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“Partire è un po’ morire” disse un viaggiatore Trenitalia. 

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A casa mi preparo due panini con un etto di crudo, asiago, insalata in dosi massicce, pane fresco, bottiglietta d’acqua riempita dal rubinetto di casa, costo totale: 2,80 euro. Non mi è chiaro come sia possibile che in stazione per due pezzi di pane alla naftalina, una foglia d’insalata e un velo di prosciutto in crisi d’identità ne chiedano 4.80, ma non importa. Ho altro a cui pensare.

Entro in stazione tra tedeschi obesi, hipster in interrail che prenderei a sberle volentieri, branchi di giappocinesi che si muovono in slow motion intasando qualunque via di accesso o di fuga, guardie giurate convinte di essere Rambo che hanno occhi solo per le svedesi mentre le scalinate sono piantonate da tizi che sequestrano il bagaglio alle donne, fanno le scale e le aspettano in fondo con la mano tesa per il riscatto. Raggiungo la biglietteria. Diciassette sportelli di cui due operanti devono tenere testa a falangi d’idioti di ogni nazionalità la cui età va dai quaranta ai duemila anni, nessuno dei quali parla una lingua diversa dal dialetto.

Fermi in coda aspettano il loro momento di gloria.

«Senta, il prossimo anno circa in questo periodo devo andare a Genova, ma non so se partirò da Milano o da Roma. Il biglietto posso farlo qui adesso? Mi costa uguale?»

L’omino dietro il vetro si lancia in una descrizione complicatissima di cinque minuti declamata col tono di chi stanotte si ucciderà. Il cliente lo ascolta con sguardo gallinaceo. E’ chiaro che non stia capendo un cazzo, ma non interrompe perché è furbo ed è convinto che alla fine, con l’ultima parola, comprenderà tutto per magia.

«Ha capito?»
«No»

La spiegazione viene ripetuta.
Lo sguardo viene ripetuto.

«Ha capito?»
«Cioè… sta dicendo che io non… non posso prenotare?» tenta l’idiota.

«SENTA, QUI DOBBIAMO PRENDERE IL TRENO!» grida uno in fila.
Il tizio si fa da parte con occhi di livoroso rancore.

«Dica» fa l’omino.
«Io un anno fa avevo fatto un biglietto per andare a Genova ma l’ho perso, quindi non lo uso. Potete rimborsarmelo lo stesso?»
«No»
«Come no?! Ma io non lo uso!»
«E io che posso farci?»
«Rimborsarmi il biglietto!»
«Ma se manco lo trova, io come faccio a sapere che quel biglietto esiste?»
«Mi sta dando del ladro?»
«SENTA, QUI DOBBIAMO PRENDERE IL TRENO!» grida il cliente alle sue spalle.
«Un attimo, sono appena arrivato!» bercia il cliente.
«E’ lì da cinque minuti!»
«Io ci sto quanto voglio, se permette»
«Guardi che chiamo i vigili»
«E io chiamo la polizia»
«E io lo dico alla maestra»
«GNA»

 

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Dopo dieci minuti abbandono questa sottospecie di asilo mariuccia e vago alla ricerca delle biglietterie automatiche, oggetti del demonio che vengono spostate ogni settimana per motivi ignoti. Fermo un impiegato di Trenitalia.

«Sa dove sono le biglietterie elettroniche?» chiedo.
«E io che ne so, sono un impiegato, mica un indovino» risponde.
Se ne va.

Aguzzo le orecchie. Tra l’altoparlante che annuncia ritardi, scioperi e cancellazioni intercetto le frequenze dei lamenti umani. Raggiungo una fila di Escher davanti a quattro biglietterie automatiche. Due non funzionano, una va solo col bancomat, la rimanente è presa d’assalto dall’armata mongoloide che fissa lo schermo come io fisso una lavagna con una disequazione.

 

SELEZIONARE STAZIONE DI PARTENZA

«Questa è Venezia o Mestre?» chiede una donna «vabbè, facciamo Venezia»

SELEZIONARE STAZIONE DI ARRIVO

«Io… io vorrei andare a Milano»
Preme Trapani.

«Ma… il treno per Trapani passa per Milano?» domanda a quello dietro, un cinese che la folgora con lo sguardo. La donna capisce che non riceverà aiuto e chiede a quello dietro, un moldavo grosso come un carroarmato e alto come una betoniera.

«Scusi, lei capisce come funziona?» trilla.
«Picchiare dona, pichiare macchina, vodka per tutti» sibila tra i denti lui «siempre funziona»
«No, eh? Tu?»
Sono io.

Faccio per passare la fila e aiutarla, ma il moldavo mi ferma alzando il braccio.

«Dove tu va?»
«Le do una mano o qui facciamo notte, non sto saltando la fila»
«Io guarda te»

Il giappocina nemmeno mi considera. Raggiungo la biglietteria, compilo i campi richiesti.

 

INSERIRE CONTANTE

 

Mi giro.

«Cosa vuoi?» domanda stizzita.
«Deve mettere i soldi» sospiro.
«Non ti do niente»
«Ma no a me, alla macchinetta!»
«Vabbè, quanto?»
«C’è scritto»
«Dove?»

Guardo il moldavo. Lui con la mano sinistra mima l’afferrarle il collo, con la destra il colpirla in faccia. La donna inserisce i soldi, afferra il biglietto, verifica due volte di non aver lasciato monetine e se ne va senza dire nulla.

«Oh, grazie, eh?» le grido dietro.
Torno in fila.

