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Cerca una pallina da golf, trova ritardati mentali

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Harleyville, Carolina del sud
1993

Wade L. Quattlebaum, 57 anni, vende auto usate e ha lo stesso titolo di studio mio, cioè quello di una falena che va incontro alla gradevole luce viola. Crede nel sogno americano, nel duro lavoro e nella truffa. Un giorno, mentre tenta di vendere un cassone immondo col contachilometri parruccato al signor John Green, lo sente lamentarsi di come abbia perso un’intera mattinata a cercare una pallina nei campi da golf. Qattlebaum nota una matrice: i giocatori di golf sono i più ritardati che abbia mai visto, così escogita un piano. Torna a casa, prende una vecchia TV con l’antenna regolabile, la stacca e la attacca a un portapenne. L’antenna va a destra e a sinistra in base a come inclina la mano. Soddisfatto, raggiunge l’ufficio brevetti e sotto il nome di Quadro Corporation registra Gopher, “the amazing golf ball finder”.

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Contatta John Green e gli racconta di questa sua fantastica invenzione.

«Bella storia» dice John «ma come funziona?»
«Intercetta le vibrazioni delle molecole ionizzate nell’atmosfera.»
«Ah, certo» fa John. Secondo lui la scienza è roba da segaioli con gli occhialoni che non vanno allo Spring Break, ma siccome non vuole ammettere di essere ignorante come una bestia la compra per 20 euro.

 

 

 

 

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Campo da golf Hay, 9° buca
1993

«Porca puttana, e adesso dov’è quella pallina?» sbotta il signor Anthony Madison, presidente della Ninja Spurghi fognari, Inc. e capo di Green «impiegheremo ore a trovarla.»
«Stia tranquillo, capo» fa John, tirando fuori Gopher «con Gopher, il magico trovapalle, impiegheremo pochissimo!»
«Mah, proviamo» fa il presidente, colpito.

Dopo dieci minuti che vagano nella macchia, John Green è troppo terrorizzato di sputtanarsi l’occasione. Butta a terra una pallina appena il capo è girato e la punta con il Gopher: «guardi, eccola!»
«Strabiliante!» esclama il presidente, raccogliendola felice «quell’affare è incredibile! Dove l’hai trovato?!»
«È un’invenzione supersegreta di un mio amico, ex direttore della NASA. Intercetta le vibracole moleizzate dell’atmosfera catafrastica protocollo Trider G7 tu del cosmo imbattibile eroe.»
«Sì, sì, risparmia i dettagli tecnici, roba da morti di figa. Procuramene uno. Anzi, due. E considerati promosso ad aspiramerda scelto.»

Dozzine, poi centinaia di Gopher vengono venduti e tutti si reputano soddisfatti. Coi soldi Quattlebaum fa un video pubblicitario di quaranta minuti dove ne spiega il funzionamento. Gli incassi quintuplicano. Dopo un anno suonano alla porta.
«È lei il signor Wade L. Quattlebaum, CEO della Quadro corporation?» chiede un agente di polizia.
«Sapevo che prima o poi sareste arrivati. Ma dovete capire che la mia idea era uno… scherzo, ecco» pìgola Wade.
«Scherzo? Signor Quattlebaum, lei è un genio! Tutti i nostri ragazzi usano il suo Gopher!» gongola il poliziotto «Fa risparmiare un sacco di tempo!»

«…eh?»

«Davvero, fantastico. Ma siamo qui per farle una domanda tecnica. Ci hanno spiegato che funziona intercettando le vibrazioni magiche che tutti gli oggetti emettono. Conferma?»
«AHAHAHAHA SI» fa Quattlebaum. Poi, serio: «confermo»
«E dica, non potrebbe settarne uno sulla droga, per esempio?»

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Wade L. Quattlebaum è costretto ad assumere del personale perché la domanda di questa stronzata sale alle stelle.

 

 

 

 

 

 

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Campo da golf Camp Maylene, Beaumont, Texas
1995

Ronald Kelly, agente dell’FBI, sta mettendo la sacca da golf sulla golf car quando vede il suo collega, Patrick O’Malley, estrarre una Polaroid e fotografare la pallina.

