Inside Out 2

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Riley ha 13 anni. Arriva alla festa di Frank, suo sogno erotico e popolarissimo a scuola. La casa è una villa a tre piani zeppa di ragazzini urlanti, musica, superalcolici, birra, sigarette e canne comprati grazie ai fratelli maggiori. Ha promesso ai suoi di tornare presto e di fare la brava. Del resto, sono due vecchi che si bevono qualsiasi stronzata. Riley è molto incazzata per avere due genitori tanto sfigati, ma stasera non li ha tra le palle e deve farsi notare dal suo idolo.

«DAJE RAGA» batte le mani Gioia, nella testa di Riley «tutti pronti, Tristezza nel cerchio magico, Rabbia fai i compiti per domattina e cerchiamo di fare bene.»
«S-s-sì ma» balbetta Paura «c’è tutta la scuola, qui. Una parola sbagliata e ci prenderanno per il culo fino a novant’anni. Non voglio diventare Mary Caccola.»
«O Andy Cagaddosso» completa Disgusto.
«Chad a ore due!» fa Gioia.

Chad è il miglior amico di Frank. Giocano insieme. Non è brutto, ma Riley lo reputa solo un ponte per il suo obiettivo. Sembra aver voglia di parlare. Lei lo asseconda e dopo qualche minuto di conversazione vuota, come aveva sperato, Frank li raggiunge. Lei ha le gambe deboli, il cuore in gola e lo stomaco sembra essere indifferente alla forza di gravità.

«Fumi?» dice Frank, offrendole una sigaretta.

A Riley sembra il regalo più bello del mondo. Non può mostrarsi immatura né spaventata, e ha già fatto un tiro ogni tanto. Chad se ne accende una e accende quella di Riley. Lei fa la prima boccata guardando negli occhi Frank e cercando di sembrare sexy. Invece lui si alza e se ne va, dando una pacca sulle spalle a Chad.

«M-ma dove…» fa Disgusto «dove va?! Perché?!»
«Ci molla!» dice Rabbia «ci molla con questo scemo!»
«Calmi, forse va solo in bag

Nella sala controllo tutti gli allarmi esplodono.

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Nella testa di Riley i suoni sono ovattati e distorti. Se fissa le luci, quelle esplodono fino a colorare tutto quello che vede. Sente il suo corpo. Percepisce gli alveoli dei polmoni, sente il peso del fegato, il sussulto del cuore. Si guarda le mani e scopre di poter unire le dita in un solo blocco di carne. Le osserva sciogliersi e ricostruirsi. Chad è ancora lì che le parla, ma lei non sente niente.

«Acqua!» urla Disgusto «beviamo acqua, ci hanno avvelenati!»

Il tilt organico si propaga a tutte le terminazioni nervose, mandando in corto circuito l’impianto visivo e uditivo. La sala piomba nel buio, rotto solo dal lampeggiare degli interruttori. Il montacarichi alle loro spalle si apre di schianto e appare una ragazza sui vent’anni. Ha il cranio rasato, una maglia di cotone verde oliva, un giubbotto di pelle raffazzonato, una bisaccia a tracolla, pantaloni neri che hanno visto tempi migliori, una cintura piena di scomparti, stivali usurati e polverosi. Scatta in avanti, afferra il braccio di Gioia, glielo torce dietro la schiena tirandola a sé e le punta un coltello alla gola, piccolo e spesso. Nessuno si muove.

«Cosa vuoi?» fa Rabbia, alzando le mani «chi sei?!»
«Io e la vostra amica abbiamo un lavoro da fare» risponde la ragazza. Indietreggia fino al montacarichi, poi col manico del coltello preme il pulsante discesa.

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Alla festa Riley sente il bisogno di stare da sola e di inseguire i caleidoscopi di luce. Non è triste, non è felice. Non è arrabbiata né spaventata. Si alza, ignorando Chad e le sue chiacchiere. Cammina alla ricerca di un posto isolato, facendosi largo tra ragazzi che si deformano al suo passaggio.

