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Disagio, Un altissimo momento di

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«Raga shkussate?»

Milano, una di mattina. Io e Leonora siamo all’Abnormal gallery per salutare un amico. Gente che conosco, fumettisti, birre, sigarette, vaffanculi vari. Ambientarsi in una città nuova è difficile. Non abbiamo ancora la nostra abbeverata personale, quindi vaghiamo alla ricerca di quello che un giorno diventerà il nuovo bar Verdi.

«Shkussate, oh? Raga?»

Non so chi stia facendo quest’imitazione femminile di Gollum. Al momento fingo di non sentire un baggeo impegnato a fare il monologo del cosmopolita con Leonora. Mi diverte grandemente quando ci provano con la mia donna, è come vedere i poeti che s’arruolano nella Legione Straniera: grandi progetti, grandi ambizioni, grandi discorsi al funerale.

«Raggazi shkussate vorrei dirvi… cose…»

Il monologo del Cosmopolita consiste nel riuscire a dire di essere stato a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona e New York nella convinzione questo faccia scopare. Come tecnica d’approccio nel 1990 strappava le mutandine delle aratro renegade, ma ormai nel 2016 anche il vicebidello di Caltanissetta ha fatto un interrail e del tuo biglietto Ryanair superoffertissima non frega un cazzo a nessuno.

«Raggha vi possho dishturbare?»
Mi giro.

Entrambe bionde, entrambe sulla trentina, entrambe vestite di nero e rovinate di alcool.

«Shiamo thornate da un mathrimonnio no? E c’è una feshta da noi dietro l’angolo, no? Siccome shembrate delle persone a modo volevamo invitarvi, no? Shè il diggei con la consolle e la locashion è molto cool. L’indirizzo è via Burziburzi 32, shercatelo su Guglmàpsh. Venite, no?» si allontanano.

«Che cazzo ha detto?» chiedo.
«Festa, casa sciccosa, moroso DJ» riassume Leonora «tanto non andiamo.»
«Co… Perché?!?»
«Non conosciamo nessuno, tu sei brillo, quelle sono fatte come il Cosmopavone e ci ficcheremmo in situazioni dove disagio, imbarazzo da empatia e voglia di sotterrarsi dominano.»
«Hai riassunto le migliori feste della mia vita.»
«Dimmi UN SOLO buon motivo per andare» incrocia le braccia Leonora.

«…talia il turismo è proprio una merda, eh? Non sappiamo sfruttarlo. Invece prendi Parigi. Io sono stato mesi, anni, a Parigi, ho anche dei parenti a Parigi, praticamente vivo più a Parigi che qui, anzi, ho proprio la doppia cittadinanza, cazzo come sono Parigino. Le donne amano Parigi. O anche Manhatt’n» insiste il monologhista, improvvisamente affetto da pronuncia uso Bastianich «ho vissuto molti giowni in un appawtamento a Brookl’n, y’know? Sei mai stata a Brookl’n?»

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Plin plon.

Il padrone di casa si chiama Diego, avrà la mia età, jeans attillati col risvolto a metà polpaccio, fantasmini bianchi dentro Oxford distrutte, bretelle, camicia a scacchi neri e rossi, barba da sant’uomo, calvizie a spazzola. La casa sarà un centinaio di metri quadri, che vista la zona sarà costato 92 vergini.

«Shiete venuthi» esclama la tappa, venendoci incontro «shono conthentha!»
«Abbiamo portato questa» dico, mostrando una bottiglia di Jack Daniel’s comprata all’Abnormal a un prezzo che meriterebbe una bomba della camorra.
«Bravih. Venithe ke vi presentho agli altri. Io shono Kathia, hic! Katia. Con la kappa.»

L’arredo è quello classico uso stanza di adolescente: tende bianche, tappeti bianchi, pareti bianche e mobili bianchi su cui troneggiano 873645 colori e giocattoli che non mi sono mai potuto permettere. Quadri a cornice bianca recitanti ordini materni “Love everything you do”, sull’angolo cucina “eat your veggies”, in cesso “wash your hands”, mi domando se sulla testiera del letto ci sia “penetrate vigorously”. Divanetti blu elettrico e una ventina di persone che chiacchierano. La musica (Indie) proviene dall’angolo libreria dove un tizio in maglietta grigia, porkpie e baffi smanetta i CDJ.

«Tu sei quello di Uomini e donne?» mi domanda uno.
«No.»
Disinteresse.

Leonora chiacchiera con l’unica gnocca della festa. Non sento i discorsi ma dal linguaggio del corpo credo vertano sui tacchi di mia morosa. È tutto un risate e sorrisi, là nella valle della vagina, mentre il vecchio Jack non riscontra grandi successi. Bevono tutti ‘naBio, “birra biologica prodotta con metodi artigianali”. Appoggio il Jack, assaggio. Riprendo il Jack. A me questa cosa che abbiamo smesso di pensare al piacere in cambio del benessere angoscia. Biologico, sano, naturale. Ho paura che alle porte dell’inferno troverò una fila di uomini che non fumano e donne che non scopano. Il meccanismo del senso di colpa anni ’90 oggi è il dovere dell’eterna giovinezza. Caffè decaffeinato, birra analcolica, prosciutto sgrassato, sigarette elettriche, pasta senza grano, fritture senza olio, chiacchiere per sms e chiavate col preservativo. Ma perché?
Soprattutto, dove cazzo è finita Leonora?

«E insomma tu scrivi» dice uno «cosa? Libri? Saggi? Sei giornalista?»
«Alterno articoli di alto livello come Le sette cose da non dire mai al primo appuntamento ad aneddoti di prostituzione, risse, degrado.»
«Sei serio?»
«Sì. Ma anche un libro di Storia.»
Non può essere in bagno.
«Tu invece che fai?» dico, perlustrando la stanza.
«Lavoro nel cinema.»
Non può essere andata via.
«Ah, bello! E… e in che settore?»
«Bè, a me non interessa la sfera della produzione, io sono al vertice del prodotto finale. Secondo me oggi il mondo del cinema è un carrozzone dei soliti che produce solo merda. L’Italia proprio non funziona, infatti lavoro molto di più con il materiale estero. Americano, perlopiù.»
«E cosa fai, il proiezionistahahaha HAHA HAHAHA HAHAHA» rido, dandogli una pacca sulla spalla.
«Sì.»

