Colloqui di lavoro finiti in tragedia, capitolo 99836°

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Milano, mattina

«Scusi, l’agenzia pubblicitaria Verghe roventi?» chiedo.
Il portiere mi squadra con un misto di derisione e fastidio: «Terzo piano»

Capita l’antifona, in ascensore mi tolgo la giacca e la metto nel borsone. Esco al secondo piano, entro in bagno, sostituisco le scarpe con un paio di Converse bianche e la camicia con una maglietta. Arrivo, suono, mi aprono. Pareti bianche, mobili di frassino minimal, riviste intonse. Mi viene incontro una ragazza con occhiali a montatura spessa, rossetto di fuoco e vestito a fiori anni ’40. Siamo entrambi sulla trentina e ci basta un secondo per capirci: lei, Annamaria Friendzoney. Io, uno che dopo tre volte cancella il numero. Si ferma a distanza di sicurezza: «Sì?»
«Eeeeeh…»

In ambienti come questi è tutto complicato. Ogni dettaglio ha una funzione reale e un’apparenza opposta. Ci si veste casual per sembrare informali, ma ogni capo è studiato per ore allo specchio. Ci si dà del “tu”, ma si è più distanti che su alpha centauri. Si apologizza il reale, ma ci si giudica dal virtuale. Si idolatra la comunicazione, ma si passano le serate a mostrarsi stronzate sui cellulari. Si dice “c’è stato un misunderstanding”, ma si intende “non hai capito un cazzo”.

«Sono qui per il colloquio» dico.
«Seh, adesso, “colloquio”» sorride lei «dai, è una chiacchierata»
Ecco.

Mi siedo su un divano bianco, osservo le riviste sul tavolo. Arte, architettura, tomi pesanti come chiavi inglesi. Ne prendo uno, le pagine ancora incollate, mai stato aperto. Giro, 469 euro. Chi spende 469 euro per un libro? Quale editore ha il coraggio di proporlo? Sbircio dentro, foto di una mostra d’arte. Per un istante penso a quanti modi migliori ci sono per sputtanarsi una somma simile, poi realizzo che dev’essere lo stesso motivo per cui questi hanno uno studio avviato e io una Fiat seicento.

«Puoi venire» fa lei, sporgendosi «lascia il borsone lì, se vuoi»
Non ci penso nemmeno.

 

L’ufficio in milanese si definirebbe “open space”, in italiano si tratta di un’unica stanza dove tutti si fanno i cazzi degli altri e guardare porno è impossibile. Cinque postazioni iMac, un angolo con una parete bianca e una reflex su un cavalletto, apparecchiature fotografiche, poster, un paio di Transformers anni ’80. Il tizio in piedi è sulla trentina, maglietta larga bianca a V da cui sbocciano peli radi, barba ossigenata lunga fino all’attaccatura del collo, braccia coperte di diamanti, loghi di videogiochi, stelle, baffi. Noi associamo i tatuaggi a marinai, motociclisti ed ergastolani, i nostri figli li assoceranno a radical chic e studenti IULM.

«Ciao, Nebo, sono Paolo, il responsabile» dice, tendendomi la mano «loro sono Frenzi, il nostro grafico, Baduuzi, commerciale, Flehma, pubblicitario e lei è Annamaria Friendzoney, si occupa della parte amministrativa»
Mesti grugniti di saluto qui e lì, Annamaria invece trasuda odio.

«Tutto bene, a Milano? Hai sistemato le tue cose?» fa Paolo.
Intende rimarcare che io sono a Milano per ragioni diverse dal colloquio, e che quindi se andrà male loro non saranno tenuti a sentirsi in colpa per avermi fatto fare il viaggio.

«Sì»
«Mi fa piacere! Quando ti trasferisci?»
È sconvolto da quanto poco gli frega della mia vita e tenta di farsene una ragione.

«A gennembre»
«Ah, bene!»
Le sue orecchie fanno CHSHHHHHHHHHHH.

«E come mai ti piacerebbe entrare nel nostro team?»
Il suo ego esige coccole preliminari.

«Bè, perché mi piace come lavorate. Vi ho scoperti con la campagna ANAL INSURRECTION, sono andato a vedere il vostro sito e ho scoperto che avevate curato anche SLABBRAMI, poi STRAZIANTI STRONZATE e quella più controversa, il gioco a premi in rete TROVA LE PALLINE CINESI NELL’ANO DI VERUSKA»
«Quella è stata una mia idea» gongola Baduuzi.
Gli faccio il pollice in su.

«Hai fatto master, studi…» chiede Paolo, cercando il mio curriculum tra i fogli.
«No»
Alza la testa: «No?»
«No»
«Ah. Eh… qui siamo tutti laureati» dice, incerto.
«Nel vostro annuncio c’era scritto che non era necessaria la laurea»
«Vero. Però un minimo di esperienza sì»
«Bè, sono pubblicista. Sul curriculum ci sono testate e numeri dei referenti, vi diranno che collaboro o ho collaborato con la parte creativa»
«È quello di Cosmopolitan» fa qualcuno.
«Aaah, sì» annuisce «bravo, bravo»
È spaventoso quanto poco gliene frega.

«Senti… a noi serve qualcuno che sappia elaborare, innovare, pensare fuori dalla scatola, per capirsi»
Paolo si reputa circondato da rincoglioniti.