«Chi sei?» fa Gioia, mentre il montacarichi scende.
«Mi chiamo Xeni.»
«Xeni?! Sembra il nome di un detersivo!»
«Senti, ho venti minuti per salvare Riley e rimediare i casini che avete combinato in tredici anni, evitiamo le dissertazioni sul mio nome.»
«Riley? Ma sta benis
Xeni le gira la faccia con un ceffone: «Sì, finché stava da sola in cameretta. Fuori durerà meno di un gatto nel porto di Rejana.»
«Re…?»
«Lascia perdere» sbuffa Xeni, guardando l’acqua watch del Mulino bianco al polso.
Segna le 19:42. «Riley è in pericolo, punto»
«La sigaretta» sbianca Gioia «cosa c’era dentro?»
«Che ne so. A naso direi DMT. Calcolando la massa corporea della sottosviluppata…»
«Riley non è sottosviluppata!»
«No? Si muove per emozioni, come una blatta o un sorcio. E ci sta, al mondo c’è posto anche per loro. Ma Riley ha un destino diverso.»

Raggiunto il piano terra, Xeni la trascina verso la terraferma. Imponenti scaffali di ricordi. Immagini. Suoni. Voci. L’odore del tappeto quando giocava da piccola e quello delle confezioni di Lego appena aperte. Il suono di un aereo sopra casa e di un pallone Teranga calciato bene. Riley che tossisce fino a spararsi il cibo nel naso.
«Và! Và quanta roba sprecata» ringhia Xeni, camminando in fretta «dov’è Bing Bong?»
«Chi?!»
Il pugno la fa piegare in due e cadere per terra. Xeni le si accovaccia sopra: «L’amico d’infanzia. L’elefante rosa del cazzo. Dov’è?»
«S-si è sacrificato per salvarla.»
«Riley ha sacrificato l’amico immaginario per la gioia?»

Al Mulino bianco mancano 18:31

«Sì, che c’è di strano? Una persona deve essere felice!»
«Portami nell’inconscio, rapida» dice Xeni, tirandola su. Gioia mette le mani avanti come per proteggersi: «Qui nessuno lo nomina. Niente e nessuno di quello che entra lì dentro esce. È un buco nero.»
«Sì, per gli altri. Riley è diversa. Sbrigati.»
Gioia si dirige verso l’angolo estremo del cervello, seguita da Xeni.

 

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Sul letto, Riley è un radar vivente. Tutto sembra più vivido, chiaro, intenso. Le tende della finestra s’increspano come onde dell’oceano, dove saltano branchi di pesci luminosi che potrebbero essere pulviscoli di polvere al chiaro di luna, o spermatozoi a caccia di un contratto discografico. Fuori sembra qualcuno la chiami.

Al Mulino bianco mancano 16:43.

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Un condominio anni ’60 abbandonato. Fuori, il cielo azzurro del cervello è stato sostituito da nuvole grigie e minacciose. Gioia osserva, preoccupata.
«Cosa sta succedendo al cielo?»
«Quando il cervello sente qualcosa avvicinarsi all’inconscio attiva tutti i meccanismi di difesa possibili» fa Xeni, estraendo una torcia elettrica «e Riley, grazie a voi, non fa eccezioni. Da qui in poi devi fare tutto quello che dico io, capito? Qualsiasi cosa tu veda o senta.»
«C’è il rischio di morire?» fa Gioia.
«Qui dentro niente muore» fa Xeni «ma credimi, non è un bene.»

Al Mulino bianco mancano 13:02

Riley, in camera, non si accorge che la sua mascella fa movimenti lenti e scattosi. È troppo concentrata sulla fantasia floreale del copriletto. Prova a cogliere un fiore. Uno le resta in mano. Lo osserva, rapita. Bussano alla porta dietro di lei, e i colpi somigliano al suono che faceva il pallone da calcio in vacanza.