 

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«Perché, secondo te quello non fa parte del cinema?!» chiede, piccato.
«Sìsìsìsì è che…»
«Eccolo qua, per lui solo quelli che hanno il nome sullo schermo lavorano nel cinema, vero?!»
«Non ho mai detto questo!»
«Lo pensi!»
«No!»
«Sei uno snob, come tutti i milanesi! Ma che ne sai, tu? Chi cazzo ti credi di essere?!»
«Io… io sono solo un drogato!»
La risposta lo confonde.

Alle quattro e mezza sono ormai tutti cotti, fumo una sigaretta sulla ringhiera della corte interna guardando Milano sullo sfondo. Katia con la kappa esce, ormai rigonfia di birra biologica come una zecca.

«Hai prohppio na bela ragassa» dice, barcollante.
«Sì, sarei curioso di sapere dov’è. Bella festa, comunque.»
«Oh, bah… una cosa così.»
«No, no, credimi. Dalle mie parti non c’è tutta questa civiltà.»
«No? E cosa succede?»
«BE’ UNA VOLTA HO Vun mio amico, dico, ha versato il latte di suocera nel vaporizzatore d’essenze. Era una festa etnica, incenso, spirali, candele, così la nube ha impregnato le tende indiane che hanno preso fuoco. Altri ti cagano nel cellophane, ci attaccano sopra l’etichetta SALAME AL CIOCCOLATO e te lo mettono in freezer. Nove volte su dieci i padroni di casa lo trovano due giorni dopo, lo credono un regalo e lo mettono a sgelare sul tavolo della cucina.»
«GWAH GWAH GWAH» ride lei «MA QUESTA È BELLISSIMAAAHAHAHA, BELLA, BELLAOURGH» conclude, sparando un fiotto di vomito oltre il parapetto a potenza idraulica di diecimila atmosfere. I liquidi disegnano romantiche volute nell’aria, poi si spiaccicano nel cortile.
Restiamo a osservare il prezioso arabesco.

«Bel tiro» commento.
«Sì» dice, traballando «comunque la vita è un frrrrrr-r-r-r» bramisce ruttando, poi il corpo ha un tremito, le si girano gli occhi e collassa all’indietro. Di riflesso allungo la mano per prenderla. La buona notizia è che i reggiseni sono più solidi di quanto credessi. Si allungano. In alcuni casi funzionano come corda da bungee. La cattiva notizia è che invece i vestiti di Liu Jo no. Ora Katia è svenuta sul terrazzino, ha le a gambe larghe, le tette di fuori e io stringo un reggiseno strappato misto brandelli di vestito. Solo a quel punto Leonora decide di uscire con un sorriso e una sigaretta.

 

 

 

 

Le cadono tutti e due.

 

 

 

 

«Ha sboccato, è svenuta, io ho cercato di prenderla» riassumo.

 

 

 

 

 
«Dimmi che è viva» fa lei.
Guardo. Katia con la K russa.
«Sì. Chiamiamo gli altri e portiamola dentro.»
«Non puoi portarla dentro così, coprila.»
«Con cosa? Il suo reggiseno pare l’imene di Lea di Leo.»
«Ho una spilla di sicurezza in borsa.»
«Non azzardarti a lasciarmi da solo! Sai cosa sembra, ‘sta scena!? Vedo già i titoli di Libero.it.»
«Diocristo, allora mettile il mio» dice, facendo per aprirsi la camicia e fermandosi: «…ah, no.»
«Come no? Quando siamo usciti ce l’avevi.»

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Ma affrontiamo un problema alla volta.

Mi tolgo il montone, glielo metto sopra e chiamo la ghenga hipster che accorre in massa mentre io mi cago addosso dal freddo. Diego non è così sicuro le cose siano andate come gli racconto, ma la pozza di vomito è innegabile così come l’alito raggelante della sua donna, le mutande le ha ancora, io non ho segni di colluttazione in faccia. Recuperato il mio raffinato soprabito possiamo tornare a casa.

L’eterno meccanismo

15Inaccettabile pornografia.

Final-LookStupenda reclame di lingerie femminile.

Creating-eBay-Seller-AccountImmagine provocatoria per siti d’intrattenimento.

 

Immaginate un sito web che ha pochi accessi.
In passato ha macinato cifre notevoli, oggi è un miracolo se qualcuno entra lì per sbaglio cercando “preservativo incastrato ano aiuto”. Gli amministratori le hanno provate tutte seguendo questo meccanismo.

1. SPRUZZO DI DIARREA ISTERICA
Il capoccia dopo un pomeriggio tra XNXX e siti di sedicenti esperti decide di rivoluzionare tutto. Introduce il linguaggio SEO (consiste nell’usare parole chiave magari mettendole in grassetto, rovinando la lettura perché enfatizzano concetti del cazzo, ma l’importante è indicizzare, non creare roba buona). Gif di gattini, link acchiappa click a notizie inventate, gossip sessuali, cronaca nera, persino disinformazione. Tutto concepito da automi che “guardati ‘sto video” lo pronunciano “ti segnalo un possibile contenuto d’intrattenimento”.

Niente. A parte qualche click, la gente li snobba.
A questo punto o il sito chiude, o se ha ancora soldi in saccoccia passa alla fase

2. FRENETICA COPROFAGIA
È ora di contattare un esperto. Però gli esperti costano, e c’è un mio amico con un cuggino giocoliere che ha curato con grande successo un sito nel 1991. Viene quindi assoldato Denis, un idiota che crede spammare sia una strategia rivoluzionaria e vincente, quindi mette subito un banner che ti chiede la mail.

