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L’apprendista giornalista



Sono le sette di mattina, alla radio Anna Frank duetta con Eminem ed ho finito la marmellata d’arance. L’allenamento di ieri ha reso le mie gambe una macchina che produce crampi. Mi rado con i BIC gialli, esco in strada che pare m’abbiano sgozzato.

Piove.
Due donne affrettano il passo pur di riuscire a farselo cedere. Dietro di me due adolescenti raccontano che ad una festa gli è venuto da starnutire mentre pippavano e si sono sputtanati 70 euro di roba. In redazione la freelance mi sorpassa con un sorriso di superiorità, devono averle preso l’ennesimo servizio sulla nightlife veneta. Dio, le gambe.

Mi siedo al PC, clicco gmail e mentre la barra scorre chiudo gli occhi. 

Da: Ministero della difesa
A: Nebo

Egregio Sig. Nebo,
siamo felici di comunicarle che abbiamo preso in esame la sua proposta. Ci dispiace di averle fatto aspettare tre anni prima di avere una risposta. Dopo aver letto attentamente i suoi articoli ed inchieste sul Gazzettino e La Nuova, le sue interviste per Milano e soprattutto i suoi pezzi su Proeliator siamo giunti alla conclusione che la Marina Militare ha un enorme bisogno di lei. La prego, venga a fare reportage, interviste ed inchieste sulle forze armate. Discuteremo del suo compenso di persona.


