All posts by Nebo

Join AIESEC, we got cookies

Join AIESEC, we got cookies
Sei COMUNISTA? Sei mezzo ritardato? Sei per caso una persona con problemi a socializzare e nonostante tu stia in un vivaio di figa e cazzi quale è l’università NON RIESCI A TROMBARE? Sei un cesso ributtante che non ti si scopa manco un ergastolano che vede solo culi pelosi da trent’anni? Non hai i soldi per andarti a scopare la povertà in thailandia o in Jamaica? La Spagna ti manca perché sì è un paese di cultura, ma soprattutto “troia” in spagnolo suona meno cattivo? Passi notti a mostrare le tette via webcam ad un terrone che si smanetta il battacchio facendo alto-destra-basso-pulsante-del-calcio sborrata? Sei andato a Praga a far turismo sessuale ed hai beccato l’unico travestito brasiliano che ce l’aveva pure più grosso di te? Ti annichilisci di raspe su fantasie copincollate da Eyes Wide Shut?

 

 

Bene, non temere: oggi c’è chi pensa a te e alle tue esigenze. A te, alla tua estrema insicurezza e fragilità.

 

Sa che non puoi andare a puttane perché ufficialmente “ti sembrerebbe di stuprarle” ma in realtà hai solo una scaga atroce degli sbirri e del conseguente linciaggio mediatico da tutti quelli che avevano il numerino prima. Sa che tu, donna, hai bisogno di avere la sensazione di salvare il mondo per farti incatramare di sacchettate di coglioni. Sa che sei davvero convinta di combattere la povertà quando apri le gambe ad un giamaicano in cambio di trenta euro e te che gli insegni a dire una frase nel tuo dialetto.

 

Lo sa ed ha la soluzione: si chiama A I E S E C Cos’è AIESEC? Ufficialmente “è la più grande organizzazione mondiale gestita interamente da studenti, è una piattaforma internazionale per gli studenti per scoprire e sviluppare il loro potenziale al fine di avere un impatto positivo sulla società. Attenti, leggetela bene: non NELLA società, ma SULLA società. Sopra, non dentro. Aiesec promette di creare persone migliori che miglioreranno la società globale. Altro che rieducazione comunista, altro che repubblica di Salò, altro che razza ariana. Puppare. Aiesec, figli di puttana. SULLA società. Uber alles. E non si fanno nemmeno problemi a dirtelo:

creare cioè degli agenti di cambiamento,

 

che è ciò che distingue AIESEC.

 

“Ciò che distingue aiesec”, vorrei farvi notare il sottinteso “da tutte le altre dittature militari e sette finite in un bagno di sangue, isteria di massa e tanta, TANTA morte”. Eccovi in breve i cinque passi del meraviglioso e geniale progetto:

“Taking an Active Role”:
AIESEC propone ad ogni persona una serie di opportunità, ad ogni individuo è affidata la sensibilità per sfruttarle permettendo a ciascuno di assumersi la responsabilità del proprio percorso di apprendimento e ritenend che la capacità di avere un ruolo attivo nella costruzione del proprio sapere favorisce lo sviluppo di un’attitudine proattiva in generale.
TRADUZIONE:
siamo pieni di figa, potresti scoparla tu.
“Developing Self-Awaeness and Personal Vision”
Attraverso la determinazione di obiettivi e il continuo esercizio sulla creazione di una propria visione personale, ogni persona migliora la capacità di operare con consapevolezza e capacità prospettica.
TRADUZIONE:
eh, il mondo non lo odi più tanto dopo che ti fa i bocchini.
“Challenging Worldview”
La possibilità di incontrare persone da tutto il mondo e quindi di confrontarsi con diversi approcci e diverse visioni del mondo aiuta ciascuno ad analizzare problemi e tematiche secondo prospettive differenti, nonché ad avere una più chiara visione globale della società;
TRADUZIONE:
abbiamo anche negri e thailandesi.
“Increasing Capacity”
Lo sviluppo di competenze e conoscenze aumentano la capacità di ciascuno di avere un impatto positivo sulla realtà esterna all’associazione;
TRADUZIONE:
anche froci, se scopri che ti piace svegliarti con quattro coglioni.
“Building a Network”
La partecipazione a un network globale favorisce la costruzione di una rete di amicizie in tutto il mondo e il raggiungimento di una vision comune che supera le differenze culturali.
TRADUZIONE:
se ti fai trombare da un tedesco puoi dire di essere interculturale, moderna, emancipata. Questo aumenterà la tua autostima.
EXCHANGE. Aah, una parola che promette grandi cose. EXCHANGE. Và come ci credono, è spettacoloso. Già mi immagino frotte di ritardati conciati come yuppi che si atteggiano a manager in carriera mentre con sguardo lubrico si guardano attorno bisbigliando “sì, sì, dopo la adotto e mi prendo le responsability, ma è vero che le diciottenni coreane ti leccano il buco del culo?” e le ragazze sgomitare dicendo “ah, Dio, siamo qui per migliorare il mondo, siamoheading for the future, cosa posso succhiare per dimostrare che non sono razzista?”
Ora, ho avuto modo di conoscere una utente che partecipa attivamente e fa conferenze nell’ AIESEC. Sono molto apprezzate le sue competenze nell’ambito del time management. Io vi prego, non siate insensibili davanti ad una cosa così. Time management, porca puttana, ovvero “ehi, lo sai cosa, se devi essere al lavoro alle 8 non puoi svegliarti alle otto”. Voi dovete, è un vostro dovere immaginare questa masnada d-di.. di STRONZI ascoltare a bocca aperta una donna – dico, una DONNA – che dà lezioni su COME NON ARRIVARE IN RITARDO.
Sì, lo voglio, voglio andare a mie spese ad Haiti per farmi spiegare da una donna slovena frigida come cazzo si fa a capire quando passerà l’autobus sotto casa mia che ora è a 20.000 chilometri in linea d’aria, ops. Voglio viaggiare fino a Napoli dove un pakistano mi spiegherà che quello che ho al polso sinistro non è un braccialetto alla moda, voglio andare a Milano ad ascoltare un russo che mi spiega che i numeretti sul mio forno a microonde del cazzo non sono una runa celtica. Lo VOGLIO, PRETENDO di esserci quando lei con voce angelica mi spiegherà “quella là in alto è una campanella, quando fa *drin* io me ne vado perché è passata un’ora” e quattro magrebini che parlano finlandese con accento indiano e pronuncia greca annuiranno fissandole la fica.
Devo esserci, voglio guardare con che faccia reagiscono gli studenti universitari e laureati dalle grandi potenzialità mentre ‘sta macedonia di merda con l’utero scassato mi spiega come si usa un orologio. Tutto questo me lo raccontava garula alle 0.30 di domenica notte tra un complimento sulle mie “belle spalle” e una domanda su quanto c’ho lungo il cazzo assieme ad una sua amica che parlava solo romano con arguti interventi di finissimo dolce stil novo quali “sine” “daie mo” “notte zì” e “facce vede er manfano ahuahuahuahu”.
Naturalmente AIESEC è no profit. Gli pago tutto io con le tasse.