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Via mail, via social, via qualsiasi cosa, Denis crede davvero alla gente faccia piacere ricevere email che chiedono di leggere, mettere mi piace e condividere un articolo tradotto male e scritto peggio da un americano nel 2006 tipo “le foto migliori del Superbowl”, “10 motivi per cui è bello andare da Starbucks” e “10 cose da fare nel Tennessee”. Il sito ha una scossa iniziale perché lo spam è come l’eroina: i primi dieci minuti sembra una buona idea, poi muori. A meno che…

3. ORA CHE ME LO FATE NOTARE, C’È UN ELEFANTE MORTO SUL TAVOLO
Un giorno qualcuno si sveglia nel cuore della notte e telefona al capo.

«Capo, ho avuto un’illuminazione.»
«Deliziami con la stronzata mentre compilo la lettera di licenziamento.»
«E se provassimo a produrre roba decente?»
Silenzio.

«Tipo… originale?»
Silenzio.

«Intendo dire, bella. Originale e bella. Se una roba è buona non serve dire alla gente di mettere mi piace e condividere.»
Silenzio, poi: «Ragazzo, tu sei un genio.»

Parte la ricerca di un autore, che nel linguaggio degli alienati viene definito “content creator”. Mettiamo per assurdo l’autore riceva una proposta economica valida; gli viene richiesto di produrre un articolo “innovativo, provocatorio, con un linguaggio sopra le righe, che faccia discutere il web e sollevi un polverone”. Risultato.

Ieri sera ho scopato nel culo Pamela, poi mi sono pulito il cazzo sulle tende e sono tornato a casa.

L’editor appoggia il foglio asciugandosi le lacrime.
«Questo pezzo è fantastico» annuisce ammirato «faremo un casino di traffico. Ne parlo con il responsabile web. Ecco, però t’insegno una cosa che noi esperti sappiamo: se togli il nome della tizia viene meglio.»
Il testo diventa

Ieri sera ho scopato nel culo una tizia, poi mi sono pulito il cazzo sulle tende e sono tornato a casa.

Il responsabile web sussulta dalle risate.
«Fantastico, fantastico, esattamente il contenuto che ci serve» dice «però guarda, io conosco bene i meccanismi di Internet, è un po’ crudo. Così è perfetto e lo faccio subito leggere al direttore.»
Il testo diventa

Ieri sera ho sodomizzato una tizia, poi mi sono pulito il pene sulle tende e sono tornato a casa.

«HAHAHAHA FANTASTICO» ride il direttore, applaudendo «ora bisogna solo editarlo un pochino per non offendere nessuno e via. Cambialo così.»

Ieri sera ho fatto l’amore con la mia fidanzata, poi mi sono lavato e sono tornato a casa.

Divertito dall’esilarante contenuto di cui si sente co autore, il direttore condivide la perla con sua moglie, casalinga nullafacente a cui non sembra vero la sua opinione possa contare qualcosa.
«Tesoro, il pezzo è bellino, ma da donna posso dirti che

Versione finale.

Ieri sera ho fatto l’amore con la mia fidanzata e sono tornato a casa, ma mi mancava molto perché la amo.

Il giorno dopo il direttore dà il via libera alla pubblicazione del pezzo. Il sito spamma l’articolo su tutti i social network possibili. Tre quarti della gente vede il titolo, clicca, legge scorrendo veloce, pensa “che cazzata” e se ne va. Ermenegilda Zacconi, però, è un’obesa gattara che vive in una casa che odora di urina e soprammobili polverosi. È qualcuno, in Internet, perché ogni giorno combatte sulla pagina VIVISETTORI ASSASSINI e TE LO REGALO SE TE LO VIENI A PRENDERE BURZATE SUD. Leggere l’articolo le ricorda che ogni notte lei s’addormenta abbracciata alla propria pancia, così non esita a condividere l’articolo sulla sua pagina Facebook aggiungendo le seguenti righe.

SKUSATE MA KE RAZZA DI ARTICOLO È??????????? DOVREBBE FARMI SENTIRE IN COLPA XKE’ NN HO 1 RAGAZZO?!?

Sheron Bonesso, impiegata all’Esselunga di Rozzano, non legge l’articolo. Legge solo il commento di Ermenegilda. Tiene molto a fare bella figura con lei, perché è pur sempre una figura di spicco nel panorama animalista. Lo condivide aggiungendo

LEGGETE KE SKIFO!!!!!

Dopo decine di questi meccanismi il link arriva sulla bacheca dell’ARCI di Caltanissetta, che legge non per capire o divertirsi, ma per trovare qualcosa da dire. Condivide l’articolo sulla sua bacheca aggiungendo

Certo, perché al mondo gli omosessuali non esistono… gli unici che possono fare l’amore sono etero, giusto?
10,938 condivisioni indignate.

La marea d’odio arriva sotto gli occhi del direttore del sito che telefona al responsabile web per dirgli che è un coglione incapace. Il responsabile web dice che non è colpa sua ma dell’editor che non sa fare il suo lavoro. Gli telefona e gli dice che è uno stronzo. Il responsabile web pigola che no, lui non c’entra, ha fatto quel che poteva per correggere quell’articolo orrendo. Poi telefona all’autore e gli dice che è licenziatissimo. Il direttore nel frattempo riceve mail e messaggi di profonda disistima, tra cui spiccano quelli di gente che non conosceva il sito, non ha mai letto il sito, ma dice che non lo leggerà mai più perché si sente molto offeso. Di corsa, il direttore fa modificare il contenuto in

Nel rispetto delle diversità, dei diritti e dell'eguaglianza di ogni individuo, nel pieno consenso di entrambi e in ottemperanza delle regole dell'ambiente sociale e umano in cui mi trovo, senza trasgredire alcuna legge ho fatto qualcosa di eticamente corretto con qualcuno.