Apro gli occhi, 1 nuova mail. Vodafone One ti premia con
– La tua collega ha fatto un bellissimo pezzo sulla movida notturna – flauta il redattore dal fondo – e mi ha detto che il bar XXXX chiude. Perché non vai a fargli due domande?
L’odore di asfalto bagnato si mescola a quello delle prime caldarroste, minuscole palline marroni che costano come platino. Un vecchio piscia, il gestore esce, rissa. Una coppia si bacia, un motorino schiva miracolosamente un autobus. I clason danno il voto all’acrobazia. Sui muri affittasi stanza e no al nucleare e riunione e concerto. Uno mi domanda se gli offro una sigaretta, rispondo “non ho niente”. E’ stato peggio quando mi chiesero di fare un gesto d’amore per i bambini e risposi “ho smesso”. Un sigaro mi accarezza le narici, colletti bianchi flirtano nei bar. Mi fermo davanti alla vetrina. Inspiro. 
Le interviste ai commercianti sono una spirale rovente nel culo. Preferirei passare la mattinata dal dentista che avere a che fare con questa gente. Entri che hanno l’atteggiamento altezzoso ed insofferente dei disfattisti, migliaia e migliaia di pittime tutte uguali che galleggiano nella loro presunzione saccente. Tu sei educato e cortese, loro rispondono come se fossero Marchionne; gli stai facendo sprecare tempo prezioso che altrimenti passerebbero a guardare fuori scuotendo la testa. Spieghi che sei un freelance e vorresti scrivere un articolo. Niente. Elettroencefalogramma piatto, non capiscono. Pronunci “Gazzettino” e si spalancano le porte dell’inferno. Gonfiano il petto, si spostano su una gamba, cambiano tono di voce cercando di essere seri e drammatici come hanno visto fare nei film. Fanno la faccia intensa e con il tono più solenne possibile annunciano: 
– Guarda, lascia stare [il motivo per cui sei lì]che non frega a nessuno, dovresti scrivere un articolo su. 
“Su” il meccanico che gli ha chiesto 40 euro per un cambio d’olio ed è uno scandalo. L’antifurto di fronte che parte di continuo e non lo lascia dormire è una vergogna. La moglie che lo sta dissanguando con la separazione e cosa deve fare lui. I cani che cagano sul marciapiede che non se ne può più. I vigili che gli hanno dato una multa esagerata, fossero stati 20 euro glieli dava. La polvere del cantiere sulla vetrina, loro come contribuenti hanno il diritto di. La viabilità scandalosa, la gente è stufa, avevano pensato di chiamare Striscia. Dopo un piagnisteo di tre quarti d’ora dove ignorano qualunque tua domanda fanno una pausa ad effetto per enfatizzare il gran finale: io mi vergogno di essere italiano. A quel punto ti fissano, aspettandosi che tu indietreggi sconvolto. Se avessi un euro per ogni idiota che pronuncia questa frase appena gli rigano il motorino starei prendendo il sole su una goletta di 35 metri alle Barbados. 
Apro la porta. Buongiorno, ‘ngiorno.
– Ho sentito che state chiudendo!
– Cosa prende?
Un caffè. Un euro. 
– Ci trasferiamo a Mirano – dice, incrociando le braccia.
– Eh, van tutti lì. Voi come mai?
– Mestre non favorisce noi commercianti.
– Per i lavori del tram?
– Anche.
– E questo posto che fine fa?
– Lo piglia il XXXXXX, ma non sarà come prima, noi garantivamo standard molto alti.
– Non è un po’ drastica, come cosa? Dico, trasferirsi in periferia.
– Ah, ma vedrai che si solleverà un polverone.
Chiariamo una cosa: nessuno di loro compra il giornale. Mai. Preferiscono guardare il TG sputando insulti a caso tra una forchettata e l’altra. Poi i giornalisti sono tutti venduti, raccomandati, strapagati, bugiardi e faziosi; “scrivere” lo saprebbero fare anche loro, mica come vendere “cappuccino + briock 3 euri”. Se questo tizio leggesse il giornale saprebbe che a Mestre prima di lui hanno chiuso librerie storiche, panifici, negozi e pub. Tutti l’hanno visto succedere al vicino, tutti hanno fatto spallucce pensando “più posto per me”, tutti hanno frignato appena capitava a loro. Branchi di egoisti gretti e meschini che credono il loro trasloco sarà un brutto colpo per la città e nelle loro più bagnate fantasie il sindaco in persona, a furor di popolo, andrà a supplicarli di tornare facendo offerte in denaro. 
– Sono già venuti quelli del giornale?
– No, infatti sono rimasto abbastanza deluso.
– Lei che giornale legge?
– Non li leggo.
– Allora come fa a sapere che non è già uscito un articolo?
– Me l’avrebbero detto.
– No.
– Lei come lo sa?
– Perché sono venuto apposta per vedere se c’è da scrivere un pezzo.
– Ah! Bè, guarda – all’improvviso siamo confidenti e mi da del tu – c’è la questione del portacenere.
Lo ascolto parlare per mezz’ora. Osservo con sadico piacere questo imbecille dibattersi nel putridume di una carcassa che lui ha lasciato morire. Esco promettendogli di avvisarlo quando e se uscirà il pezzo. Telefono in redazione, dico che è un semplice cambio gestione. Stamattina telefono, sicuro di regalargli una bella giornata, dicendo che il giornale non è interessato. Tanto, chi lo legge?

Perché viaggiare è importante



Fino ad una decina di anni fa i ragazzi tra i 18 ed i 29 dovevano fare il servizio di leva. Oggi i ragazzi dai 18 ai 29 devono avere fatto almeno un interrail secondo la diffusa superstizione che viaggiare apra la mente. 

Non è chiaro come, ma in pratica parti per Amsterdam che sei uno stronzo e torni che lo sei un po’ meno. Quali incantesimi operino questa miracolosa metamorfosi non ce lo può dire nemmeno il sito della Ryanair, però è credenza comune che se per una settimana hai indossato uno zainetto Eastpack, dormito in ostello, incontrato uno svedese/irlandese con cui drogarti e andare in treno, bene: quando tornerai sarai una persona migliore e vorrai raccontarlo. 

Diamine, non c’è niente di meglio che passare la serata ad ascoltare le avventure di obeso impiegato erotomane che racconta con occhio lucido come in una settimana abbia speso 1000 euro in prostitute slave. 


Non ho mai sentito qualcuno dire “tesoro, Mattia è tornato dall’Olanda! Andiamo a farci raccontare com’era!” né la fidanzata rispondere “oddio, sì, finalmente! Convinciamolo a scrivere un libro!!” ma credo dipenda dal mio provincialismo. Immagino molti di voi disdicano impegni pur di trovarsi con persone che dicono di “avere viaggiato molto” e farebbero volentieri a meno di raccontarlo, vista l’aria annoiata che assumono nel dirlo. Di solito sono così annoiati che non ascoltano una parola di quello che dici ma aspettano solo il loro turno, spesso usando collegamenti degni della mente di uno schizofrenico. 


