Volevamo solo costruire un elicottero

Volevamo solo costruire un elicottero

Laterale del terraglio, cinque di pomeriggio. La moglie è in cucina sui fornelli, il marito entra e la guarda appoggiato sulla soglia.

«Sei bellissima, lo sai?»

Lei si sforza di sorridere. E’ tesa. Lui se ne accorge, si avvicina e l’abbraccia: «Andrà tutto bene, tesoro. Finirà. Riusciremo a capire cosa sta succedendo qui dentro.»
Lei sospira e chiude gli occhi smettendo di mescolare. Guarda la cucina nuova, i disegni del figlio sul frigorifero. Giocattoli sparsi. Stringe le braccia dell’uomo che ha appena sposato, per un attimo è di nuovo felice: «Renato, io…»
«Sssh» le chiude la bocca lui «…lo so. Tutto si sistemerà, te lo prome

In una frazione di secondo le loro orecchie percepiscono un suono, poi quella che fino ad un istante prima era una tranquilla cucina domestica diventa Kabul, con un boato assordante la finestra va in frantumi in una fontana di scheggie, qualcosa disintegra il lavabo ed in un vortice di distruzione si conficca sulla portiera del frigorifero trafiggendo un disegno del piccolo Matteo. I due urlano gettandosi a terra, ma ormai è già tornato il silenzio.

«Oddio!» urla la donna «ODDIO RENATO NON FINIRA’ MAI, COS’E’, COS’E’ QUELLA ROBA, COS’E’?!»
Renato si alza. Osserva.

«Sembra… è… una grondaia. E’ la nostra grondaia, tesoro.»
«MA NON ERA SCOMPARSA?! »
«A quanto pare è tornata » sussurra Renato, osservandola «… solo che pare… masticata…»
«E’ IL FANTASMA DEL NONNO, RENATO, TE LO DICO IO, QUESTA CASA E’ MALEDETTA! ANDIAMO VIA, PER CARITA’ DEL SIGNORE, ANDIAMO VIA!»

Renato stringe la moglie in lacrime guardando la grondaia deformata, conficcata al centro di un disegno del figlio. Il piccolo Matteo entra in cucina, vede la scena, corre incontro ai genitori e si taglia sui vetri rotti. Scoppia a piangere anche lui mentre il padre guarda il crocefisso sulla parete: cosa ti abbiamo fatto, Signore? Quale disgrazia si è abbattuta sulla nostra famiglia?

A quaranta metri dalla casa, sei ragazzi e due ragazze si guardano attorno.
«Nebo, và un po’ a vedere dove cazzo è finita la pala dell’elica.»

Era l’estate del 1992. Francesco, Daniel, Laura “Dot”, Checca, Silvio, Marco, Luca e io. In un caldo pomeriggio Silvio si presentò nel garage di Luca ed annunciò che servivano più catene da biciclette, perché bisognava costruire un elicottero. Venne deriso, ma le argomentazioni erano valide: c’è tutta l’estate, tutti bocciati, nessuno va in vacanza, costruiamo un elicottero, facciamo bella figura coi nostri genitori, quale figlio si presenta nel cuore dell’estate ed annuncia “papà, ho costruito un elicottero”? Costruiamo un elicottero, vi dico.

«Silvio, ma con cosa?»
«Abbiamo tre garage di roba, quello che serve lo tiriamo fuori da qui o dal grumo di rottami fuori.»
«Hai la più pallida idea di come si costruisca un elicottero?»
«No, ma che importa, non sarà tanto diverso da una bicicletta.»
Ci convinse.

Restava da stabilire di cosa era fatto. Piedini, sci da alpinismo. Fu abbastanza facile, erano in quello stesso garage. Una volta che avemmo perforato col trapano un paio di Rossignol da molti milioni decidemmo di usare sbarre da cemento armato come ponte di collegamento. Non era così semplice piegarle, così utilizzammo il principio della leva infilandole sotto la lavatrice.

«Sì, ma dall’altra parte dobbiamo mettere qualcosa o cadrà.»
«Venite, amici, appoggiamola alla moto.»
«E sotto la sbarra?»
«Non so, il casco?»
«Perfetto!»
«Pronti? UnodUEEE…»

La porta del garage si aprì rivelando una donna con in mano un cesto di biancheria.
«…TRE!»