 

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Le lampade s’illuminano un istante prima che loro arrivino e si spengono appena passano. Le scale sembrano non finire mai. Gioia non osa guardarsi indietro, terrorizzata dal buio che sembra inseguirli.
«Senti, ho un’idea migliore! Bing Bong non è un mostro, giusto? Di sicuro non è qui!» dice correndo.
«Certo che è un mostro, rincoglionita.»
«Ma io me lo ricordo come un elefante carino, dolce, altruista, semplice!»
«Appunto.»
Alla fine delle scale c’è un tunnel.

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Davanti a loro provengono urla, grugniti e un clangore metallico, come quello di una catena che s’appoggia su una lastra di vetro. L’odore è disgustoso e dolciastro, merda fritta nell’olio delle patatine. Dietro, Gioia sente uno scalpiccio di passi frenetico.
«CORRI!» grida Xeni, scattando in avanti.
«Chi c’è là dietro!?» grida Gioia, seguendola a ruota «CHI SONO?!»
«Le persone che avresti potuto essere.»

Al Mulino bianco mancano 12:53

Chad apre la porta della camera e trova Riley immobile sul letto. Si siede vicino a lei. Le mette una mano attorno alle spalle, poi le fa passare le dita tra i capelli.
«Riley?» la chiama. Non ha risposta.
Si alza e chiude la porta della camera da letto.

 

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Xeni e Gioia percorrono un corridoio di cemento sgranato, la cui luce filtra da finestre coperte di muffa oltre le quali si intravede un bosco avvolto nella nebbia. Con la vista periferica, Gioia percepisce dei movimenti. Ombre. Fruscii. Se si gira verso il vetro, delle ombre ci si incollano contro, come per guardarla meglio.

 

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«Oh, Dio» fa Gioia «quanto durerà?!»
«Qui non esiste né tempo né distanza» fa Xeni, col fiato corto «l’inconscio è una dimensione in cui non sai quando, dove o se esisti. Non sei né quello che sei con gli amici, né quello che sei da solo. Sei come quelle figure alla finestra. Altre versioni di te.»
«E perché ho l’impressione mi vogliano fare del male?!»
«Perché è esattamente così» fa Xeni «una di quelle è un’eroinomane suicida che prima di morire ha visto sé stessa seduta al tuo posto. Una s’è fatta marcire l’utero ed è morta incontrando te nonna. Una è una morta di cancro ai polmoni vedendo te che non hai mai iniziato a fumare. Una s’è fatta sgozzare da un violento ubriaco e ha visto-
«BASTA!» grida Gioia, fermandosi contro il muro «Stai zitta. Basta. Ti prego, basta.»
Xeni si ferma, ansimando.

Al Mulino bianco mancano 10:12

Chad sussurra nell’orecchio di Riley parole che lei non sente, persa com’è nel guardare le stelle vibrare al ritmo della musica. Le annusa l’attaccatura dei capelli dietro l’orecchio. È un odore dolce e acerbo, coperto a malapena da un profumo di cui fanno la pubblicità durante MTV. Ci appoggia un bacio. Lei alza la mano verso la finestra. Sorride.
Lui la stende dolcemente sul letto.

 

Gioia e Xeni sbucano in una stanza tetraedrica, tutta di legno. Il pavimento è inclinato verso l’alto, il soffitto deformato e storto a sinistra. Il fondo è un blocco di buio da cui proviene uno scricchiolare di ossa. Gioia sbianca, indietreggiando: «Io so cos’è quello» ansima «andiamo via. Andiamo via!»
Xeni lancia un fischio. Lo scricchiolio tace, poi dei passi acquosi riverberano nella stanza, che diventa più piccola. Dal buio esce un cranio bianco e minuscolo. Gli occhi sono neri e sporgenti, il naso un buco sanguinolento, le labbra penzolano dal mento come la fica di una novantenne. Sotto si intravedono denti gialli e aguzzi. Gioia urla così forte da intontirsi.
«Ciao» dice Xeni.
Il mostro non si muove.
«Sto cercando Bing Bong.»
Gioia è rannicchiata in un angolo, annichilita.

Al Mulino bianco mancano 9:30

Hai mai pensato a come il suicidio risolverebbe tutti i problemi?