– Come sta la Erica?
– Sta bene, ora lavora all’aeroporto.
– “Aereoporto” il Marco Polo?! Pfft, vedessi Dubai… altro mondo! Altro che qui in Italia! 


Barcellona, Berlino, Praga, Amsterdam sono le prime bordate. Tu sei lì che tremi d’entusiasmo e ti pisci addosso come una cagna in calore per sentire sconvolgenti rivelazioni che miglioreranno sensibilmente la qualità della tua vita: c’erano un sacco di studenti sbronzi e questi pazzi irlandesi. OH. MIO. DIO. Un flusso d’urina calda cola giù per la coscia. Vorresti impiccarti in quel momento e raggiungere i tuoi avi perché niente al mondo sarà interessante quanto sapere che ad Amsterdam ci vanno da tutto il mondo per drogarsi. Interessantissimo. Per un’estate hai servito gelati a Bonn e dormivi in ostello con questi pazzi francesi che scorreggiavano come stratoreattori ingolfati e ridevate un casino. Mattia, perdonami, ti ho giudicato male: viaggiare ti ha reso un vero uomo. 

A differenza dei maschi, le donne omettono il cataclisma di ditalini che si son fatte fare nei cessi di Barcellona e preferiscono portare il souvenir straniero, tale Ibanez o Muhammad o Andrew, uno sconosciuto dall’aria ottusa che non capisce una parola in nessuna lingua, si guarda attorno spaesato, risponde a mormorii incomprensibili e di mestiere fa “mrgnahwan”. Lo presenta come grande amore e ci progetta la vita insieme perché finalmente ha trovato un uomo che l’ascolta quando parla. Si mollano quando capisce che in realtà, viste le distanze linguistiche, è lei che parla molto meno. 

Locali. Tutti bellissimi e la vita notturna è da paura, come da foto. Guardi. C’è il loro volto con labbra sporgenti a mò di bacio (che nelle donne è obbligatorio), il flash sparato in faccia e sfondo nero sfocato. “Qui eravamo in una discoteca a Madrid. Qui in una birreria a Copenhagen. Qui su un marciapiede a Dublino”. Splendido. Potrei fingere di aver girato il mondo fotografandomi in un sottoscala di Codroipo con una digitale da 100 euro, Jasc Photo Paint, cinque euro di ganja, una bottiglia di San Giovese e punkabbestia assoldati a mozziconi di sigarette. 

Altra tragedia è quando vi capitano quelli con le frasi profonde. Le dicono solo se ci sono testimoni. Hanno speso 3000 euro di Alpitour in Kenya per poterla dire e non la sprecheranno per voi e basta. Devono almeno essere in un locale pubblico quando c’è molto silenzio, a una cena tra amici o una festa. 


– Mi han dato 170 euro di multa e tolto cinque punti dalla patente.
– Guarda, io in Africa ho visto bambini giocare con palloni di stracci ed essere felici… 


Ma vaffanculo, e allora che me la paghino loro, la multa. Voglio vederli cucire palloni fino a scarnificarsi le ditine, zic zic zic mentre visito il loro villaggio su un autobus col clima ed una guida che mi domanda se preferisco un mojito o un pompino. Cucite i palloni, piccoli bastardi, non siete felici? Stareste imbracciando un mitragliatore, se non fosse per me. 

La cosa peggiore che tu possa fare a questi tizi è dire “lo so”. E’ tipo “expelliarmus”. Guardi le loro speranze sgretolarsi e gli occhi riempirsi di lacrime. Realizzano che altre persone hanno pagato per una settimana in un club mediterranèe a Sharm el Sheik. Dramma. Sì, la spiaggia bianchissima. Sì, bellissimo. Sì, tanta povertà. Sguardo triste, orecchie basse. Non vi inviteranno mai più. Hanno aperto un mutuo per scoprire che le ferie, con i viaggi, non c’entrano un cazzo.