Il samurai giappocina impiega un tempo ragionevole. Il moldavo arriva davanti allo schermo, smanetta, inserisce il denaro. La macchina impiega due secondi di troppo a cagare il biglietto, così il pachiderma le assesta un cartone a potenza genkidama che la fa traballare e spegnere.

«SVOBODA NARODU KRISHNEV!» ulula la bestia, e inizia a distruggerla a calci.
Me ne vado lasciandomi le urla alle spalle. Tre poliziotti corrono verso di lui. Urla di donne, gemiti di uomo, berretti della polizia che volano.

«Scusa, tipo? Oh, tipo? Tipooo» chiama qualcuno.
Mi basta uno sguardo per riconoscere un videogiocatore a corto di smack.

 

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«Mi manca un euro per fare il biglietto» dice, impaziente, guardando il drago magico allontanarsi.
«Te ne ho dato uno la settimana scorsa, ancora non sei partito?»
«Ma è per un altro viaggio» geme, scalpitando.
«Valuterei la bicicletta, a ‘sto punto»
«Dammi qualcosa, no? Stai in cravatta!»
«Vuoi la cravatta?»
«Un euro, un… seh vabbé, ciao»

Arrivo al binario, il luogo dove donne e uomini si guardano di nascosto apprezzandosi, evitandosi, selezionandosi e posizionandosi in modo da finire nella stessa carrozza. Noto una sudamericana che attende assieme al resto del popolo, stipato dietro in venerazione della sua 42. Arriva il treno. La gente spintona, tremante e ansimante per la tensione del momento. All’apertura delle porte con un grido corale uso marines al D-day tutti scattano incastrandosi nelle portiere tra urla, pianti, gemiti, spinte, bestemmie. Alcuni lanciano i bagagli verso i finestrini nella speranza di romperli. Abbatto la sudamericana a gomitate in bocca e uso il suo corpo inerte come ponte per scavalcare.

All’improvviso le porte fanno BEEEEEEEEEEE, poi si chiudono.
E’ il massacro.

Arti vengono fratturati, valigie rigide divelte, persone rimangono incastrate a metà in un crescendo corale di imprecazioni disperate. Gli unici riusciti a salire siamo io e un camerunense perché abbiamo borsoni morbidi e un tono muscolare tale da permetterci di issarci a braccia aggrappandoci alle sbarre di sostegno interne. Ci lanciamo in aiuto dei mutilati, forzando le porte.

«MA CHE FATE, FERMI!!» urla qualcuno al capotreno in fondo, che sta chiacchierando col macchinista.
«FERMIIIII!!» urla una donna stritolata.
«IL BAMBINO! ATTENTI AL BAMBINO!»
Il bambino è finito sulle rotaie.

«State tranquilli, è solo un test delle porte» fa il capotreno soffiando il fumo della sigaretta.
«FATE UN TEST DELLE PORTE MENTRE LA GENTE SALE?! MA AVETE LA MERDA NEL CERVELLO?!»
«Calma, calma, ora le riapriamo»
«AAAAH!»

Le porte si riaprono a macchia di leopardo.
La nostra evidentemente era di un puma.

«Ecco, l’avete rotta!» grida il capotreno, isterico «vi farò pagare i danni»
«AIUTOOOOOOO» urla una vecchia sul marciapiede con una gamba bloccata sotto un trolley dentro il treno «AIUTATEMIIIIIH»
«Signori, in carrozza, si parte» fischia il controllore.

Con la forza della disperazione riusciamo a caricare persone e bagagli. Alcuni restano a terra, sguardi disperati che battono contro le portiere. Tutti li ignorano, è già partita la caccia al posto migliore. Le donne cercano di sedersi per ultime per poter scegliere il migliore compagno di viaggio che possa issarle le valigie e difenderla dai questuanti che non hanno soldi per mangiare ma distribuiscono cartoncini stampati in comic sans. Gli uomini cercano i compagni che puzzano di meno. Quelli che riescono a raggiungere un quadrato di quattro posti liberi si affrettano a occupare le altre tre poltrone con tutto quello che possono uso fortino. Quando qualcuno domanda “è libero?” digrignano i denti e sibilano “sssssì”. Dieci minuti dopo, finalmente, la calma. È ora di dimostrare ai miei antenati che anch’io posso sopravvivere a un’era glaciale.

Per viaggiare con Trenitalia è bene munirsi di camicia di lino e montone, giacché grazie al progresso della tecnologia oggi tra un vagone e l’altro puoi passare dal Sahara alla Finlandia. Un tempo col caldo c’erano i finestrini abbassati, oggi i finestrini sono sigillati e tutti gli scompartimenti sono dotati di condizionatori, distributori di Legionella e di inaudite bestemmie in quanto il termostato viene affidato al primo idiota che frigna col capotreno. Quindi assistiamo a scene di questo tipo:

«Capotreno, scusi, ma in carrozza si muore di caldo» geme una donna in pelliccia.
La temperatura scende a 7°. Le prime mani tremano, i deboli vengono colti da attacchi di dissenteria fulminante che li porta a bussare contro la porta del cesso urlando PRRRREEESTOOOO, FACCIA PRRRREEESTOOOOHOHODDIO PRRREESSSTOOOOO. La gente squarcia i sedili di finta pelle per farne vestiti di fortuna. A malincuore, alcuni scotennano il proprio gatto per farne un copricapo di pelliccia.

«Capotreno, scusi, in carrozza ho le sopracciglia ghiacciate» protesta un vecchio in camicia a maniche corte.
Vertiginosa salita a 20°. Gli abiti di fortuna vengono rimossi e utilizzati per accendere un focherello e grigliare i resti degli animali abbattuti. Spuntano bermuda, camicie hawaiane, infradito, piedi sudati sui sedili liberi, afrori di morte. Le donne tentano di abbassare i finestrini blindati senza riuscirci. Offrono prestazioni sessuali ai maschi che riusciranno nell’impresa.

