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Come domare una diciottenne #2
Apro gli occhi che è una calda domenica d’ottobre. Un respiro regolare a fianco alza e abbassa coperte da pochi soldi. Odore di bagnoschiuma. Profumo. Pelle fresca. Dorme come una bambina. Composta, sempre di lato, con la mano sotto la guancia. Respira piano, ogni tanto tira su. E’ incredibilmente bella. A distanza di mesi vederla nel mio letto mi fa ancora lo stesso effetto di trovare una valigia di soldi sull’uscio. Scivolo fuori. Percorro a ritroso i vestiti sul pavimento, prendo la forbice grossa, esco. Raggiungo la pasticceria. Permesso. Scusi, permesso. Bambino, attento.
Eh, te l’avevo detto.
Non so, qual è tua madre? Quella in fondo?
Allora sì che puoi raccoglierla da terra. Mangia, mangia.
«Ciò Nebo, cossa ti vol?»
«Mi fa un cornetto. E… hm. Qualcosa di cioccolata.»
«Xè par ea tosa?»
«Sì»
«Ciapa, daghe ‘na fiamea» fa l’anziana signora aggiungendo sul vassoio una pastina.
Graziearrivederci.
Al rientro becco il giardino della vicina con quel groviglio di rose rampicanti. Nessuno nota qualcuno scavalcare con nonchalance il cancelletto per annusarle con una forbice. Sono a casa cinque minuti dopo. Attento a non fare rumore, comincio a preparare. La macchinetta espresso se fa la schiuma fa un casino della madonna, ma d’altra parte qui ci si deve arrangiare. Succo di limone, caffè. Do una scaldata al cornetto, metto le salviette. Sistemo la rosa.
La guardo per l’ultima volta prima di svegliarla.
«mmmMmAaaauuuUUUuuAAAaah» sbadiglia.
Fiuta l’aria. Spalanca gli occhi. Vede cioccolata.
«Amore, ma.. ma… non ho parole!»
«Buongiorno, meraviglia.»
«I-io non so.. »
«E’ per indorarti la pillola.»
«A che?»
Silenzio.
«Soldato Ryan.»
«NOOOO AAAAGH NOOOO SANGUEMMORTE NOOOO»
«AVEVI PROMESSO CHE LO GUARDAVI»
«VEDI CHE SEI STRONZO, MI FAI LE COSE BELLE E POI E’ PER RICATTARMI»
«NON FARE I CAPRICCI»
«NON PARLARMI COME MIO PADRE»
«TUO PADRE HA RAGIONE, CONTESSINA, E’ ORA CHE COMINCI A CRESCERE»
«SBAFFAMI IL GRILLETTO, NONNO, VAI!»
Ammutolisco.
«Ooh» fa lei, soddisfatta del mio silenzio «…che mi devo vedere gente che muore di domenica mattina, guarda questo».
Addenta il cornetto.
Adesso la osservo mentre, gongolante, finisce il succo guardando Stand By Me. Miss Sbaffami Il Grilletto dice che è molto meglio dei film di guerra. Credo che da questa classe 90, dopotutto, qualcosa nascerà.
Ora scusatemi, le faccio fare un po’ di moto per digerire.
03. Uno zaino pesante
«CHE BRUTTA NOTIZIA?»
Buio. Campi. Onnipresente odore di merda di vacca. Nei film o nei libri nessuno parla mai del nordest. Sta sui coglioni a tutti. Abbiamo tonnellate di film su mafia, camorra, politica, amore.. e sono tutti ambientati al centro o al sud fatti da attori del centro o del sud che parlano con accento del centro o del sud girati in città del centro o del sud. I comici parlano milioni di dialetti, e sono tuttidel centro o del sud.
Cinque.
«Nebo!?»
Nord Est. Contadini arricchiti che fan di tutto per levarsi di dosso l’odore della terra. Bovari con il Cayenne. Truzzi con camicie Ralph Lauren. Contadine in sandali di Prada urlano “ciò beo, lecchime ea sfesa” durante una rissa in discoteca. Coca sui tavoli, capelli unti, gente che conosce gente che conosce gente che non conta un cazzo. Lei non sa chi sono io, hai visto che macchina ho? Prova a dare del provinciale a qualcuno, ti ucciderà.