In agosto non mi riconosco



E’ agosto quando arriva il brillante gioco di parole “e… state”.


Sui muri delle città appaiono poster che recitano “e(state) a leggere”, “e… state con noi”, “e!state”, “e-state senza zanzare”, “e.. state ballando”. E’ agosto quando almeno una reclame usa “a-a-abbrrrronzatissima” remixata dal remix di un vecchio remix. Nessuno sa di quando sia l’originale, ma si sospetta la cantasse Garibaldi all’ingresso a Bronte. 



E’ agosto quando due su tre videoclip contengono una bionda ferma in coda che apre la portiera e comincia a cantare tra la gente. Camionisti ventenni belli come adoni balleranno sopra autocisterne regalando acqua alle altre automobili. E’ agosto quando i telegiornali dicono che fa più caldo di tre estati fa ma meno caldo di un’estate fa. E’ agosto quando la desertificazione è alle porte assieme ad una nuova glaciazione, avremo inverni sempre più rigidi ed estati sempre più torride. Insomma: non ci saranno più le mezze stagioni. 

Il giorno ti abitua a deliziose mattonate di afa, poi il fresco della sera si trasforma in vento himalayano mentre passeggi con il gelato a fianco della tua dolce metà. E’ un attimo. Gola. Stomaco. Intestino. ORAnnno. Colica.

– Tesoro, tutto bene?
– M’è venut-t-ta in mente una c-c-cosa – balbetti, pensando se sia possibile peto diventi rutto.

La città una rovina in mano ad adolescenti coccolosissimi, anziani che escono dai rifugi a caccia di aria condizionata gratis, albanegromadi che vendono accendini o fanno la questua sempre più incazzati. E poi ci sono i single 30-45. 

Vista la scarsità di passanti e testimoni, i pochi maschi presenti si fanno audaci e tentano di rimorchiare qualunque essere dotato di vagina. Ogni mezzo è concesso; occhiate assassine, fischi, attacchi di tosse, versetti, richiami stile addestratore di cani, sorrisi lubrici, frasi che appena senti pronunciare devi lavarti le mani. Tutto. Uomini di mezz’età che a furia di rate-a-interessi-zero non possono permettersi manco una gita a Burzate inferiore si barricano in casa fingendosi alle Canarie. Così come Ulisse si fece incatenare all’albero, loro strappano la connessione per riuscire a non aggiornare lo status di facebook. Saranno ferie a base di pizza a domicilio, videonoleggio e seghe.

E’ in questa settimana di deserto e noia che scoprono davvero chi sono. Il cervello umano maschile può riadattarsi facilmente alla vita preistorica. L’igiene intima è basata sulla sequenza sega → pisciata → tubi puliti → fine. Il motto è “non serve lavarlo, se continui ad usarlo” e vale per il cazzo come per le tazzine. Dopo quattro giorni di noia e nessun contatto umano si dedicano a scenette divertenti tipo cacare nella lettiera del gatto e ridere osservandolo mentre tenta di seppellirlo.

Li vedi in strada, pere umane dal colorito bianchiccio e calvizie incipiente che deambulano dentro polo larghe da cui emerge la buzza alcolica. Ammiccano alla sedicenne che li indica urlando “ECCO CHI HA NASCOSTO L’ANGURIA”. Si guardano allo specchio nella penombra e si vedono fisicatissimi, poi accendono la luce. Dramma. Fanno l’iscrizione annuale in palestra che fa la promozione estiva, vanno tre volte e poi quella chiude per ferie. Addio. Quando la settimana dopo torneranno in ufficio si ritrasformeranno in impiegati modello.

Ma ora è agosto.

Oh marinaio, mio marinaio



Sera, vaporetto, canal Grande. Pochi a bordo, mi godo la brezza della sera mentre scorrono palazzi, luci, ristoranti, bettole, chioschi ed alberghi. Guardo il Carinthia VII e il Vibrant curiosity. A me macchine e motociclette non fanno il minimo effetto, ma per fare un’orgia a bordo di quelle meraviglie io sgozzerei trenta bambini, altro che trasferire le fabbriche in Serbia. 

