All posts by Nebo

Con la parlantina che hai potresti fare il gelataio






– Ho chiamato per
– AH-HA! MAGNIFICO! Si presenti, hmm, adesso?
– Purtro
– Domani pomeriggio sulle 17?
– D’accordo!
– SPLENDIDO! Porti il curriculum, non serve!
– Scusi?
Rumori in sottofondo.

– Ho detto… eh, niente. Troppo tardi. Andata.
– Cosa?
– No ma non lei, eh? E’ questo… questo RUMORE che mi fa… hm. Allora domani?
– Va bene, domani. E io NON porto il curriculum.
– N… Si ricordi solo che non serve.
Mi dà l’indirizzo e mette giù.

L’indomani pomeriggio a cavallo della mia fida 600 attraverso strade sterrate, entro nella zona industriale trevisana e dopo una mezz’ora trovo il posto che un latitante nazista troverebbe fuori mano. Suono. Attraverso un capannone-hangar pieno di camioncini, vengo fatto accomodare in una sala d’attesa/riunioni. Tavolo enorme, sedie ovunque, alle pareti carte, grafici, foto. La tizia che mi fa accomodare mi da un foglio.

– Quello è il suo curriculum? – domanda guardandomi in mano.
– Sì.
– Me lo vuole dare?
– Al telefono mi avevano detto che era inutile – dico sporgendoglielo.
– Lo è – bercia agguantandolo e scomparendo dietro una porta. 

Questo foglio si rivela essere un curriculum-fai-da-te da compilare. Domandano che mestiere fa mio padre, che mestiere fa mia madre, quanti anni hanno. Con chi vivo, dove vivo. Quali sono i miei hobby. Quali sono i miei lavori precedenti. Che tipo di lavoro cerco. Che cosa mi aspetto da questo incarico. E’ facile capire quando siete nella tana di Alien: ci sono teschi umani appesi dappertutto, c’è puzza di carne marcia, cadaveri smembrati, facehuggers che saltano, archi in bemolle ed un neon di otto metri per dodici che lampeggia “fuggi” in fucsia. 

La differenza è che qui il neon è più grande.

Su una lavagna da riunioni c’è un istogramma per ogni capoluogo veneto, Treviso è secondo, il primo è cerchiato. Vicenza. Una calligrafia da psicopatico ha aggiunto “OBIETTIVO PRIORITARIO SUPERARE VICENZA!!!” e proprio quando sto rivalutando di fare l’assaggiatore di veleno per topi la porta si spalanca ed appare quello che ribattezzo immediatamente Bialetti. Bialetti è chiaramente il capoccia della situazione. Quarantacinque, capello brizzolato, lo sguardo spregiudicato di chi s’è fatto esplodere troppe caffettiere in faccia. Trasmette senso di superiorità immotivato, ti dà la mano con il palmo verso il basso ed usa il dialetto da schifo. Salve, dice, ha letto il mio curriculum e l’ha trovato…

– …privo dell’autorizzazione riguardo alla normativa sulla privacy. Quindi non l’ho nemmeno letto – gongola soddisfatto.











Il neon lampeggia con più insistenza.

– Tanto non serviva, no? –
– E-E-E. Serviva sì, come non serviva, chi le ha detto che non serviva? –
– La segretaria –
– La segretaria le ha detto di portarlo –
– …anche che non serviva –
– A-A-A, ATTENZIONE! Quindi è stato LEI a portarlo di SUA iniziativa, noi le abbiamo detto che NON ERA necessario. E’ stata una SUA scelta quella di portarlo, non un obbligo – sorride sardonico.

Rispondo che non avevo colto queste sottigliezze legali. Si gonfia di trenta chili. Dice che molti lo scambiano per un avvocato.

– Invece ho fatto l’alberghiero, è solo grazie al sudore se sono arrivato QUI – dice battendo le mani sul tavolo.