«Capotreno, mi si sta sgelando il pesce!»
Crollo a 2°. Vengono documentati i primi atti di cannibalismo. Fuori dai bagni ci sono uomini e donne annichiliti in posizione fetale. A terra, diarrea congelata. Stretto nel montone osservo la gente fuori dal treno in maniche di camicia, sentendomi come un pastore afghano con la casa bombardata che guarda repliche di Jersey Shore. Una donna si avvicina tremante, mostra i seni a labbra serrate. Dice che se le faccio posto nel montone potrò averla. Impietosito, la accolgo.

«Capotreno, mio figlio ha le labbra blu» piange una madre.
Risalita a 18°. La donna schizza fuori dal montone e scrive alla redazione di GQ che sono sessista. Tra i sopravvissuti spuntano sorrisi, pacche sulle spalle, dialoghi amichevoli. Tutto è dimenticato, ogni atrocità perdonata. Nel benessere alcuni passeggeri si raggruppano e fondano movimenti a difesa dei diritti degli animali, piangendo i caduti e accusando i passeggeri di essere dei mostri. Motteggiando sarcastici, i passeggeri deridono Trenitalia e la sua organizzazione. Si fondano associazioni dei pendolari, che litigano e si scindono in associazioni per pendolari e passeggeri.

Mi tolgo il montone e addento il mio panino. Quello davanti a me estrae un sacchetto del McDonald e inizia a masticare a bocca aperta. Il controllore arriva e mi chiede il biglietto. Dico che non ce l’ho perché non sono riuscito a farlo. Dice che dovevo avvertirlo, io guardo il corridoio e gli spiego che non sono un giocatore di rugby professionista. Mentre mi fa una multa di 50 euro dice che non è un suo problema.

«Capotreno, ma qui dentro non si respira!» sbraita un tizio con la spilla del M5S.
Esasperato, il controllore schianta la manopola al massimo e se la porta via. La temperatura collassa a -10°. Abbandono il vagone di corsa mentre alle mie spalle inizia Hunger Games.

Gayman

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Fuori dal garage di Ario, sostituendo la batteria della mia 600.

«Ricapitoliamo: a questo porcaio in 180,000 chilometri hai cambiato tre volte i tergicristalli, due volte la marmitta, una volta la cinghia, una le gomme. La batteria…?» chiede, allentando i bulloni della fascia di protezione.
«Prima volta, per quello metto quella da 50» rispondo.
«Perché, questa da cos’è?»
«45»
«Ghe sboro, se c’attacchi un orologio fa più meglio»
«Fa meglio, no più meglio»
«Piglia ‘sta protezione e mangiati una merda» dice, mettendomi in mano la fascia.

Appoggio con cura.

«Butta ‘sto catorcio e comprati un’auto decente»
«Ma funziona ancora!» esclamo.
«Su Subito.it vendono un’Audi TT a 1.000 euro»
«Con fori di proiettile o senza?»
«Che te ne frega, è un TT. Ci metti sopra altri 1000 piombi per l’impianto a metano e via. Spazzola» dice allungando la mano.
Passo.

«Comunque» dico, osservandolo pulire i contatti «non accetto lezioni di economia domestica da uno che scialacqua patrimoni tra le cosce del terzo mondo»

Riprendo la spazzola che mi passa, la butto per terra. Ci mettiamo in due a togliere la batteria dal suo compartimento, tirandola fuori con cautela.

«Non credere, ultimamente Marghera è scaduta parecchio» dice, pulendosi le mani sui pantaloni «La carne buona sta a Padova. Solo che per arrivarci bisogna farsi strada tra la giungla travesta di Limena. Un luogo di perdizione, dove le anime deboli soccombono»
«La giungla… travesta?» chiedo, pentendomi subito di averlo fatto.

«Tette enormi e culi svettanti, la meglio plastica latina. E poi pompe sublimi, professionali, tanto da poter competere con le Sacre Scuole di Praga. No, a Limena parti per scopare una trentenne ucraina e finisci prosciugato da ventenni venezuelani, non è posto per dilettanti. Voi cazzetti mosci non resistereste alla tentazione di penetrare quegli orifizi dannati, sono le sirene di Ulisse, capisci? Per riuscire a raggiungere la fica di Penelope Varushka bisogna prima ignorare la quinta siliconata di Pablo Gutierrez, legandosi le mani al volante e proseguendo il puttan tour. Solo un eroe può riuscire in quest’impresa titanica»

«Cristo, pure i travoni?» domando inorridito.
«Chiaro, ma solo quelli nuovi. A trent’anni hanno il culo ormai inutilizzabile, spanato. E’ gente senza futuro tipo i film sui supereroi o ‘sto cacaio di macchina. Togli le guarnizioni e passamela» dice indicando la batteria nuova.

«Cosa c’entrano i supereroi?» chiedo.
«Eddai, prima o poi il mondo si accorgerà che sono i sogni bagnati dei nerd che si credono migliori di tutti ma sono solo i maschi beta dei fighetti. I supereroi han superpoteri o supercervelli ma ragionano da fighetti. Se io fossi Tony Stark stocazzo che salverei il mondo, passerei le giornate a bombardare baraccopoli zingare e poi tornerei a casa tra puttane, bamba purissima e champagne da cash peso. C’è un supereroe che lo fa? No. Perché son scritti da nerd complessati»

«Sai che odio fare quello che lo dice, ma questa era tanto razzista»
«I supereroi sono razzisti, non io. Ho detto che bombarderei una nazione o una razza? No. Solo i campi rom dove notoriamente risiedono latitanti, pluripregiudicati, assassini, stupratori, rapinatori, truffatori, ladri, zingari»
«MA CHE CAZZO DI CRIMINE E’ “ZINGARI”?!» sbotto alzando la testa dal motore e centrando il cofano.

