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E’ difficile applaudire con le mani sui coglioni

E’ difficile applaudire con le mani sui coglioni

Renato è un contadino vicentino di 110 chili che lavora i campi dodici ore al giorno e vota Bertinotti da tutta la vita. Sua figlia ha tredici anni, vuole 20.000 euro per rifarsi le tette, pippa coca come un bracco, non fa una madonna dalla mattina alla sera e vuole andare a Roma per un provino da Velina assieme a Elena, una zoccola che si dice sprema coglioni per una ricarica Vodafone. Se Renato digitasse il nome della figlia su emule scoprirebbe che i pettegolezzi son stime ottimistiche. Suo figlio si chiama Mauro, trent’anni, venti chili bagnato, si veste come un divano di pelle anni 50, è pallido come un fantasma ed ascolta cori funerari tutto il giorno.

Dice che odia il mondo e che la sua vera famiglia è Chthulu o roba così.

L’ultima volta che ha sorriso era assistendo ad un incidente stradale. Ha i capelli lunghi, neri e stopposi, si lava sporadicamente, parla quasi sempre sottovoce ed ha lo sguardo di un cocker al suo primo giorno in vivisezione. Nel complesso pare una fuga dal condotto fognario di Auschwitz. Ogni sei mesi suona ballate “macabre e cimiteriali” in un locale di nome “Desolation”, posto che pare un ritrovo di becchini o la commemorazione di Piazza Fontana. Apre il concerto dicendo “moriremo tutti”. Un branco di zombie applaude mestamente, il gestore si stritola i coglioni e le ragazzine si mutilano.

Insomma, chiudere le porte e fare test termonucleari non sembra una cattiva idea.

Il figlio di Renato stasera è in televisione.
Il set pare quello di un telequiz, luci, colori, musichette. Bellino nell’insieme. Ad un tratto parte una musica da scena thriller: un annunciatore con voce da National Geographic recita “ormai il sole è calato e con il calare delle tenebre è il turno di Mauro, il cantore della morte”.

– Oddio Renato – pigola eccitata la moglie – oddio è nostro figlio! –
Renato sussurra orrende bestemmie.

Mauro entra vestito di nero con calzino bianco, faccia impallidita ulteriormente ed occhiaie sottolineate dal trucco, un cilindro in testa, andatura gobba. Pare Baron Samedi. Il buttafuori è un nigeriano di due metri che crede nel Voodoo e come lo vede indietreggia terrorizzato. La giuria è composta da Morgan,La Bionda Più Superstiziosa Del Mondo (con lieve ritardo mentale) ed una persona sana di mente. Morgan guarda Mauro con affetto e simpatia. La bionda guarda Mauro come guardi il timer di una bomba a meno due secondi. La persona sana di mente si sente sola. A casa, il padre tracanna Maalox e tranquillanti al posto dei popcorn.

– Buongiorno – dice entusiasta Morgan.
– …Buongiorno… – mormora Mauro col tono del becchino mentre ritira il cadavere.
– Come ti chiami? – sempre Morgan.
– Mi chiamo Mauro Petrarca, premetto che sono un cantautore macabro e cimiteriale, scrivo canzoni esclusivamente sulla morte. Eseguo il brano “Marta La Cornacchia” che è il primo brano del mio canzoniere macabro –

Renato fissa il teleschermo mentre la mente ripercorre passo per passo ogni istante della vita di Padre Pio, commentandola in maniera colorita.

“Quando saremo entrambi abbastanza mooortiiiii” esordisce Mauro.

La giuria è paralizzata, il nigeriano crea freneticamente uno scaccia spiriti, le rondini migrano in folti stormi e vi dico, o siamo di fronte all’uragano Tatiana o qui non si scherza per un cazzo.

“…staaanchi di sentir gracchiar lo cantoooo…”

Morgan è ammaliato. La bionda pare stia per alzarsi e scappare. La persona normale cerca aggettivi.
Il padre inghiotte una manciata di tranquillanti sufficienti a stendere un bue.

“…stridùlo.” precisa il cantore della morte.

Dietro le quinte il nigeriano molla tutto e in trance ribalta gli occhi ed accoltella il direttore di produzione.