«Scusa, zio, cazzo fai?» domanda.
«Non dirmi che non conosci Gopher.»
«No. Cos’è?»
«Dunque, fotografi la pallina da golf con una Polaroid, no? La ritagli, attacchi l’immagine a queste due pinzette e cammini. Metti che la perdi, l’antenna segnalerà in quale direzione è la pallina.»
«Ma vaffanculo» ride Ronald.
«Guarda che ‘sta roba è il futuro, imbecille! Funziona per qualsiasi cosa. Una bambina rapita? Foto, pinzette, risolto. Droga? Armi? Uguale. Ne hanno già acquistati a centinaia la polizia della Georgia, dell’Illinois, le scuole del Kansas e della Florida. Hanno fatto una prova in una scuola e l’antenna indicava degli studenti in macchina che muovevano la testa a ritmo di musica, loro quindi hanno ammesso di aver consumato della marijuana.»

 


«Ripetimi come si chiama» sussurra.
«Bè, questo è per il golf, si chiama Gopher. Quello in dotazione alle scuole e alla polizia si chiama Quadro tracker, che poi è prodotto dalla stessa azienda, ma settato su vibrazioni magiche diverse. Certo, quelli costano 955 dollari l’uno

Solo nel 1996 l’FBI decide di guardare dentro questi capolavori. Scoprono che non c’è nulla, diramano un comunicato e fanno domande ai colleghi che lo usano, i quali danno spiegazioni “ingenue o farneticanti. L’unica cosa su cui insistevano e da cui erano affascinati erano le foto con la Polaroid e le pinzette“. Incriminano Quattlebaum e la sua ghenga di rivenditori, tra cui spicca un certo Malcom Stig Roe, 68 anni, che dichiara di essere un ingegnere elettronico e di aver lavorato nei servizi segreti inglesi durante il servizio militare in medioriente.

È bidello in una scuola elementare.

Il problema è che nessuno degli ex clienti della Quadro corp. vuole fare la figura del coglione analfabeta, men che meno scuole e polizia. Tutti quelli chiamati a testimoniare si ostinano a dire che funziona. Quattlebaum&co. vengono assolti da una giudice particolarmente scaltra, di cui abbiamo un fotogramma mentre esce dal tribunale.

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Appena mettono piede fuori dall’aula prendono il primo aereo disponibile ed espatriano in Inghilterra nel 1997. Qui Roe recluta il signor James McCormick, uno che ha mollato il corso di polizia senza finirlo. Lo nomina capo venditore. Grazie ai suoi contatti con gli ex-quasi-colleghi, McCormick si presenta con in mano “The Mole” (che oggi potete acquistare qui al prezzo di 8,000 dollari). Loro lo girano al quartier generale degli ingegneri militari in Chatlam, nel Kent, dove lui organizza una dimostrazione.

«Vedete come punta l’esplosivo?» dice McCormick davanti al tavolo di ingegneri.
«Cazzo, fantastico!» sbotta il responsabile della commissione «e come funziona?!»
«La tecnologia è segreta, naturalmente» stringe le spalle lui «sicurezza di Stato.»
«Ah certo, chiaro» annuiscono loro.

Non servono altri controlli.

McCormick firma per diventare agente rivenditore internazionale e mette il prezzo del Mole a 14,900 sterline. Grazie ai militari entra in contatto con l’industria delle telecomunicazioni e organizza altri spettacoli di magia e rabdomanzia dimostrazioni in tutto il mondo, dal Messico all’Uzbekistan. Quando un centro di ricerca sulle tecnologie sperimentali definisce “The Mole” una cagata ai limiti dell’indicibile, Roe non si perde d’animo. Stacca le etichette dalle scatolette e ci appiccica sopra GT 200. E siccome è una persona che fa più schifo delle offerte di lavoro di LinkedIN, fa il passo successivo.

«Raga, qua tira brutta aria, bisogna trovare acquirenti più scemi» dice Roe.
«Più di così?» domanda McCormick.
«Avremmo bisogno di gente che cambia governi e polizia ogni quindici giorni, con una popolazione ignorante ai limiti del bestiale, un’idolatria per le armi e che reputa la tecnologia una religione misteriosa. Dì la prima parola che ti viene in mente.»

 

 

 

 

 

 

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Da qualche parte nella Repubblica Dominicana,
2003

McCormick osserva gli occhi timorosi e sgranati dei miliziani davanti a lui. Hanno AK47 sottobraccio e uniformi, ma lui ha già venduto la tavoletta oujia in versione dildo a gente ben più dura e scafata di loro.

«Osservate!» dice, inserendo la scheda nell’ADE 651 «ora ho inserito la scheda con le vibrazioni dell’esplosivo. L’antenna segnerà senza dubbio la bomba.»