Il che, come la Storia insegna, peggiora le cose. Quando c’è una rivolta, MAI dare una concessione alla suburra. Perché gli dimostri che contano qualcosa. Se sanguini, puoi morire. Se cade un mattone, può cadere il muro. Non appena la suburra legge la correzione, tutti quelli che prima fottesegavano vedono che c’è la possibilità di sentirsi qualcuno. La suburra triplica in rumore e numero. L’articolo viene rimosso tra la folla festante che, soddisfatta, va a dar da mangiare al gatto da vincente. I siti concorrenti si affrettano a cavalcare l’onda del momento e saltare sul cadavere dell’avversario.

Noi ieri siamo stati a casa a guardare serie TV, dice un concorrente.
Noi ieri abbiamo avuto rapporti omosessuali consenzienti, dice un altro.
Noi ieri abbiamo salvato un gattino abbandonato, dice un altro ancora.
Tutti applaudono solenni.

Il sito torna a riciclare vecchi articoli che non fanno indignare nessuno perché non sono letti da nessuno. Due anni dopo, una rivista emergente con una redazione composta da persone “nuove, dinamiche, coraggiose e trasgressive”, contatta l’autore.

«Ci servirebbe un articolo sopra le righe, coraggioso, innovativo» dicono.

 

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L’autore manda “5 motivi per cui il tuo gatto è bellissimo” e aspetta il pagamento. Nell’ufficio, il responsabile web finisce di leggere, annuisce soddisfatto e gira il pezzo al grafico chiedendogli un’estetica chiara e d’impatto. Il grafico consegna. Il direttore apprezza, ammirato.

 

 

 

 

 

 

Basta cambiare un paio di cose.

Il pezzo con 54 colori, 35 font e le animazioni in flash appare sulla bacheca di Ermenegilda Zacconi che chiude l’informativa sui cookies, poi chiude la richiesta d’iscrizione alla newsletter, poi chiude il banner pubblicitario, poi cerca di installare flash player sul telefonino, annulla, riprova, annulla, riesce a leggere mezza riga e chiude l’articolo, sbuffando. La solita cazzata.

Volevo una palestra, ho trovato il cyberdiavolo

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«Noi le offriamo piscina, idromassaggio, solarium, corsi di zumba…»
«Sì, ma avete i pesi o no?» chiedo.
«Le faccio fare un giro.»

Mentre percorro questo curioso pollaio, noto che la clientela è giovane, predominanza femminile, pochi ragazzi paffuti e scazzati con l’inconfondibile faccia di chi si è iscritto da due settimane a causa dei bagordi e tra altre due settimane svanirà. Attraverso gironi danteschi di donne in idromassaggio che scrivono al cellulare, una piscina infestata di bambini urlanti e spalti gremiti di genitori. Ovunque, macchinette che distribuiscono merendine proteiche da 12.000 calorie l’una. Una pletora di quaglie da scopo che si contorcono a tempo di musica latinoamericana davanti a uno specchio.

«Questa è la sala dove occasionalmente facciamo anche soft crossfit. Conosce il crossfit?»
«Sì» dico.

Il crossfit è l’allenamento di Rocky o di qualsiasi pugile. Una volta te lo faceva fare il sor vittorio per 7 euro in una palestrina di pugilato di periferia, oggi te lo fa Denis, laureato in scienze motorie, per 120 euro al mese. Chi fa crossfit lo riconosci perché se ne vanta come se fosse una medaglia d’oro al valor civile. Ogni volta che uno si bulla di ‘sta cosa mi sembra di vedere le sue labbra pronunciare “io mi faccio estorcere mensilmente danaro da ex truzzi cresciuti a droga, Barbie girl e RICH sul culo”. Milano sembra essere la capitale di questo meccanismo, il che mi affascina oltre ogni dire.

«Vorrei solo dei pesi» faccio «sa, due bilanceri, manubri, una panca…»
«Sono nella sala wellness.»
«La cosa?»
Mi squadra come a dire non conosci la sala wellness, grezzo di merda? e tira dritto senza rispondere, finché si gira con aria orgogliosa e decreta: «Eccoci!»

Sei multipower.
Nessuna panca piana.
La barra per le trazioni usata come appendino.
Donne che chiocciano o leggono riviste sulle cyclette.

 

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«Non avete la panca piana» decreto, dimenticando il punto di domanda.
«È per allontanare i bodybuilder.»
«Cosa?»
«Sì. Spaventano la clientela femminile e fanno sentire inadeguati gli uomini. Noi vogliamo essere una palestra più friendly, sia dal punto di vista del budget che dal punto di vista emotivo. Una persona viene qui per rilassarsi, per stare bene, non per essere competitiva.»

Nemmeno i loro prezzi sono competitivi.
Gli va riconosciuta una certa coerenza.

«Ora venga, le parlerò diffusamente di come funziona qui» dice, trascinandomi via.
Ora sto scrivendo questo post sul cellulare sperando questa donna si renda conto che mi sta annoiando ai pazzi, dato che sono seduto in questo ufficio da mezz’ora e lei parla interrompendomi ogni volta che dico qualcosa più di “sì, ma”.

«L’abbonamento minimo parte dai 12 mesi, ma la promozione più conveniente sono i 36. Se lei…»
Tre anni.

Sgrano gli occhi: «TRE ANNI?!»
«Trentasei mesi» mi corregge.
«Signora, un patto col demonio è più brev
«Se non vuole versarli tutti subito, c’è la possibilità del prelievo dal conto corrente mensile fornendo i numeri di una carta di credito valida.»
«Sì, ma il passo successivo è darvi mia moglie in ostag
«Tenga presente che sarebbe l’offerta più conveniente.»
«Di cos
«Molti dei nostri clienti hanno fatto questa scelta.»
Faccio per parlare, mi giro verso le tizie che si contorcono sulla zumba.
Riporto gli occhi sulla venditrice.