“…non ritornerài, nomade uuuccello. Ritrovate ogni speranza, voi ch’andate viaaaaa…”

Rocco Siffredi in tutta la vita s’è tastato i coglioni meno della troupe in quei trenta secondi.

“…è Marta la cornacchiaaaaa dov’era? Non c’eeeeraaaaa. Morta è la cornacchia, che un giorno avesti in casa… campeggiasti è vero, nei sogni di Barnàbo…”

La bionda ESPLODE.
– …punto. I sogni di Barnabo e punto» esclama Bionda superstiziosa con voce tremante di paura «ma perché la cornacchia si chiama Marta? –

Ora, apparentemente questa è una delle domande più idiote si siano mai viste. L’obiezione è che per far cessare quella tortura voi avreste domandato anche di che colore aveva le mutande, per poi pentirvene immediatamente. Se sei un uomo arrivi a questo ragionamento conoscendo la mentalità femminile ma qui abbiamo Morgan, signore e signori, LETHAL COMBO assieme a Mauro il cantore della morte. Non ce n’è per nessuno.

– Il richiamo “Marta Morta” – spiega il cantore.
– Per l’assonanza con Marta morta – spiega Morgan.
– Aaah era l’assonanza del testo – dice la bionda.
– Era per la rima – dice la persona normale.
E’ un fiorire di stronzi che se le spiegano a vicenda.

– Guarda, vorrei sentirla con la musica. Non so quanto DAREI per ascoltare gli accordi di questo brano – dice Morgan esaltato.
La bionda e la persona normale tacciono.
Renato a casa, tace.
Una nazione in silenzio.

– E’ in forma di ballata, sono quattro accordi uguali dall’inizio alla fine – spiega il cantore della morte.
– Pure – dice la persona normale.
– Io… io non ho mai visto una cosa di questo tipo, né ascoltato – dice Morgan mentre le due donne dicono per grazia di Dio – …quindi… per me è sì –

– Per me è un no perché poi comunque sei molto particolare, eh, anch’io apprezzo la creatività, l’originalità della cosanonèchesediconomiportisfiga? – chiude rapida la bionda.

A casa il padre di Mauro china la testa mentre la moglie scoppia in lacrime. Lui si gira e comincia a schiaffeggiarla urlando che quella roba l’ha cagata lei ed è colpa sua. In tv il cantore della morte scuote la testa sorridendo. E’ il turno della persona normale.

– Devo dire che proprio n… non mi piaci proprio NIENTE. Mi dispiace, proprio niente, non saprei nemmeno PERCHE’ DEVE PIACERE UNA COSA CHE PARLA DELLA MORTE, PURE LA CORNACCHIA MORTA, E’ UNA TRAGEDIA, HANNO FATTO BENE AD AMMAZZARLA LA CORNACCHIA, DOVEVANO STRANGOLARLA SUBITO! Eh? – sbraita mentre a casa si consuma un dramma familiare.
Il cantore annuisce.

– E comunque continua così che secondo me hai scelto una strada… VINCENTE HAHAHAHAHAHAH! – ride Morgan.
Il cantautore macabro e cimiteriale saluta e se ne va. Non esistono parole per descrivere quello che provo.

Credete io mi sia inventato tutto?
No. Tutto documentato, siore e siori.

Spaccami i coglioni mon amour

Spaccami i coglioni mon amour

Tutti credono le donne siano cacacazzi. Non è vero. Certo, esistono donne simpatiche e donne antipatiche, come le belle o le brutte, le stupide e le intelligenti. Comunque, non potete dire che tutte le donne siano cacacazzi perché manchereste di onorare una categoria che merita una descrizione.

La cacacazzi (o martellatrice testicolare) è un essere che ha scoperto di avere la vagina molto tardi ed è quindi convinta di essere più vicina a Dio di Gesù Cristo. Pari pari ad un romanzo epico, il loro portale di Oblivion non può essere attraversato da un uomo comune. Loro devono avere il trombatorrione per eccellenza, il pistone magico di Mithril, la spada del druido Calandril, dev’essere Vin Diesel e Bradd Pitt con fattezze di Johnny Depp.

