, tutte quelle cose che normalmente galleggiano nel sifone.

Con dignità suprema ignoro tutto, mi giro e torno a letto.
Venti minuti dopo, l’urlo della consorte fa tremare i pilastri del cielo.

Come trasformare un matrimonio in un rave party

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Maggio del 2010, la primavera sboccia tiepida e splendida tra margherite e bocche di leone. Le scalinate di pietra ci conducono all’interno della villa, dove pennellate di luce rimbalzano sul marmo e illuminano mobili antichi, arazzi sulle pareti, un soffitto intarsiato di stucchi. Il vociare degli invitati è discreto, in qualche stanza.
Pciuirk, pciuirk, pciuirk, fanno i passi di Atza.

«Ma che hanno le tue scarpe?» domando.
«Sono quelle da tango argentino di mio padre, hanno la suola liscia tipo velluto, così c’ho spalmato un velo di UHU stick per aumentare la presa» spiega.
Pciuirk pciuirk pciuirk.

«Hai capito il merda, non ha mai soldi da prestarmi e poi…» mugugna Ario, ignorandoci.
«Devo pisciare assolutamente, fioi, sto al limite» fa Atza «già in chiesa ce l’avevo duro, adesso non sento più la vescica»
«Piscia in giardino, qui bisogna fare il punto della situazione» fa Ario, guardandosi attorno «Nebo, come funziona ‘sta sboronata stile Bella addormentata? Tavoli sciccosi o abbuffata negra?»
«C’è il catering fuori, il pranzo è dopo»
«No problem, la mia spada di carne e lo scudo di droga ci salveranno»

«In che senso lo scudo di droga?»

Atza nota un cameriere che attraversa l’androne: «Tu! Dov’è il cesso? Parla!»
«A-al piano di sopra» risponde quello, squadrandoci intimorito.
Atza ci abbandona divorando una scalinata a falcate di tre.
Pciuirk pciuirk pciuirk pciuirk.

«OH VEDI SE C’È ROBA DA GRATTARE» gli grida dietro Ario «vasellami, argenteria, quadri, tutto quello che sembra da soldi»

La cerimonia in chiesa è stata abbastanza normale, comunque meno squallida di quella in comune di Ario quando la sposa s’è fatta largo tra le sedie, l’invitato più elegante era in polo e alla domanda “vuoi tu” il nostro rispose “ovvio”. Ma nel 2010 Luca ha ancora il posto di lavoro figo, uno stipendio della madonna e ha deciso di fare le robe in gran spolvero.

«No, sul serio, dimmi che non hai roba dietro» faccio.
«Sto imbottito come un kamikaze» fa lui, tirando fuori dalla tasca una bustina di polvere bianca «hanno sparato ad Amir a Marghera così sono andato dalla concorrenza, prezzo promozionale»

Luca ci viene incontro squadrandoci: «Cristo, ho visto ferite vestite meglio di voi. Nebo, ti costava tanto mettergli una cravatta?»
«Ho fatto il possibile» dico.
«L’ultima volta che Nebo ha fatto il possibile non s’è manco riuscito a laureare in scienze della comunicazione, vedi tu in che mani ti sei messo» fa Ario.
«Cosa c’entra?»
«C’è riuscito quel sottosviluppato di mio cugino che a capodanno mise i petardi nelle torte delle mucche. Far l’alba al pronto soccorso con questi che gli grattavano via la merda dal naso… che palle di capodanno»
«Non cominciate, perdìo, sto già nervoso a palla. Dov’è il metallaro della mutua? Soprattutto, cos’ha addosso?» fa Luca.

Pcerk pcerk pcerk pcerk.

 

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«OH IN CESSO HO TROVATO QUESTO» trilla Atza in cima alle scale. Avanza piano, barcollando, la vista occultata dal quadro di un cavaliere in armatura. Per l’occasione indossa un gessato nero due taglie più grande, pantaloni senza orlo modello rapper, camicia nera sbottonata, spilla dei Pantera. Orrore e incredulità sciolgono il volto di Luca come una lenta coperta di magma.