Mi accascio a terra, tenendomela tra le mani.

«…rrcamadonna…» ringhio.
«Male?»
«Tua sorella»
«Vedi? Dio è con me»
«Stronzi tutti e due» mugolo.

Ario ignora il mio dolore e con mani esperte sistema la batteria nuova nel suo alloggio, fissa i cavi dell’impianto, collega i morsetti.

«C’è o no un supereroe che fa ‘sta cosa?» domanda.
«No. Altrimenti sarebbe un cattivo»
«Ragioni da fighetto anche tu. Scusa, prendi i mutanti. Vediamo solo la storia dei mutanti con mutazioni superwow, mai quelli che hanno mutazioni sfigate. E’ quello che mi sta sulle palle. Qualsiasi biologo ti direbbe che ho ragione io, chiedi a quell’invertita di tua morosa. Cosa ci vuole a essere un supereroe se sai volare? O se hai i miliardi e sei un genio? Niente. Ma di uno che ha mutazioni fighe, ce ne sono novantanove con mutazioni inutili o imbarazzanti. Di loro non parla mai nessuno»

«Perché non sono interessanti»

«No?» dice, chiudendo il cofano «metti che c’è Zborro, il supereroe che può eiaculare a comando e deve farsi strada in un’industria del porno fatiscente, tra donne strapagate e uomini sottopagati. Lui entra per cambiare le cose tra giochi di potere, politica, leggi sui preservativi. Dovrà sborrare in faccia a migliaia di donne per poter sovvertire il sistema, circondato da altri pornoattori magari più dotati di lui. Io una storia del genere la leggerei»

«”Zborro”?»
«Sì. O Petoguy, un uomo in grado di partorire scorregge mostruose tali da sconfiggere i tifoni, ma è così complessato che se ne sta a casa a guardare quella stronza di Tempesta che fa strage in giro, combattuto tra il voler salvare il mondo facendosi deridere o salvare la faccia lasciando il mondo affogare. Altro che “vivi abbastanza per diventare cattivo”, coi miliardi e le tutine son bravi tutti. Prova tu a trovarti una donna in un mondo che ti chiama “l’uomo scorreggia”»

«Ario, sono storie ridicole»
«Ma sono più reali. Più umane. “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”, sì, bravo, se il tuo potere è quello di essere forte, bello, ricco, famoso. Ma se il tuo superpotere è quello di trasformarti in un bottone cosa fai?»

«Vabbè, addio»
«O i cattivi! Prendi l’ultima scena degli Avengers, New York rasa al suolo, alieni, supereroi, poi all’improvviso parte un adattamento d’orchestra di YMCA in chiave epica e dal nulla appare Gayman»
«COSA?!»

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«Gayman. Uno superpalestrato col costume rosa di Hello Kitty che mena ignorante agli Avengers e difende gli alieni perché Loki gli fa sesso. Immagina il popolo a bocca aperta e gli Avengers che non sanno cosa fare o dire, perché qualsiasi cosa facciano o dicano sarebbe discriminatorio. Il cattivo definitivo, chi lo frega quello? Son tutti bravi a dar contro a un cattivo che ammazza bambini, ma un bullo gay? Non puoi fottere con un bullo gay. Pensa la popolazione divisa che lo giustifica, dice che Gayman mena perché il mondo è omofobo, come lo contrasti? Con il classico supereroe bianco etero ricco e intelligente? Non puoi. Vince Gayman»

Si siede al posto del guidatore, gira la chiave.
La 600 sussulta e si mette in moto.

«Ecco, attieniti alle tue specifiche competenze» dico.
«Eh, anche tu. Fai una cosa, scrivile ‘ste robe. Supereroi handicappati in un mondo sull’orlo del collasso che però li odia»

Mi blocco, incredulo: «Cristo, hai appena descritto la trama di Watchmen»
«Ha fatto successo?»
«Enorme» mormoro.
«Vedi? So quello che dico. Basta coi wannabe fighetti, racconta una storia di gente fica sul serio»

 

Mezz’ora dopo sono al telefono col mio editore.
Piange e si ostina a ripetere che sono una persona disturbata.

04 – Se vuoi vedere il temporale

LIBRO PRIMO
[Una tribù di handicappati] – [La caduta del cielo] – [La luce in fondo al tunnel] – [Il pugno di Dio] – [Lo scontro finale]

LIBRO SECONDO
[Masterpiece] – [Newton era un precario] – [Ralph Lauren] – [Donne]

Milano 14 marzo 2007 Sede de Il sole 24 ore foto di paolo poce/emblema

Roma, 2 aprile, ore 17,30. Redazione di Giornalettismo

«Maddalè, forse ho trovato qualcosa» dice Stefania «la Casaleggio subappaltava ad aziende private la mensa, sicurezza, hardware, impianti di condizionamento, roba così. Ce so’ i nomi delle aziende e i referenti, ma indovina? Della sicurezza ce ne sono due»
«Vabbè, una magari era per evita’ che Casaleggio se magnasse le piante de plastica» dice Maddalena, avvicinandosi al monitor della collega.
«No. Una è la Civis, guardie giurate. L’altra è una certa Recon SPA. Dal loro sito dicono di essere “professionisti nell’ambito di sicurezza e controspionaggio informatico”»
«Vor di’ tutto e gnente»
«Però senti qui: in un forum di furry…»

«Quelli che se vestono d’animali e s’anculano?» chiede Maddalena.