La cacacazzi naturalmente è una con la terza media che abita in un paesino che è una frazione di Posillipo, frequenta le peggio bestie umane e si fa trombare dai più ripugnanti boscimani decerebrati. Quindi mentre parlano sembrano la regina di Saba. Scartano uomini come niente per difetti minimi, loro sono convinte di essere geni della cultura perché durante i compiti dell’estate avevano letto “L’Isola del Tesoro”. Quando ci parlate sciorinano un elenco di cazzi mancati, ingegneri spaziali eletti Mr. Universo che tuttavia avevano il naso storto, piloti militari fotomodelli che avevano un neo sbagliato, purtroppo il mondo non è alla loro altezza. Poi andate a vedere gli uomini con cui sono state aspettandovi un Dio pagano e ci trovate un nano con le spalle a coppo, il cazzo piccolo, disoccupato e con la licenza media alle scuole serali.

Come diavolo è possibile?

La cacacazzi altro non è che l’equivalente dell Maschio Medio Italiano. Uno qualsiasi che mente come respira inventandosi di essere chissà che VIP, uno che da un momento all’altro potrebbe finire su tutti i giornali, occhio, lui conosce la gente che conta, ne sa, è uomo di mondo. Di solito è un impiegato di banca o vende auto usate, fa le rate per comprarsi il SUV, ha debiti per ottanta generazioni e si guarda film con l’home theatre ma senza popcorn, perché non ha i soldi per pigliarsi da mangiare, elemosina o gratta soldi pure ai familiari nei modi più gretti e si giustifica dicendo che c’è di peggio, basta guardare Striscia. Ecco, la cacacazzi si fa trombare solo ed esclusivamente da persone del genere. Non conta quello che sogna o farnetica di volere, la cacacazzi agli atti si fa scopare solo con le balle.

Cacacazzi di destra
– Aperitivo per vedere che macchina ha, discorsi sul lavoro e sugli ex cattivi.
– Serata ristorante chic, discorsi su “ho visto il mondo”.
– Drink in altro locale chic, discorsi su “come siamo diversi dal resto”.
– Scopare.

Cacacazzi di sinistra
– Caffè, discorsi su idiozie agghiaccianti spesso riciclate da Benigni.
– Serata pizzeria o pub, discorsi su “ho letto il mondo”.
– Birretta in locale intellettual chic, discorsi su “come siamo diversi dal resto”.
– Fantasie sessuali solitarie.
– Dopo due giorni, ripetere sostituendo all’ultimo punto “scopare”.

Mentre tutto questo accade, ragazzi e ragazze tranquilli, onesti, semplici e tendenzialmente umani vengono trattati con disprezzo da tutte le parti passando per “superficiali” o “barboni” o “complessati” o “banali” da entrambe le categorie. E con questo messaggio di ottimismo e positività torno a prendere il sole sullo yacht ancorato al porto dei miei deliri.

Il mio amico Ultraman

Il mio amico Ultraman

Ario è più di un amico, abbiamo fatto cose incredibilmente idiote insieme tra cui prendere un treno in corsa dopo esserci annichiliti di droga, sbagliare senso di rotatoria, affondare in darsena con un cacciapesca che spacciava per suo e picchiarci in una piazzola di sosta perché il suo MMS “guarda che mi scopo la donna” era stato da me sbadatamente inoltrato alla medesima.

Sono le 2.30, io sto facendo un logo orrendo per dei Bassanesi che vendono mobilia. Il cellulare mi sorprende nel finale.

«Nebo,sei sveglio?»
«No, parlo nel sonno»
«Esci»

Esco. E’ in macchina. Entro e vi trovo sette od otto involucri di goldoni aperti, tazzine di plastica vuote ed un amico che ha visto il vietnam.

«Non è che adesso sento sirene in arrivo e tu tiri fuori un uzi, vero?»
«Tu lo sai che non mi fa scopare da sei mesi»
«Non erano tre?»
«No, sono SEI, lo ripeto a tutti così pian piano ci crede anche lei e si sente in colpa»

La sua ragazza-da-quattro-anni ha chiuso l’autostrada del Sole molti anni fa. Non le piace il sesso, le fa schifo far pompini ed ovviamente non cala la stella del mattino. Nel caso di una congiunzione astrale propizia si distende sul letto con le mani sulle tette e aspetta l’inevitabile. Assume un’aria assente ed un po’ annoiata. Prima che lui riesca ad avere un orgasmo lamenta dolori vaginali e smette. Lei sostiene che il sesso non è tutto nella vita. Ario dice che Cristo è la risposta.

