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Il mio amico Ultraman

Il mio amico Ultraman

Ario è più di un amico, abbiamo fatto cose incredibilmente idiote insieme tra cui prendere un treno in corsa dopo esserci annichiliti di droga, sbagliare senso di rotatoria, affondare in darsena con un cacciapesca che spacciava per suo e picchiarci in una piazzola di sosta perché il suo MMS “guarda che mi scopo la donna” era stato da me sbadatamente inoltrato alla medesima.

Sono le 2.30, io sto facendo un logo orrendo per dei Bassanesi che vendono mobilia. Il cellulare mi sorprende nel finale.

«Nebo,sei sveglio?»
«No, parlo nel sonno»
«Esci»

Esco. E’ in macchina. Entro e vi trovo sette od otto involucri di goldoni aperti, tazzine di plastica vuote ed un amico che ha visto il vietnam.

«Non è che adesso sento sirene in arrivo e tu tiri fuori un uzi, vero?»
«Tu lo sai che non mi fa scopare da sei mesi»
«Non erano tre?»
«No, sono SEI, lo ripeto a tutti così pian piano ci crede anche lei e si sente in colpa»

La sua ragazza-da-quattro-anni ha chiuso l’autostrada del Sole molti anni fa. Non le piace il sesso, le fa schifo far pompini ed ovviamente non cala la stella del mattino. Nel caso di una congiunzione astrale propizia si distende sul letto con le mani sulle tette e aspetta l’inevitabile. Assume un’aria assente ed un po’ annoiata. Prima che lui riesca ad avere un orgasmo lamenta dolori vaginali e smette. Lei sostiene che il sesso non è tutto nella vita. Ario dice che Cristo è la risposta.

Ciò premesso, Dario è stato invitato ad un addio al celibato in uno strip bar. Tralasciando commenti sulla gente che frequenta, si tratta comunque di adulti vaccinati che per scherzo o perversione vanno a veder fica di prim’ordine per poi a casa sfogarsi. Ario no. Ario guarda quell’orgia di culi come Shu guarda Kenshiro dalla piramide di Sauzer, solo che Shu aveva in testa un blocco di granito, Dario ha Indipendence e Freedom nelle mutande. Esce completamente pazzo con un pene d’adamantio. Visto che tutti i suoi colleghi sniffano piste come bracchi è probabile ne sia stato potenziato. O peggio. Corre al baracchino dei panini e supplica per un caffè che secondo il suo debilitato intelletto “gli avrebbe ridato lucidità”. Terminata questa procedura Dario non è più uomo nel senso filosofico del termine.

E’ una punta da carotaggi estremi.

Il baracchino e lo stripbar danno sul Terraglio. Dario diventa Napoleone, sguaina la spada e dichiara guerra al mondo. Carica una zoccola, la tromba senza riuscire a venire. Lei lo manda affanculo, la scarica e ne tira su un’altra. Poi un’altra. Poi un’altra ancora. Alla quarta le tizie si telefonano per avvertirsi, così dalla Romania Ario passa alla Slovenia, dalla Slovenia alla Nigeria, fa un breve excursus in Thailandia e nel giro di due ore ha conquistato il Terzo Mondo. Esausto e con lo stipendio prosciugato, si ferma all’angolo da cui riesce ad intravedere l’ucraina. Con una sega di dieci minuti riesce ad avere un’eiaculazione simile ad un proiettile anticarro. Passando scopre con orrore che era un trans sulla cinquantina.

Ora sono le 3.40, sono in macchina del mio migliore amico che par aver corso la maratona, ha il fiatone, gli occhi lucidi, è sudato fradicio, ha il cazzo ormai scarnificato ed è in lacrime perché teme di essere omosessuale.

«Hai del ghiaccio?»
«Sì»
«Vai a prenderlo, ti prego»

Lo porto avvolto in un sacchetto della LIDL. Mi guarda incerto.

«Mi brucia, però forse non è una buona idea»
«Non lo so, Ario, io non ho conquistato tre quarti dell’emisfero terrestre a cazzo dritto»
«Non è che, tipo… non so, si rompe? Si ibernizza?»
«Ibernizza?»
«Quea roba eà dei film»
«Ario, è ghiaccio, non azoto liquido»
«Si ma ho come l’impressione non sia una cosa intelligente, tipo, tipo… così, eh, ma mi dà l’idea»
«Bèh, non so, non penso»
«Se chiamiamo tuo padre?»
«Gli telefono alle quattro e mezza di mattina per domandargli se il mio amico può mettersi del ghiaccio sul cazzo? Hai sborrato anche il cervello?»
«Allora niente, vado a casa. Scusa, eh, ma dovevo dirlo a qualcuno. Tu non credi che, cioè…»
«Credo tu sia un povero idiota»
«Sì ma no frocio, vero?»