Poi sorrido scuotendo la testa: ragiono come un membro dell’Italia dei valori. 


Cinque minuti dopo sto sognando ad occhi aperti la mia nave pirata carica di rum e lesbiche in tanga quando a bordo montano due punkabbestia. L’afrore mi riporta alla realtà. Lei ha l’età indefinibile che hanno i cadaveri all’obitorio, ha denti verdastri e capelli azzurri a macchie. Occhio cisposo, occhiaie, piercing. Innumerevoli buchi tra faccia e orecchie per catturare il più infezioni possibile completano un culo enorme e bianchiccio. In una mano tiene la lattina di birra, nell’altra la sigaretta. Pare la statua della libertà delle baraccopoli indiane. Arranca a bordo seguita dal compagno, tale Luigi. Magrolino, occhialuto, ora ha un alveare di pidocchi in testa ma al tempo era un rispettato spacciatore del liceo Giordano Bruno. Non credo mi riconosca. Anche lui ha le mani occupate dal maggior numero di simboli fallici possibile, tra cui stona un guinzaglio a cui è attaccato il protagonista della serata, un bastardo grosso due volte lui che risponde al nome di 

– SCIALLAAAA! CHE CAZZO TIRI, OOH? OOOOH! – 

Scialla è un cane bellissimo. In forma, attivo, curioso, palesemente scazzato dal doversi tirare dietro questi due rottami, scodinzola girando su sé stesso ed annusando in giro mentre il vaporetto riparte. Il marinaio è un ragazzo sui venti, sospira e si dirige verso i due. 

– Biglietto.
– Che cazzo… SCIALLAAAH! NON TIRARE, PORCODDIO! OOOH!
– Scendiamo alla prossima – risponde la donna. 
– Ho capito, il biglietto dovete farlo lo stesso.
– Vabbè, per una fermata…
– Fioi, se prendete il vaporetto dovete pagare come tutti.
– Tanto adesso scendiamo.

Pausa. 

– E non si fuma – dice il marinaio, indicando. 
– Oh ma che t’abbiamo fatto, porcoddio, t’ho detto…
– Non m’avete fatto niente, ma se c’è scritto che non si fuma e si paga il biglietto voi dovete farlo come tutte le persone normali.
– DI’ CHE TI STIAMO SUI COGLIONI, DAI, DILLO!
– NO, ADESSO PAGATE LA MULTA! – urla un vecchio, dal fondo. 
– TE FATTI I CAZZI TUOI!

In meno di un minuto il vaporetto è un carnevale di “fascista”, “sono della lega”, “adesso chiamo il 112” e tutte le anime a bordo sentono l’irrefrenabile bisogno di dire la loro. Arrivano, non sanno nulla, non hanno sentito nulla, guardano la scena e sparano “ha ragione il signore”. In un crescendo di pregiudizi, odio, frustrazione, caldo, vecchiaia e rancore verso la vita il vaporetto si avvicina alla prossima fermata. Poi lo vedo. Mi fissa. Siamo gli unici due zitti. Mi guarda con gli occhi più intelligenti che abbia mai visto in un animale. Pare capisca tutto. E’ seduto, composto. Il guinzaglio penzola abbandonato, perché nelle situazioni di crisi un punkabbestia non deve abbandonare il ciuccio, sia alcool o tabacco. Se non ciuccia qualcosa perde ogni credibilità. Scialla lo sa. Pare una statua, una scena da film. Non ha nemmeno la lingua di fuori. Il marinaio lancia la corda, lega, leva la barra di sicurezza. E’ in quel momento che Scialla si lancia nel buco tra il vaporetto e l’imbarcadero. 


– IL CANE! – urlo, troppo distante. Luigi si lancia sul guinzaglio. Tira con una mano, pesa troppo. Molla la birra e tira con entrambe. Pesa ancora troppo. La donna dietro urla “tiralo su, tiralo su”. Dal basso parte un “uhày”. Il marinaio afferra la mano del punkabbestia ed estrae Scialla mezzo istante prima che diventi un monotono 33 giri. THUM. 