Il mio nome è Mazinga

Il mio nome è Mazinga
– Obiettivamente, ti sembro il tipo da…
– MAKETTIFREGA, lì dentro pigliano cani e porci, vai, prova!
Quest’azienda fa comunicazioni. E’ richiesta una laurea in scienze della comunicazione, almeno un master in pubblicitaria o che cazzo ne so io e un anno di tirocinio in un’azienda di settore. La mia prima domanda è quale sia un’azienda di settore, la seconda domanda è cosa cazzo si fa in un posto del genere. Macchè, il mio amico vede oltre.
– Insisto nel dire che…
– Nebo, VAI e basta. Tanto cosa ti costa?
Non ha tutti i torti.
Chiamo, mi risponde una tizia umana con voce robotica che mi spiega a chi inviare il curriculum. Invio il curricolo, passa una settimana, mi squilla il cellulare alle dieci di mattina. Buongiorno, lei è il signor Niebbo? E certo, sono io.
– IL SUO CURRICULUM CI E’ PIACIUTO MOLTISSIMO! Giovane, dinamico, spiritoso e accattivante come piace a noi!
– Prego?
– Ci hanno dato delle ottime credenziali su di lei!
– Ma… chi?
– …SE VUOLE si presenti il tot giorno alla tot ora a tale azienda! Buongiorno!
– Aspetti! Dove, quando?
Ripete frettolosamente l’indirizzo e mette giù.
Una sedia a destra, una a sinistra, una al centro. Io davanti. Sulla scrivania c’è una targhetta-premio “per essere stato in prima linea mentre tutti gli altri fuggivano in trincea”. Una data. Seguono altre targhette in finto oro recitanti “secondo classificato” “terzo classificato” e quello che pare un depliant turistico. Altre targhette recitanti cose incomprensibili. Complessivamente pare una cosa fatta apposta, tipo set. Loro sono tre, subito ribattezzati il padre, il figlio e la spirita santa. Mi fissano con pupilla sgranata, fissa come le galline, sorriso copincollato, mani giunte sul tavolo. Sembrano Terminator, manichini che non mi staccano gli occhi di dosso. Donna sinistra fa le presentazioni. Il Responsabile Marketing centro. Il Responsabile Recruitment destra, ed io sono
– …psicologa?
– Sì – sorride stupita – Come ha indovinato?
Esistono tre tipi di psicologhe. Le zoccole inesplose, le gnocche complessate e quelle che volevano iscriversi a Scienze dell’interculturalità ma hanno sbagliato sportello. Questa è del secondo tipo, ed è stupida come una bestia da traino.
– Fortuna – dico.
– Allora, Sig. Niebbo, qui abbiamo un curriculum che ci ha colpiti particolarmente – attacca marketing – non solo per l’idea generale, molto originale e comunicativa, ma per le sue referenze.
Si guardano complici, sorridono, ammiccano. Bòh.
– Vede, lei è l’uomo PERFETTO per quello che cerchiamo. Abbiamo bisogno di gente sveglia, capace, aggressiva, che sappia mordere la vita, che voglia sentirsi parte di una grande famiglia.
Ve lo giuro, ha detto mordere la vita. Il gelo nella schiena raggiunge il cranio e comincia a dirmi che probabilmente questi idioti hanno sbagliato curriculum e persona. Tento di sporgermi, ma i fogli son tutti uguali, da dietro. In trasparenza intravedo un’impaginazione familiare. Cavolo, pare la mia.
– Qui ci risulta che lei ha avuto un sacco di esperienze lavorative, tutte di brevi periodi e diverse tra loro. Come mai? –
– Eh, mi piace. Così provo tante cose e vedo quella che mi piace. Oppure semplicemente prendo la prima che trovo.
Risate, hahahahahah.