Mi introduce nel suo ufficio, un cubicolo di plastica in cui la prima cosa che noti è il poster motivatore che incita “orgogliosi di essere *nome ditta* mentre la seconda è la  totale assenza di foto moglie/figli. Bialetti si mette a spiegarmi in cosa consisterebbe il lavoro. Prende in mano il foglio da me compilato. Legge con l’indice sul labbro mormorando le parole. Si blocca.

– Qui c’è scritto che le sue ambizioni sono… artistiche? –
– Sì.
– Non capisco. Cioè pittore?
– Nnnn… no, no. Non pittore, non proprio.
– …e allora cosa? Musicista?
– Bèh, diciamo

Avanti, hai bisogno di questo lavoro. Non puoi. No. Stai zitto. Stai ZITTO. Chiudo gli occhi un momento mentre nel cervello Ray Charles attacca con Shake Your Tailfeathers ed apro la bocca: – Il rapper.
I fogli che Bialetti tiene in mano scendono lentamente sulla scrivania.

– Il… repper?
– Sì. Il rapper – spiego alzandomi in piedi e spiegazzando il mio completo giacca&cravatta con gesti west coast – la spingo hardcore coi miei frà, abbiamo bisogno del cash peso per droppare out, chiaro man? – e comincio a fare freestyle smerdando lui e la sua ditta di merda.

Riapro gli occhi.


– Il commerciale, non è una forma d’arte? – sorrido.
– Ah, questo è interessante. A noi piacciono persone competitive che sappiano lavorare in solitaria. Che ne dice di un giorno di prova? Un giorno intero con un nostro operatore, un giorno di esperienza nel campo, casa per casa, nel camion, a vedere com’è? –

Smettila. Vattene. Torna a fare il falegname, deficiente, non sei portato. VAI VIA.

– D’accordo – dico.


Venerdì farò il mio giorno di prova come venditore porta a porta. A Treviso. Entrerò nelle case della patria della lega tentando di vendere cose congelate, ma sono ottimista. E armato.

04. Con un deca




Autogrill. 11 di mattina.

«Ok, da seduto, alza il piede destro»
«Così?»
«Sollevalo solo da terra… ecco. Fallo girare in senso orario»
«Tipo orologio?»
«Sì. Gira… Ok, adesso mentre continui alza la mano destra e disegna un 6, come se dovessi scriverlo su un muro»
«Se lo faccio esplodo?»
«No, la gamba comincia a girare in senso opposto. Non puoi farci niente»
Provo.

«M-ma…»
Mi sforzo, non c’è niente da fare. La gamba o si blocca o si muove di lato, ma non riesce a continuare a girare. Atza, al mio fianco, prova anche lui. 
Ario pure.
«FIGHISSIMA ‘sta roba, Solero»
«Massì» si stringe nelle spalle.


Continuiamo a provare estasiati mentre gli avventori dell’autogrill osservano tre poveri mongospastici che disegnano cose per aria, contorcendosi e roteando arti privi di controllo. 
Il caldo ci ha svegliati alle 10. Semi addormentati, cauta retromarcia e siamo di nuovo in rotta entro neanche quindici minuti. Al primo autogrill facciamo sosta e colazione. Grazie alle insistenze di Ario ci facciamo i gavettoni con la pompa dell’acqua. E’ la cosa più simile ad una doccia nell’arco di 24 ore. I benzinai ci allontanano sconvolti da tanta idiozia. Sazi, freschi, riposati e lavati fumiamo sigarette sui tavolini dicendo minchiate e guardando la cartina. Eh, ne abbiamo fatta di strada. Eh, siamo i meglio. L’incidente della notte prima è appena accennato. Chiamiamo a casa, informiamo che va tutto bene. Mio padre fa domande irrilevanti tipo “quanti soldi avete”, “dove siete”, “avete calcolato il ritorno”, “avete sentito Vegeta” ed “è possibile alcuni di voi muoiano, non essere tra quelli”. Annuiamo, hm hm. Si riparte mentre Solero comincia a fare su i primi della giornata. 