«Bing Bong» ripete il mostro, e la voce ha il suono del professore che scorre il registro.

Secondo me se lo uccidessi riusciresti a farla franca, basta pensarla bene.

«Amico immaginario d’infanzia. Elefante rosa, carino, simpatico» dice Xeni.

Ci vuole poco per avvelenare quel cane.

«Sì, lo conosco. È qui con noi.»

Sei una fallita incapace.

«Chiamalo, siamo di fretta.»

Ti sta per succedere qualcosa di brutto.

«Xeni» geme Gioia «tu non le senti?»
«Cosa, le voci nella testa? Sicuro. Fanno compagnia.»

Hai una malattia.

«Compagnia!? Come fa quest’inferno a sembrarti normale?! Voglio andare via! Rivoglio il cielo azzurro! I ricordi base! Falle stare zitte!» piange, coprendosi le orecchie.
«Ragazze, grazie per il benvenuto, ma Gioia qui è suscettibile» sospira Xeni.

E se provassi a fare la troia in webcam? Sono soldi facili.

«Ragazzeeeee…»

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Chad abbassa i jeans di Riley sempre più in fretta, con l’erezione che gli pulsa e un desiderio che parte dalle mani. Le stringe le tette, alza la maglietta, le infila sotto e le stringe ancora. La pelle è liscia e calda. Solleva il reggiseno e alla vista dei capezzoli rinuncia a spogliarla. Si apre la fibbia della cintura, ma è di quelle a corda e s’incastra. Gli tremano troppo le mani. Impreca, se la strappa con tutta la forza che ha. La fibbia cede, sfilacciandosi. Con un solo strappo apre i pantaloni, infila entrambi i pollici dentro i boxer e abbassa tutto in un unico gesto. L’uccello spunta fuori come un finanziere al Grand Hotel. Le afferra le mutandine – orsetti e macchinine, ma che cazzo – e strappa verso il basso.

Da piccola indossava un vestito a righe e papà le faceva gli orecchini con le ciliegie. L’estate era lunga, il giardino immenso e pieno di avventure. Ricorda l’odore dell’erba tagliata, il rumore delle cicale, gli angoli dei cespugli dentro cui si nascondevano goblin e troll pronti a rapirla. Ma lei non aveva paura, perché era con il suo migliore amico.
«Era fatto di zucchero filato» sussurra sul letto «aveva una bella bombetta e una giacca.»
Chad le copre la bocca con la mano.

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«Bing Bong!» grida Gioia, scattando in piedi e correndogli incontro. L’elefante ha la stessa espressione allegra. È un po’ ingrassato, ha una giacca nuova e dei guanti di pelle.

«Mi dispiace» piange lei, affondando la faccia nella sua giacca «mi dispiace tanto.»
«Oh, no» fa lui, abbracciandola «l’hai fatto per il bene di Riley. E poi qui sto bene. Ci sono le voci nella testa, il mostro sotto il letto, la cronologia di Youporn e gli incubi peggiori siano mai stati creati. È gente interessante. Basta non parlare di politica.»
«Non volevo dimenticarti. Non è giusto. Ti avevo promesso d-di… oh, Dio, scusami. Perdonami.»
«Certo che ti perdono» dice l’elefante.
Xeni manda un colpo di tosse.

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«Che ci fate qui?» domanda Bing Bong a Xeni «ti conosco?»
«Tra meno di otto minuti devi essere al quartier generale» fa Xeni, indicando Gioia «e rimediare alle cappelle di questa cinciallegra.»
«Ho qualcosa di utile» dice l’elefante, tirando fuori dal suo sacco una sfera giallastra. Appena la appoggia per terra, si gonfia. Lui ci salta sopra e le tende la mano. Somiglia a una sfera ricordo, ma è molto più grossa. Gioia afferra la mano e si sistema tra le sue gambe incrociate.
«Tu però non ci stai» fa Bing Bong a Xeni.
«E per fortuna. La mia parte l’ho fatta, se rivedo il mondo coccoloso lì fuori mi prende l’orticaria. Andate, io m’arrangio.»
La sfera parte come una palla di cannone.