Non sembrava intenzionata a fermarsi. Mollava ceffoni a qualunque cosa si muovesse, come in un film horror stavo nascosto dietro l’armadio mentre la vedevo massacrare il figlio tenendolo per il bavero. Colpiva tutto, le passavi vicino e pestava pure te, insulti, calci in culo, urla sconnesse. Lanciava oggetti, sbavava rossa in viso. In pratica la leva aveva rigato il casco che aveva ribaltato la lavatrice che aveva fatto crollare la moto che aveva schiacciato un piede della Checca che era scivolata sul detersivo finendo sotto la madre mentre lasciava cadere la cesta della biancheria: «La.. la moto di tuo padre, FOCOMELICO! La lavatrice, tutto! TUTTO! HAI ROTTO TUTTO!»
«MAMMA, STAVAMO COSTRUENDO UN ELICOTTERO!»
«COSA?»
«UN ELICOTTERO, MAMMA, GUARDA, ABBIAMO GIA’ FATTO GLI ZOCCOLI!»

La madre si girò verso di me, così mi sembrò una buona idea agitare il paio di Rossignol perforati. Ricorderò sempre con affetto la faccia di quella cara donna, come sgranò gli occhi, come mi fissò incredula. Il rosso lasciò spazio al pallore mortale mentre la bocca restava aperta a mezz’aria per poi trasformarsi in una smorfia di dolore. Lanciò un grido acutissimo, mollò il figlio e si catapultò verso di me con le mani dirette alla giugulare.

Ora che ci penso, è curioso come sodomizzarle dia gli stessi risultati.

Ci giocammo Marco per tutta l’estate, ma eravamo ancora in ballo perché Silvio, nottetempo, aveva recuperato i Rossignol dal garage. Avevamo il saldatorino da circuiti ed una tonnellata di stagno, un vecchio mobiletto in truciolato, chiodi, nastro adesivo, fil di ferro e tanto entusiasmo. La prima parte era fatta con minime perdite umane, ora avevamo una credenza che sciava divinamente. Facemmo qualche prova sulle montagne di terra del cantiere usandolo a mò di slittino e reggeva pure.

«Ma gli elicotteri sono chiusi col vetro ed hanno i sedili.»
«Tranquilli, ho pensato anche a questo. Avete presente quella roba che ha sopra il motorino del vicino?»
«Sì, ma come lo prendiamo?»
«Ora vi spiego, ma prima, Nebo, tu che vuoi sempre far qualcosa… sei bravo a scavalcare?»

Il piano di Silvio era semplice. Intrufolarsi nel cortile del vicino, raggiungere il garage, staccare il fintovetro protettivo dal motorino e tornare indietro.

«Ma se esce il vicino?» chiede la Laura.
«Non esce.»
«Lo so che non esce, ma dico, potrebbe succedere, no?»
«Tanto Nebo mica ha paura, vero?»

C’è la Francesca, ufficialmente io non ho paura di niente e di nessuno. Se non ci fosse stata la risposta sarebbe stata “voi siete pazzi, andate tutti affanculo”. Dentro casa la coppia neosposata sta a mezzo metro da una partita di calcio, lui in trance, lei talmente disinteressata da trasformarsi in un sensore di movimento umano: qualunque cosa più grande di un granello di polvere è un buon diversivo. Renato, un metro e novanta per cento chili trascorsi sulle curve degli Ultrà, è ancora Juventino. Van Basten ha appena segnato uno a zero per il Milan e se gli date un cucchiaino in mano può fare una strage. La moglie nota un bambino dalla carnagione molto scura che passeggia in giardino verso la finestra del retro.

«Tesoro, c’è un bambino negro in cortile.»

Ora, è scientificamente provato che un uomo in fase di quiete filtra il 43% delle informazioni provenienti da voce femminile. Scientificamente. Non le sente, disabilita la funzione di memorizzazione a determinate parole chiave tipo penso che, credo che, per me dovresti, secondo me, scarpe, vestiti, mamma, bambino, soldi, cucina ed altri ancora. A tutti noi è capitato di scoprire che una donna ci sta parlando solo dopo molte ore che ci è seduta a fianco, diamine, quel piii piii piiii non era un forno a microonde. In questo caso il cervello di Renato è massicciamente schermato da un filtro passabanda che blocca il 98% proveniente da chi è privo di testicoli.

«Tesorpii piiii pi piiii-ii»
«Uh-hu» annuisce lui.
«Piii?»
«Sì, sì, dopo»
«Pi pi pi pi, negro piii»
Filtro disabilitato.

«Scusa, come hai detto?»
«C’è. Un. Bambino. Negro. In. Cortile.»
Renato si gira.