Quattro.
«NEBO, DOVE VADO?!»
Nord Est. Il padre di uno della Treviso bene si scopa la morosa del figlio. Le affitta un appartamento in centro storico, tanto qua nessuno paga le tasse. Come credi che abbian fatto tutti ‘sti soldi, coglione? Se non vai in certi posti non sei, punto. Jesolo, via Bafile. Padova, Piazza dei Signori. Mestre, Piazza Ferretto. Treviso, che poi quella coppia andava nei locali gay. Ci han conosciuto la commessa di Max Mara, che poi adesso la sputtanano coi volantini. Dio, come vorremmo essere romani. O milanesi.
Tre.
«NEBO, LA STRADA, DIMMI LA STRADA, DESTRA O SINISTRA?»
Nord Est. Chiacchiere leghiste che in Italia nessuno vuole più raccogliere pomodori e poi se dici che fai l’operaio o il falegname ti guardano come se fossi una merda e nessuna donna ti si avvicina. Non abbiamo più idraulici, non abbiamo più facchini né contadini. Abbiamo legioni di psicologhe e comunicatori. Dicono di comprare roba italiana, di supportare l’Italy Made. Di non comprare cinese. Di pagare le loro felpe 80 euro e non le felpe cinesi 10.
Due.
«PRENDI TU LA CARTINA, ATZA, NEBO E’ COTTO»
«NON CI VEDO NIENTE, NON LEGGO, DAMMI LA PILA»
Uno.

Quando apro gli occhi la prima cosa che sento è il vento sparato sulla faccia che pare bagnata. Ho sudori freddi. Sono pieno di vetri addosso. Le mani stanno composte in grembo. I fari della 127 illuminano un risibile pezzo di strada deserta. Non ci sono lampioni, c’è solo una Mazda dietro che tiene gli abbaglianti sparati ma non osa avvicinarsi perché la strisciolina d’asfalto su cui corriamo è circondata da fossi.
«Vai dritto. Strada lunga. Preso paura, vetri, tagliato. Ora ci sono» dico.
«Gera ora» fa Ario tirandomi una pacca sulla spalla.
«Che é successo?» domando ricominciando a scrutare la cartina.
«È SUCCESSO che mentre dormivate sono uscito dall’autostrada per vedere Brescia. Sbaglio strada al rientro, mi perdo e finisco qui.»
«Sì, ma il folle là dietro?»
«Eh, Atza si sveglia. Ci scappa da pisciare, fermiamo la macchina vicino al muro di una casa e cominciamo a svuotarci. Già che ci siamo» prende fiato «già che ci siamo decidiamo di fare due firme col pennarello.»
«Ah.»
La macchina dietro suona, tiene gli abbaglianti tirati, sgomma, fa per tamponarci, rallenta e ricomincia. Quello è pazzo sul serio.
«Contemporaneamente dal nulla sento che si apre una portiera e dal buio sbuca fuori un tizio che ci corre incontro urlando. Noi montiamo in macchina di corsa e cerchiamo di partire. A quel punto tu e Solero vi svegliate perché mi ha sfondato il finestrino a calci. Ora il pazzo ci insegue e visto il carattere penso ci ucciderà o ci seguirà fino in Spagna.»
«Ario, mi stai dicendo che noi siamo in quattro e lui è da solo?»
Mi guarda.
Pensa.

«Fermiamoci.»
«No» dice Solero «se arriva la polizia? Se l’han chiamata da casa?»
«Evabbè, voi gli avete pisciato sul muro, quello c’ha spaccato il finestrino della macchina, scusa eh.»
«Se vedono questo cambiano idea» spiega Solero aprendo lo zaino. Appena vedo cosa c’è dentro mi domando perché nella vita non ci sia mai niente di semplice.
«MA SEI COGLIONE?!?» urlo «COSA… QUANTA ROBA È?»
«Tanta.»
«TANTA? C’E’ L’INTERA PIANTAGIONE DI TIJUANA, LA’ DENTRO!»
«Amici. A Barcellona. Mi hanno chiesto… io…»
«Quanta roba è?» domanda Ario senza staccare gli occhi dalla strada.