«Ario, hai scopato cinque e più donne in una notte, tutte di nazionalità diversa. Se non ti fosse costato lo stipendio in toto credo sarebbe da farci un film»

«Quindi non sono gay?»
«No»
«Ok, grazie, vado via»

Esco dalla macchina, lo guardo mentre riparte.
Dio mio, mi sento come un bambino viziato davanti a Leonida.

Per un pugno di rose

Per un pugno di rose

«Buonasera, avete deciso?»
«Sì, il listino.»
«Prego?»
«Dico, per favore, potrebbe portarci il listino?»
«Ma… siete seduti da un pezzo. Vi ho visti.»
«Ne ho piacere, comunque nessuno ci ha portato i listini.»
«Stanno lì, no?» dice indicando un bancone.
Non perdiamo la calma.

«E io come posso saperlo, signorina?»
Mi guarda. Ci pensa.
Ci pensa molto. Guarda il bancone. Riguarda me. Guarda la mia donna.

«In effetti ha ragione, le porto il listino.»

La coraggiosa cameriera si fa strada trucidando colleghi con una katana, arriva al bancone dove recita due versi della bibbia al contrario. Il pavimento ruota mostrando una voragine senza fondo dove alcuni incauti avventori precipitano urlando, Dio abbia pietà della loro anima. Al centro del baratro, tenuti insieme da un sottilissimo filo d’oro, due listini. L’eletta espande la sua aura, spalanca le braccia, evoca il potere di Grayskull, l’aquila di Trider, Excalibur e ed evoca Reelay, demone dell’aria. Volando riesce ad agguantarli. Tornata sulla terraferma sgozza tredici bambini, prende una goccia di sangue da ognuno e su un vassoio in platino poggia due listini rilegati in pelle umana e scritti nella lingua proibita. Ce li porta inginocchiandosi, lacrime rigano il suo giovane viso.

«Non vi ho portato l’aperitivo della casa» ringhia con voce strozzata dal pianto.
Commette seppuku con un cucchiaino da dessert prima che il maitre riesca a fermarla.

«Perché dici queste puttanate?» chiede la mia lei.
«Non so, mi vengono» spiego leggendo con orrore i prezzi.

Seduti uno di fronte all’altro, ufficialmente insieme da due mesi. Nessuno dei due ha mai parlato di S. Valentino, ma da come s’è tirata direi che la sorpresa le è piaciuta. Siam nella fase di studio, quella con le domande trabocchetto, i sorrisi ad occhi spalancati, le risate brevi, le trombate maratona e lo sguardo attento mentre lei mi racconta i problemi di sua madre ed io come si mixa un basso campionato.Sorrido pensando a cosa dirò tra sei mesi di sua madre. Stranamente sorride anche lei.

È una donna che sa adattarsi rapidamente, ma i suoi gusti son facili. Le ho comprato un paio di orecchini sotto suggerimento sorellifero che le verranno consegnati dopo che avrà detto “no, il dolce non lo prendo” per poi mangiarsi le parti migliori del mio. L’atmosfera è dolce e complice, io mi sto perdendo nella fossetta alla base del suo collo quando percepisco l’aura negativa.

È qui.
È nella sala.
I maschi urlano e si preparano al contraccolpo, ma è tardi. Molti vengono falciati senza pietà, ho visto operai ed imprenditori, atei e religiosi uniti nell’invocare i santi al momento culminante. E ora tocca a me. Prima che io riesca a fare una mossa prende in ostaggio la mia donna mettendogliele in faccia. Con una lentezza studiata e drammatica mi fissa, imperturbabile: «Compra bella rosa».
Maledetto.

Strozzato da una camicia, stritolato da pantaloni importabili, martoriato da scarpe disumane, tento l’estrema difesa conscio che il tempo è fondamentale. Il duello sarà deciso in due scambi, non più. Lei non dice niente. I suoi occhi mi puntano una pistola in faccia. Porto la mano al portafogli.

«Quanto?»
La sala è scossa da un mormorio.