– Qui c’è scritto che lei ha lavorato per l’azienda xxxxxxxx, ed è nel ramo dell’edilizia. Abbiamo chiamato e ci hanno dato ottime referenze su di lei.
Adesso io m’immagino il mio capomastro, l’uomo più grezzo del mondo che risponde al telefono a denti stretti “che casso ghe xè?” a questa masnada di gonzi. La sola idea mi accartoccia la bocca. Lo notano.
– Eh sì, anche per noi sono queste le vere soddisfazioni.
– Già.
– Eh.
– Sì.
A questo punto Marketing decolla in una epica descrizione del suo lavoro, descrivendone le mille sfaccettature e difficoltà, dicendo che lui oh, lui è uno che delega, perché quando lui manda una imei qui si muovono decine di persone. Dopo due minuti è sudato che in pose plastiche gesticola a marionetta dicendomi che QUESTO è il mondo del lavoro, che QUESTO è il grande passo, che QUESTO è quello che voglio, che mi merito, che ESIGO da me stesso. La bestia da traino e Recruitment annuiscono sorridenti come a dire eh, lui la sa lunga. Quando arriva alla metafora di Davide e Golia capisco la verità che avevo sotto gli occhi. Quest’uomo non ha la più pallida idea di che cazzo sta dicendo.
– Capisci cosa intendo, Nebo?
– Sì – annuisco identico alla faccina – L’unione fa la forza –
Boato.
– Esatto! E-SAT-TA-MEN-TE! – sorride lui, e crolla sulla sedia esangue.
– Ora sentiamo cosa ne pensa la Dott.ssa Bucchina.
Bucchina mi guarda con odio da una decina di minuti. Deve aver elaborato la frase iniziale, macerata, vomitata e rimangiata, fino ad averla ingigantita a sega mentale suprema ed è convinta io l’abbia schernita. Mi chiede di famiglia, amici, lavoro, vita di coppia, tutto. Boia, è specifica. Mi par di parlare con la mia ex, m’ha messo pure nostalgia. Ad un certo punto mi fa La Domanda:
– E mi dica, se lei fosse un cartone animato, quale sarebbe? –
Silenzio. Idea. No, non dirla.
– Hmm… Mazinga.
– Chi?
Recruitment la guarda impercettibilmente male: – E’ un robot –
– E perché sarebbe Mazinga il robot?
Silenzio glaciale.
Il suono ovattato del traffico fuori è una goduria per le orecchie, splendido nella sua vitalità. Ricordo com’è al mattino con tutti di fretta, poi il vuoto, poi piccoli movimenti delle 10 per il cappuccino mentre smartelli, poi dalle dieci alle 12 sole donne, poi fine lavoro e pausa pranzo con omini di ogni età. L’ascella sudata pure a 5 gradi. Le cuffie per le recchie tenute male. Il mugugnare della benna, la suola delle scarpe fottuta, le bestemmie, i clacson. I birilli di merda e quando dicevamo alla gente al posto della strada costruivamo una pista d’atterraggio per il jet di Berlusconi. I bambini incantati davanti alla finitrice. La coppia che scopa alla finestra. Tari che urla fracca fracca, fracca. Quando abbiamo disintegrato l’acquedotto e pareva di stare su colorado boat. Il vecchio pazzo che ci raccontava la storia della sua vita. Il moonwalk per le macchine. Quando abbiamo giocato a fare gli zombie. Eroi di quartiere, paròn. Scusa, quando finirò la strada per casa tua potrò sposarti? No coco, ghe passa sora me moroso. Cavolo.
– Allora? – domanda speranzoso Marketing – perché Mazinga? –
Sospiro.
– Perché anch’io, ogni tanto, ho un omino che mi si conficca nel cranio e prende il controllo del mio corpo – dico, guardando oltre la finestra con sguardo ispirato.
Le faremo sapere.
Ohi, dopotutto avevo ottime credenziali.