Ciò premesso, Dario è stato invitato ad un addio al celibato in uno strip bar. Tralasciando commenti sulla gente che frequenta, si tratta comunque di adulti vaccinati che per scherzo o perversione vanno a veder fica di prim’ordine per poi a casa sfogarsi. Ario no. Ario guarda quell’orgia di culi come Shu guarda Kenshiro dalla piramide di Sauzer, solo che Shu aveva in testa un blocco di granito, Dario ha Indipendence e Freedom nelle mutande. Esce completamente pazzo con un pene d’adamantio. Visto che tutti i suoi colleghi sniffano piste come bracchi è probabile ne sia stato potenziato. O peggio. Corre al baracchino dei panini e supplica per un caffè che secondo il suo debilitato intelletto “gli avrebbe ridato lucidità”. Terminata questa procedura Dario non è più uomo nel senso filosofico del termine.

E’ una punta da carotaggi estremi.

Il baracchino e lo stripbar danno sul Terraglio. Dario diventa Napoleone, sguaina la spada e dichiara guerra al mondo. Carica una zoccola, la tromba senza riuscire a venire. Lei lo manda affanculo, la scarica e ne tira su un’altra. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Alla quarta le tizie si telefonano per avvertirsi, così dalla Romania Ario passa alla Slovenia, dalla Slovenia alla Nigeria, fa un breve excursus in Thailandia e nel giro di due ore ha conquistato il Terzo Mondo. Esausto e con lo stipendio prosciugato, si ferma all’angolo da cui riesce ad intravedere l’ucraina. Con una sega di dieci minuti riesce ad avere un’eiaculazione simile ad un proiettile anticarro. Passando scopre con orrore che era un trans sulla cinquantina.

Ora sono le 3.40, sono in macchina del mio migliore amico che par aver corso la maratona, ha il fiatone, gli occhi lucidi, è sudato fradicio, ha il cazzo ormai scarnificato ed è in lacrime perché teme di essere omosessuale.

«Hai del ghiaccio?»
«Sì»
«Vai a prenderlo, ti prego»

Lo porto avvolto in un sacchetto della LIDL. Mi guarda incerto.

«Mi brucia, però forse non è una buona idea»
«Non lo so, Ario, io non ho conquistato tre quarti dell’emisfero terrestre a cazzo dritto»
«Non è che, tipo… non so, si rompe? Si ibernizza?»
«Ibernizza?»
«Quea roba eà dei film»
«Ario, è ghiaccio, non azoto liquido»
«Si ma ho come l’impressione non sia una cosa intelligente, tipo, tipo… così, eh, ma mi dà l’idea»
«Bèh, non so, non penso»
«Se chiamiamo tuo padre?»
«Gli telefono alle quattro e mezza di mattina per domandargli se il mio amico può mettersi del ghiaccio sul cazzo? Hai sborrato anche il cervello?»
«Allora niente, vado a casa. Scusa, eh, ma dovevo dirlo a qualcuno. Tu non credi che, cioè…»
«Credo tu sia un povero idiota»
«Sì ma no frocio, vero?»

«Ario, hai scopato cinque e più donne in una notte, tutte di nazionalità diversa. Se non ti fosse costato lo stipendio in toto credo sarebbe da farci un film»

«Quindi non sono gay?»
«No»
«Ok, grazie, vado via»

Esco dalla macchina, lo guardo mentre riparte.
Dio mio, mi sento come un bambino viziato davanti a Leonida.

Per un pugno di rose

Per un pugno di rose

«Buonasera, avete deciso?»
«Sì, il listino.»
«Prego?»
«Dico, per favore, potrebbe portarci il listino?»
«Ma… siete seduti da un pezzo. Vi ho visti.»
«Ne ho piacere, comunque nessuno ci ha portato i listini.»
«Stanno lì, no?» dice indicando un bancone.
Non perdiamo la calma.

«E io come posso saperlo, signorina?»
Mi guarda. Ci pensa.
Ci pensa molto. Guarda il bancone. Riguarda me. Guarda la mia donna.

«In effetti ha ragione, le porto il listino.»