In un’ora passiamo Cremona, la giornata è luminosa, il sole schiaccia e splende, la droga ci esalta. Piacenza ci attende, la conversazione è varia, gli aneddoti si sprecano.


«Siamo io, Vegeta e altri due tizi che non conoscete. Venezia, piazzale Roma, due di mattina. Queste due spuntano dal nulla caricate come muli, chiaramente americane»
«Botoli di lardo?»
«No, americane buone. Pallide, bionde, spaesate, vestite da puttane»
«Con le giarrettiere?»
«Vedi che sei stronzo»
«Ma perché, scusa, sei te che…» 
«Nebo, sta buono. Ario, vai avanti»
«Bè, chiaro che i tassisti le ronzano intorno tipo avvoltoi. Queste son stanche morte, arriviamo noi brillanti, le facciamo su e ce le portiamo via. Restano stupite dal fatto che portiamo loro le borse e dicono che dalle loro parti ognuno porta le sue»
«E’ il femminismo»
«COSA?» 
«Giuro. Pari diritti, pari opportunità. Tu porti le tue borse io porto le mie. Non ti aiuto, non ti offro, non ti porto. Come fosse un tuo amico, ci sei? Solo che ha la fica. In america gira così»
«Ma.. è FANTASTICO!»

«? Eh?»

«Sto dicendo che è giusto. Cristo, gli americani sono davvero oltre. Scusa, le donne hanno rotto il cazzo col femminismo e i reggiseni in piazza? Vogliono la parità? E allora che se la ciuccino, mica che gli pago da mangiare, gli apro la porta e quella ha pure gli stessi diritti miei»

«Ecco che arriva una valanga di puttanate»
«STO DICENDO SUL SERIO, IMBECILLI! Hanno i nostri stessi diritti, allora perché io devo anche pagare loro da bere? Perché in un locale loro pagano zero e io il doppio?»
«Perché altrimenti non scopi?»
«No, sono IO che non glielo do. Ma non ho capito, già gli portiamo l’acqua con le orecchie, devo anche mettermi la scorza di limone nel culo?»
«MI FATE FINIRE DI RACCONT


La macchina viene colta da tremiti, sobbalza, singhiozza e muore.

«…cos’era?»


«Perché stiamo rallentando?»




«ARIO, PERCHE’ NON SENTO IL MOTORE?»


La macchina accosta, il cartello verde segnala prossima area di servizio 12,5 KM.

«MA DAI, NON E’ POSSIBILE, PRIMA LE FIGHE CHE CI SNOBBANO, POI IL PAZZO CHE MI SPACCA IL FINESTRINO, POI FACCIAMO BOEDIUC COL PASSAGGIO A LIVELLO, POI SCOPRO CHE STO IN MACCHINA CON UN NARCOTRAFFICANTE, CHI E’ CHE PORTA TUTTA ‘STA SFIGA, SI PUO’ SAPERE?»

Cooon un deeeee-caaaa, non si può andar viiiiiia, canta Max Pezzali in sottofondo.

Come domare una diciottenne #2

Come domare una diciottenne #2

Apro gli occhi che è una calda domenica d’ottobre. Un respiro regolare a fianco alza e abbassa coperte da pochi soldi. Odore di bagnoschiuma. Profumo. Pelle fresca. Dorme come una bambina. Composta, sempre di lato, con la mano sotto la guancia. Respira piano, ogni tanto tira su. E’ incredibilmente bella. A distanza di mesi vederla nel mio letto mi fa ancora lo stesso effetto di trovare una valigia di soldi sull’uscio. Scivolo fuori. Percorro a ritroso i vestiti sul pavimento, prendo la forbice grossa, esco. Raggiungo la pasticceria. Permesso. Scusi, permesso. Bambino, attento.

Eh, te l’avevo detto.

Non so, qual è tua madre? Quella in fondo?
Allora sì che puoi raccoglierla da terra. Mangia, mangia.