 

Il lettore modello

Il lettore modello
Sapete, come vi avevo accennato, io adoro il dialetto romano: lo trovo di una potenza straordinaria. Cresciuto fin da piccolo ai film con Thomas Milian doppiato da Amendola (il compianto), sono ora schifato dai film trash moderni con i vari de sica/Boldi/Comico in del momento perché non sono veri. È la differenza tra l’osteria e il McDonalds. Il primo fa piatti freschi e caserecci. Il secondo ricicla la stessa merda da anni.
Il bello del Monnezza è che era uscito fresco fresco dal Colosseo, dal più bieco ed ignorante popolo di strada che ogni giorno affila la propria lingua in un corpo a corpo estasiante. Battute che ancora oggi massacrano, distruggono, piegano e conquistano. Io non sono uno colto e non sono un artista, ma so riconoscere il talento quando lo vedo. Non importa se è rivolto contro di me, il talento è talento.
E davanti al talento, signori miei, bisogna sempre essere umili e rispettosi.
Qualche mese fa quando aprii questo blog mi venne suggerito di disabilitare i commenti anonimi, perché permettono ai peggiori idioti di venire a perder tempo insultando. Ma io dissi che in mezzo al fango, cercando, si possono trovare delle perle. Ed avevo ragione. Signori, vi presento un Dio.
"Aho raccontace de quanno hai incontrato minni e topolino a paperopoli.... Ah Niebbò, potevi aggiungerce anche quarche ufo e quarche carcio volante a sta cazzata... Ma vaffanculo va...."
Il commento è introduttivo, ma dice molto ugualmente. Notate la metafora surrealista, l’esagerazione mirata alla denigrazione. Rafforzo, insulto finale. Molti di voi faranno l’errore di cercare di indovinare chi sia. Non importa. Non è rilevante, siate UMILI ed osservate il genio all’opera. Genio puro, originale della strada, non la merda che vi spacciano su “Vacanze di Natale”. Questa è arte, è poesia, è estro e creatività nella sua forma più grezza e potente. Occhio al secondo:
"Aò, macchè te credi che parlo a cazzo io? Ma mannaggia cristo se parlavo a cazzo annavo a fà il papa a San Pietro. Ma porca cotica te do consigli io, pijame come 'n fratello maggiore, quello normale. Magari a prossima vorlta c'aggiungi pure na bella foto de na sorca co e zinne de fori e fidate che 'a gente sbrocca".
Qui siamo alla standing ovation. C’è talmente tanta carne che ci sfamiamo un reggimento. “Aò macchè te credi che parlo a cazzo io?” già di per sè è un’introduzione chiassosa, irriverente, volgare e GROSSA. Subito dopo un riferimento blasfemo, spiazzante e meraviglioso. “Porca cotica” mi fa girare la testa, ma “PIJAME COME ‘N FRATELLO MAGGIORE, QUELLO NORMALE” è l’apoteosi, il trionfo del burinismo selvaggio e brutale. Sfregio finale. Perfetto, rotondo, letale. Sublime nella retorica e nella scelta dei termini. Gli chiedo di non smettere, perché quello che scrive scende nella mia sete di conoscenza come Sciuèps nella gola di un assetato. E lui, magnifico nella sua generosità, elargisce copioso. Occhio, perché si entra nel vivo dell’opera.
Maccheccazzo ma ndo stiamo, all'arcifrocio qua? Aho a Zorro arinfilate a sciabbola 'n tasca cher mio culo 'n te fa da fodera. Ma che te frega der mio nome! Me potevo sta sitto porco due. Mi madre m'o diceva sempre: "va contà li capelli caduti dar barbiere piuttosto che sta affà 'n cazzo tutto er gionno". So sempre stato no stronzo io e me facevo i profumi d'oriente sopra a puzza demmerda. Va be ce beccamo eh, magari mentre te vedo sfilà al gay praid da casa mia sulli carretti porta-tasche pe li cazzi.
E’ commovente, stupendo, BELLISSIMO. “Aho a Zorro” è l’equivalente della sberla sulla nuca per attirare l’attenzione. Carica, spara la bomba: “va a contà li capelli caduti dar barbiere piuttosto che sta ffà ‘n cazzo tutto er giorno”. Questa è commovente, da cadere sulle ginocchia e pregare, Pregare, PREGARE perché non smetta, supplicare che l’ignoranza così genuina che traspira da queste parole non cessi e continui ad irrigare la pianta rinsecchita della nostra umanità potata da Silvia Vada. Vi siete rimessi? Asciugati le lacrime? Altra droga dal DIO.
Mannaggia san pishtu quanno si scemo. Quanno li criceti ce se pijeranno 'a terra, te ce mettono a te a girà su 'a rota. Ma c'hai proprio a testa vota aò! Senti visto ch'er cervello 'n ce sta, mettece na madonna in quella nicchietta cosi te cavo li occhi e ce venno a pregà. Ma che devo staffà qua? A perde tempo colli butta'ncazzoinculo? C'ho na sorca in sti ggiorni pe le mani che fa de diametro 200 cm, c'è perdo mezz'ora solo a leccalle na chiappa e secondo te me metto a fa chiacchere sulli cazzi qua co te? Ma che dio t'aresti e poi te liberi e poi t'ariaresti.
E questo, signori miei, è stile. No, di più: è talento innato. Lo si vede nel susseguirsi di post. Insomma, parliamoci chiaro: che razza di cervello può concepire “ma che devo staffà qua? A perde tempo colli butta’ncazzoinculo” e tutta la parte che segue? Vogliamo parlare delle dolci parole che riserva al candido giglio che ara? Notate i post in successione, è un crescendo, un prolifico genio distruttore mosso da sana cattiveria, incanalato da anni di severo addestramento. Quest’uomo caca napalm al mattino e crede sia normale, immaginate un dialogo qualunque con una tale DIVINITA’ della parola. Niente gli resiste, niente lo doma, niente lo arresta. E’ un fiume in piena, una vena parolaia inarrestabile e deliziosamente genuina.
Quest’uomo può tutto.
Ed io, davanti a lui, sono solo un alunno impreparato. La topa in apertura è in suo onore. Lo prego, lo SUPPLICO di continuare a postare.
PS: la tipa in alto è sotto suggerimento del maestro.