«Va bene?» brancola Atza.
«Benissimo, scendi, sempre dritto» fa Ario.
«Ma co… MOLLA QUEL QUADRO, IMBECILLE!» tuona lo sposo.

È un attimo. Lo spavento fa sussultare Atza. Il risvolto dei pantaloni gli resta incollato sotto la suola. Perde aderenza. Cade all’indietro, impatta di culo sui gradini e sfonda il quadro con la faccia, perde le scarpe, una vola e resta appiccicata alla parete, il resto frana giù fino a noi.

 

Silenzio.
La scarpa si stacca dal muro.

«Mi dispiace» geme lui, dilaniando la tela ed emergendone.
Luca tenta di dire qualcosa, inspira, espira, riprova, chiude gli occhi. Li riapre.

«Tu… voi non toccherete alcool. Non parlerete di niente che abbia a che fare con droga, sesso, risse, fluidi corporei. Non bestemmierete, perché qui tre quarti sono cattolici. Starete buoni, zitti, silenziosi come scorregge degli angeli. Adesso occultate i resti di quel quadro e seguite le mie istruzioni… Ario?» fa Luca, girandosi e non trovandolo. Lo sguardo corre lungo l’androne, si ferma sulla sagoma in controluce del nostro eroe che con le mani sui fianchi annuncia al popolo sottostante

«È ARRIVATO TORQUEMADA, VECCHIE PORCHE»
Tacciono gli invitati, tacciono i camerieri, i parenti, la sposa, tacciono persino le cicale.
E siamo qui solo da cinque minuti.

 

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Ore 11.20
Tre prosecchi, un rosato, tartine miste, sigarette.

«Piacere, Camilla» fa la testimone porgendo la mano ad Ario.
«Ma tu non compravi la bamba da Amir?»
Sputo il tramezzino.
«Come?» fa lei, ritirando la mano.
«Dai, mi ricordo di te, stavi a rota fuori dal Rivolta l’anno scorso, m’hai chiesto una sigaretta che tremavi come un vibratore»
«N-no, no, ti sbagli» fa lei, guardando il moroso.
«Dai, sei tra amici, tranquilla» ammicca Ario «c’ho dietro il kit di pronto soccorso, se serve»

Lo porto via prima che il moroso si avvicini. Atza è all’interno che smanetta sulla consolle dei CD, Luca sta parlando con dei vecchi. Tento di spiegare ad Ario che non è il caso di trasformare in rissa da bar quello che è il momento più bello della vita di un uomo.

«Della vita di sua moglie, semmai» mi corregge «quello di un uomo è quando l’Italia vince i mondiali. Un vero maschio conosce le sacre priorità: patria, droga, amici, famiglia, puttane. Altrimenti sei un ragazzino»
«…la droga prima degli amici?»
«Chiaro, meglio spaccarsi di bamba o ascoltarti raccontare battaglie navali di cui frega solo ai disoccupati?»
«È Storia, testa di cazzo»
«Appunto, io le so ‘ste robe? No. Ho una casa, una famiglia, un lavoro. Tu le sai? Sì. Sei un rapper fallito, non c’hai uno straccio di contratto, vivi a casa del polverizzato e devi venderla per pagare gli avvocati. Cazzo, utilissime le battaglie navali. Figurati cos’eri con una laurea»
«Ario, tu sei quello che ha rotto il cazzo a tutti perché voleva coltivar ganja su Farmville e rivenderla su Mafia Wars, eh»
«Secondo me uno veramente nerd ce la faceva»
«Ma basta»

 

 

Ore 11.40
Sei prosecchi, un rosato, un Bellini, tartine incalcolabili.