«Sarà… Gesù, non lo so, non ne ho mai vista così tanta. Sarà un chilo.»
«UN CHILO?!»
«Un chilo e due» precisa Solero.
Bestemmie.
«Buttiamola dal finestrino»
«Provate a toccare ‘sto zaino e vi sgozzo» dice Solero.
Il tono di voce mi fa domandare che razza di amici abbia Ario. Ario si chiede dove diavolo Atza abbia conosciuto questo. Atza reputa strano uno come me possa avere un amico spacciatore.
«ODDIO, SIAMO FOTTUTI!»
«PERCHÈ? PERCHÈ?»
«C’E’ UN PASSAGGIO A LIVELLO! SI CHIUDE!»
«CORRI!»
«SEI PAAAZZO, E’ GIA’ VENUTA GIU’ UNA SBARRA, NO, NO, SFIGA, SFIGA»
«FAI LO SLALOM COME QUELLA A MESTRE, VAI, DEFICIO, VAI»
Ario esegue. Terrorizzati, attraversiamo. I passaggi a livello sono asimmetrici, prima chiude la barra della carreggiata tua, poi quella opposta (e viceversa) con uno scarto di tre secondi. Se sei un ragazzino terrorizzato e molto drogato puoi tentare lo slalom da film, che nel mondo reale non si conclude mai bene. Scartando sulla sinistra superiamo la prima barra ed i binari. Alla seconda, il bastoncino in ferro che sostiene la barra ci prende in pieno il tettuccio. Non so la nostra velocità, ma basta a far grippare il meccanismo di chiusura. Sentiamo un botto e la barra si blocca a mezz’aria. Però il pazzo è dall’altra parte.
«È FATTA, È FATTA, CORRI VIA»
«No, fai la curva, entra in una stradina nei campi e spegni il motore» dice Atza.
«EH, ADESSO ANDIAMO A FUNGHI, HAI RITARDO MENTALE»
«Quello ha una Mazda e qui non c’è nessuno, ci becca. Se invece ci fermiamo al buio in una di ‘ste cazzo di stradine non ci vede e tira dritto.»
«Ha ragione.»
Ario vede un piccolo scoscendimento subito dopo una curva. Sterza piano entrando in una stradina sterrata tra pannocchie. Il suono dei sassolini sotto le ruote è sinistro, dopo tante grida e motore fuorigiri. Dopo un centinaio di metri spegne fari e motore, tutti muti. Sentiamo il delen delen delen del passaggio a livello. Il treno è veloce e breve. In macchina c’è talmente tanto silenzio che sento il cuore nelle tempie. Appena passato lo sferragliamento sentiamo una sgommata e pochi istanti dopo una scia luminosa sfreccia dietro di noi, lontano. Restiamo zitti finché anche la minima eco del motore non è scomparsa.
Grilli.
«Tornerà indietro.»
«Difatti noi da qui non ci muoviamo fino a domani» fa Atza «dormiamo qui e vaffanculo, vediamo se riesce a trovarci.»
«Si, ma vi rendete conto che in quattro siamo scappati da UNO SOLO?»
«Non racconteremo mai questa cosa a nessuno. Specie te, Nebo, che non sai tenere in bocca 100 lire.»
«Ohi, magari era armato.»
«Magari era Predator.»
«Guarda, spero per te che in Spagna due donne facciano la lotta nel fango litigando su chi mi fa prima un pompino, altrimenti ti ravano di botte. Dio Cristo, neanche 24 ore e mi avete distrutto la macchina.»
Usciamo dall’auto, facciamo un bilancio dei danni. Ario è in paranoia per il finestrino. Io ho pezzi di vetro dappertutto. Insultiamo Solero, facciamo domande senza risposta, commentiamo. Cerchiamo di buttarla in vacca aspettando la nicotina soppianti l’adrenalina. Quando 10 minuti dopo stanno tutti russando sono seduto sul cofano che guardo la promessa di un’alba e mi sento responsabile dei tre idioti là dentro. Fa freddo.
Faccio due passi sul sentiero sterrato fino a tornare alla strada, cauto.