«Ciò Nebo, cossa ti vol?»
«Mi fa un cornetto. E… hm. Qualcosa di cioccolata.»
«Xè par ea tosa?»
«Sì»
«Ciapa, daghe ‘na fiamea» fa l’anziana signora aggiungendo sul vassoio una pastina.
Graziearrivederci.

Al rientro becco il giardino della vicina con quel groviglio di rose rampicanti. Nessuno nota qualcuno scavalcare con nonchalance il cancelletto per annusarle con una forbice. Sono a casa cinque minuti dopo. Attento a non fare rumore, comincio a preparare. La macchinetta espresso se fa la schiuma fa un casino della madonna, ma d’altra parte qui ci si deve arrangiare. Succo di limone, caffè. Do una scaldata al cornetto, metto le salviette. Sistemo la rosa.

La guardo per l’ultima volta prima di svegliarla.

«mmmMmAaaauuuUUUuuAAAaah» sbadiglia.
Fiuta l’aria. Spalanca gli occhi. Vede cioccolata.

«Amore, ma.. ma… non ho parole!»
«Buongiorno, meraviglia.»
«I-io non so.. »
«E’ per indorarti la pillola.»
«A che?»
Silenzio.

«Soldato Ryan.»
«NOOOO AAAAGH NOOOO SANGUEMMORTE NOOOO»
«AVEVI PROMESSO CHE LO GUARDAVI»
«VEDI CHE SEI STRONZO, MI FAI LE COSE BELLE E POI E’ PER RICATTARMI»
«NON FARE I CAPRICCI»
«NON PARLARMI COME MIO PADRE»
«TUO PADRE HA RAGIONE, CONTESSINA, E’ ORA CHE COMINCI A CRESCERE»
«SBAFFAMI IL GRILLETTO, NONNO, VAI!»
Ammutolisco.

«Ooh» fa lei, soddisfatta del mio silenzio «…che mi devo vedere gente che muore di domenica mattina, guarda questo».
Addenta il cornetto.

Adesso la osservo mentre, gongolante, finisce il succo guardando Stand By Me. Miss Sbaffami Il Grilletto dice che è molto meglio dei film di guerra. Credo che da questa classe 90, dopotutto, qualcosa nascerà.

Ora scusatemi, le faccio fare un po’ di moto per digerire.

03. Uno zaino pesante

03. Uno zaino pesante

«CHE BRUTTA NOTIZIA?»

Buio. Campi. Onnipresente odore di merda di vacca. Nei film o nei libri nessuno parla mai del nordest. Sta sui coglioni a tutti. Abbiamo tonnellate di film su mafia, camorra, politica, amore.. e sono tutti ambientati al centro o al sud fatti da attori del centro o del sud che parlano con accento del centro o del sud girati in città del centro o del sud. I comici parlano milioni di dialetti, e sono tuttidel centro o del sud.
Cinque.

«Nebo!?»

Nord Est. Contadini arricchiti che fan di tutto per levarsi di dosso l’odore della terra. Bovari con il Cayenne. Truzzi con camicie Ralph Lauren. Contadine in sandali di Prada urlano “ciò beo, lecchime ea sfesa” durante una rissa in discoteca. Coca sui tavoli, capelli unti, gente che conosce gente che conosce gente che non conta un cazzo. Lei non sa chi sono io, hai visto che macchina ho? Prova a dare del provinciale a qualcuno, ti ucciderà.
Quattro.

«NEBO, DOVE VADO?!»

Nord Est. Il padre di uno della Treviso bene si scopa la morosa del figlio. Le affitta un appartamento in centro storico, tanto qua nessuno paga le tasse. Come credi che abbian fatto tutti ‘sti soldi, coglione? Se non vai in certi posti non sei, punto. Jesolo, via Bafile. Padova, Piazza dei Signori. Mestre, Piazza Ferretto. Treviso, che poi quella coppia andava nei locali gay. Ci han conosciuto la commessa di Max Mara, che poi adesso la sputtanano coi volantini. Dio, come vorremmo essere romani. O milanesi.
Tre.