Lancio del bouquet. La sposa sale al primo piano tra i gridolini eccitati delle ragazze, esce dal balcone con un sorriso da spasmo alla tiroide, si gira e si prepara a lanciare, quando nell’aria esplode la batteria di “Warriors of the world” dei Manowar. Atza, solo in piedi su un tavolo, muove la testa a tempo mimando una chitarra. Luca con un balzo lo placca stile rugby, strappa i cavi dallo stereo, percuote il metallico con il lettore CD e fa il pollice in su alla sposa. Lei, ammosciata, tira a sboro. Il bouquet fa una parabola, gli uteri alzano le mani e indietreggiano tra gridolini. Il bouquet finisce in mano alla cameriera, le galline impattano contro il tavolo del buffet in una detonazione di tartine, bicchieri, bottiglie, ghiaccio e poderose bestemmie del vecchio maitre che approfitta della confusione generale per menare un ceffone a una tizia discinta. Dall’alto, la sposa osserva la distruzione col sorriso che le cola giù. Luca trascina Atza per la giacca e ce lo riconsegna.

«Riprendetevi ‘sto sacco della monnezza»
Atza rutta.

 

 

Ore 12.12
Sette prosecchi, un rosato, un Bellini, tartdsfrsdkf

«’sta festa è divertente come un incendio in un orfanotrofio» fa Ario, rovistandosi nella tasca «è tempo della polvere di fata. Vuoi?»
«Ario, NO. E neanche tu»
«Guardami»

Ario sparisce dentro. Il pranzo viene annunciato, alla spicciolata entriamo anche noi. Il nostro tavolo è così nascosto che per trovarlo dobbiamo chiedere a un cameriere. Luca sorveglia di soppiatto mentre blatera con delle tizie. Atza si congeda da una ragazza caruccia con cui chiacchiera amabilmente e raggiunge il tavolo. Ario arriva sudatino, occhio lucido e cerniera abbassata. Tris di antipasti, prosecco a fiumi. Inizio ad accusare il colpo.

«Atza, lascia la bagascia, non c’è storia» fa Ario, seguendo gli occhi di lui.
«Che ne sai, è simpatica»
«Eccolo là, classico» geme lui, mollando la forchetta «trent’anni a fare il figasitter»
«Il cosa?» chiedo.
«Il figasitter. Le donne si fanno prendere a sberle le tette e sventrare il buco del culo, poi vengono a questuar coccole da Atza. S’è scarnificato le mani più lui a carezze che io a seghe, e viaggio con una media di tre al giorno»

 

Ore 14.20
Gonfi come zecche
Fine pranzo, la gente sciama nelle stanze, poi nel giardino Ario è sparito in bagno per la seconda volta. Torna sudato come una suora incinta, occhio sbarrato, aria di chi sta per esplodere. È il momento del taglio della torta. Tutti gli invitati confluiscono nel banchetto centrale davanti a una splendida millefoglie. La sposa prende il coltello e fa per tagliare, ma la lama è affilata come un bastone; la torta s’inclina sparando crema da tutti i lati. Ario si fa largo tra la folla e dice che fa lui, oh, dai, fa lui. Mentre lo vedo afferrare il coltello mi accorgo che i pantaloni del suo completo sporgono in avanti a causa di un’ erezione spaventosa. Se ne accorge anche la sposa. Ario trasforma la torta in una raccolta di vinili senza accorgersi che la punta del suo pene si sta strusciando sulla crema. Quando si gira col piatto, uno sbuffo di crema sporge dal suo scroto come una perla in un’ostrica.

«Tò, viva la sposa» dice il nostro, mettendole il piatto in mano.
Si pulisce i pantaloni con una salvietta e la getta sul tavolo.
Luca lo porta via. Atza è scomparso.

La millefoglie mi fa schifo.