Chad si sistema sopra Riley e la guarda in faccia. Cerca di entrare, ma i pantaloni di entrambi sono ancora attorno alle caviglie e i movimenti sono difficili. Non riesce ad aprirle le gambe a sufficienza. Struscia appena contro il cespuglio di peli ispidi. Non è facile come raccontava Frank. Incazzato, si alza e tenta di strappare via i pantaloni di Riley. Le scarpe fanno da tappo. Tira quella destra, ma i lacci sono troppo stretti. Si rassegna a scioglierli.

Al Mulino bianco mancano 2:00

«Cos’è questo ricordo?!» grida Gioia, gli occhi chiusi per il troppo vento.
«È un motivo!» fa Bing Bong «Il cervello degli umani non funziona solo a emozioni. Non produce solo ricordi. Ha bisogno di un motivo per funzionare. Cos’è che ti spinge a vivere? Chi te lo fa fare? Che senso ha? La risposta è questa sfera qui. A volte nella vita cambia, ma la prima nasce sempre dal subconscio.»
«E ci si può salire sopra?»
«Dipende dal motivo. E Riley ne ha uno molto forte.»
La palla disintegra la parete del condominio e vola su nel cielo grigio, diretta verso il quartier generale.

Al Mulino bianco mancano 1:15

Chad toglie una scarpa a Riley, sfila i pantaloni e l’orlo si incastra sulla caviglia. Lo strappa via di forza, poi monta su di lei e la guarda in faccia. Riley è un monumento al nulla più assoluto. Appoggia il cazzo sull’apertura e cerca di farlo scivolare dentro, ma è secca e ruvida come un sacco di juta. Si sputa sulla mano, se la passa attorno e ci riprova. Questa volta funziona, ma incontra resistenza. RIley fa una smorfia di dolore, mentre nota le orecchie di Chad allargarsi come le ali di Dumbo. Alza le mani per afferrarle, lenta. Lui la lascia fare.

Al Mulino bianco mancano 0:28

«Gioia!» fa Rabbia, guardandola uscire dal montacarichi con Bing Bong.
A lei basta uno sguardo al monitor per capire che la vita di Riley e tutto il loro lavoro stanno per venire disintegrati e sostituiti da una lunga, infinita serie di palline azzurre e viola.
«La consolle non funziona. Riley non prova niente» dice Tristezza.
«Ma non è vero» dice Bing Bong, avvicinandosi ai comandi «ha solo bisogno di un motivo per farlo.»

Al Mulino bianco mancano 00:13

Xeni, nel profondo dell’inconscio, guarda l’orologio e poi alza gli occhi verso il soffitto. Il mostro fa lo stesso.
Riley, distesa sul letto, per la prima volta dopo anni si ricorda Bing Bong.

«La maggior parte delle persone dimentica gli amici immaginari. Cresce, come su Toy Story. A tredici anni puf! Sei bello che sparito» spiega l’elefante, armeggiando coi fili dentro la consolle «e devi pensare all’amore, allo studio, agli amici, a cosa farai da grande. Non vuoi più andare sulla luna con il tuo elefante. Ma a volte…»

Chad con una smorfia trova la fessura giusta. Riley gli tocca le orecchie. Le mani scendono, accarezzandogli il viso. Lui non capisce, poi la vede avvicinarsi per un bacio. Sorride. Frank l’aveva detto che era una vacca. Le va incontro.

Al Mulino bianco mancano 00:02

«…a volte no» dice Bing Bong, prendendo delicatamente i comandi.
Il cielo nel cervello s’incrina e disintegra. Riley spalanca gli occhi.

«Alcuni, quando scoprono il mondo reale, ne hanno un tale orrore che l’amico immaginario diventa l’unico motivo per vivere» fa Bing Bong, alzando le manopole «allora pur di non lasciarlo morire, sacrificano Gioia. Per buona parte dell’adolescenza se la dimenticano. Assieme al loro amico immaginario si perdono negli abissi dell’inconscio. La personalità si frammenta.