«NEBO, LA STRADA, DIMMI LA STRADA, DESTRA O SINISTRA?»

Nord Est. Chiacchiere leghiste che in Italia nessuno vuole più raccogliere pomodori e poi se dici che fai l’operaio o il falegname ti guardano come se fossi una merda e nessuna donna ti si avvicina. Non abbiamo più idraulici, non abbiamo più facchini né contadini. Abbiamo legioni di psicologhe e comunicatori. Dicono di comprare roba italiana, di supportare l’Italy Made. Di non comprare cinese. Di pagare le loro felpe 80 euro e non le felpe cinesi 10.
Due.

«PRENDI TU LA CARTINA, ATZA, NEBO E’ COTTO»
«NON CI VEDO NIENTE, NON LEGGO, DAMMI LA PILA»
Uno.

Quando apro gli occhi la prima cosa che sento è il vento sparato sulla faccia che pare bagnata. Ho sudori freddi. Sono pieno di vetri addosso. Le mani stanno composte in grembo. I fari della 127 illuminano un risibile pezzo di strada deserta. Non ci sono lampioni, c’è solo una Mazda dietro che tiene gli abbaglianti sparati ma non osa avvicinarsi perché la strisciolina d’asfalto su cui corriamo è circondata da fossi.

«Vai dritto. Strada lunga. Preso paura, vetri, tagliato. Ora ci sono» dico.
«Gera ora» fa Ario tirandomi una pacca sulla spalla.
«Che é successo?» domando ricominciando a scrutare la cartina.
«È SUCCESSO che mentre dormivate sono uscito dall’autostrada per vedere Brescia. Sbaglio strada al rientro, mi perdo e finisco qui.»
«Sì, ma il folle là dietro?»
«Eh, Atza si sveglia. Ci scappa da pisciare, fermiamo la macchina vicino al muro di una casa e cominciamo a svuotarci. Già che ci siamo» prende fiato «già che ci siamo decidiamo di fare due firme col pennarello.»
«Ah.»

La macchina dietro suona, tiene gli abbaglianti tirati, sgomma, fa per tamponarci, rallenta e ricomincia. Quello è pazzo sul serio.

«Contemporaneamente dal nulla sento che si apre una portiera e dal buio sbuca fuori un tizio che ci corre incontro urlando. Noi montiamo in macchina di corsa e cerchiamo di partire. A quel punto tu e Solero vi svegliate perché mi ha sfondato il finestrino a calci. Ora il pazzo ci insegue e visto il carattere penso ci ucciderà o ci seguirà fino in Spagna.»
«Ario, mi stai dicendo che noi siamo in quattro e lui è da solo?»

Mi guarda.
Pensa.

«Fermiamoci.»
«No» dice Solero «se arriva la polizia? Se l’han chiamata da casa?»
«Evabbè, voi gli avete pisciato sul muro, quello c’ha spaccato il finestrino della macchina, scusa eh.»
«Se vedono questo cambiano idea» spiega Solero aprendo lo zaino. Appena vedo cosa c’è dentro mi domando perché nella vita non ci sia mai niente di semplice.

«MA SEI COGLIONE?!?» urlo «COSA… QUANTA ROBA È?»
«Tanta.»
«TANTA? C’E’ L’INTERA PIANTAGIONE DI TIJUANA, LA’ DENTRO!»
«Amici. A Barcellona. Mi hanno chiesto… io…»
«Quanta roba è?» domanda Ario senza staccare gli occhi dalla strada.
«Sarà… Gesù, non lo so, non ne ho mai vista così tanta. Sarà un chilo.»
«UN CHILO?!»
«Un chilo e due» precisa Solero.
Bestemmie.

«Buttiamola dal finestrino»
«Provate a toccare ‘sto zaino e vi sgozzo» dice Solero.

Il tono di voce mi fa domandare che razza di amici abbia Ario. Ario si chiede dove diavolo Atza abbia conosciuto questo. Atza reputa strano uno come me possa avere un amico spacciatore.

