Con la parlantina che hai potresti fare il gelataio






– Ho chiamato per
– AH-HA! MAGNIFICO! Si presenti, hmm, adesso?
– Purtro
– Domani pomeriggio sulle 17?
– D’accordo!
– SPLENDIDO! Porti il curriculum, non serve!
– Scusi?
Rumori in sottofondo.

– Ho detto… eh, niente. Troppo tardi. Andata.
– Cosa?
– No ma non lei, eh? E’ questo… questo RUMORE che mi fa… hm. Allora domani?
– Va bene, domani. E io NON porto il curriculum.
– N… Si ricordi solo che non serve.
Mi dà l’indirizzo e mette giù.

L’indomani pomeriggio a cavallo della mia fida 600 attraverso strade sterrate, entro nella zona industriale trevisana e dopo una mezz’ora trovo il posto che un latitante nazista troverebbe fuori mano. Suono. Attraverso un capannone-hangar pieno di camioncini, vengo fatto accomodare in una sala d’attesa/riunioni. Tavolo enorme, sedie ovunque, alle pareti carte, grafici, foto. La tizia che mi fa accomodare mi da un foglio.

– Quello è il suo curriculum? – domanda guardandomi in mano.
– Sì.
– Me lo vuole dare?
– Al telefono mi avevano detto che era inutile – dico sporgendoglielo.
– Lo è – bercia agguantandolo e scomparendo dietro una porta. 

Questo foglio si rivela essere un curriculum-fai-da-te da compilare. Domandano che mestiere fa mio padre, che mestiere fa mia madre, quanti anni hanno. Con chi vivo, dove vivo. Quali sono i miei hobby. Quali sono i miei lavori precedenti. Che tipo di lavoro cerco. Che cosa mi aspetto da questo incarico. E’ facile capire quando siete nella tana di Alien: ci sono teschi umani appesi dappertutto, c’è puzza di carne marcia, cadaveri smembrati, facehuggers che saltano, archi in bemolle ed un neon di otto metri per dodici che lampeggia “fuggi” in fucsia. 

La differenza è che qui il neon è più grande.

Su una lavagna da riunioni c’è un istogramma per ogni capoluogo veneto, Treviso è secondo, il primo è cerchiato. Vicenza. Una calligrafia da psicopatico ha aggiunto “OBIETTIVO PRIORITARIO SUPERARE VICENZA!!!” e proprio quando sto rivalutando di fare l’assaggiatore di veleno per topi la porta si spalanca ed appare quello che ribattezzo immediatamente Bialetti. Bialetti è chiaramente il capoccia della situazione. Quarantacinque, capello brizzolato, lo sguardo spregiudicato di chi s’è fatto esplodere troppe caffettiere in faccia. Trasmette senso di superiorità immotivato, ti dà la mano con il palmo verso il basso ed usa il dialetto da schifo. Salve, dice, ha letto il mio curriculum e l’ha trovato…

– …privo dell’autorizzazione riguardo alla normativa sulla privacy. Quindi non l’ho nemmeno letto – gongola soddisfatto.











Il neon lampeggia con più insistenza.

– Tanto non serviva, no? –
– E-E-E. Serviva sì, come non serviva, chi le ha detto che non serviva? –
– La segretaria –
– La segretaria le ha detto di portarlo –
– …anche che non serviva –
– A-A-A, ATTENZIONE! Quindi è stato LEI a portarlo di SUA iniziativa, noi le abbiamo detto che NON ERA necessario. E’ stata una SUA scelta quella di portarlo, non un obbligo – sorride sardonico.

Rispondo che non avevo colto queste sottigliezze legali. Si gonfia di trenta chili. Dice che molti lo scambiano per un avvocato.

– Invece ho fatto l’alberghiero, è solo grazie al sudore se sono arrivato QUI – dice battendo le mani sul tavolo.

Mi introduce nel suo ufficio, un cubicolo di plastica in cui la prima cosa che noti è il poster motivatore che incita “orgogliosi di essere *nome ditta* mentre la seconda è la  totale assenza di foto moglie/figli. Bialetti si mette a spiegarmi in cosa consisterebbe il lavoro. Prende in mano il foglio da me compilato. Legge con l’indice sul labbro mormorando le parole. Si blocca.

– Qui c’è scritto che le sue ambizioni sono… artistiche? –
– Sì.
– Non capisco. Cioè pittore?
– Nnnn… no, no. Non pittore, non proprio.
– …e allora cosa? Musicista?
– Bèh, diciamo

Avanti, hai bisogno di questo lavoro. Non puoi. No. Stai zitto. Stai ZITTO. Chiudo gli occhi un momento mentre nel cervello Ray Charles attacca con Shake Your Tailfeathers ed apro la bocca: – Il rapper.
I fogli che Bialetti tiene in mano scendono lentamente sulla scrivania.

– Il… repper?
– Sì. Il rapper – spiego alzandomi in piedi e spiegazzando il mio completo giacca&cravatta con gesti west coast – la spingo hardcore coi miei frà, abbiamo bisogno del cash peso per droppare out, chiaro man? – e comincio a fare freestyle smerdando lui e la sua ditta di merda.

Riapro gli occhi.


– Il commerciale, non è una forma d’arte? – sorrido.
– Ah, questo è interessante. A noi piacciono persone competitive che sappiano lavorare in solitaria. Che ne dice di un giorno di prova? Un giorno intero con un nostro operatore, un giorno di esperienza nel campo, casa per casa, nel camion, a vedere com’è? –

Smettila. Vattene. Torna a fare il falegname, deficiente, non sei portato. VAI VIA.

– D’accordo – dico.


Venerdì farò il mio giorno di prova come venditore porta a porta. A Treviso. Entrerò nelle case della patria della lega tentando di vendere cose congelate, ma sono ottimista. E armato.