La coraggiosa cameriera si fa strada trucidando colleghi con una katana, arriva al bancone dove recita due versi della bibbia al contrario. Il pavimento ruota mostrando una voragine senza fondo dove alcuni incauti avventori precipitano urlando, Dio abbia pietà della loro anima. Al centro del baratro, tenuti insieme da un sottilissimo filo d’oro, due listini. L’eletta espande la sua aura, spalanca le braccia, evoca il potere di Grayskull, l’aquila di Trider, Excalibur e ed evoca Reelay, demone dell’aria. Volando riesce ad agguantarli. Tornata sulla terraferma sgozza tredici bambini, prende una goccia di sangue da ognuno e su un vassoio in platino poggia due listini rilegati in pelle umana e scritti nella lingua proibita. Ce li porta inginocchiandosi, lacrime rigano il suo giovane viso.

«Non vi ho portato l’aperitivo della casa» ringhia con voce strozzata dal pianto.
Commette seppuku con un cucchiaino da dessert prima che il maitre riesca a fermarla.

«Perché dici queste puttanate?» chiede la mia lei.
«Non so, mi vengono» spiego leggendo con orrore i prezzi.

Seduti uno di fronte all’altro, ufficialmente insieme da due mesi. Nessuno dei due ha mai parlato di S. Valentino, ma da come s’è tirata direi che la sorpresa le è piaciuta. Siam nella fase di studio, quella con le domande trabocchetto, i sorrisi ad occhi spalancati, le risate brevi, le trombate maratona e lo sguardo attento mentre lei mi racconta i problemi di sua madre ed io come si mixa un basso campionato.Sorrido pensando a cosa dirò tra sei mesi di sua madre. Stranamente sorride anche lei.

È una donna che sa adattarsi rapidamente, ma i suoi gusti son facili. Le ho comprato un paio di orecchini sotto suggerimento sorellifero che le verranno consegnati dopo che avrà detto “no, il dolce non lo prendo” per poi mangiarsi le parti migliori del mio. L’atmosfera è dolce e complice, io mi sto perdendo nella fossetta alla base del suo collo quando percepisco l’aura negativa.

È qui.
È nella sala.
I maschi urlano e si preparano al contraccolpo, ma è tardi. Molti vengono falciati senza pietà, ho visto operai ed imprenditori, atei e religiosi uniti nell’invocare i santi al momento culminante. E ora tocca a me. Prima che io riesca a fare una mossa prende in ostaggio la mia donna mettendogliele in faccia. Con una lentezza studiata e drammatica mi fissa, imperturbabile: «Compra bella rosa».
Maledetto.

Strozzato da una camicia, stritolato da pantaloni importabili, martoriato da scarpe disumane, tento l’estrema difesa conscio che il tempo è fondamentale. Il duello sarà deciso in due scambi, non più. Lei non dice niente. I suoi occhi mi puntano una pistola in faccia. Porto la mano al portafogli.

«Quanto?»
La sala è scossa da un mormorio.

«Tre.»
Dietro di me sento urla e gemiti.
Apro il portafogli mentre sudo copiosamente. Fa che io abbia moneta, Fa che io abbia moneta, fa che io abbia mon
Bingo. Tiro fuori.

«Uno» dico estraendo la moneta.

Ci studiamo. I suoi occhi passano da me ai cinque euro, dall’euro a me. Occhi fissi su di lui, se guardo lei è finita. Avanti, mangiamerda, vieni a prenderteli, su, sono qui. Tu vuoi la monetina. Tu vuoi la monetina, forza, molla la mia fica e vieni a prendere l’obolo. Non vuoi trattare.

«Due» osa.
«No» dico «o così o mi cambi CENTO» mento senza vergogna.
Ringhia: «D’acquerdo.»

Lei sorride, alcuni in sala svengono. Mi siedo scaricando l’aura in eccesso. Quando le do gli orecchini rimane davvero sorpresa, poi tira fuori un DVD “l’ho visto alla casa del disco, è giusto un pensiero”. 6 giga di acqua registrata con l’idrofono. Ho l’irrefrenabile impulso di mollare tutto, correre a casa e sentirli. La sua scollatura ed il suo sorriso suggeriscono di aspettare.

Nella pausa postorgasmica il mio garage pare sia in mezzo ad un maremoto.