«ODDIO, SIAMO FOTTUTI!»
«PERCHÈ? PERCHÈ?»
«C’E’ UN PASSAGGIO A LIVELLO! SI CHIUDE!» 
«CORRI!» 
«SEI PAAAZZO, E’ GIA’ VENUTA GIU’ UNA SBARRA, NO, NO, SFIGA, SFIGA»
«FAI LO SLALOM COME QUELLA A MESTRE, VAI, DEFICIO, VAI»

Ario esegue. Terrorizzati, attraversiamo. I passaggi a livello sono asimmetrici, prima chiude la barra della carreggiata tua, poi quella opposta (e viceversa) con uno scarto di tre secondi. Se sei un ragazzino terrorizzato e molto drogato puoi tentare lo slalom da film, che nel mondo reale non si conclude mai bene. Scartando sulla sinistra superiamo la prima barra ed i binari. Alla seconda, il bastoncino in ferro che sostiene la barra ci prende in pieno il tettuccio. Non so la nostra velocità, ma basta a far grippare il meccanismo di chiusura. Sentiamo un botto e la barra si blocca a mezz’aria. Però il pazzo è dall’altra parte.

«È FATTA, È FATTA, CORRI VIA»
«No, fai la curva, entra in una stradina nei campi e spegni il motore» dice Atza.
«EH, ADESSO ANDIAMO A FUNGHI, HAI RITARDO MENTALE» 
«Quello ha una Mazda e qui non c’è nessuno, ci becca. Se invece ci fermiamo al buio in una di ‘ste cazzo di stradine non ci vede e tira dritto.»
«Ha ragione.»

Ario vede un piccolo scoscendimento subito dopo una curva. Sterza piano entrando in una stradina sterrata tra pannocchie. Il suono dei sassolini sotto le ruote è sinistro, dopo tante grida e motore fuorigiri. Dopo un centinaio di metri spegne fari e motore, tutti muti. Sentiamo il delen delen delen del passaggio a livello. Il treno è veloce e breve. In macchina c’è talmente tanto silenzio che sento il cuore nelle tempie. Appena passato lo sferragliamento sentiamo una sgommata e pochi istanti dopo una scia luminosa sfreccia dietro di noi, lontano. Restiamo zitti finché anche la minima eco del motore non è scomparsa. 

Grilli.

«Tornerà indietro.»
«Difatti noi da qui non ci muoviamo fino a domani» fa Atza «dormiamo qui e vaffanculo, vediamo se riesce a trovarci.»
«Si, ma vi rendete conto che in quattro siamo scappati da UNO SOLO?»
«Non racconteremo mai questa cosa a nessuno. Specie te, Nebo, che non sai tenere in bocca 100 lire.»
«Ohi, magari era armato.»
«Magari era Predator.»
«Guarda, spero per te che in Spagna due donne facciano la lotta nel fango litigando su chi mi fa prima un pompino, altrimenti ti ravano di botte. Dio Cristo, neanche 24 ore e mi avete distrutto la macchina.»

Usciamo dall’auto, facciamo un bilancio dei danni. Ario è in paranoia per il finestrino. Io ho pezzi di vetro dappertutto. Insultiamo Solero, facciamo domande senza risposta, commentiamo. Cerchiamo di buttarla in vacca aspettando la nicotina soppianti l’adrenalina. Quando 10 minuti dopo stanno tutti russando sono seduto sul cofano che guardo la promessa di un’alba e mi sento responsabile dei tre idioti là dentro. Fa freddo.

Faccio due passi sul sentiero sterrato fino a tornare alla strada, cauto.

La sensazione di essere perso, lontano da casa senza supporto per la prima volta, mi spaventa ed affascina assieme. Ogni odore è più forte, la saliva ha un altro sapore. Piano piano metto fuori la testa sulla strada buia. I fari di una macchina, distanti, illuminano il cartello verde autostrada A21 a qualche chilometro. Tiro fuori l’uccello e piscio su una pannocchia. Dopo questa possiamo passare qualunque cosa, mi dico.