La sensazione di essere perso, lontano da casa senza supporto per la prima volta, mi spaventa ed affascina assieme. Ogni odore è più forte, la saliva ha un altro sapore. Piano piano metto fuori la testa sulla strada buia. I fari di una macchina, distanti, illuminano il cartello verde autostrada A21 a qualche chilometro. Tiro fuori l’uccello e piscio su una pannocchia. Dopo questa possiamo passare qualunque cosa, mi dico.
Sempre stato ottimista.
02. Essere astronauti

Le musicassette “alla disperata” sono quando a casa sentivi un brano che ti piaceva e pigiavi REC nello stereo il più in fretta possibile. Il risultato erano 90 minuti di schizofrenia. Musica, loghi, voci, pubblicità, canzoni che partivano a metà e si sentivano di merda. A volte sentivi la stessa canzone otto o nove volte di fila, una dall’inizio, l’altra alla fine, l’altra in stereo, l’altra in mono. Questo tipo di cassette erano la colonna sonora del liceo quando durante la lezione, con la matita, mandavi indietro il nastro a mano per risparmiare sulla batteria del walkman e poi te le sparavi grazie ai migliori auricolari del mondo, quelli di serie del Game Boy.
La strada scivola veloce. Seduto a fianco di Ario, lo guardo percuotere la sola cassa funzionante mentre trasmette per la dodicesima volta “Cara ti amo” di Elio e le Storie Tese.
«A me sto pezzo ha distrutto i coglioni » fa Atza.
«Se mando avanti si mangia la cassetta, o aspetti o la giro»
«Dopo cosa c’è?»
«Non so»
Partono i Bi-Nario, Battisti non esisti.
«M’è esploso lo sfigometro. Gira»
«No, dall’altra mia nonna ha fatto casino coi tasti ed ha registrato Radio Maria»
«E cosa spingono, lo zecchino d’oro?»
«Macché, vecchi dimmerda telefonano e fanno a gara a chi ci crede di più»
«Non azzardarti NEMMENO A SFIORARE la cassetta rossa»
«Ascolto quello che voglio, è la mia macchina, dai di 883»
«NAAAAGH!»
«Con un deeeeecaaaaa…»
«Il silenzio tra un pezzo e l’altro basta a farti diventare frocio»
«Non sono froci»
«Allora perché il biondo fa sempre la voce da ragazza e balla che muove il culo?»
«Cosa c’entra, tutte le mie compagne di scuola vorrebbero scoparselo» intervengo.
«Alle donne piacciono i ricchioni»
«Vero»
«Già»
«Massì…»
«Solero, rollane su un paio»
Mentre la strada scorre guardo questo meraviglioso nordest passare sotto la 127. Sogno spiagge bianche, donne con le tette fuori come nella pubblicità dei solari Bilboa. Ario è il nostro eroe, unico adulto patentato in mezzo a noi sfigatissimi che ancora elaboriamo Fifty. Campi. Fattorie, capannoni. Campi. La conversazione si sposta in base al quantitativo di droga che lentamente raggiunge livelli critici. L’odore di sigarette, ganja, cioccolato e piedi si attenua grazie al letame dei campi.L’aria dai finestrini è un ceffone sudaticcio. La sensazione è quella di stare facendo una cosa importante. Sai che stai facendo qualcosa di grande, di mastodontico e sai anche che sei troppo sbiellato per godertela. Il giorno più importante della tua vita, l’addio dell’adolescenza, il benvenuto nel mondo dei grandi e tu sei schiantato di droga che gorgogli saliva sputando puttanate spaventose su improbabili cantanti o ascoltando dei debosciati che danno della zoccola a Pamela M. perché l’ha calata a tutti tranne che a loro.
Dopo quasi un’ora cominciamo a sentirci fuori dal mondo, tanto che la cartina stradale viene estratta e studiata con attenzione punto per punto.
«Dove siamo?»
«Quasi a Vicenza. Non corre di più, questo cesso?»
«No, ci sono troppi stronzi dentro»
Un po’ perchè la fame chimica ci ha sterminato le riserve di cibo, un po’ perché urge pisciare, il nostro primo autogrill ci accoglie a braccia aperte. Ci dividiamo. Io e Solero andiamo dentro, Ario ed Atza si sgranchiscono le gambe. Al ritorno hanno attaccato discorso con un paio di straniere.