Silenzio a bordo. La birra cola sul pavimento. 

– Oh, grazie, oh – dice Luigi con un filo di voce. 
– Dai, scendere – dice il marinaio. 

I due scendono, il motore riparte, la barra si chiude. Li guardo andarsene quando dal cielo, con una parabola perfetta, la lattina di birra dimenticata centra la testa di Luigi. Si tiene la testa. Mi volto a guardare il lanciatore, è il marinaio. Si sporge e sbraita in veneziano “Se là dentro c’eri tu ti lasciavo morire, testa di cazzo”. 

Onore alla marina veneziana.

Ecco come succedono queste tragedie




Zen cafè, un long island ed un havana cola. Chiacchiero con l’amico Carabiniere quando la frase “ah, Nebo, una mia amica ha detto che passa con un’amica” esce dalla sua bocca e si appoggia sul tavolo, sinistra e minacciosa come una pistola. Io ho trent’anni, signora. So quando, come e perché succedono queste tragedie. Le trentenni per evitare il confronto con le ventenni cacciano a coppia, possibilmente dentro posti tattici dove star seduti. Da seduti le prede vedono trucco e scollatura mentre il culo sta occultato sotto il tavolo. Sto pensando al leone che viene impallinato all’abbeverata quando
«Uff… cosa ci offrite da bere?» dice una voce femminile alla mia sinistra.
Da qualche parte sento uno sparo.
Appare prima un barile di olive ascolane. Indossa camicetta bianca scollatissima con pushup, pantalone nero sintetico a zampa di tirannosauro e sandali sfighi con accenno di tacco rinforzato titanio. Dalla punta fuoriescono grappoli di cotechini somiglianti a dita. Il viso è una maschera impenetrabile di creme e colori. Muggisce con pacata euforia.

 «Dov’è la tua motosega, Jason?» domando.
 «Come?»

E’ dolcissima. E’ un’adorabile balena spiaggiata sulle coste della vita. Mi alzo, le stringo la mano.

 «Scusami, parlavo col mio amico. Piacere, Nebo»
 «Claudiahehe, eh»

Nei suoi primi 20 dev’esser stata un bluff che ha funzionato da Dio, permettendole di aggrapparsi alle testiere del letto di molti giovani imprenditori. Poi, la convivenza e le Pringles. Una vagina che dall’oggi al domani si ritrova schifata da tutti potrebbe ricalcolare la sua intera esistenza. Penso che la serata potrebbe funzionare, penso che voglio davvero ascoltarla parlare. C’è una luce, sotto quegli occhi d’aspirante suicida. Felice della cosa, incrocio sbadatamente lo sguardo con l’amica.

E capisco che devo andarmene il prima possibile.

«Bè? A me nessuno dà la mano?»
«Nebo»
«Ah, ecco» stringe a pesce morto «Marta. Cos’è che si beve in ‘sto posto?»

Al tavolo non c’è più nessuno. Nel locale non c’è più nessuno. Siamo solo io, lei, un video con un pupazzo ed una chiave nascosta da qualche parte. Mi guarda da sopra la montatura hipster mentre ciuccia la caipiroska con il mignolo di fuori. Larghi occhi spalancati. Frrplllch, fa la fragola dalla cannuccia. Frrplllch.

 «Di cosa ti occupi?»
 «Scrivo. Sono freelance per il Gazzettino e per la Nuova»
 «Ah» sposta lo sguardo, sorriso sarcastico.
 «Tu invece che fai?»
 «Sono precaria»
Giuro.

 «Cosa vuol dire precaria?»
 «Non ho sicurezze, per adesso»
 «Fai il manichino per i crash test?»

Quando non riescono a dire che lavoro fanno alla seconda battuta se sono maschi fanno lavori tipo “Social aggregator Manager”, se sono donne fanno ripetizioni a bambini ritardati ed escono tutte le sere alla disperata di ricerca di qualcuno da divorziare. 

«Lavora in un’agenzia interinale» interviene il carabiniere.
«Però sono psicologa» precisa.
Parte la sigla dell’eurovisione.