Sempre stato ottimista.

02. Essere astronauti

age-test-cassette-tape-pencil

Le musicassette “alla disperata” sono quando a casa sentivi un brano che ti piaceva e pigiavi REC nello stereo il più in fretta possibile. Il risultato erano 90 minuti di schizofrenia. Musica, loghi, voci, pubblicità, canzoni che partivano a metà e si sentivano di merda. A volte sentivi la stessa canzone otto o nove volte di fila, una dall’inizio, l’altra alla fine, l’altra in stereo, l’altra in mono. Questo tipo di cassette erano la colonna sonora del liceo quando durante la lezione, con la matita, mandavi indietro il nastro a mano per risparmiare sulla batteria del walkman e poi te le sparavi grazie ai migliori auricolari del mondo, quelli di serie del Game Boy.
La strada scivola veloce. Seduto a fianco di Ario, lo guardo percuotere la sola cassa funzionante mentre trasmette per la dodicesima volta “Cara ti amo” di Elio e le Storie Tese.

«A me sto pezzo ha distrutto i coglioni » fa Atza.
«Se mando avanti si mangia la cassetta, o aspetti o la giro»
«Dopo cosa c’è?»
«Non so»
Partono i Bi-Nario, Battisti non esisti.

«M’è esploso lo sfigometro. Gira»
«No, dall’altra mia nonna ha fatto casino coi tasti ed ha registrato Radio Maria»
«E cosa spingono, lo zecchino d’oro?»
«Macché, vecchi dimmerda telefonano e fanno a gara a chi ci crede di più»
«Non azzardarti NEMMENO A SFIORARE la cassetta rossa»
«Ascolto quello che voglio, è la mia macchina, dai di 883»
«NAAAAGH!»
«Con un deeeeecaaaaa…»
«Il silenzio tra un pezzo e l’altro basta a farti diventare frocio»
«Non sono froci»
«Allora perché il biondo fa sempre la voce da ragazza e balla che muove il culo?»
«Cosa c’entra, tutte le mie compagne di scuola vorrebbero scoparselo» intervengo.
«Alle donne piacciono i ricchioni»
«Vero»
«Già»
«Massì…»
«Solero, rollane su un paio»

Mentre la strada scorre guardo questo meraviglioso nordest passare sotto la 127. Sogno spiagge bianche, donne con le tette fuori come nella pubblicità dei solari Bilboa. Ario è il nostro eroe, unico adulto patentato in mezzo a noi sfigatissimi che ancora elaboriamo Fifty. Campi. Fattorie, capannoni. Campi. La conversazione si sposta in base al quantitativo di droga che lentamente raggiunge livelli critici. L’odore di sigarette, ganja, cioccolato e piedi si attenua grazie al letame dei campi.L’aria dai finestrini è un ceffone sudaticcio. La sensazione è quella di stare facendo una cosa importante. Sai che stai facendo qualcosa di grande, di mastodontico e sai anche che sei troppo sbiellato per godertela. Il giorno più importante della tua vita, l’addio dell’adolescenza, il benvenuto nel mondo dei grandi e tu sei schiantato di droga che gorgogli saliva sputando puttanate spaventose su improbabili cantanti o ascoltando dei debosciati che danno della zoccola a Pamela M. perché l’ha calata a tutti tranne che a loro.

Dopo quasi un’ora cominciamo a sentirci fuori dal mondo, tanto che la cartina stradale viene estratta e studiata con attenzione punto per punto.

