Sulle barricate

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Visto che continuano ad arrivare notifiche di ogni tipo ho deciso di buttar giù due righe sul casino che è successo. Tra un po’ potrò essere più specifico e vi dirò quello che ho deciso di fare e come comportarmi, adesso è presto.

Dunque.

Quando ho iniziato a collaborare con GQ nella rubrica “Underground” dovevamo ancora decidere il tono con cui farlo. L’idea era: “facciamo delle prove e vediamo quali vengono meglio”. Il responso dei lettori è stato tiepido. Gli è piaciuto? Sì, no, boh. I toni variavano. Questo pare un feedback di nera, questo è quasi un’ANSA, questo sembra Saviano. E’ difficile capire la direzione se lo scarto d’errore è minimo. Potrebbero essere falsi positivi. Abbiamo quindi proseguito coi tentativi e oggi posso affermare senza tema di smentita di aver capito qual è il tono che non funziona per un cazzo.

Sono soddisfazioni.

Cos’è successo? Christy Mack, la mia pornodiva preferita, racconta con dovizia di particolari su Twitter di essere stata aggredita dal suo ex fidanzato War Machine. E’ una notizia? Sì. Va bene per Underground? Sì. La sottopongo alla redazione. Mi dicono di scrivere il pezzo, eseguo, mando. Lo pubblicano. All’inizio le condivisioni volano e va tutto alla grande, poi su Twitter arriva una youtuber proclamandosi disgustata dal tono del mio articolo, altri le vanno dietro accusandomi di sessismo e di giustificare la violenza sulle donne, o addirittura di incitarla.

quizzical

La cosa mi scivola addosso sia per l’assurdità dell’insulto sia per il semplice fatto che lo scopo dell’articolo a me pareva chiarissimo: mostrare quanto potesse essere frustrato e patetico uno che mena una donna. In particolare quella donna, non proprio Gina Carano, con quella corporatura, non proprio Brienne. Il mio compito era raccontare la violenza con termini forti e pesanti invece di appiattirla dietro il solito pettegolezzo da salottino TV di domenica pomeriggio con “efferata violenza”, “drammatiche immagini” e altra roba che oggi entra col primo boccone di pasta ed esce col rutto al caffè. Per me la cronaca nera è questo. Quando ho paragonato la Mack a un hamburger volevo ficcare in testa del lettore una metafora forte e fastidiosa, affiancando la bellezza di lei a qualcosa che tutti vedono al supermercato. Se scrivevo “ferita al volto”, “tumefatta”, “irriconoscibile” era il solito articolo asettico che i lettori, oggi, sfiorano con lo sguardo dal tabaccaio. Se ti pianto in testa il paragone viso di Christy-hamburger rimane più di mille frasi trite e ritrite. E in effetti è rimasto, inspiegabilmente nel verso sbagliato.

Tutt’ora non me ne capacito.

Anche per questo nei social ho risposto agli insulti ridendo. Io come rispondo a uno che esige di sapere il nome del giornalista, quando è scritto in bella vista in alto a sinistra? Come rispondo a uno che mi domanda le fonti per dei fatti EVIDENTEMENTE inventati e inseriti nell’articolo a scopo narrativo, cioè una comparsa sullo sfondo che si masturba? Come rispondo a un video di 11 minuti dove una tizia stravolge del tutto il senso dell’articolo pur di avere un motivo per indignarsi e non ha evidentemente gli strumenti (intellettivi? culturali?) per fare altrimenti?

A risate.

Questo fa incazzare tutti, redazione e forcaioli together. L’articolo viene rimosso e ricevo una telefonata da una persona mai sentita prima. L’interlocutore prima mi dà del lei domandando la mia qualifica professionale. Rassicurato dal fatto che non sono iscritto all’ODG passa a darmi del tu e a rovesciarmi addosso quegli epiteti che si dicono nelle risse in TV (lett. “sei una merda”, “coglione”, “una testa di cazzo”, “non ho idea in che merda ti sei ficcato”). Sbraita “non scriverai mai più per noi” e pretende che io gli mandi subito tre righe di scuse da pubblicare pena gravissime conseguenze, anche legali. Rispondo che sentirò il mio avvocato. Lui dice “non permetterti di prendermi per il culo” e che se non gli mando le scuse entro venti minuti scriverà “il signor Zuliani si rifiuta di scusarsi”. Saluto, mi faccio scrivere le scuse dall’avvocato (scuse che non sento di dovere, ma che almeno rappresentano quello che penso) e vado a cena con la Leo.