Inglesi, spiega Atza di fretta. Occhi di ghiaccio, fisico da fotomodelle, belle come un biglietto sola andata per Amsterdam. Ario è il più decente tra noi e sfrutta il mio inglese per i suoi scopi. Le tizie sono in Italy per vacanza premio di studio collage. Una ha parents here. L’altra è bestfriend, e noi? Noi si va in Spain, Espagna.
«Dille che siamo drogati, gagliardi e ci piace la fica» fa Ario, barcollando.
Dico che al mio amico piace viaggiare. Le ragazze fanno occhi ammirati e sorridono, you don’t look like an adventurer, hihi.
«Cos’hanno detto?» domanda Ario.
«Che non sembri un coso, un.. un avventuriero, un viaggiatore»
«No, eh? Ehi, girls » dice guardandole «ai stadi for bicom un astronauta»
Lo stadio esplode.
Ci guardano, guardano lui, riguardano noi e sorridono senza avere capito una sega.
Noi stiamo alle convulsioni mentre il prode Ario assume tonalità rosso carminio: «CHE C’E’, UNO NON PUO’ VOLER FARE L’ASTRONAUTA?»
No, non può. L’ilarità è al massimo, un fiume inarrestabile. Le london stronze ci guardano con aria interrogativa. Parlottano. La capoccia davanti ad Ario scuote la testa con espressione modello “eri carino, peccato tu stia con dei coglioni”. Aspettano che smettiamo. Le ignoriamo. Una si gira e se ne va, l’altra la segue mentre noi continuiamo a scompisciarci addosso.
«Fioi, vara, no go paroe» ringhia lui «erano fiche stellari»
«Sì ma Ario, diomadonna » ulula Atza disteso sull’asfalto «ai stadi for bicom astronauta e ti xe aiuto meccanico»
«Eh, sì, ha ha ha ha, ridete, intanto ci siamo persi delle strafighe»
«HAHAHAHAHAHAH»
Un Capri, una coca grande, un caffè. Si riparte progettando di far guidare Ario finché se la sente. Passa Vicenza, superiamo indicazioni per Gardaland e quando il cartello Verona entra nel campo visivo sono passate tre ore e mezza di viaggio complessivo. Si è ufficialmente fuori dal Veneto e dentro la Lombardia. L’autostrada è buia, un fiume di anime bianche e rosse che chissà da dove vengono e chissà dove vanno. A notte inoltrata siamo a Brescia, tutti in stato semi comatoso.
Quando riapro gli occhi sono le 4 di notte ed è perché sento il motorino d’avviamento che grippa. Poi un coro di voci che sbraita, riesco a distinguere Ario, poi Atza. Dicono “partipartipartiparti”. Apro gli occhi. Il primo calcio incrina il finestrino della 127. Il secondo non sortisce effetto. Prima che io capisca che diavolo sta succedendo il finestrino esplode e una mano cerca di aprire la portiera. A istinto la piglio a cazzotti. La mano scompare mentre la macchina si decide finalmente a partire.
«CHE ERA?!?» urlo «DOVE SIAMO, COS’E’ SUCCESSO?!?»
Grida frammentarie sconclusionate.
«SIAMO USCITI DALL’AUTOSTRADA, VOLEVO VEDERE BRESCIA, VOI DORMIVATE» spiega Ario pallido.
«CI SEGUE! QUELLO PRENDE LA MACCHINA, CI CORRE DIETRO!»
Guardo nello specchietto. E’ vero.
«Nebo, trova un modo per portarci in autostrada che quello ci ammazza»
Coperto di cocci di vetro non mi sembra il momento di fare domande. Guardo un cartello che passa, Fenil Scaroni. Cerco freneticamente nell’elenco alla fine della piantina, lo trovo. Quadrante 4, pag 45, Fenil… Fenil… trovato.
«Ho una brutta notizia» dico a denti stretti.
01. Leggende urbane
Italia, Pool&Company.