«Dove siamo?»
«Quasi a Vicenza. Non corre di più, questo cesso?»
«No, ci sono troppi stronzi dentro»

Un po’ perchè la fame chimica ci ha sterminato le riserve di cibo, un po’ perché urge pisciare, il nostro primo autogrill ci accoglie a braccia aperte. Ci dividiamo. Io e Solero andiamo dentro, Ario ed Atza si sgranchiscono le gambe. Al ritorno hanno attaccato discorso con un paio di straniere.
Inglesi, spiega Atza di fretta. Occhi di ghiaccio, fisico da fotomodelle, belle come un biglietto sola andata per Amsterdam. Ario è il più decente tra noi e sfrutta il mio inglese per i suoi scopi. Le tizie sono in Italy per vacanza premio di studio collage. Una ha parents here. L’altra è bestfriend, e noi? Noi si va in Spain, Espagna.

«Dille che siamo drogati, gagliardi e ci piace la fica» fa Ario, barcollando.
Dico che al mio amico piace viaggiare. Le ragazze fanno occhi ammirati e sorridono, you don’t look like an adventurer, hihi.

«Cos’hanno detto?» domanda Ario.
«Che non sembri un coso, un.. un avventuriero, un viaggiatore»
«No, eh? Ehi, girls » dice guardandole «ai stadi for bicom un astronauta»
Lo stadio esplode.

Ci guardano, guardano lui, riguardano noi e sorridono senza avere capito una sega.
Noi stiamo alle convulsioni mentre il prode Ario assume tonalità rosso carminio: «CHE C’E’, UNO NON PUO’ VOLER FARE L’ASTRONAUTA?»
No, non può. L’ilarità è al massimo, un fiume inarrestabile. Le london stronze ci guardano con aria interrogativa. Parlottano. La capoccia davanti ad Ario scuote la testa con espressione modello “eri carino, peccato tu stia con dei coglioni”. Aspettano che smettiamo. Le ignoriamo. Una si gira e se ne va, l’altra la segue mentre noi continuiamo a scompisciarci addosso.

«Fioi, vara, no go paroe» ringhia lui «erano fiche stellari»
«Sì ma Ario, diomadonna » ulula Atza disteso sull’asfalto «ai stadi for bicom astronauta e ti xe aiuto meccanico»
«Eh, sì, ha ha ha ha, ridete, intanto ci siamo persi delle strafighe»
«HAHAHAHAHAHAH»

Un Capri, una coca grande, un caffè. Si riparte progettando di far guidare Ario finché se la sente. Passa Vicenza, superiamo indicazioni per Gardaland e quando il cartello Verona entra nel campo visivo sono passate tre ore e mezza di viaggio complessivo. Si è ufficialmente fuori dal Veneto e dentro la Lombardia. L’autostrada è buia, un fiume di anime bianche e rosse che chissà da dove vengono e chissà dove vanno. A notte inoltrata siamo a Brescia, tutti in stato semi comatoso.

Quando riapro gli occhi sono le 4 di notte ed è perché sento il motorino d’avviamento che grippa. Poi un coro di voci che sbraita, riesco a distinguere Ario, poi Atza. Dicono “partipartipartiparti”. Apro gli occhi. Il primo calcio incrina il finestrino della 127. Il secondo non sortisce effetto. Prima che io capisca che diavolo sta succedendo il finestrino esplode e una mano cerca di aprire la portiera. A istinto la piglio a cazzotti. La mano scompare mentre la macchina si decide finalmente a partire.

«CHE ERA?!?» urlo «DOVE SIAMO, COS’E’ SUCCESSO?!?»
Grida frammentarie sconclusionate.
«SIAMO USCITI DALL’AUTOSTRADA, VOLEVO VEDERE BRESCIA, VOI DORMIVATE» spiega Ario pallido.
«CI SEGUE! QUELLO PRENDE LA MACCHINA, CI CORRE DIETRO!»
Guardo nello specchietto. E’ vero.
«Nebo, trova un modo per portarci in autostrada che quello ci ammazza»

Coperto di cocci di vetro non mi sembra il momento di fare domande. Guardo un cartello che passa, Fenil Scaroni. Cerco freneticamente nell’elenco alla fine della piantina, lo trovo. Quadrante 4, pag 45, Fenil… Fenil… trovato.
«Ho una brutta notizia» dico a denti stretti.