«Sì. Ce stanno una tigre e una volpe che parlano daa Recon. Dicono che il responsabile è uno stronzo che li sta facendo sgobbare come bestie»
«Che tu dici, se so’ furry magari so’ pure contenti»
«E invece so’ furrybondi, GNA HA HAHAHA HAHHA AHAH AHAH»
«HAHAH HAHA HAHAH HAHAHAH HAHAHAH HA»

 

«..ggo i tuoi articoli tutte le mattine, sai, Gianni? Mi piacciono un sacco, mi eccitano. Me lo fai rizzare come solo le tette rifatte di Silvia Vada. Te la ricordi senza reggiseno, coi capezzoli turgidi che spuntavano dalla maglietta quando parlava della strage di Novi Ligure? Ecco, così. Incontriamoci, Gianni, non te ne pentirai» sussurra il direttore al cellulare, passando vicino alle ragazze «posso ospitare. Ti scotenno il buco del culo, Gianni»

 

Le ragazze osservano il direttore sparire nel suo ufficio.
Tornano a guardare il monitor.

«Che stavi a dì?» fa Maddalena.
«I furry coglionano il capo per tre pagine dicendo che si crede chissà chi e ha anche un cognome del cazzo. Alché uno gli risponde “più che altro un cognome della banana”, grasse risate»
«Vabbè, sarà umorismo furro. Te li vedi due impiegati di un’agenzia di sicurezza informatica che postano in un forum pubblico sputtanando il capo? Nessuno è tanto imbecille, tranne…»

«…uno che ciuccia le matite in cabina elettorale» fa Stefania «guarda la data della conversazione: settembre 2012. Per me la tigre e la volpe lavoravano alla Casaleggio ma prendevano ordini dal capoccia della Recon, che aveva il cognome della banana»
«Vabbè ma sticazzi, a noi interessa capì come mai er movimento daa’ lobotomia s’è svejato, nun perché la volta prima ‘sto banana ha fatto flop» dice Maddalena.

Restano in silenzio.

«Ahò» fa Stefania «perché a me flop e banana fanno rima?»
«Che ne so, chiedilo all’omo tuo» sospira l’altra scuotendo la testa «io so’ du mesi che nun vedo banana, trampo’ pe’ sgorgamme me tocca usà l’Anitra wc»
«Ah Maddale’… ce dovresti proprio scrive ‘na poesia»
«Eccerto, così poi vado a Masterp
Si interrompe.

«Spè, come se chiamava la tizia che aveva manomesso lo script de Masterpiece?» chiede Maddalena.
«Lucrezia Banana»
«Un cognome della banana. E se ‘sto responsabile della Recon se chiamasse così? Banana?»
«Ma quella de Masterpiece era ‘na regazzina» fa Stefania, dubbiosa.
«Che ci vuole a controllà? Spostate» dice Maddalena, mettendosi sulla tastiera e digitando Banana “Recon SPA”.
Niente.

Banana cyberwarfare.
Niente.

 

Banana “sicurezza informatica”.
Un risultato.

 

23 gennaio 1992

XI° conferenza su sicurezza informatica e contromisure elettroniche
Relatori: Capitano Nick BANANA, MM.

 

 

«Marina militare?» mormora Stefania «direi che stamo fuori strada»
«Quanti cognomi così hai sentito?» fa Maddalena.
«Nessuno. Ma…»
«Di chi è e quando è stata fondata la Recon SPA?»
«Aspetta che vedo, me l’ero segnato…» dice Stefania, sollevando i fogli sulla scrivania «eccallà. Qui dice “dal 1998 forniamo servizi alle aziende” blablabla. Proprietario non pervenuto»
«Telefona»

 

 

Ore 18.00, ufficio del direttore.

«E poi… ascoltami, Eugenio. Tu e Asor Rosa che praticava “l’operaismo per vent’anni” dall’alto di università delle masse col sei politico e le bocchinare in kefiah. Ecco, voi due vi voglio vestiti da pretini che vi inginocchiate davanti a questa nerchia elefantiaca su cui mi scriverò a pennarello “berlusconi” e tutti e due ve lo contenderete con le vostre grinzose bocche avide. Tutte le mattine ti leggo tra gli afrori dei miei escrementi e penso ch

La porta si apre di scatto.

«Che c’è? Sto organizzando un’intervista esclusiva» dice il direttore coprendo la cornetta. Quando vede la faccia di Maddalena Balacco, riattacca. Fuori, sui marciapiedi, rifiuti e cartacce iniziano a sollevarsi, spostati da un vento di maestrale.

 

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Vicino a Padova, SP47, ore 19.50

«Il profumo è una parte irrinunciabile del guardaroba» sentenzia Gaetano Ciconte, alla guida del SUV. Davanti, Nick guida la sua Audi A8.
«Tutti sanno che le fragranze vanno scelte in base all’età, pochi sanno che il primo criterio di selezione dev’essere stagione e momento della giornata» prosegue il vecchio con tono meditabondo.

Santo Dio, pensa Nick, resistendo all’impulso di spegnere il vivavoce.