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I valori, gli ideali, tutto quello in cui credevano, speravano, pensavano, crolla. È uno stato di morte apparente, un coma dell’anima. Non sanno chi sono, sanno che non sono più com’erano. Però hanno lui. E per lui combattono; soli, tormentati, torturati dai propri simili, si strappano la faccia che gli altri gli hanno appiccicato.

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Oh, che viaggio tremendo è la loro adolescenza. Vedere gli altri correre verso il lieto fine lasciando loro indietro è atroce. Ma resistono. Non importa quanta disperazione dovranno attraversare, quanti sacrifici, dolore, miseria, sofferenza o solitudine: l’elefante non deve morire. Non sanno perché, non ancora. Lo fanno e basta.»

Chad urla mentre i denti penetrano la carne, scavandola alla base del naso, facendo sgorgare un fiotto di sangue rosso e caldo. Tenta di sottrarsi, ma lo strappo fa saltare le cartilagini. Lei gli tiene la testa ferma e sente il sapore di ferro e adrenalina in bocca. Non è arrabbiata né spaventata.

Non sa perché lo sta facendo.

«…per un amico immaginario!» fa Bing Bong, premendo i comandi a fondo scala «per salvare un’idea, questi pochi ragazzini faranno amicizia col mostro sotto il letto, diventeranno amanti delle voci nella testa, affronteranno tutte le domande più orrende, le tentazioni più indicibili, i dubbi più strazianti che i loro coetanei evitano. E alla fine, quell’amico immaginario sarà in grado di assumere ogni forma. Si chiama fantasia. Un’arma che garantirà loro l’assoluta comprensione delle emozioni. Sapranno riprodurle negli altri. Riley è una di quelle persone. A tredici anni li chiamano disadattati, strani, alienati. Da grandi sai come li chiamano?»

 

 

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«…artisti» finisce Gioia «abbiamo cresciuto per tredici anni un’artista come se fosse una cheerleader.»

Il naso si strappa con un suono viscido coperto dall’urlo di Chad, che vede solo un muro rosso e il dolore è così forte da trasformarlo in una bestia senza raziocinio. Cade a terra tenendosi le mani sulla faccia, cieco. Riley si alza di scatto, coperta di sangue, il moncherino ancora in bocca. Lo sputa, poi ha un conato di vomito e indietreggia sul letto. Grida anche lei, mentre la porta cede di schianto sotto le spallate di due studenti.

Quando sull’ambulanza l’infermiere cerca di tranquillizzarla, Riley rinuncia all’idea di spiegargli che sta piangendo per un elefante rosa.

 

 

 

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«Per poco ‘sta cretina non la faceva diventare una figa di legno senza cervello» sospira il mostro, passeggiando nel bosco del subconscio. Xeni beve un sorso da una borraccia e brinda al cielo.

Tua madre non vedrà mai i suoi nipoti.

«Alla salute, ragazze» sorride.
«Che succederà a Riley, adesso?» domanda il mostro.
«Chi lo sa? Ogni storia è diversa. Potrebbe iniziare a frequentare questo posto, o restare in superficie e farsi domande. È un viaggio lungo, il suo. Però scoprirà che il lieto fine dei suoi compagni di scuola è il suo fine primo tempo. Tanto basta.»

Morirai sola circondata da gatti.

«Mi mancherete anche voi» fa Xeni, rimettendo la borraccia nella borsa a tracolla.
«Hai appena dimostrato che la droga aiuta il subconscio» fa il mostro «una morale pericolosa.»
«Te l’ho detto, ogni storia è diversa. La droga qui ha solo tirato fuori dall’oblio un amico immaginario. E poi noi siamo fantasie, bello» dice Xeni, incamminandosi tra gli alberi «il nostro scopo è aiutare gli uomini a vivere. Con ogni mezzo necessario, diceva qualcuno.»
Il mostro la guarda svanire: «Quel tizio troverà mai il coraggio di raccontare la vostra storia?»

Xeni fa un sorriso a labbra strette e mostra le dita incrociate.
La nebbia la inghiotte.

Fine.