La droga uccide in modo molto divertente

La droga uccide in modo molto divertente

A Mestre son tre o quattro i posti dove puoi fumare in santa pace, noi ne avevamo uno vicino ad un campo sportivo. Questo posto era – ed è tutt’ora – meraviglioso, protetto, coccoloso ed intimo. Se da qualunque parte d’Italia (tranne Venezia) venite a Mestre in treno ci passate sopra per forza, è un ponticello sospeso su un fiume in mezzo al verde. Da una parte c’è una casa abbandonata, dall’altra un campo sportivo. Si arriva, ci si siede nella nicchia a lato dei binari e si guarda l’acqua, si fuma e ci si racconta puttanate.

Non è raggiungibile in macchina ed in caso di sbirri li vedi arrivare a molte miglia di distanza. Le vie di fuga sono migliaia. Quando sei lì la cosa migliore del mondo, la più divertente in assoluto, è prendere treni in corsa. In pratica più avanti c’è un passaggio a livello ed i merci hanno i vagoni piatti sempre in coda. Quando il treno arriva si ferma o rallenta, tu ci sali sopra e fai un venti o trenta metri, poi scendi quando accelera troppo. E’ una sensazione MERAVIGLIOSA, ti dà una idea di libertà con una – moderata – punta di adrenalina. Lo chiamavamo “al sorse” che in italiano significa “al topo” perché la prima volta che ci finimmo passò una pantegana più grande di un gatto.

Quella notte eravamo fatti come i fichi.

Si festeggiava il compleanno della ragazza di Dario, e otto o nove persone si accamparono lì e cominciarono a drogarsi ed alcolizzarsi dalle nove di sera. A mezzanotte eravamo completamente rincoglioniti da alcool, ganja, cioccolato ed esalazioni provenienti dal fiume. Io vado a pisciare alla latrina, ovvero un secondo ponticello di cemento largo un metro. Si affiancano Dario e Tex, attaccano a pisciare anche loro.

– Questo posto è strafigo, eh – dice.
– Sì, e poi non ci sgameranno mai, haha, se arrivano gli sbirri li vediamo ed abbiamo un sacco di vie di fuga, haha, li inculeremmo tutti –
Alle nostre spalle passa un merci e comincia a frenare, facendo un casino mostruoso.
– Sai che figo se arrivano?
– Hahahahhahahaha
– Sarebbe da chiamarli noi!
– HAHAHAHAHAHAHAHAH!
– DAI, CHIAMIAMO GLI SBIRRI!
– DAI, CAZZO, DAI, VEDI CHE FIGURA DEL CAZZO GLI FACCIAMO FARE!
– AHAHAHAHAHAHA DAI DAI QUAL E’ IL NUMERO? –
– CENTOQUINDICI!
– NO AHAHAHAHAHA QUELLI SONO I POMPIERI AHAHAHAHAH

Ridiamo tutti e tre, nessuno si ricorda il numero degli sbirri. Ario, nel casino del treno che frena, si gira verso il gruppo e urla “ragazzi qual è il numero degli sbirri?!”. Rispondono a stento “cosa?”. Ario urla: Dico, qual’è il numero degli SBIR-RIII!!
La tragedia si compie.