 

 

 

Ore 12.34
Dati dimenticati

Troviamo Atza grazie al fotografo che per il fotoset conduce la coppia alla fontana dei pesci. Atza è semisvenuto sul bordo, ha un rivolo di vomito sulla bocca, nell’acqua galleggiano tramezzini predigeriti, acidi gastrici e un’ecatombe di pesci rossi morti. La sposa scoppia a piangere. Luca tira un calcio in bocca ad Atza, barrisce una bestemmia e corre dietro alla sua amata. Il fotografo decide di cambiare location. Ario viene richiamato dalle grida, vede Atza e tenta di abbassarsi la lampo per pisciargli addosso “tanto ormai”. Il padre della sposa viene a farci una sfuriata e dice che dobbiamo vergognarci. Atza biascica “for the king… for the land… for the mountains“, io mi scuso per tutti. L’uomo avvisa che se continuiamo così ci butta fuori, cosa che accade precisamente alle

 

 

Ore 15.30
Perdoname madre por mi vida loca

Stiamo correndo tutti e tre nel bel mezzo del paesino padovano, Ario con in mano un mojito vuoto. Hanno chiamato davvero la polizia, noi siamo fuggiti alla chetichella. Siamo troppo ubriachi per ricordarci dove cazzo abbiamo messo l’auto, figurarsi se possiamo metterci alla guida. Vaghiamo per stradine di pavè e ciottolati mentre Ario farfuglia che un caffè ci rimetterà in sesto. Ha dimenticato che ne abbiamo già bevuti due. Ci riposeremo sulla panchina della piazzetta, addormentandoci e risvegliandoci alle nove di sera. Luca non ci parlerà fino al 2011.

A riscriverlo, mi rendo conto che fu un bel matrimonio, tutto sommato.

La lettera di Enzo a Lucia, questa volta scritta da un uomo

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Nella pagina del Corriere della sera sembra che un marito tradito abbia comprato un’intera pagina per sputtanare la ex. Viene pubblicata una lettera che sbandiera i tradimenti della moglie. Qualunque maschio eterosessuale legga quella roba, però, si rende conto che si tratta di un’operazione di marketing. Basta leggere mezza riga per capire che l’autrice è una donna, perdipiù di Milano. Una città a prevalenza gay dove la poveretta non ha molte occasioni di scoprire come ragiona un etero. Ho quindi deciso di aiutarla per un’eventuale seconda stesura. Nelle celle grigie trovate il testo originale, sotto invece c’è quello che scriverebbe un cornificato dopo aver speso 30,000 euro +iva per una pagina sul miglior quotidiano nazionale. I numerini sono le note a margine per l’autrice.

Iniziamo.

 

Amore mio,

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Scusate, rifacciamo.

Amore mio,

“Stronza di merda,

per te farei di tutto lo sai. E tu invece ti faresti tutti. Ho sempre cercato di proteggere il nostro amore. E invece tu l’hai distrutto. E dopo sette anni di matrimonio, voglio raccontare a tutta Italia

vorrei elencare tutto il tempo, l’affetto e i soldi che ho messo nel nostro matrimonio, ma non mi sto sputtanando il reddito triennale di un metalmeccanico per informare l’Italia di quanto sono stato coglione. Preferisco investire i nostri soldi per raccontare all’Italia intera

 il tuo spregevole tradimento.

che hai le gambe così aperte che Baggio nel ’94 avrebbe fatto goal. [1]

Lucia è il tuo nome e per anni hai portato la luce nella mia vita, ma non conoscevo le tue ombre. E da quando ti ho vista con lui che ti baciavi davanti a quella diavolo di pasticceria, la nostra preferita, è arrivato solo il buio. Mia moglie e un altro uomo avvinghiati dentro a una macchina, come amanti in incognito.