«Quelle hanno gli alimenti dal marito» dico.
«Anch’io. È Milano. Secondo lei perché qui la maggioranza dei maschi è gay?»
«Per la moda?»
«No, per difesa. Firmi il contratto.»
«Sìsìsì, ci penso su» dico, alzandomi.
«Non se ne può andare. Ora voglio raccontarle la storia della mia vita. È il primo uomo a Milano che mi ascolta» dice, agguantandomi la manica.
«Mi lasci.»
«Ho fatto un figlio con un uomo sbagliato.»
«Signora, lasci la manica.»
«Mi ha mantenuta fino a cinquant’anni e adesso devo fare questo lavoro di merda, ma sono una persona solare.»
«Molla!»
«Ho anche un profilo su Badoo e Adottaunragazzo.it»
«MOLLA, PAZZA, MOLLA!»
«Firmi questo contratto, il maestro di sci del bambino devo pagarlo io perché il giudice…»
Le entro in faccia in maniera strabiliante.
Le labbra di gomma mi rimbalzano il pugno, strappandosi e rivelando una mascella metallica sotto cui scorrono fibre ottiche e lucine.

«Lasci cinquanta euro per la consulenza» dice, tentando di ghermirmi con le dita magnificamente curate. Mi tolgo la cintura e la frusto facendola retrocedere. Le sferzate strappano i vestiti svelando uno scheletro metallico e circuiti. La fibbia le colpisce un occhio, sotto cui pulsa una microcamera con luce rossa. Il cyborg si rialza.
Tento la fuga.
La porta è sbarrata dall’esterno.
Afferro uno schedario e lo scaglio contro il vetro della finestrella, infrangendola. Dallo schedario piovono cambiali, reni in pegno, fedi nuziali, polmoni seminuovi, certificati di verginità, documenti di adozioni, feti in formaldeide, chiavi di automobili, contratti firmati col sangue, denti, orologi, un lingotto d’oro con la svastica nazista. Lo uso per ripulire il bordo della finestrella dalle schegge di vetro e lo scaglio sul petto dell’automa.
C’è un TUNNNG metallico.

«Va bene, mi ha convinto» dice l’essere, ora con voce meccanica «le parlerò della tariffa basic. Con soli settanta euro al mese lei avrà diritto…»

Prendo il monitor con entrambe le mani e glielo spacco in testa, poi mi arrampico verso la salvezza. Mi afferra i pantaloni: «…Illimitato accesso all’area ristoro, le centrifughe bio a soli 8,99 e

La parola BIO scatena in me un attacco di diarrea incontrollabile. Dal culo scoperto esplode un geyser verdastro che centra il volto del cyborg.

«Becca ‘sta caparra, mostro» dico, divincolandomi.
«Ha quindi scelto l’opzione TOTAL WARM UP VIP ACCESS, con consulenza plicometrica e/o esame delle feci/urine/prelievo del sangue necessari ad ottenere punti FIT per assicurarsi uno sconto del 2% su certificato medico (obbligatorio entro una settimana dal primo accesso) eseguito da personale medico convenzionato al prezzo di 74,99 euro?»

Frano sul marciapiede sottostante. Mentre mi spolvero i vestiti la sento continuare a borbottare di incredibili vantaggi e fantastiche offerte. È quasi ora di pranzo, devo fare la spesa. L’Esselunga è un’istituzione, per Milano. Entro nel primo che mi capita, guardo i prezzi dei petti di pollo. Ruoto lentamente, molto lentamente, la testa verso destra.

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Un commesso mi fissa con espressione vuota.
Con cautela, porto la mano alla cintura.

Il buon anno del mio migliore amico

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«…e così ho vinto il master con il dottor Brazzilio Garrusoni Analkin Cristo, non so se sai chi è, tipo Dio.»
«Complimenti» dico.
«Sì, lui ha un approccio tutto suo, pazzesco. Appena uscita mi ha contattata la Rudolph&Ciccino per uno stage. Non pagavano quasi niente, però non hai idea delle cose che sono successe dentro.»

Caterina è bionda, un fisico splendido avvolto in un tubino nero e un paio di plateau neri di quell’altezza in bilico tra la manager e la pervertita. Lavora nel mondo delle banche, ha 26 anni ed è single perché il suo candidato marito all’ultimo minuto ha cambiato idea. Al primo appuntamento si fa la ruota cercando di mostrare il meglio di noi e di ridurre al minimo il peggio. È un sottile equilibrismo tra balle clamorose, mezze verità, omissioni ed egopatia. Devi essere affidabile, rispettabile, economicamente stabile, socialmente integrato, sportivo ma non fissato, simpatico ma non idiota, maschile ma non aggressivo e così via. Non devi solo venderti, devi saperti vendere bene.

«…così son stata io quella che ha dovuto rimediare a tutto, ti rendi conto?! Una stagista!»
«E io che pensavo la banca fosse un lavoro noioso.»
«Noo, perché tu vedi l’esterno! In ufficio ci son giochi di potere paurosi. Ti racconto questa.»

Lo vedo entrare dalla porta principale. Pupilla lucida, lieve barcollare, sporge il collo per annusare un tizio che sta pagando al bancone. Si ritrae schifato.
Il cuore mi diventa pietra.

«…lla fine ho dovuto sistemare tutto io, perché sono solo la stagista, capito? Così. Ti sembra normale? A un’altra è capitato che»

Lui mi vede. Vede la sedia dove c’è lei.
Riporta gli occhi nei miei. Sogghigna.

«Ti annoio?» chiede Caterina.
«Nononono» dico, mentre sotto il tavolo gli faccio cenno di andarsene.
«Perché questa è la mia vita, oggi» dice lei, seria.
«Certo.»
«Sono una che s’è fatta un mazzo così per arrivar
Ario si siede sulla terza sedia, prende il mio bicchiere, lo beve guardandomi negli occhi e lo riappoggia sul tavolo.

«Dove sono i miei soldi, negro?»

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«Caterina, questo è il mio migliore amico, Ario» dico «e sta per andarsene.»
«Ensciantè madamuasèl» dice lui, facendole il baciamano «ho interrotto qualcosa?»
«Hahaha no, anzi!» fa lei «ho l’occasione per fare un interrogatorio incrociato! Il tuo amico è una brava persona come sembra?»