Gira un po’, fingendo di seguire l’antenna, poi si blocca puntando un uomo. Quello scuote la testa. Di lato, un miliziano mostra la granata nascosta dietro la schiena. McCormick non si scompone. Si china a guardare l’ADE 651, poi scoppia a ridere: «Haha certo, ovvio! Ho sbagliato scheda! Vedete? Ho messo quella per gli elefanti. L’ADE in questo momento li sta rilevando a 30 miglia da qui, in Africa

Entusiasmo, applausi, pacche sulle spalle. L’uomo bianco ha nuovamente prodotto una potente magia. Ne comprano una dozzina a 14,900 euro l’uno. Trovato l’acquirente ideale, è il trionfo. Alla Zambia dice che rileva le zanne di elefante dei contrabbandieri. All’Uganda, i gay. Immagino questi che vagano con in mano un’antenna, puntano un tizio per strada e lo arrestano mentre quello urla “ma se mi sono scopato tua madre ieri sera”. La polizia aeroportuale del Kenya li compra a 5000 dollari l’uno. L’Africa frutta a McCormick somme incalcolabili. Nel 2005 ha una villa a Cipro, un maneggio di cavalli per la figlia, uno yacht chiamato Sunseeker costato 630,000 dollari, case nuove per parenti e suoceri e il suo grande vanto: il Midford castle a Bath, comprato dal bancarottaro Nicolas Cage per 3,5 milioni. Per anni questo imbecille e i suoi soci disseminano il pianeta di questi amabili giocattoli.

Poi succede tutto insieme.

 

 

 

 

 

 

2009

Ciudad Juarez, Messico
«Haha, vedi gli stereotipi» ride Ibanez, riponendo l’Alpha 6 «dicono tanto che Ciudad Juarez è un coacervo di armi, droga ed esplosivi, invece non rileva niente!»
«? Qué es?» domanda il vicesceriffo, indicando l’oggetto.
«Si tratta di un apparecchio magico che interc

Narathiwat, Thailandia
«L’area è sicura, non c’è nessuna bomba» dice l’ufficiale di polizia «dite ai civili che possono passare.»
«È sicuro, signore?»
«Chiaro, l’abbiamo passata tre volte con il magico GT 200. Ci sono costati 21 milioni di dollari, vorrei vedere.»
«Apposto raga, tutti avan

Jakarta, Indonesia
«Benvenuto all’hotel Carlton, signore» dice il portiere, perquisendolo con un’antenna.
«Cos’è quella roba?» domanda l’uomo.
«Serve ad assicurarsi che non abbiate esplosivi addosso.»
«Ah. E dice che li ho?»
«No» sorride il portiere.
L’uomo si guarda attorno, poi fa cenno al portiere di avvicinarsi: «Secondo me non funziona bene» gli sussurra all’orecchio.
«Come fa a dir

Guwahati, India
«Hai notato quel pacco sulla bicicletta?» domanda Sang al collega.
«Non sono mica stupido» risponde quello «l’ho passato tre volte sia con il GT 200 che con l’ADE651, l’ultimo modello che si sintonizza con le mol

Baghdad, Iraq
«Cos’è quell’affare?» domanda Jaffar.
«Rileva se ci sono esplosivi a bordo» risponde il poliziotto, puntando l’antenna sulla macchina.
«E quell’autobus è pulito?» indica Jaffar.
«Certo, ha passato 23 checkpoint. Noi abbiamo questo magico rilevatore ch

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Quando nel 2013 McCormick viene arrestato insiste nel dire di essere laureato in psicologia. Poi, il giorno prima del processo, spedisce la matrice con cui fabbrica il congegno a Bucarest, dove se ne perdono le tracce. Il giudice gli dà 10 anni di carcere perché non c’è modo di calcolare di quanti morti è responsabile, e perché nessuno vuole presentarsi a testimoniare. Pakistan, Kenya, Libano dicono che per loro funziona. Il colonnello Pramote Pramin, Thailandese, dichiara che il suo funzionamento “trascende le leggi della scienza“.

È più facile truffare qualcuno che fargli ammettere di essere stato truffato.

Persino l’ONU ne ha acquistati e tentato di farli usare agli Stati membri. Quando però gli stimaticolleghi andarono dagli italiani dicendo che averlo era un must, e che oltre 20 paesi stranieri avevano già acquistato the wonderful ADE 651 noi rispondemmo…

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Sarebbe da fare un film su questa storia, perché non è finita. Questa foto è stata scattata a Manila il 3 settembre 2015.