Oooh, ‘sto coso mica viene via, eh. Che cavolo, mi sa che han saldato le clip. Ah, no, ecco, ecco. Imparato il trucco è facile. Ora prendiamo questo coso, portiamoci dietro anche il telo impermeabile, via, arrotoliamo… lllà, un giochetto. Per uscire da qui bast
«EHI!» urla qualcuno alle mie spalle.
Mi cago addosso dalla paura, caccio un urlo.

«Tu, TU! Vieni QUA, fermo!»

Che faccio? CHE FACCIO? Resto qui? Vado lì? Quel tizio si è contraddetto, non so bene che fare, fuggiamo. Scatto verso il muretto mentre da dietro parte una raffica di improperi. Corro, scarto la betoniera fucsia, salto la ginestra, i miei allegri compagni mi guardano incitandomi, salgo sulla legnaia e faccio in tempo a sentire Silvio che mi urla “il robo, dammi il robo”. Quello stronzo di merda invece della mano prende il plexiglass e fugge urlando assieme agli altri. Restano solo Luca e la Laura che mi strattonano mentre alle mie spalle Renato si ferma davanti al rischio potenzialmente letale di scalare la legnaia.

Riparte verso l’interno.

«Nebo, fa PRESTO, quello fa il giro!»

Scavalco, atterro di culo prendendomi un’insaccata paurosa. Il “tak” del cancello è il suono dell’inevitabilità, signor Anderson. Ci dividiamo guardando chi sceglie il tipo. Le possibilità di prendere Luca erano 9 su 10, grosso com’è ora che si muove son giorni. Prendere me, 6 su 10 perché sgambettavo. Quell’idiota sceglie la Laura. Piccolina, esile, capelli neri scarmigliati, vestita dai genitori come una hippie, nessuno è mai riuscito anche solo ad andarle vicino. Gare tra amici, gare scolastiche, campestri, inseguimenti, sagre, nascondino, tutto: è sempre arrivata prima di qualsiasi concorrente. Nel 1992 Laura Schiesari percorreva tutta la via gatta alla mia stessa velocità, solo che io ero in bicicletta.
Mentre io e Luca ci ficchiamo nel boschetto incolto Laura carbonizza Renato sullo scatto, salta il fosso e prosegue per il campo, attraversa il sentiero sterrato e a metà si gira. Guarda il puntino all’orizzonte che è Renato, si mette le mani sui fianchi e grida “ALLORA?!?”.

Renato torna a casa, ha una moglie a cui spiegare molte cose.

Noi raggiungiamo Laura che si teletrasporta da noi tutta incazzata con Silvio. Nel pomeriggio montiamo il plexiglass, distruggiamo tutte le nostre biciclette e cominciamo i preparativi dell’elica, ovvero montando catene e ruote a casaccio. E’ ironico sapere che il costo dei danni probabilmente gravita attorno al prezzo reale di un elicottero. Tutto questo accade mentre il quartiere vocifera di strane sparizioni. Attrezzi, oggetti, corde, tutti i garage stavano venendo depredati. Quando due giorni dopo Luca smontò la grondaia di una neofamiglia in crisi avevamo tutto il materiale necessario. Per una settimana non facemmo altro che martellare, saldare, attaccare ed agitarci. Bàm, bàm, bàm, ormai avevo il riflesso condizionato che se vedevo metallo martellavo.

C’era tutto, era tempo di collaudo e quale posto migliore di un campo davanti alla casa che avevamo depredato? A dodici anni non puoi conoscere la forza centrifuga. Quando Renato esce in cortile per quantificare i danni mi vede all’esterno del vialetto che mi sto grattando la testa sotto l’onnipresente cappellino dei NYC. Ci vediamo quasi contemporaneamente ed entrambi diciamo qualcosa. Io rompo il ghiaccio con una “h” aspirata. Lui risponde “ANCORA TU?” e parte a testa bassa. Non so bene che fare, fuggiamo.

La tensione è palpabile.

«Tranquilli, appena Nebo torna con l’elica riproviamo. Oh, avete visto che prima s’è alzato un po’? Avrà fatto almeno un metro.»
«Io no.»
«Manco io.»
«Io nemmeno.»
«Silvio stronzo.»
«Laura merda.»
«Oh, piantatela. Silvio, ma dopo la montambàic mi ritorna a posto, vero?»
«Che te ne frega, avremo UN ELICOTTERO.»
«Mia madre me l’ha comprata un mese fa, se la vede così mi ammazza e io ammazzo te.»
«Avremo UN ELICOTTERO, ti dico!»
«Mi torna a posto o no?»
«Sono circondato da pressapochisti.»
«Eh?»
«Da chi?»
«Pressapocosa? »

«Ohi, sta tornando Nebo, agita le mani e urla.»
«È perché è negro…»
«No, no, ha il tizio della grondaia dietro.»
«Che COSA?!»
E’ così.