«No.»

Caterina fa un errore molto comune, ossia fa buon viso a cattivo gioco. Cerca di essere cortese con Ario. È sbagliato. Ario va trattato alla stregua dei tossici per strada che cercano di attaccare discorso. Va ignorato con il più gelo possibile. Non deve capire di essere stato visto o notato, perché qualunque essere vivente è una potenziale tanica di benzina senza tappo.

«Scherza, non ci badare. Cosaaa… cosa fai a capodanno?» dico.
«Ho deciso che lavoro» dice Ario, alzando la mano per chiamare il cameriere.
«Il 31?» domanda Caterina «che lavoro fai?»
«Il saldatore a porto Marghera, ma ovvio, il 31 la fabbrica è chiusa. No, no, dicevo spacciare.»
Caterina scoppia a ridere.

Nessuno di noi due la emula.

 

 

Caterina smette.

«Parla sul serio?»
«Mica droga vera. Vendi pacchi agli sbarbati. Non le hai raccontato i tempi in cui vivevi da sfollato? Ogni mattina doccia fredda con le taniche d’acqua che si riempiva in palestra della piscina del Bissuola…»
«Cosa?» fa Caterina, alzando un sopracciglio.
Il cameriere prende l’ordinazione di Ario. Io tracanno tutto il whisky e soda e gliene chiedo un altro.
Tanto, ormai.

«Sì, sì, viveva in un garage subaffittato a sala prove a Marghera, davanti al molo in via dell’Elettricità. Zero gas, zero acqua corrente, manco nel cesso. Così usava le taniche di plastica dell’acqua distillata, hai presente? Se ne metteva quattro in borsone e le riempiva lì, ‘sto brutto morto di fame.»
«Ma perché?» mi chiede Caterina.

«È una storia lunga e personale» dico.

«Soprattutto è una storia di pura illegalità. È così che ho conosciuto il manolesta, qui. Porta Nebo in una stanza tipo The Cube e troverà comunque qualcosa da grattare, è come se avesse la colla sulle mani. Ti ricordi che giornate? Sveglia alle sei, tanica e saponetta arrubbata, colazione alla terrona nella hall degli alberghi più prestigiosi e poi via, rubbare e truffare, truffare e rubbare. La connessione…

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…sniffata all’ufficio, i mobili del rigattiere nella stufa, il bottino dei cassonetti Caritas pronti per essere venduti ai mercatini, i tronchi di legno coi paralumi spacciati per lampade di design… Tempi gloriosi. E poi, la droga.»
«Cioè eri un bestia punk?» fa Caterina.

«Nooo, tranquilla, solo un drogato» fa Ario, facendo il gesto di rassicurarla.

«Ario, per piacere» dico.
«Giusto, torniamo alla finta droga. In pratica…»
«Te ne vuoi andare?»
«In pratica mia madre inghiottiva pastiglie omeopatiche perché scorreggiava come un dinosauro» fa Ario, prendendo la birra dalle mani del cameriere «noi le tritavamo sul tavolo, aggiungevamo un po’ di chiara d’uovo, coloravamo con l’inchiostro delle cartucce stilografiche, mescolavamo. Usciva un fanghetto secco, azzurrino. Facevi lo stampo coi contenitori dei sigari, con lo stuzzicadente incidevi un cuore, uno smile o una lettera, aspettavi che si seccasse e poi via con la mia 127 a vendere ‘sta merda al Goduria, all’Extra Extra, in tutti quei posti dove gli zappamostro s’accoppiano. Appena vendevi la prima facevi partire il conto alla rovescia di un’ora, poi telavi.»

«Perché un’ora?» fa Caterina.

«L’MDMA ci mette un’ora a fare effetto, circa. Non è detto che chi la compra la prenda subito, ma così sei sicuro di volatilizzarti prima che s’accorgano della truffa. Un paio di volte c’hanno riempito di botte, ma basta mettersi la conchiglia nelle mutande e sei abbastanza tranquillo. O i paratibie perché tanto hai le braghe da rapper e non si vede. O i libri sotto la felpa tenuti fermi dalla cintura, se proprio c’è aria di coltello negro. Ti ricordi all’Euroafrique?»

«Sta esagerando» dico.
«No no, tutto vero. Sono il suo migliore amico. Abbiamo litigato una volta sola a capodanno per colpa di una zoccola.»
«NO!» dico.
«Ooh, ma che meraviglia» fa Caterina «chiami così tutte le ragazze?»
«No. Solo quelle che danno il culo per soldi sul terraglio alle tre di mattina.»
Silenzio.

«Cioè… andate con le prostitute?!»
È goal.

«AHAHAHAHA HAHAHAHA HAHAHA» fa Ario.
«AHAHA HAHAHA HHAHAHAHAAHA HAHAHA» fa il cameriere.
«AHAHA HAHAHA HAHAHAHAH HAHAHAHA» fa il barista.
«OOHA HAHAHA HAHAHAHA HAHAHAHA» fa il tavolo di fianco al nostro.
«AHAHA AHAHAH AHAHAHAHAHAH HAHA» dice un uomo, entrando nel locale con un casco da motocicletta sottobraccio.

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«P-potrebbe essere capitato» dico.
«Sì. Diciamo che se entri in una gelateria, è pieno di gente che mangia il gelato, c’è un banco pieno di gelati e dietro il banco c’è un tizio vestito di bianco con in mano una paletta, potrebbe capitare che sia il gelataio» fa Ario.
«Siete disgustosi» fa lei «gli uomini veri non hanno bisogno di andare a puttane.»
«Nemmeno tu hai bisogno di cioccolata, eppure scommetto che ti scofani Nutella alla vavavuma» fa Ario «non hai neppure bisogno di una camicetta nuova, ma scommetto il tuo armadio trabocchi di ciarpame. Quindi?»
«Ario, vattene. Per piacere. Mi sto incazzando.»
«Dov’ero? Ah, sì, la zoccola. In pratica torniamo dall’Area city fatti come faine dislessiche, sai quando provi a parlare e le lettere ti escono a casaccio, tipo isivsto hai la occozzola slu blobobordo stradada. All’altezza di villa Salus vediamo ‘sta tipa in giarrettiera. Non vogliamo intaccare i meritati guadagni, così decidiamo di trombarla in doppietta per risparmiare.»
«Ma che schifo!»
«Ario» dico.