 

 

Il giorno dopo Roberto mi chiama per capire cos’è successo. Gli racconto tutto e lui decide di diffondere sul suo blog un riassunto della vicenda. La potenza virale di RRobe la conoscete tutti. In poco tempo la storia arriva all’orecchio delle twitstar che si dividono, ognuno con migliaia di followers alle spalle. La mole di spettatori e opinionisti aumenta a livelli mai visti. Tanti si fanno sentire dicendo che non vedono sessismo da nessuna parte, men che meno insulti alla Mack o giustificazioni per War Machine. Altri che sono una bestia e che istigo alla violenza (sic). Su Facebook mi scrivono italiani da Las Vegas, New York, Dublino, Germania, località turistiche Dio sa dove dicendo che loro il sessismo non lo vedono manco a pagarlo. Donne insorgono a mia difesa, altre urlano alla gogna, poi la notte copre tutto.

L’alba mostra un normale lunedì mattina italiano con la gente nei bar, i caffè a un euro, i fruttivendoli che gridano, i vecchi col gilet da pescatore, gli scooter che clacsonano agli autobus che clasonano il tram che scampanella al ciclista che insulta i pedoni. In tasca il cellulare trilla molto meno. Se l’epilogo avesse una canzone, sarebbe la base de “L’antagonista” di Piotta: note divertite di Dr. Dre risuonate a mandolino e fisarmoniche.

E’ una storia tutta italiana di giornalisti vecchi e stanchi, di lettori distratti e di persone più interessate a indignarsi che a capire e più a urlare che ascoltare, in un’epoca difficile con un ferragosto di pioggia e noia.

Perché ho scritto così quel pezzo? Per deridere un frustrato con cento chili di complessi d’inferiorità che si mette con una pornodiva e poi la massacra di botte per gelosia, come se uno allergico al glutine andasse a vivere nel Mulino bianco. Per dipingere la scena in modo che si imprimesse nella testa lasciando al lettore un’immagine sgradevole, invece del solito scrollare di mouse annoiato. Chiedermi perché una donna bella come la Mack, che potrebbe avere qualunque uomo o donna del pianeta, scelga un ex carcerato con precedenti di aggressione e violenza. Soprattutto volevo farlo facendo sorridere i lettori controvoglia, invece di fare uno dei tanti “efferata aggressione!!!1!!” che scompaiono quando si volta pagina. E’ quel che faccio nel blog dal 2007, è quello che ho fatto nel libro con le tragedie della Storia, è quel che faccio nella vita reale coi fallimenti, i lutti e le vittorie mie e dei miei amici. Perché credo ci sia sempre un modo per raccontare una storia e far sorridere. Robin Williams scherzava su tutto, anche sulla sua salute. De Andrè quando la donna dice di aver perso due figli risponde “signora, lei è una donna molto distratta”. Alcuni lo chiamano humor nero, altri cinismo, altri sarcasmo, altri cattivo gusto, per me è un modo di affrontare e vedere la vita da 34 anni a questa parte.

Se quando ho iniziato a scrivere questo blog non mi fossi aspettato una reazione del genere sarei stato un ingenuo. Venire defenestrato da una redazione per le proteste de laggente, invece, no. Non me l’aspettavo. C’ho perso un bella opportunità e un modestissimo guadagno che faceva comodo, ma posso tirare avanti.  Ogni giorno sulle barricate dell’Internet un indignato si sveglia e sa che dovrà indignarsi per qualcosa, o rischierà di guardarsi in faccia. Ogni giorno sulle barricate dell’Internet uno come me si sveglia, si guarda in faccia e ride. Io non so se chi legge sia un indignato o uno come me.

Di fatto, ci rivedremo sulle barricate.

Continuerò a scrivere puttanate che fanno incazzare gli indignati qui, nei libri, nei fumetti, alle convention e alle presentazioni. E se qualcuno pensa io sia “un mediocre che cavalca l’onda” sarò l’Easy Writer, se pensa io sia “un mostro” sarò Hannibal Letter, se pensa io sia un morbo per la letteratura sarò Nebola, se pensa io sia un mercenario sarò Iban il terribile, se pensa io sia uno stronzo qualsiasi sarò solo Nicolò Zuliani, il tremor nel tuo monte di Venere. Finché c’è gente che entra qui dentro di nascosto in ufficio, storie da raccontare ne ho.