«Tre.»
Dietro di me sento urla e gemiti.
Apro il portafogli mentre sudo copiosamente. Fa che io abbia moneta, Fa che io abbia moneta, fa che io abbia mon
Bingo. Tiro fuori.

«Uno» dico estraendo la moneta.

Ci studiamo. I suoi occhi passano da me ai cinque euro, dall’euro a me. Occhi fissi su di lui, se guardo lei è finita. Avanti, mangiamerda, vieni a prenderteli, su, sono qui. Tu vuoi la monetina. Tu vuoi la monetina, forza, molla la mia fica e vieni a prendere l’obolo. Non vuoi trattare.

«Due» osa.
«No» dico «o così o mi cambi CENTO» mento senza vergogna.
Ringhia: «D’acquerdo.»

Lei sorride, alcuni in sala svengono. Mi siedo scaricando l’aura in eccesso. Quando le do gli orecchini rimane davvero sorpresa, poi tira fuori un DVD “l’ho visto alla casa del disco, è giusto un pensiero”. 6 giga di acqua registrata con l’idrofono. Ho l’irrefrenabile impulso di mollare tutto, correre a casa e sentirli. La sua scollatura ed il suo sorriso suggeriscono di aspettare.

Nella pausa postorgasmica il mio garage pare sia in mezzo ad un maremoto.

Ascensore per l’inferno

Ascensore per l’inferno

24 dicembre.
Ascensore del condominio.

Giacca, cravatta e pantaloni stretti che praticamente mi sto inculando da solo e se mi guardano in gola avrei delle gran brutte adenoidi. Entra lui, trentacinque quaranta. Pacchetti, giacca in camoscio o quel che è, profumo da troia. Apparentemente un agente immobiliare.

– A che piano?
– Quarto – rispondo ravanandomi i coglioni.
– Io secondo, come facciamo?
– Eh, preme il due, scende e io continuo – dico mentre la riga dei pantaloni mi strizza Ernesto e mi provoca una smorfia.
– Ma.. no, scusi, l’ascensore non è come da Coin… – mi fissa.

Premo “2”. L’ascensore fa il solito scossone, parte.
Primo piano.
Secon *bùm*.
Luci spente, parte un allarme nelle scale.

– Ah Dio – flauta l’uomo con voce agitata – ah Dio siamo chiusi dentro. E adesso? No ma io devo uscire, mi manca l’aria –
– Stia tranquillo – spiego – al quarto c’è tutta la mia famiglia, a quest’ora con sto casino staranno già vagando per il condominio con borse del pronto soccorso. Comunque – dico sporgendomi – per sicurezza premiamo il pulsantino del campanello.
– NOOO! – urla.
Faccio un salto che fa agitare l’ascensore.
– Come no, mica indovinano che c’è qualcuno qui dentro, il campanello serve a quello –
– Ne è sicuro? –
– Ma.. scherza? – domando.
– No, senta, qui dentro ci sono anch’io, per cortesia, lasci perdere quel bottone, chiamo io col cellulare.
– Sì, ma questo bottone suona in portineria, sistemano loro.
– Mi scusi, sa, non mi fido – insiste l’omino tirando fuori il cellulare.
– Ma cosa vuole che mettano in un ascensore, il pulsante d’autodistruzione così ci giocano i bambini? E’ fatto apposta, sta lì, mica l’ingegnere ha detto dai, tra il quarto e il quinto piano mettiamo un detonatore, abbia pazienza –
– Senta, lei è qualificato per una cosa del genere? –
– C’è scritto premere in caso di emergenza!
– A me questo sembra un blocco, non un’emergenza.
– Eh, infatti, per l’emergenza c’è il tasto premi e portali tutti all’inferno con te.
– Ha poco da fare lo spiritoso, in non mi fido e non mi fido, basta.

La vigilia di natale mentre tutta la mia famiglia mi aspetta sono chiuso in ascensore con un idiota.