«Devi capire che la tensione era alle stelle, il sangue al cervello scarseggiava, la pecunia anche, bisognava riuscire a penetrare in fretta prima dell’inevitabile down da bamba per cui finisci a cacare a bordo strada convinto di morire.»
«Benissimo, bravi» fa Caterina.

«Lo so, ma aspetta ad applaudire. La negra si dimostra subito una scaltra opportunista, mentre nel cuore speravamo che essendo noi giovani e gagliardi optasse per il gratuito. Capita. Invece la sguattera voleva estorcerci del danaro. Per il culo spara somme spropositate e rinunciamo in partenza, ma stacchiamo cinquanta euro per bocca e figa. La carichiamo e c’è il primo problema, ossia che in macchina non puoi trombare in tre, capisci? Dunque la mettiamo a pecora dietro la casetta del distributore di benzina. Facciamo pari e dispari, vinco io e mi prendo la bocca, perché aveva le chiappe congelate e sbatterci contro è sgradevole.»

 

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«Il galateo impone che nella doppietta dopo un po’ fai cambio.

«Il galateo» ripete Caterina, non si capisce se intenzionata a ridere, piangere o vomitare.

«Sì, insomma, le normali regole del viver civile. Ma Nebo non ci pensa nemmeno, perché sospetto voglia tentare il colpaccio.»
«Cosa, rapinarla?» fa Caterina.
«Senti, davvero, sta inventando tutto» dico.
«Glielo butti al culo di sorpresa e contemporaneamente rilanci di dieci euro» spiega Ario, mimando il gesto di togliere il cazzo da un buco e metterlo nell’altro «lei a quel punto ci son buone probabilità lasci fare perché ha fretta. Solo che io voglio far cambio. insomma, è mio diritto. Così ci mettiamo a litigare con ‘sta zoccola in mezzo che va avanti e indietro. Insulti pesanti, escono i sentimenti e tutto.»

Vorrei non accorgermi che tutti i tavoli attorno stanno ascoltando.

«Morale della storia, finiamo a turno. Almeno Nebo in ‘ste cose è affidabile. Voglio dire, vai a trans con Luca e una volta su cinque gli scappa l’orgasmata violenta.»
«A Luca?» chiedo.
«Sì, sì. Fastidiosissimo. Come sborra attacca a prendere a pugni nella nuca ‘il viados, matematico.»
«Fate schifo» sentenzia Caterina «tutti e due, siete la prova che i maschi sono merda.»
«Sì. Ma tutto questo mi porta al capodanno del 2006» fa Ario, bevendo.
Caterina fa per alzarsi.

«Aspetta, devi saperla tutta» la ferma Ario.
«Faccio a meno, grazie.»
«Caterina, pensaci. Pensa a quante cose potrai raccontare al tuo prossimo appuntamento: una volta sono uscita con uno che. Pensa la telefonata che farai alle amiche appena esci da qui. Davvero vuoi rinunciare a tutto questo? Cinque minuti, dopo i quali qualsiasi altra persona conoscerai potrai dire ehi, è comunque meglio di quello lì. Sei giovane, bella, hai tutta la vita davanti. Starai seduta ad ascoltare uomini parlare di master e viaggi e li saprai apprezzare ancora di più. Molte donne oggi sono infelici perché hanno la testa impestata di stronzate dai telefilm. Standard troppo alti. Qui puoi conoscere il fondo del barile grattato, Caterina. Comunque te ne andrai da quella porta senza tornare mai più, ma puoi scegliere se rendere i prossimi centoventi secondi un’esperienza di vita o un aneddoto da dimenticare.»

È raro avere il privilegio di vedere gli occhi di una persona che ti odia. Oggi è tutto digitale. Silenzioso. Invisibile. Nessuno si prende più la responsabilità di confessare l’odio. Lo si maschera con battutine acide, lo si camuffa con sorrisi di circostanza. L’odio è più difficile da confessare dell’amore, forse perché ci mette sul serio a nudo. Non puoi criticare qualcuno, se ama. Se odia, invece, è vulnerabile. Magari è per questo che gli animalisti dicono di amare gli animali: suona meglio di dire che odi la società. Hitler amava gli ariani, dopotutto.

Caterina si siede con il naso e le labbra che tremano di disgusto.

«Sentiamo» dice, mettendo le mani sul tavolo.

«Brava. Il timer ci scatta che mancavano venti minuti a mezzanotte» fa Ario «e il Drogatoio 69 non è posto dove conviene stare, se hai truffato qualcuno. Così decidiamo di tornare verso Mestre. È chiaro che festeggeremo la mezzanotte in autostrada. Ci pigliamo male, anche se abbiamo svoltato bei soldi. Così andiamo in Autogrill. In parcheggio ci son tre camion. Entriamo, i commessi sono solo maschi, tutti con la faccia di chi sa fare un coltello con una lametta da rasoio. Ci guardano, li guardiamo, e scoppiamo a ridere. A mezzanotte ci offrono tutto, fuori c’era un camionista slavo sbronzo perso che correva nudo… E poi, all’una, come succede tra uomini in certi casi, ci si racconta. Non c’è la fica, possiamo dire la verità. Ecco allora uscire la rapina sgamata, lo spaccio sbagliato, il furto, lo scippo, la truffa. Le dipendenze più disparate. Dio, se solo avessimo avuto un paio di zoccole sottomano sarebbe stato il capodanno perfetto.»