«…Di giorno dev’essere leggero, la sera si può osare qualcosa di più persistente. D’inverno speziato, d’estate aromi della frutta. A un uomo della sua età, dinamico ma classico, per il giorno suggerirei Eau Savage. Ma la sera? Cosa metterebbe, la sera?»
«La tua testa in un sacchetto, se non la pianti con queste puttanate» ringhia Nick, chiudendo un sorpasso con il contachilometri a 190.
«Forse La Nuit de l’homme di Yves Saint Laurent? A uno come lei potrebbe stare Tobacco di Tom Ford, o addirittura… Ce l’ho! Aventus, di Creed!»
«Prendi le pastiglie e torna a darmi informazioni utili, o quant’è vera la morte ti chiudo in un negozio di piazza Italia»

All’interfono si sentono dei rumori, poi un deglutire.

«Non ho l’indirizzo di casa di sua figlia né conoscenze in grado di rintracciarla, cos’altro posso fare? Andare nella sede della Casaleggio, suonare il campanello e dire “salve, sappiamo che lì sotto c’è qualcuno che ufficialmente non c’è, potete chiamarlo?»
«Non è Lucrezia, il punto»
«? E allora qual è?»
«Ci stavo pensando mentre farneticavi cose gay. Chi finanzia l’M5S smart version?»
«Non ne ho idea. In redazione Travaglio ci ha impedito di indagare. Dobbiamo fare obiezioni che piacciono al pubblico e fanno click, non robe serie. Visto che non possono ricevere finanziamenti dallo Stato avranno grana dagli imprenditori»
«Tipo chi? Servono valanghe di soldi per creare un sistema del genere. Gli imprenditori italiani medi stanno alla canna del gas, quelli alti sono tutti berlusconiani o piddini»
«Tanti piccoli imprenditori che donano 1000 euro fanno milioni di euro»
«I microimprenditori sono abbastanza subdotati da credere alle stronzate di Grillo, ma nove su dieci son persone avide e stupide. Non donano se non hanno promesse di rendiconto personale, sia pure un marciapiede riasfaltato. Se è andata così ormai si sono accorti che li hanno gabbati. E poi che cazzo, gli indipendentisti veneti erano diffusi a ragnatela in una regione come il veneto e facevano fatica a donare 800 euro alla causa»

«E allora da dove pensa che vengano i soldi?»
Nick accelera, notando gli alberi inclinarsi, spinti dal maestrale.

 

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MILANO, 2 Aprile, ore 22.30. Un appartamento nell’Isola.

Lucrezia entra a casa, appende il cappotto, si toglie le scarpe e ripone tutto nella cabina armadio. Dà una sistemata alla manica di una camicia fuoriposto. Perlustra con occhio attento ogni angolo della casa. Mette in carica il cellulare. Si spoglia, mette la camicia nel cesto della biancheria sporca, piega la gonna con cura e la appende. Entra in bagno, piscia guardandosi attorno. Raccoglie un gomitolo di polvere con il dito e lo butta nel bidet. Tira lo sciacquone, gira la manopola dell’acqua calda della vasca e chiude il tappo. Ci getta dentro una pallina di Flush, indossa la vestaglia, guarda l’orologio. Esce.

La casa è silenziosa.

In cucina monda l’insalata, ci butta dentro una confezione di mais, sette pomodorini, mezza confezione di tonno al naturale, mezza carota. Centellina l’olio su un cucchiaio da cucina. Quando è colmo lo versa dentro la terrina disegnando un semicerchio. Pulisce il resto del cucchiaio con una foglia d’insalata. Mescola, versa tre schizzi di aceto balsamico. Tira fuori una bottiglia di Prosecco, un bicchiere e un righello. Ci versa tre centimetri e mezzo esatti. Appoggia tovaglietta, forchetta e tovagliolo. Siede composta, schiena dritta, avvicinando la sedia al tavolo con un solo colpo di reni e braccia. Mangia in sette minuti. Osserva il vino senza toccarlo.

Terminata la cena si asciuga le mani, prende il bicchiere e torna in bagno, spingendo la porta con il piede. La vasca trabocca di schiuma. Chiude il rubinetto, lascia cadere la vestaglia e ci scivola dentro. Resta immobile aspettando l’acqua smetta di rimbalzare sulle pareti. Prende il vino e se lo porta alle labbra. Deglutisce.

Fuori, lontano, una sirena passa e svanisce.

I cardini perfettamente oliati della porta la riaprono. Il corpo di Lucrezia s’irrigidisce di scatto, la testa dritta davanti a lei, solo la vista periferica che osa guardare in quella direzione.

Cosa sta facendo lì dentro, signorina Banana? E’ sola?
Sì, signora.
Ne siamo proprio sicuri?
Sì, signora.
Ha cinque minuti per uscire da quel bagno, sarò qui fuori ad aspettarla.
Sì, signora.
E mi farà vedere i compiti.
Sì, signora.
O sarò costretta
Sì, signora.
Il comportamento suo e della signorina Rumor
Sì, signora.
Vuole uscire da quel bagno o no?
Sì, SIGNORA.
Cos’era quel tono?
Si, SIGNORA.
“SI” COSA, SIGNORINA BANANA?

«E STA’ ZITTA, PUTTANA!» sbotta lei, scagliando il bicchiere contro l’anta aperta.

 

 

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La casa e il suo silenzio non hanno nulla da replicare.

Lucrezia fa un respiro profondo e tremulo. Ascolta, affidandosi al senso che più ha affinato negli anni. Cinque secondi. Dieci. Al quindicesimo espira, batte le palpebre e si rannicchia nella vasca, entrambe le mani a coprirle i singhiozzi, attenta a non farsi sentire dai suoi fantasmi.

PIRIPIRI, PIRIPIRI, fa il cellulare in entrata. E’ la suoneria della Casaleggio. Lo raggiunge con tre balzi, infradiciando il pavimento.