Lì per lì l’idea più intelligente che mi venne fu quella di portare il nemico al campo base, così Renato arrivò trovandosi davanti ad un branco di ragazzini che si agitavano attorno ad una scultura moderna composta da pezzi di alto valore economico ridotti ad ignobile ferraglia.

«POSSIAMO SALVARCI! » urlò Silvio lo stratega balzando ai comandi «TENETEVI FORTE, SI DECOLLA!»
Laura era già a molti chilometri di distanza.

Le vibrazioni umane esistono. Le senti sul palco, nei locali, tra la gente. La mia ex3 psicologa sosteneva che questo mio sentire fosse un mixare inconsciamente migliaia di piccoli impulsi che si manifestavano in una sensazione. Dopotutto non dice puttanate. In un film puoi trasformare una scena da macabra a comica solo con il suono, guardate il trailer di Mary Poppins con gli effettini giusti su youtube e ditemi voi. Ecco, le sensazioni sono molto simili. Nell’istante in cui Renato fece capolino da sopra la collina capimmo tutti che no, non era stata una buona idea provare a costruire un elicottero. Certo, se invece avessimo voluto costruire un trebucco da epoca romana sarebbe stato un successo. Ma Mamma Terra è una mietitrice di sogni, che ci volete fare. Quando i nostri genitori si presentarono a casa di Renato e Rosa Ghezzi pareva un’esecuzione. Occhiatacce, silenzio ostentato, vergogna e qualche lacrima anche materna mentre ricevevamo insulti, bestemmie, improperi ed osservavamo i nostri genitori scusarsi con quel tizio e quella tizia. Ci costrinsero a raccontare tutto per filo e per segno, materiali presi, atti di vandalismo, almeno una cinquantina di azioni terroristiche ai danni di un’allegra famiglia, cose che insomma fanno tutti i dodicenni in periferia prima che arrivasse la playstation e Maria de Filippi.

«Comunque c’era anche una ragazzina » insistette Renato «pareva una zingara, però.»
«Ma chi, la Laura?» domandò Silvio.
«Ma no, la Laura non era dai suoi che faceva i compiti?» domandai io aspettando un coppino paterno.
«Eh?» domandò Silvio.
«Sì, infatti» disse Luca guardando fisso negli occhi Silvio «la Laura non c’entra niente.»

Laura, che era quella coi genitori peggio messi economicamente, riuscì a sfangare sia la ramanzina di tre quarti d’ora in due atti – pubblico e privato – sia la nube di ceffoni che la sera venne a trovare casa per casa ognuno di noi. Ci giocammo l’estate, la vedevamo seduta fuori in strada da sola che guardava verso le nostre finestre e faceva gesti. Non seppe la verità per tanti anni in cui tanti si divisero pigliando strade diverse, chi più o meno belle. Silvio – giuro – s’è dato all’ingegneria aerospaziale. Se molti italiani sono ancora vivi è probabilmente grazie al test d’ammissione che lo segò. Nel 2001 io, lei e Luca stavamo nascosti in deposito FS sotto un treno merci con le mani sporche di vernice, gli zaini pieni di spray, i vestiti fradici di rugiada ed un sacco di tempo da aspettare. Per alleggerire la tensione decidemmo di fare un raccontino vintage.

«Ma quindi quella volta mi avete paraculato voi due? »
«Più o meno, sì»
«ODDIOCHETTENERI, e dire che tu mi piacevi pure» fa rivolta a Luca.
«Hiiii, oddioketteneri, mettetevi anche a suonare il tamburo che in guardiola non vi han sentito» bercio.
«Pure tu a me, eh» fa Luca.
«Ecco, ghe sboro, a ‘sto punto baciatevi.»
«Ok.»
«Come “ok”, cazzo fate?»
«Spostati un attimo, Nebo.»

Si dettero il primo bacio sotto un carico di semi diretto a Copenaghen alle 3.30 di un sabato notte mentre col binocolo tenevo d’occhio le prodi forze dell’ordine. Ma questa è un’altra storia e l’amore non è per questi luoghi, signora, men che meno per il carabiniere in borghese che sta leggendo il blog con vivo interesse: tutto inventato, capo, haha, era una burla.