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Ovvero dieci giorni fa. Quindi se in qualche sperduto aeroporto del mondo vi puntano addosso un’antenna del televisore, avete una pregevole storia da raccontare agli altri passeggeri per rompere il ghiaccio.

Così parlò la droga

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«Icardi in attacco, seconda punta Cadreva, a tre quarti piazzo Nainggolan e Pogba. In difesa Rui, Marchisio, Montoya…» fa Luca, scrivendo su un foglio appoggiato sulla Gazzetta dello sport.
«Chissà cosa va farneticando» commento, disteso sulla sdraio.
«È nel suo fantamondo» dice Atza, spalmandosi la crema solare sulla pelle bianco magnolia.
«Disse il barone dei Draghi Gialli» completa Luca.

Jesolo. La capannina durante la settimana è vivibile. È quasi mezzogiorno, in cielo non c’è una nuvola e sono fastidiosamente sobrio. Francesca manda via l’ennesimo ambulante, Leonora fa le parole crociate. Ario sta pisciando in mare vicino a una coppietta. Suoni di palloni, strilli di bambini iperattivi, odore di asciugamani bagnati e crema solare, piedi rinsecchiti e sabbia sotto le unghie.

«La spada insegna più del calcio.»
Luca alza la testa dal foglio: «Ma cosa? Roba tipo bambini, se i vostri genitori divorziano potreste diventare così? Quando c’hai trascinati alle feste cortesi pareva di stare dentro The Village, cazzo.»
«A ore undici» fa Leonora.

Ci giriamo.

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«Come, come non amare La Capannina?»
«Dai, i tacchi in spiaggia sono volgari» fa Francesca.
«Un posto dove non puoi portare tacchi è un posto dove non vale la pena andare» sospira Leonora.
«Ma se sei in mocassini!»
«Dopo ho le zeppe. Perché, tu per l’aperitivo come vieni?» si gira.
Silenzio.
«Oh, Gesù» geme Leonora, appoggiando la settimana enigmistica «mi preoccupo?»
«S-sandali piatti»
«Hai trent’anni e vieni all’aperitivo della Capannina in ciabatte digievolute contro plotoni di neodiciottenni in tacco 12?!»

Ario arriva, sputa acqua salata sulla Gazzetta di Luca, si scrolla i capelli bagnati su di me e osserva le tre passare mentre noi bestemmiamo.

«Classe, classe» annuisce.
«Ma che classe?!» esplode Francesca «sembrano zoccole! Perché cazzo voi maschi siete tanto ritardati?! Ci credo che non trovo nessuno, perdete le bave dietro… Ma in effetti sto parlando con un uomo sposato che va a travestiti mentre la moglie si fa montare da mezzo mondo.»

«Ore nove» fa Leonora.

 

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«Secondo voi quant’è gay su una scala da zero a Zara?» domanda Atza.
«Oh mio Dio, sensori di rosicamento fuori scala!» esclama Leonora «effettuare uvavolpe, ripeto, effettuare uvavolpe!»
«Nebo, son steroidi?» domanda Luca.
«Non so. Poi chi se ne frega, conta il risultato.»
«Tu perché non te li fai?»
«Perché con la testa che c’ho mi ci vedi a fare siringhe e dosaggi? Muoio dopo mezzo minuto.»

Il bello della Capannina è ti ispira. Da un lato le tette ti motivano, dall’altro gli addominali ti spingono ad allenarti cattivo e stare attento a cosa mangi. Amo la spiaggia perché è il posto più meritocratico al mondo. Quando ti spogli mostri chi sei, che vita fai, che scelte hai fatto, cosa t’ha dato la Natura e cosa c’hai messo tu. I vestiti complicano sempre tutto.

 

«Va bene, sgherri, mangiamo.»
Raccattiamo la roba.

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Tre toast farciti, un club sandwich salmone e avocado, un panino mozzarella e pomodoro. Seduti sulla terrazza fumiamo aspettando i caffè. Francesca spegne la Marlboro light: «Scusami» dice rivolta ad Ario.

«Di che?»
«Se t’ho chiamato… È un brutto periodo, tutto qui. C’ho un bel lavoro, una casa mia, sto mettendo da parte uno sfacelo di soldi… e non ho nessuno con cui condividere uno straccio di viaggio. Siete tutti ammogliati o morosati. Mi sento… sbagliata, tutto lì. Uscire con voi forse non è una grande idea.»
«Ma tu sei sbagliata, donna, ti metti gli occhiali da sole.»
«Eh?»