Nel casino generale alle orecchie degli strafatti amici arriva solo “sbirri”. E i guerrieri della notte scattano ognuno in direzioni diverse urlando “udio scampa”. Il treno che ci separa da loro smette di frenare ed aumenta la velocità. Dall’altra parte io, Ario e Tex guardiamo la scena: Ma che cazzo hanno da scappare?
– ODDIO, SON ARRIVATI GLI SBIRRI – urla Ario – SCAPPIAMO!

Tex ancora con il cazzo in mano comincia a girarsi di qua e di là come un ossesso pisciandoci addosso, urlando “Dove? Doveaaarrh” e finendo nel fiume. Io e Dario corriamo in tondo lanciando gridolini “iiik” “aaah” “oooh”, poi vediamo i vagoni piatti passarci davanti. E ci viene la peggiore idea della nostra vita. Come un sol uomo saltiamo sul vagone di coda del treno. In dieci secondi il treno acquista la velocità a cui bisogna scendere.

– Che facciamo, saltiamo?
– Ma no, poi ci prendono.
– Sì ma se restiamo qui ci ammazziamo.
I sassi sotto di noi corrono troppo veloci.

– Salta, salta!
– Ma col cazzo, salta prima tu! Sei tu che hai avuto l’idea della madonna!

Il vento comincia ad essere troppo forte, gli alberi a fianco di noi sfrecciano sempre più veloci.

– Distendiamoci!
– Ghe sboro, GHE SBORO, xe copemo!
– DOVE VA ‘STO TRENO?
– E IO CHE NE SO?

Avete mai provato a stare distesi su un treno senza pareti nè tetto? Non è gradevole. Le vibrazioni dei binari ti fanno sobbalzare e ad ogni sobbalzo retrocedi di un dieci o quindici centimentri verso una pietraia che, proiettata a settanta chilometri orari, è come un tritacarne. Io e Ario stiamo distesi in silenzio con le dita ficcate nelle fessure delle assi mentre il treno acquista velocità.

– Oddio, dove finiamo?
– E’ UN MERCI, CAZZO, NON FA FERMATE! FINIREMO IN ROMANIA!
– OH DIO NO LA ROMANIA È PIENA DI ROMENI

Sfrecciammo nel passaggio a livello di Carpenedo ed io guardai negli occhi un tizio al volante di una mercedes che fece una faccia indescrivibile. Dopo dieci minuti il treno rallentò per arrivare, appunto, in stazione a Mestre. Passammo a fianco di un interregionale per Padova e provammo quello che prova Superman quando il bambino dal finestrino dell’aereo lo guarda. Scendemmo con i capelli alla Michael Jackson prima dell’operazione, attraversammo i binari e ce la squagliammo. Il giorno dopo venimmo a sapere che:

1) la ragazza di Ario scappando si era storta una caviglia, aveva raggiunto casa zoppicando e per tenerlo nascosto ai genitori ora ogni volta che cammina a piedi scalzi le fa male il piede.
2) Eddy era caduto fracassandosi un sopracciglio.
3) Tex era riuscito ad uscire dal fiume ma aveva vomitato per tutta la strada, era arrivato con 40 di febbre a casa, lo portarono in pronto soccorso e diagnosticarono epatite A.
4) Edo aveva preso il cinquantino e convinto di essere inseguito da una macchina nera arrivò a Quarto d’Altino, finì la benzina, fece il pieno con i pochi soldi rimasti ed arrivò a S. Bruson di Dolo. Nessuno si spiega come. Non avendo soldi per farne altra chiamò Tex disperato chiedendo che lo venissero a prendere, ma Tex era in pronto soccorso. Rispose non si sa chi al cellulare che lo mandò affanculo ed Edo dormì dietro la baracca del benzinaio. Lo riaccompagnarono a casa i poliziotti e sul verbale c’è scritto “trovato in evidente stato confusionale rifiuta di fornire le proprie generalità”.
5) Di Lele non avemmo più notizie e dopo sei mesi di telefonate a casa la madre ci disse che vendeva gelati in Germania.