Le psicologhe. Per buona parte della mia vita ho creduto di avere una malattia che calamitava a me queste tizie. Stetti per due anni con una psicologa che tentava di convincermi che la Pet therapy avrebbe rivoluzionato il mondo e salvato vite umane dall’autodistruzione.


Secoli di medicina psichiatrica ci hanno portati a questo


Non sono io, comunque. E’ che l’Italia oramai ne è piena. Se le case di tolleranza fossero ancora aperte queste quaglie avrebbero soldi, fama, un tetto, un lavoro dignitoso, pagherebbero le tasse, contribuirebbero a salvare l’Italia dalla crisi economica ed annullerebbero il fenomeno del turismo sessuale. Sarebbero membri produttivi della società. No. Niente. Siccome siamo in un paese di preti malati bisogna laurearle in psicologia e lasciarle vagare per i centri commerciali.
Fanno i centri di detenzione per gli albanegri, i campi profughi per gli zingari ma non possono fare le case di tolleranza per le psicologhe. No. Tonnellate di carne da bocchini ogni anno patisce l’irrealizzazione personale in uffici, segreterie, sportelli alle poste e saldi da H&M.
«Tu e lui come vi siete conosciuti?» domanda.
«Ci siamo b
«Basta che non sia una roba noiosa, eh?»
«Se vuoi ci metto dentro delle parole chiave così da tenere alta l’attenzione tipo “omicidio”, “pompino” e “stupro”»
Ogni giorno un operaio, un fresatore, un artigiano, un contadino devono andare in un’agenzia interinale ed avere a che fare con queste macchine da eiaculazione che con aria saccente spiegano come il curriculum abbia un font troppo piccolo e sia privo di un brand soddisfacente. Ma perché? Non c’è niente di male a dare il culo per soldi. Lo fanno dall’inizio della storia del mondo. C’era una volta un dinosauro di otto metri, un uomo con la clava e una che apriva le gambe per una bistecca.

Finiva che morivano tutti tranne la tizia che diventava obesa.


Anche nel medioevo era pratica comune. A suon di pagare per sifonare una tizia uno ci si affezionava e se la portava a casa. Quella accudiva i figli, teneva a posto casa, faceva trovare un piatto caldo al ritorno ed ereditava la casa quando il tipo moriva sui campi di battaglia. Poi i preti hanno cominciato a preferire i buchi stretti dei ragazzini ed è andato tutto affanculo.
«Io sono una molto umile, anche se non sembra»
«TU? HAHAHAHAHAHA!» scoppia a ridere Jason, a fianco a me.
«TU? HAHAHAHAHAHA!» sputa il carabiniere.
«Nel senso che minimizzo molto» ringhia «sembra quello che faccio non sia niente di che, mentre invece…»
«Sei la proprietaria dell’Umana?»
«No. Faccio teatro»
Racconta che convive, ma progetti più seri “non si concretizzano”. E’ strano, spiega. Eppure stanno insieme da tanto. L’età è quella giusta, sarebbe tempo ed ora ma lui non fa il grande passo.
Quello che le donne non capiscono della convivenza è che è come l’università: credono sia il lieto fine ma è solo il fine primo tempo, e se non hai un progetto a lungo termine è inutile. Un uomo che convive da anni non è che “non pensa” a sposarti, è che proprio non gli interessa farlo; se credi in qualcosa ci investi. L’uomo sta comodo, ha un posto dove scopare, spese dimezzate e un’interprete tra lui e la lavatrice. Perché legarsi? A differenza della femmina ha tutto il tempo che vuole.
Non che manchino gli uomini interessati, è che le psicologhe di provincia si sopravvalutano sempre. Le supercafone eccole quaaaa e si aspettano alla porta bussi un mix tra Johnny Depp, il Padrino e Vin Diesel. Finisce che la danno solo a quelli che le truffano con SUV a rate ed appartamento dei genitori. Poi dopo sei anni di convivenza si mollano e raccattano il primo che trovano. E’ buffo, a pensarci. Si tengono stretta la fica per tutta la prima metà della vita e nella seconda metà la vita non fa altro che buttarglielo al culo.

Ecco come succedono queste tragedie, penso alzandomi e pagando.
Solo il mio drink.