«Guarda che il matrimonio non è ‘sto paradiso che credi» fa Luca, sporgendosi «tornassi indietro non lo rifarei. Almeno mi risparmierei Atza che vomita nella vasca dei pesci rossi.»
«Scena sublime, altissima» gongolo «coi pesci che sbocconcellavano tramezzini predigeriti e lui col rivolo alla bocca.»
«Cristo, se ci penso mi torna voglia di bastonarti, Atza. Quel cazzo di quadro sventrato poi me l’hai risarcito?»
«Cosa dicevi degli occhiali?» fa Atza, sistemandosi sulla sedia.
«Giusto, a merda il quadro, tanto era finto. Perché mettiamo gli occhiali da sole?» fa Ario, rubandomi il bicchiere di birra.
«Perché c’è il sole» dico riprendendomelo.
«No. Per guardare senza farsi sgamare. Vale anche per gli uteri, no?»

«Circa» fa Leonora «a volte è solo perché siamo uscite struccate.»

«Eppure vi mettete tacchi e parrucco per venire rimorchiate.»
«A volte. Ma cosa c’entra?»

«Vedete, l’altra sera mi sono segato su Cicciolina pelosa, poi mi sono fatto un trip e ho capito il problema dell’Occidente.»
«Queste le parole che hanno commosso Bruxelles» dico.
«O la colonna sonora di Armageddon o niente» dice Luca.
«Silenzio. La vera differenza coi porno anni ’80 non è tanto steroidi, silicone, cazzi enormi, HD eccetera. Sono gli occhi.

 

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Fateci caso. Una volta le pornostar li tenevano sempre chiusi. Oggi o guardano in camera, o il tipo che trombano. Aperti, sempre. Gli occhi sono la parte fondamentale dei porno di oggi. Invece prendete Moana o Jessica Rizzo: sembrano tutte Bocelli. Cos’è cambiato?»

«È vero» commenta Luca «anche nelle foto, guardano tutte in camera.»

«Prendete le donne normali. Oggi si vestono meno, minishort, balle varie. S’atteggiano da emancipate, ma agli atti se le vedete per strada più sono svestite e più hanno gli occhiali da sole. Matematico.»
«Quella è sopravvivenza» fa Leonora «non puoi rischiare d’incrociare lo sguardo con tutti i maniaci che ci sono in giro.»

«Eccola lì» annuisce Ario «vi piace farvi guardare, ma non avete le palle di farvi vedere. Gli occhiali da sole diventano come lo schermo del cellulare: guardi il mondo senza che lui possa vederti. È lo stesso motivo per cui davanti agli incidenti, o ai concerti, la gente li guarda filmandoli col telefonino. Siamo dei cagasotto che non sanno più affrontare le emozioni forti. Dobbiamo per forza vederle attraverso un filtro che ci dia una sensazione di protezione. ‘sto meccanismo è così diffuso che oggi il vero tabù non è l’anal, ma gli occhi. I culi ormai li trovi dappertutto, lo sguardo no.»

«Non ti seguo» dico.
«Perché sei stupido. Esempio: per strada un uomo con gli occhiali da sole incontra una donna con gli occhiali da sole. Si piacciono, ma come fanno a capirsi?»
«Io per strada non le guardo apposta» fa Atza.

 

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«Cosa?»
«Come?»
«Uh?»
«Mi sta sulle palle darle la soddisfazione» fa spallucce lui.

«Torneremo su questo idiota tra un attimo» dice Ario «seguitemi: come fa l’uomo a sapere che tu donna stai guardando lui, se hai gli occhiali da sole?»
«Gli sorrido» fa Francesca.

«Ok. E lui come fa a sapere che stai sorridendo a lui, e non allo stronzo dietro?»
«Bè, deve arrivarci»
«Deve arrivarci. Non succede, perché magari mentre sorridi lui sta guardando altrove dopo tre ore che ti fissava senza risultato. Finisce con ognuno per la sua strada, seghe a casa, frenetica ricerca su Facebook, se va bene un like ogni tanto. Non sappiamo più gestire gli sguardi. Gli occhi sono una realtà troppo intrusiva che oggi ci mette a disagio. La prova? Tutto quello che vedete qui attorno è fatto apposta per bypassarli. Guardate quel tipo là; una volta sarebbe passato per schizofrenico, oggi invece è normale essere coperti di tatuaggi perché ti parlano oltrepassando il problema del non sapere se mi guardi o no. Ti dicono qualcosa di me, senza rischiare di far brutte figure. Da qualche anno le magliette da donna si sono impestate di scritte. Stasera faccio la brava, Io cuore New York, 69… sono richiami sessuali che si fanno con gli occhi, ma nessuno e nessuna ha più il coraggio di esporsi. Quindi delegano ai vestiti.»