– Pronto? Tesoro, ciao, sono chiuso in ascensore.
Come ascensore, quale?
– Eh, non di casa nostra.
Ma allora quale?
– Della… massaggiatrice.
SEI ANDATO ANCORA IN QUEL CAZZO DI POSTO, SEI UNO STRONZO, AVEVI DETTO CHE NON CI ANDAVI PIU’, L’AVEVI PROMESSO DAVANTI AL
– Ti ho de
BAMBINO, SEI UNA MERDA, PAOLO GUARDA, C’E’ TUA MADRE QUI, ADESSO LE DICO CHE RAZZA DI UOMO SEI, MI FAI SCH
– TI HO DETTO che è solo per gli auguri.. gli auguri! Gli auguri di Natale! Natale!
IFO TU, IL NATALE E QUELLA TROIA, ADESSO VIENI A CASA E VEDI
– Elena, non posso parlare, c’è gente.
CULO CHE TI FACCIO, E NON ME NE FREGA NIENTE SE C’E’ GENTE, VIENI SUBITO A CASA
– Ma NON POSSO! SONO BLOCCATO IN ASCENSORE!
E TI STA BENE, ALLORA NON VENIRE PROPRIO, PASSA IL NATALE CON QUELLA COREANA DI MERDA E VERGOGNATI, CHE MI FAI SCHIFO
Click.

Leggo la targhetta pesocapienza, in questi casi aiuta.
Il silenzio è intimo.

– Eh, sa… mia moglie – dice il tipo mettendo il cellulare in tasca.
Annuisco serio, come solo un uomo può empatizzare con un altro.

– Quel.. pulsante, dice davvero che va alla portineria?
– Giuro.
– Bè, allora…
Faccio per premere ma la corrente ritorna, facendo sussultare l’ascensore mentre l’uomo lancia un grido terrorizzato. Si apre al secondo piano.
– Vede? – dico cercando di rallegrarlo – tutto è bene quel che fini

– Arrivederci.
– Arrivederci – dico.

Le perle ai porci costano maledettamente



Ti voglio bene. No, sul serio, credo di essere prossimo all’ innamoramento. Principalmente perché sei un essere delizioso che riesce nel difficile intento di rispettare il mio mondo, capirlo senza tentare di sconvolgerlo, lo accarezzi appena. E poi riesci a convivere con la totale instabilità della mia vita, non è cosa da poco. Tuttavia, quando mi presentano davanti un piatto nero quadrato lucido preparato secondo la ricetta della nouvelle cusine più esclusiva francese rivisitata da un cuoco mais chic che me lo serve con sottofondo di violini zigani e tintinnanti campanellini d’argento io non vedo quello che vedi tu. 

Vedo tre carotine lesse che costano 35 euro. 

Certo, saranno cucinate secondo un’arcana ricetta rinvenuta nella biblioteca d’Alessandria da un cuoco bizantino, il piatto è bellissimo, la clientela è strepitosa, le posate sono fatte da un famoso designer norvegese, l’illuminazione è splendida. Ma sono tre carotine lesse che costano 35 euro e io mi cago il cazzo tremendamente, tesoro, sapendo che con la stessa cifra ci sfondiamo il ventre fino a svenire in una trattoria a base di tagliatelle al ragù, cabernet, costata che ancora muggisce, patate al forno, dolce, caffè, ammazzacaffè e animali morti. 

Eccomi allora a perdermi nei tuoi occhi immaginando un’intera mandria sterminata, un’ecatombe, una carneficina, sangue dappertutto ed io al centro lordo di sangue con la lancia in mano che sbrano le costole di un vitello col grasso che ancora frigge dalla sua martoriata carcassa e CIOCK, CIOCK, CIOCK, a colpi di mannaia trancio le cartilagini ed addento uno stinco, mando giù tutto tracannando una Moretti, alzo le braccia al cielo agitando i miseri resti e urlo “YAAA-HAAA, ORA NEBO VUOLE FICA”. Ma ci sono violini zigani, siamo circondati da checche, la guardarobiera mi ha ciulato le sigarette, il cameriere mi sta sui coglioni ed io, luce dei miei occhi, in questi pantaloni sto per ficcarmi il cazzo nel culo. Capisco di non poterti dire tutto questo. 



– Bè?! Com’è? Ti piace? –
– Hmm.. Molto?
– Lo dici come se fosse una domanda.
Ustia.

– Come fa a non piacermi un posto così?
– Ah, allora lo vedi che pure i rapper apprezzano le cose belle! Pensa che questo posto l’ha scoperto una mia amica che era venuta qui portata dal suo rag


Bene, ora posso rilassarmi per dieci-quindici minuti sbirciando moderatamente la tua scollatura e facendo un breve calcolo geografico su quale sarà il baracchino che assalterò per nutrirmi. Vincono di poco i rumeni a Marghera, hamburger, verdure alla piastra, cipolla e formaggio. Oddio, aspetta… magari stasera è la volta buona, sondiamo il terreno: 

– Cos’è che fai domattina? –
– Viene mia mamma a darmi una mano coi mobili –

Fiuuu, salvo.