Seduti davanti ad una coca ottenuta dal distributore automatico – non si potevano versare alcolici, là dentro – a fumare sigarette, deridersi e collezionare figure imbarazzanti. Ario entra come una furia. Cala il silenzio. Basta guardarlo in faccia per capire che sta per sparare la peggio puttanata della giornata. Una cosa del genere merita rispetto.
«Avete sentito di Luca? E’ andato in vacanza con suo cugino! Sapete DOVE?»
«No.»
«Dammi una sigaretta.»
«Chissenefrega, ce le hai le ventimila che ti ho prestato?»
«Che maglietta di merda.»
La platea è delusa. Ci aspettavamo qualcosa tipo “ho raccolto un meteorite a mani nude” o “ho scopato Pamela” o “ci hanno invitato alla festa di halloween”, tre storie che presto conoscerete anche voi ma che comunque sono più divertenti ed interessanti delle ferie di Vegeta. Infranto l’entusiasmo contro gli scogli della vita, Ario riprese coraggio e seguitò nella sua orazione.
«IN SPAGNA! Avete idea di QUANTO si scopa in Spagna?»
«Mi dai ‘ste ventimila lire?»
«Domani.»
Ormai ci aveva conquistato. Tutti conoscevamo leggende sulla Spagna. Era tipo quelli che dicevano di andare a vendere gelati in germania e in realtà era il test d’ammissione nei servizi segreti italiani, o tipo la fantomatica ragazza che se n’era bevuti 33 centilitri, tutti conoscevano qualcuno che conosceva quest’idrovora. Ma le leggende sulla Spagna dicevano che…
«…le spagnole ti corrono incontro e ti offrono ganja per rimorchiarti!»
«SEEEEEEEAAAAHAHHAHAHAH»
«No, no, è vero, io so che in Spagna chiavi per forza.»
«HAHAHAHAHAHAHAHAH LA GANJA PER RIMORCHIARTI HAHAHAHA HAH HA ODDIO HA HAHAHAHA LA MEGLIO STRONZATA DEL MESE HAHAHAH AHHAH ARIO HAHAHAHA HAH HAH HAHAHAHA»
«Vedi come siete, mio cugino c’è andato, me l’ha raccontata lui ‘sta roba, scommetti che torna Luca e mi dà ragione? »
«…AAAAHAHA OCCHIO CHE ARRIVA IL CUGINO DEL METEORITE»
«Eh, sì, mio cugino è andato in Spagna. Chiedi a mia zia.»
«Già fatto, vuole cinquantamila come tutte le altre.»
Ormai siamo stregati dall’argomentazione brillante e come sempre ci caschiamo a pera.
Taci che ‘sto giro non è stata colpa mia.
«Veramente potremmo andarci anche noi » dice Ario.
«Ario, sai quanto costa? Poi figurati, aereo, albergo… io manco sono andato a Padova.»
«…ma è proprio QUI l’idea. Ci andiamo in macchina. Dormiamo in macchina, mangiamo in autogrill come capita, non spendiamo niente a parte benzina, poi arriviamo là e ci ospita Luca. Solo che da solo non ce la faccio, se mettiamo i nostri risparmi sì.»
«Ah, ecco » precisa Atza «Ma a parte te nessuno ha macchina né patente, vuoi andare in Spagna con quel catorcio immondo?»
«Perché no? C’ha il mangiacassette e un sacco di posti dove nascondere la roba.»
È bello notare quali fossero le priorità, al tempo.
«Non so, dovrei chiedere a mio padre…»
«MANNO’, fottitene, gli telefoni dalla Spagna, sai che colpo?»
«E quando partiremmo?»
«Tra due ore, il tempo di farsi le valigie. Restiamo finché ci va. Quindi? Chi viene?»
Le ragazze risero di noi. Altri abbandonarono all’ultimo. Rimanemmo io, Ario, Atza e il Ragazzo Misterioso. Biondissimo, quando gli facevi domande sorrideva felice dicendo “massì…”. Causò innumerevoli trambusti, ed io che do il soprannome a tutti lo chiamai “Solero”. Dopo anni, ad un tavolo dell’ Excalibur, domandai di chi fosse amico.
«Credevo tuo.»
«Io manco lo conoscevo.»
«Ma allora chi diavolo era?»
Il viaggio comincia alle 17 di una domenica pomeriggio