Passa una ragazza in canottiera e short.
Sopra c’è scritto Lipstick, heels and rock and roll.

Ha gli occhiali da sole.

«L’occidente posta le tette su Instagram ma ha paura di farsi guardare negli occhi, quindi nei porno il proibito non è più un cazzo nel culo: è uno sguardo che esprime emozioni, desideri, personalità» conclude Ario «ecco perché sei sola come una merda, Francesca: vedono tutto tranne quello che serve. Ora possiamo dedicarci ad Atza che si strappa le palle per far dispetto alle donne.»

Ma nessuno fiata. Siamo troppo pietrificati non solo dal discorso sensato, ma dal fatto che all’improvviso un puzzle di migliaia di pezzi s’è messo insieme grazie a un puttaniere drogato. Se l’intelligenza è la capacità di fare i collegamenti, Ario è un genio. Passa in rassegna le nostre facce sconvolte.

«Sono solo l’umile messia dell’unico vero Dio, amici miei» decreta, stagliandosi contro il sole e guardando il cielo: «la droga.»

Una storia triste

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Siccome nella vita le cose arrivano sempre tutte assieme, belle o brutte che siano, dopo il ragazzino sul sito di giochi che mi copiava i post (s’è scusato e amen), ne arriva un’altra.

Tutto parte da una strana mail. Ne ricevo a dozzine, di mail strane, questa però è sinistra. Esordisce dicendo che “è finito in giri strani”, che un ragazzo è morto e mi domanda se l’ho mai sentito nominare. Il nome non mi dice niente, scrivo di no e aspetto. Non ho risposta.

Però, con un esordio del genere, la curiosità giornalistica punge. Il tono della mail non era folle, era cauto. Così mi metto su Google. Scopro che questo ragazzo, dalle sue parti, è (era) una piccola celebrità della comicità. Scriveva delle note sulla sua pagina, faceva letture pubbliche dei suoi racconti e, ora che è mancato, genitori e amici vogliono raccogliere quello che ha scritto in un libro.

Trovo il contatto Facebook del ragazzo in questione, scorro la sua bacheca.
Inorridisco.

Prima trovo uno stralcio di un mio post, copincollato e non accreditato. Poi trovo un post intero. Due. Tre. Cinque. Vado a leggere le sue note e scopro che la “geniale ironia” di questo ragazzo (così scrivono i siti d’informazione delle sue parti), è la mia. Per anni ha plagiato spacciando per suo quello che leggete qui. Alcuni brani li ha persino letti in pubblico. Contatto un suo conoscente su Facebook. Gli domando chiarimenti e lui mi dice che questo ragazzo sosteneva di scrivere qui. Ora, molto semplicemente: questo blog lo scrivo io e solo io. Nebo, pseudonimo di Nicolò Zuliani, nato e cresciuto a Venezia.

 

11071597_773858926015841_1765830843530782932_nQuesta è la mia faccia.

Chiarito questo.

Ho perso parecchi amici e parenti, nella mia vita. Alcuni me li ha portati via il caso, altri la droga, altri questo schifo di città, altri una malattia. Non ho mai perso un figlio, non posso immaginare che dolore possa essere. Spero di non scoprirlo mai, e per rispetto non voglio dire chi sia questo ragazzo. Ciononostante, rimane il fatto che stampare dei miei racconti con un altro nome, oltre che illegale, è sbagliato. Non sopporterei di dover fare la prima denuncia della mia vita a una famiglia già distrutta da una tale perdita. A tutti capita di riciclare battute, succede. Ti restano in testa, le senti per strada, al bar, e le ridici al bar. Copiare interi racconti è un’altra cosa. Leggerli in pubblico e prendere applausi è un’altra cosa. Stampare il mio lavoro con un altro nome è un’altra cosa.

Con tutto il mio cuore spero, e mi auguro, questa storia non abbia strascichi e finisca qui.
Resto a disposizione della famiglia se volesse contattarmi e chiarire le cose in privato. La mia mail, come al solito, è niebbo2@gmail.com

Nicolò Zuliani