Ario pianse per tutto il percorso di ritorno dicendo che voleva farsi prete perché Dio gli aveva salvato la vita. Il giorno dopo, passata la botta, al telefono bestemmiava come al solito. Io tornai a casa, entrai in bagno e giurai che non mi sarei mai più drogato. Era il 1997.

Quel che non dicono i testi hip hop italiani

Quel che non dicono i testi hip hop italiani
– Papà, io sono un rapper.
Così esordisce Gianfilippo, un uomo sulla trentina, alla sua riunione di famiglia. Le reazioni dei parenti sono varie. Le donne che votano a sinistra hanno un moto d’affetto istintivo, dovuto al fatto che si innamorano di ciò che non capiscono. I maschi presenti sono il nonno, il padre, lo zio ed il fratello minore di Gianfilippo, un dark con due occhiaie spaventose che pippa coca come un bracco e minaccia di suicidarsi ogni due minuti.
– Vedi – esordisce il padre, rivolgendosi allo zio – ma non poteva semplicemente nascermi handicappato?
Lo zio scuote la testa. Il nonno si sporge:
– Gianfilippo, cosa cazzo è che sei?”
– Un rapper, nonno.
– Ma vai in chiesa?
Qui Gianfilippo esita. Molti gangsta di New York hanno crocifissi e nei video li vede pregare. Tenta il tutto per tutto:
– Sì! Vado in chiesa”
– Allora sei uno stronzo – taglia corto il nonno, che militava per Rifondazione.
– Questa non è la mia vera famiglia – risponde Gianfilippo, sprezzante – i miei fratelli sono laggiù, fuori, in strada.
Il padre drizza le orecchie: – Come sarebbe?
– SI! I miei veri fratelli sono là fuori! –
Il padre si gira verso la moglie, che comincia a diventare viola, e le chiede se c’è qualcosa che deve dire. La moglie scuote immediatamente la testa, ma il suo colore par quello di una ferrari.
– ORA BASTA! – urla Gianfilippo, gesticolando – questa è una cazzo di situazione, io me ne vado, qui l’aria sta diventando pesa.
– Il nonno si dev’essere cagato addosso – sospira la zia alzandosi verso l’anziano, che bestemmia e la allontana a bastonate.
Per strada Gianfilippo medita. Ha trent’anni, rappresenta il vero anche se parla uno slang non suo, veste marche non sue con nomi non suoi, fa musica non sua e rappa di storie che non sono sue su un flow che non è suo ed ascolta musica non sua in macchina. Di suo padre. Gianfilippo è un soldato di Zion. Non sa cosa voglia dire, ma deve avere qualcosa a che fare con la ganja. Più o meno come quando un professore all’università disse “protesto vibratamente” e lui rispose “sento la sua vibra, prof”.
Suona il cellu. Guarda chi è. HCTIB.
Lo rigira.
BITCH.
Risponde usando il suo nome in terza persona.
– G.J.Gangsta
– Ciaaao, bellissimo…
E’ la donna della sua vita, Fly Keem, una donna che si trucca con il fucile a pompa, pesa tre volte lui, ha più piercing che cervello ed un complesso di Edipo da Guinness dei primati.
– Eyyò, bitch, com’è?
– Com’è cosa?
– Chi?
– Non so, tu hai detto com’è.
– Yò, non importa. Spara.
– Come stai?
– Pff.. i soliti casini – minimizza lui.
– Capisco cosa intendi.
Non è vero, ma Fly Keem vota a sinistra.
– Allora, quando ci bekkiamo? – continua lei, sensuale.
– Yò.. non so, devo andare a New York uno di questi giorni, qui ci sto stretto.
– Anch’io.
Ed è vero. Fly Keem ha appena buttato un paio di pantaloni che ora sono usate come lenzuola matrimoniali da una coppia di barboni.
– Stasera?
– Ok. Mi metterò il maglione attillato…
Che, ovviamente, i barboni aspettano per usarla come trapunta. Viene la sera.
Gianfilippo cammina nel suo rionez con l’andatura di un ammalato cronico di emorroidi, saluta gente per strada fagendo gesti da bambino spastico e si trova con la balena, che viene scambiata da molti per un pilastro di marmo travertino.