Vorrei tanto essere poetico, ma non sono una laureata allo IULM che passa le sere a guardare repliche di Friends, quindi tralascio. Siamo stati sposati sette anni, durante i quali era da accendere ceri a San Cristoforo se rimediavo un bocchino. Quando t’ho sgamata a limonare in macchina, davanti alla pasticceria dove vendono le tue ossa grosse, avrei voluto gonfiarvi di botte entrambi. Ma siccome oggi nascere col pene è già un mezzo reato, ho preferito aspettare. [2]

Ma invece di dirtelo subito, ho indagato. E in un mese, 31 giorni per l’esattezza, ho scoperto che c’era dell’altro ancora! E soprattutto, degli altri. I martedì con le amiche a cena, avevano un fuori menù speciale, diciamo, perché non erano che uno squallido teatrino di amanti! Tu e i tuoi… “amici”. Molto bene e allora racconto tutto.

Così ho sborsato cifre mostruose a un ex celerino riciclatosi investigatore privato. Ho scoperto che le tue “cene tra amiche” erano gangbang con vari PR di Crotone. L’investigatore li ha visti uscire chiudendosi la lampo dei jeans con scritto “rich” sul culo e ho capito che la mia principessa ha gusti più raffinati di quelli che conoscevo.

Come quel viaggio che ti ho spinto a fare io, perché eri stressata per il lavoro. Hai preso un aereo da sola “per raggiungere le amiche di Roma” dicevi, quelle che non conoscevo, con gli agganci per la vacanza low cost in Egitto… e io scemo a crederci! Era solo il primo dei tuoi tradimenti. Te l’ha pagata l’avvocato quella vacanza.

Dopo la pasticceria e le gangbang ho deciso di mandarti in Egitto da sola per farti rilassare. Certo, è come lasciare Rocco Siffredi nel giardino delle vergini suicide, ma non importa; gli italiani hanno già capito che sommando il mio QI al tuo facciamo il figlio di Bossi. Stranamente non sei andata lì per rilassarti, ma per sbatterti un avvocato che s’è noleggiato il tuo buco del culo al prezzo di un biglietto Ryanair e una foto su un cammello. Taci che non abbiamo una figlia, perché se tanto mi da tanto lei avrebbe il telefonino sempre carico e la scuola le palle sempre vuote.

Come ho fatto a non capire? Non sapevo ti piacessero ricchi.

Credevo stessi con me perché ti piacciono i vecchi obesi, come alla Gregoraci piace Briatore. [3]

E infatti mi sa che ti piacciono tutti, dalle foto che c’erano nel tuo computer. Sì ti ho frugato nel computer.

Ho aperto il tuo PC con la stessa password della tua vagina: 1234. Partiamo dalla cronologia su PornHUB e XNXX: “squirting lesbians”, “interracial triple penetration”, “cheating couple”, “BDSM extreme”, “torture sex”, “brutal deepthroat compilation”, “milf gym double anal”, “whipping sluts”, “teen humiliation”. [4]

E ho scoperto del personal trainer. E della settimana di lavoro a Milano, che in realtà era solo una “romantica” avventura con real_macho, quel tizio con cui chattavi! (ma che nome è? Ma che persona sei tu? Immagino che insieme avrete vissuto tutte le sfumature dei colori dell’amore, dei sapori…).

Poi siccome sei così stupida che al sole fai la fotosintesi, hai tenuto in memoria tutti i messaggi. Ho così scoperto della settimana a Milano passata giocando all’allegro canguro sugli addominali di un truzzo conosciuto via chat. Immagino i dialoghi a base di grugniti e percussioni, ma hai avuto fortuna a trovare l’unico che nelle chat non ha un nick tipo Salentinu_32cm, LeccoPiedi8576566, CazzoEnormeXxX o SkiavoXPadronaPD. [5]

Ma la cosa peggiore Lucia, è la becera storia che ti stai facendo ora, con tu sai chi. Vedo che ti sei trovata bene con i miei colleghi, se vuoi te ne presento altri.

Dopo real_macho avevi bisogno di qualcuno in grado di pronunciare “derattizzazione” senza sudare, così ti sei ripassata i miei colleghi. La cosa peggiore è che hai scelto un incapace di terzo livello che non saprebbe dire la differenza tra un mucchio di merda e un budino. [6]

Il nostro matrimonio è finito.