«Parla» dice lei, con voce roca.
«Signora, la chiamo dalla control room. Sta… sta bene?»
«Sono le dieci e venti di sera, imbecille, dimmi cosa c’è»
«Ecco, l’onorevole Bernini…»

«Oh, CAZZO!» sbotta Lucrezia «quale abominevole stronzata gli è uscita dalla bocca?»
«Ha detto che il sionismo è una piaga»

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Lucrezia alza la testa al soffitto e lancia una bestemmia muta.

«Tutta la comunità ebraica è sul piede di guerra, cosa facciamo?»
«Mmmngh… C’è un documento audio o video che testimonia quest’orrore?»
«Giornale. Quindi al massimo una registrazione audio»

«Ok, perfetto. Pubblica una smentita. Dì che il giornalista ha sentito male, Bernini sosteneva che la piaga fosse lo Ionismo, non il sionismo. Ionismo»
«E cos’è?»
«I dialetti dello ionio o che ne so, non importa. Pubblica tre righe dove gli metti in bocca una profonda preoccupazione per l’analfabetismo dilagante e la perdita della lingua italiana, batti sull’aumentare i fondi alle scuole, assumere professori, roba così»

«Diranno che non c’entra, in un’intervista sugli ebrei»
«E noi diremo che la scuola serve proprio a insegnare la grande tragedia dell’olocausto. Game, set, match e vaffanculo»

«Signora, lei è un gen
Click.

 

Lucrezia rimane con il telefono in mano a guardare fuori dalla finestra, ascoltando l’ululato del vento. Guarda l’inclinazione degli alberi in strada, si concentra per un attimo, trova il nord. Sorride.

Se vuoi vedere il temporale, la mattina tramontana, la sera maestrale.
[continua]

Ma che cazzo, non posso lasciarvi un attimo da soli.

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Son stato nominato per i Macchia nera awards (#MIA14) come miglior sito letterario, miglior cattivo e miglior polemica online. In queste nomination colgo una sottile presa per il culo, quindi va bene così. Se davvero volete contribuire al degrado della letteratura italiana premiando tette, culi, mojito e gag con la merda, votate.

Cioè, passi per il cattivo, ma “sito letterario” è oltre.

E’ bellissimo immaginare libri intellettuali con copertine bucoliche e titoli tipo “la coscienza del sasso”, “la vista degli alberi”, “la memoria delle città” affiancati a una che twerka sul titolo “Dubstep, troie e superalcolici”.

 

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La letteratura italiana secondo i MIA14

 

Ed è tutta colpa vostra.

#YOLO

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L’Iraq è diviso in sciiti e sunniti. Gli sciiti sono la maggioranza. Da qualche mese, un terzo del paese è in mano a un gruppo islamico ultraestremista sunnita che si è autobattezzato ISIS, Stato Islamico di Siria e Iraq. Da due anni combattono nella guerra civile siriana contro Assad e siccome spararsi solo con le forze governative era banale si sono messi ad accoppare anche i ribelli moderati. Le differenze tra ISIS e gli altri terroristi schioppabomba sono che 1) dicono di essere uno Stato e non un gruppo e 2) sono così pazzi che persino Al Qaeda dice che esagerano.

1. Cosa sostengono questi babbei?
L’immancabile conquista del mondo featuring guerra totale contro occidente e Islam moderato. Vorrebbero istituire un califfato non si capisce dove o come.

2. Che fanno di bello?
Mah, roba tipo esecuzioni di massa da 1.500 persone (occhio, immagini orrende) e pianificare attentati da noi.

3. Da dove saltano fuori?
Quando Osama Bin Laden schiatta gli succede Al-Zawahiri, un medico egiziano che il giorno del giuramento di Ippocrate stava in vacanza. Assieme a lui c’è Al-Zarkqawi, un veterano del cacamento di cazzo mondiale fino a ieri rivale di Osama, giacché Osy voleva creare un esercito in grado di scacciare l’invasione occidentale, mentre Zarky voleva una guerra civile su larga scala. Nel 2003 la Zarqawi entertainment autobombisce una moschea irachena accoppando un centinaio di sciiti e l’ayatollah che stava andando bene nel moderare gli animi. Zarqy si esalta e seguita a far detonare cose finché nel 2006 gli USA fanno detonare lui. Gli succede un tizio, dronato nel 2010, a cui succede al-Baghdadi. Entra in gioco il generale Petraeus. A differenza di tutti gli altri americani rincoglioniti prima di lui, capisce che la linea dura non funziona. Petraeus parla con la popolazione locale, tesse alleanze, distribuisce aiuti, organizza pizzate indebolendo il consenso di Baghdadi e la sua filosofia del “la vita è una merda, fatti esplodere con un sorriso”. L’atteggiamento di Petry non piace a Washington. Lo silurano accusandolo del fatto che invece di scopare questa

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preferiva scopare questa.

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L’America si scandalizza: quest’uomo è malato, è anormale, non può stare a capo della CIA, dicono. Tutto torna come prima e nel 2011 Baghdadi ricomincia a ingrossarsi. Nel 2013 cambia il nome della crew in ISIS.

4. Quanti sono?
Non tantissimi. C’è meno gente lì dentro che a Camponogara, quindi per riuscire a far casino si alleano con gruppetti sparsi. Finora tengono sotto controllo 27 città. A fine 2013 han conquistato Falluja, Ramadi e altri cacai polverosi.