«Ok»
«Il problema dei pubblicitari è che stanno tra pubblicitari e parlano di pubblicità. Noi vogliamo qualcosa di diverso. Un social media manager che sappia uscire dalla sfera del comune know how e fare community»
Il tasso di hipsteria nell’ufficio ha oltrepassato la soglia d’allarme e siamo rimasti in cinque a ridere dei meme su Hitler.

«U-uh»
«Oggi lo storytelling è un must, non un optional. Servono sentimenti, emozioni, non numeri. Mi spiego?»
È difficile fare infografiche se non hai un cazzo da dire.

«Bè, venendo dal giornalismo le storie un po’ so raccontarle» tento «credo la pubblicità sia un campo interessante. E po
«AO PAOLO FACCIAMOGLI QUELLA DEL DOTTORE» fa Frenzi.
Il capoccia sorride complice, poi si distende sullo schienale della sedia: «Dai, facciamo un gioco. Ti va? Una prova. Niente di complicato, una cosa a istinto»

 

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L’ultima volta che m’hanno ordinato di fare qualcosa “a istinto” mi sono sbronzato a merda, ho detto al portavoce dell’emiro dell’Oman che non volevo finire decapitato su Youtube e mi sono trovato a urlare madonne a bordo di un catamarano lanciato a 40 nodi durante la Extreme sailing race al largo di Trapani. Mai dirmi di fare qualcosa a istinto, perché in quanto a cappelle, su una scala da 0 a “oh, che sbadato”, io sono a livello tecnici di Chernobyl. “A istinto” il mio cervello si sente autorizzato a partorire le più inverosimili puttanate. C’è un motivo se la mia vita è il ritratto del degenero.

«D-D’accordo» gemo, prevedendo l’orrore.
«Viene da noi il dottor Pinco Pallino, chirurgo plastico. Vuole una pubblicità per il suo studio privato dove fa mastoplastiche additive. Rifà le tette, per intendersi. Tu come impronteresti il marketing?»

 

 

 

 

 

 

«Così, a istinto» ribadisce l’incauto Paolo «non pensarci. Buttati»

 

 

 

 

 

 

«Allora?» si sporge.
«…bè, di solito le tette se le rifanno le quarantenni, hanno i soldi per farlo e sono in piena crisi di mezz’età. Vedono le ventenni e s’imparanoiano» dico, aspettando il cervello mi consegni i compiti.

«Continua»
«Se ti rifai le tette è perché vuoi apparire meglio, attirare l’attenz
Il cervello consegna.

«SE SONO TETTE FINTE È VERO AMORE» esclamo.

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Ad Annamaria marcisce la faccia.

«Aspetta, c’è stato un misunderstanding» fa Paolo.
«Nonono, state a sentire» mi sporgo «un anello di fidanzamento può costare diecimila euro come venti. Non importa, perché la donna non lo sa. Questo logora il pollame da scopo»

«Il…?» Paolo.
«Il…?» Frenzi.
«Il…?» Flehma.
«Il…?» Baduuzi.
«COME?!» Annamaria.

«Tuo moroso potrebbe averlo comprato usato, o il diamante potrebbe essere finto! In pubblico dirai che conta solo il gesto, ma vorrai sempre andare da un gioielliere a fartelo valutare. Quanto ha speso per te? Quanto vali, per lui? QUANTO TI AMA?»
«Ssssno, Nebo, torniamo un attimo alla tua definizione d
«Aspettate! Il punto è che se il fidanzamento va a puttane, la donna restituisce l’anello. Se non lo fa partono abissi di squallore e miseria, urla, insulti, rinfacciamenti vari. Uno schifo, no? Bene, sentite questa: la mastoplastica additiva è il nuovo anello di fidanzamento»
«Ma tu sei malato, cazzo» fa Annamaria, inorridita.
«No! SI! È quello!» dico, alzandomi in piedi e dominando lo studio perché tanto ormai è tutto in banana «l’uomo ti regala l’anello perché sa che lo può riavere, una mastoplastica invece no! Non può! Non può riaverla! È andata per sempre! Quindi chi crede di più in quel fidanzamento? Chi è più coraggioso? Un uomo che regala un anello, o uno che regala una mastoplastica?»
«Ma che romantico, che meraviglia, che profondità!» urla la Friendzoney.
«Una mastoplastica costa perché garantisce standard qualitativi! Meno spendi, meno t’importa la tua donna rischi complicazioni fisiche. Se invece ricicli paccottiglia da sagra di patronato cazzo te ne frega? Può pure essere vetro delle biglie, non c’è rischio. Quindi: è vero amore? Tette finte. È un cialtrone? Anellino rivendibile»
«NESSUNA DONNA VUOLE QUESTO!»
«IMMAGINATE I CARTELLONI! “Il silicone t’è vicino al cuore”. Oppure due tette enormi di una testimonial tipo Cristina Del Basso coperte da una mano femminile e una maschile! “Mastoplastiche Pinco Pallo: un amore da vivere insieme“. O anche “Mastoplastiche Pinco Pallo: oltre l’apparenza, la sostanza”. Eh?»

 

 

 

Frenzi mi accompagna alla porta dicendo che sono uno un po’ fuori dagli schemi.
Sospetto in milanese significhi povero coglione.