Il nostro matrimonio è così finito che se tu ti dessi fuoco e io avessi la diarrea, prenderei l’Imodium.

Ti lascio, ma non immaginarci qui da soli, io e la mia ossessione di te che mi hai tradito con tutto il mondo. Io non tornerò indietro. Hai sbagliato tu e non mi vergogno a raccontare a tutta Italia la vita segreta della mia mogliettina perfetta. Anzi, ho persino aperto una pagina facebook.com/tuoexmarito

Ho assunto un avvocato che è un incrocio tra Perry Mason, un barracuda e Batman. Siccome ormai il 99% dei giudici sono donne, al 99% ti terrai macchina, casa e metà stipendio mentre io finirò a dormire nell’auto dei miei genitori a cinquant’anni, ma almeno i risparmi di tutta la vita li regalo all’avvocato e al Corsera piuttosto che pagare le SPA a una cagna a due zampe. Ho anche creato una pagina facebook, l’ho chiamata /quanticazzisepresaLucia. Siamo a oltre seimila. Like.

Io e te ci vediamo in tribunale.
Il tuo ex marito Enzo

Con tutto l’odio, la disistima, il rancore e il disprezzo possibili,
Enzo”.

 

 

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[1] Le regole SEO su un foglio di carta servono come un trapezista monco col culo che prude. Lascia stare i grassetti, sulla carta i motori di ricerca non indicizzano, giuro. Ho provato.

[2] Nessuno indicizzerà quei grassetti. Davvero. Colgo l’occasione per farti notare che il marito sarà pure deficiente, ma se lei lo cornifica in pieno giorno davanti a una pasticceria dove la conoscono, allora devono essersi conosciuti alla riunione contro le scie chimiche.

[3] rex-business-people-laughing-in-office

[4] “sì ti ho frugato nel computer” come ammissione di colpa vergognosa? Tutte le coppie ficcanasano nei dispositivi digitali del partner in media una volta a settimana. Secondo te perché Google ha implementato la navigazione anonima? Perché su iMessage, Whatsapp, Twitter, Facebook e Skype si possono cancellare i propri messaggi? Cos’è, non vuoi vedere quello che hai scritto a qualcuno o vuoi dimenticarti quello che t’ha scritto l’altro? I social servono a fare corna. Come tutto quello che in Internet ha successo.

[5] “Le sfumature dei colori dell’amore, dei sapori”? Ma cos’è, un corso per sommellier? Io degusto il sapore della tua vagina, tu sorbisci il mio sperma servito caldo? Lecchiamoci i buchi del culo in questa primavera fiorita?

[6] Il termine “becera” è uso esclusivo delle femmine. Nessun maschio usa quel termine. Né gay, né etero, né Vladimir Luxuria. Se vai a vedere nella Treccani scoprirai che “becero” è scritto in rosa.

[comunicazione di servizio] Aggiornate i calendari, raga

Allorallorallora, anche quest’anno sarò a Mantova comics con la scuderia della Limited al Palabam. Non ho nulla da presentare di nuovo ma se avete libri ancora da firmare, volete acquistarne una di quelle rimaste o avete voglia di far due parole, eccovi i miei orari.

venerdì 6 marzo
14.30-16.30 con Diego Cajelli.

sabato 7 marzo
11.30-12.30
con Farenz.

domenica 8 marzo
10.30-12.30
 con Doc Manhattan.

Se in questi orari non mi trovate al banchetto è perché son fuori a fumare, aspettate due minuti e torno dentro. Il resto del tempo lo passerò ficcanasando in giro. Riguardo il Napoli comicon e Nick è ancora presto per darvi orari e posti precisi. Se siete intenzionati a venire vi consiglio di tenere da parte un po’ di cash, però, perché ci sono buone possibilità le copie vengano ritirate dal commercio e io finisca in galera. Ma come ho detto, è presto per parlarne.

Ora torno al romanzo.