«Finito?» fa Caterina.
«Sì.»
«Bene. Grazie per questa splendida lezione di fallimento umano» dice, alzandosi.
Evito accuratamente di guardarla in faccia mentre se ne va. Quando la porta si chiude, il tono di voce dei tavoli vicini ritorna a volumi accettabili. Bevo una lunga sorsata.

«Sai cosa penso?» fa Ario.
«No.»
«Era bello, rubare.»
Buon anno, signori.

Un giorno con un agente immobiliare

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Sono in macchina con l’agente immobiliare, un’Audi A6 immersa nel traffico di Milano. Lui ha la mia età, una cravatta regimental anni ’90 larga come una pinna, un completo Pal Zileri da matrimonio mafioso e scarpe a punta. Dice che sto per vedere un quartiere molto sportivo.

«I giovani oggi vogliono una location poliedrica, che gli permetta di interfacciarsi con immediatezza a realtà differenti dalla loro. Il social è anche street, oggi.»

Vorrei cacargli in faccia e andarmene, ma ho bisogno di una casa. Così faccio finta di capire cosa cazzo abbia detto. Mi domanda se sono sposato, dico che ho una ragazza.

«È una… vecchio stile o moderna?»
«Non la seguo.»
«Cioè, bada alla differenza tra il sesso consensuale e quello diversamente consensuale?»
«Mi sta chiedendo se le piace essere stuprata?»

Spiega che a Milano la parola “stupro” non si usa in caso di violenza sessuale. Qui una donna dice di essere stuprata se la critichi o se è pentita di essere venuta a letto con te. La violenza carnale, a Milano, si chiama sex misunderstanding. Rifletto sui pro e contro della bomba a piazza Fontana quando dal finestrino noto un uomo. Corre tenendosi un braccio sanguinante, inseguito da tre energumeni. Dico all’agente di fermare la macchina, ma lui ride e scuote la testa.

«Le ho detto che questo è un quartiere sportivo. Quelli stanno facendo reality fitness. Si tratta di jogging, parkour e crossfit insieme. Serve a simulare una rapina per rendere l’allenamento più real, invece del solito monotono weight lifting. Stanno benissimo, si fidi.»

Dico che mi pare una puttanata, ma lui dice che a Milano è così. Tutto si mescola, qui. Ci sono officine con bar, librerie con discoteche, fabbriche con ristorante, negozi d’abbigliamento con pizzeria, palestre con vegan pub e negozi di alimentari sostenibili con iPad e arredi Zara home. Rassicurato, osservo l’uomo venire massacrato di botte. Dall’altra parte del marciapiede una coppia con un bambino urla in mezzo a un capannello di persone. L’agente nota la scena e mi tranquillizza ancora: si tratta di uno scambio culturale. In certe zone di Milano, quelle più cosmopolite, a volte esci a fare la spesa e quando torni trovi in appartamento altre realtà familiari.

«Cioè la suburra ti espropria casa?»
L’agente ride del mio provincialismo.

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Milano ha voglia di fare e disfare, costruire e ricominciare. Dunque i desperados ti fanno un favore ad alleggerirti. Un trasloco coi computer, la televisione, la lavatrice, i mobili è uno strazio. Invece così prendi il bambino e sei pronto. Un nuovo inizio. Mobilità, questa è la parola chiave. Aggiunge che coi giusti mediatori culturali è possibile comunque ottenere indietro qualcosa, tipo la roba di valore affettivo. Questo mi conforta. In sette anni mia morosa ha buttato via ¾ del mio guardaroba mentre io non ho ancora trovato il modo di far sparire il suo pelouche demmerda; è bello sapere che nemmeno un manipolo di zingari può riuscirci.

Parcheggia sotto un condominio grigio circondato da aiuole che pullulano di immondizia. Tra il ciarpame noto figure umane coperte da cartoni, sacchetti della spazzatura sventrati. Uno sta cucinando un ovetto al tegamino su un falò, accompagnandolo da un delizioso Tavernello. L’agente dice che non devo preoccuparmi, si tratta di una precisa scelta stilistica dell’interior designer. Ora va l’industrial grunge, ma domani se gli gira potrebbero essere tutte boiserie di noce e carta da parati. Quando domando se è vero, mi dice di leggermi qualche rivista d’interior design.

Con la tessera dell’arcigay ti fanno lo sconto.

L’ascensore ha due travi di legno che formano una X. Sui muri leggo Rekon, Jamal Abi, Degrado Krew, Milano Bronx d’Italia, Welcome to favelas, Francesca troia, w lega nord. Le scale sono impreziosite da un tappeto marroncino che sospetto un tempo fosse rosso. Arriviamo al sesto piano senza incontrare anima viva, né sentire alcun rumore provenire dalle case. Al terzo mi sembra d’intravedere un uscio socchiuso. C’è odore di urina, vomito e qualcos’altro che somiglia a muffa e mostarda. Dico che per me possiamo anche andare perché qui dentro sembra il set di Fallout, ma lui insiste dicendo che sono provinciale. Qui, spiega, abitano fior di laureati.

«Guardi» dice, suonando un campanello a caso.
«Chi rompe collioni?» risponde l’interfono.
«Salve, sono l’agente immobiliare Vanghetti, volevo sapere se lei è laureato.»
«Sono laureato in coltelli, filio di putana, vengo giù, ti ammazzo.»
L’agente dice che oggi si laureano in un sacco di cose.

Sono sei mesi che giro appartamenti con tutte le agenzie immobiliari possibili. Le stesse che dal vivo mi fanno vedere cacai immondi, poi via mail mi mandano posti stupendi che costano tre volte il budget che gli ho dato. Alla fine ho risolto grazie al passaparola. A trentacinque anni ho imparato che non importa se vuoi andare in affitto o comprare: importa solo evitare le agenzie immobiliari. Ora inizia il capitolo mobili, dove forte del mio passato da falegname mi sono fissato col recuperare vecchi mobili, restaurarli o farmeli per conto mio evitando il più possibile la plastica e le gite all’Ikea, che temo più della morte.

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Ma questa è un’altra storia.