5. Dove pescano il cash?
Hanno istituito uno Stato grosso come la Giordania, organizzato una raccolta di soldi simile alle nostre tasse. Vendono elettricità al governo siriano dopo avergli conquistato le centrali elettriche. Esportano il petrolio che han rubato in Siria durante la guerra. Coi soldi stipendiano (assai bene) i miliziani, che rimangono fedeli. A questo vanno aggiunti i riscatti che l’occidente paga per riavere indietro le hipster che vanno lì per farsi i selfie da mostrare agli amici e finiscono come carne da stupro in mano a questi mangiamerda.

6. Che mi frega?
Parecchio, perché ISIS recluta tra gli occidentali. Italiani. E non solo figli di immigrati, ma proprio uomini nati e cresciuti a pizza e mandolino che un giorno hanno lasciato casa, famiglia e amici per andare in mezzo a terroristi assassini. Anche donne. E se sei arrivato a leggere fin qui sai su ISIS più di quanto ne sapessero loro: l’ultimo acquisto che due ragazzi inglesi di vent’anni hanno fatto su Amazon prima di arruolarsi erano “Islam for dummies” e “the Koran for dummies”. Direi che la religione era l’ultimo dei loro motivi. Allora perché? Cos’ha spinto 40 italiani a lasciare tutto per ficcarsi in mezzo a pazzi che parlano lingue sconosciute, mangiano pane e ragni, respirano sabbia, sguazzano nel sangue, stuprano, assassinano e dormono tra scorpioni e merda?

I giornali lo spiegano con “un profondo malessere esistenziale“.
Ah, cazzo, e io che iniziavo a preoccuparmi.

Voglio dire, per un istante avevo pensato che degli occidentali con aria condizionata, supermercati, servizi sanitari e Playstation che entrano in una setta d’inculacammelli assassini fosse un’enormità da analizzare. Qualcosa che fa nascere un casino di domande persino nella testa di uno come me, a cui basta guardare la Leo che twerka per dimenticare tutti i problemi.

 

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Però se è solo un profondo malessere esistenziale allora va tutto bene. Capita. Un Citalopram, un Tavor, un Minias, già che ci siamo andiamo ad ammazzare gente dall’altra parte del pianeta. A posto così.

 

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O forse no.

Perché mettiamo che dopo aver visto gli orrori di cui ISIS è artefice io decida di andare a spaccargli il culo; mi arruolerei in una milizia, sarei carne da cannone, impreparato, mal equipaggiato, non addestrato e pieno di buona volontà… solo che non posso farlo. Nessuno di noi può. E’ illegale. Se io oggi decidessi di formare una milizia per andare a uccidere quei nazisti mi arresterebbero. Sono sugli spalti di una partita, alla mia squadra manca un giocatore e le regole dicono che non posso sostituirlo, posso solo entrare nella squadra avversaria. Di fatto sono nato dentro un sistema che ha come unica reale alternativa quella di combatterlo.

A me sembra una cosa enorme.

Per un attimo ho pensato a sciachimisti, adolescenti suicidi, grillini, ultras, noglobal, neonazi, indignados e animalisti uniti da due parole: POTENZA INESPRESSA. Migliaia di persone ogni giorno si svegliano in una comunità che non gli piace e non possono uscirne. Alcuni lo accettano senza problemi perché ci si trovano bene come me, altri entrano in comunità parallele dove interpretare un ruolo diverso. I circoli neonazi, i CSO, i forum di sciachimisti e animalisti sono versioni più o meno straccione di Second life.

Fuori da lì tutto resta uguale e le dosi di Minias necessarie a non notarlo aumentano. Quindi che fai? Fight club e V per Vendetta fanno ragionamenti limitati e le alternative che propongono sono farse, opzioni improduttive al limite dell’onanismo. A che cazzo mi serve far saltare i monumenti o assassinare politici, nell’Unione europea? Ne arriveranno altri. A che mi serve distruggere i palazzi della Mastercard? Li ricostruiranno. Se anche ci fosse un’apocalisse zombie la società si ricostruirebbe evolvendosi nello stesso modo. Lo dice la Storia. Noglobal, anarchici, quelli che “un altro mondo è possibile” sono gamberi: seguono la corrente girati dall’altra parte – e lo sanno benissimo. Nessuno crede davvero che scrivere su un muro “boicotta ________” possa cambiare qualcosa. Lo fanno per vivere nella loro finzione.

Del resto che potrebbero fare?
Sul nostro pianeta non c’è più una seconda possibilità.

Non esistono posti inesplorati dove cambiare nome, lasciarsi tutto alle spalle e rifarsi una vita su una baleniera o con uno zaino e un fucile. Non c’è un solo lembo di mare o terra che non sia definito, legalizzato, legiferato e interconnesso. Nemmeno l’idea dell’avventuriero esiste più, oggi l’impiegato che sogna di evadere pensa ai Caraibi o scorrazza felice per le pianure di Skyrim. Non importa qual è la tua vita, bella o brutta che sia non hai modo di uscirne. Persino suicidarsi è illegale. Forse è per questo che più di mille persone sarebbero felicissime di andare su Marte senza possibilità di ritorno.

Io qui sto una crema. L’occidente è pieno di studentesse bisessuali taglia 42 che interpretano divinamente Anaconda. Ma se non avessi prospettive, se le mie scelte mi avessero portato al limite e mi dicessero che esiste una terra dove posso guadagnarmi una nuova vita sparando a quella banda di nazisti assassini lo farei di corsa. Non sono l’unico a volerlo fare, ma non posso. E 40 italiani con la merda nel cervello hanno deciso che pur di farlo saltano la barricata. ISIS ha monetizzato l’unico vero punto debole nel nostro sistema: il fatto che siamo condannati a vivere la nostra vita fino alla fine.

#YOLO.