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Capitolo 1 – Grandi cose

 

Nell’agosto del 2001 sono all’università a Trieste. La morosa a Venezia mi ha mollato per un campione di tennis ricco di famiglia con carte da 200 euro nella borsa degli spiccioli. Mi manda un sms con su scritto “mi aspetto grandi cose, da te, Nebo”. L’ultima immagine che ho sono loro due che mi passano davanti su un TT decappottabile mentre vado al mio primo giorno di lavoro come banconiere in piazza a Mestre.

Le auguro di uscire presto dalla rianimazione.

Ho una mezza tresca con la mia collega, Miriam, una truzza dai capelli rossi e gli occhi verdi come la nostra laguna. E’ soffice e forte. La sera quando la padrona non c’è e l’altra fa i toast pomiciamo nel retro con la scusa della sigaretta. Siamo nascosti nel buio del magazzino, con le mie mani che le alzano la gonna e lei che le ferma ogni giorno più su. Stando ai miei calcoli per metà settembre riusciremo a collaudare le cassette dei Pago. Fuori l’estate passa tra turisti ubriachi, portaceneri da svuotare, piccioni voraci e litigate sugli straordinari. Mi ricordo l’odore dell’ammoniaca e i fermi per le tovagliette. Ogni notte, quando lego i tavolini che tra qualche ora dovrò slegare, annuso l’aria che sa di malinconia e di opportunità. Guardo la mia vita cambiare tra un bacio rubato e una birra annacquata ai tavoli. Quando torno a casa mangio scatolette di tonno e mi metto a lavorare sulle canzoni. Fumo Lucky Strike. Dormo poco ma bene. Ogni mattina faccio 11 trazioni alla porta del bagno e 5 serie da 40 flessioni. Mi addormento pensando a come dev’essere stare dentro Miriam.

E’ domenica sera e in giro non c’è un cane, forse per il temporale del pomeriggio che ha rinfrescato. Alle 22 la padrona getta la spugna. Abbiamo già tirato dentro i tavoli e sto passando il mocio quando alle mie spalle arriva il rompicoglioni. C’è sempre. Sospetto attenda nell’ombra finché non vede il bar chiudere, a quel punto emerge con le richieste più idiote.

«Solo un caffè, poi vado via»
«Mi dispiace, abbiamo già spento le macchine» fa Miriam alle mie spalle.
«Lo so, giusto uno al volo. Devo guidare, è tutto chiuso. Per favore»

Miriam ha quell’attimo di esitazione di chi può essere forzato. Senza quel mezzo secondo tante cose non sarebbero successe, sul braccio non avrei la cicatrice di una coltellata, il mio premolare non sarebbe una capsula e forse avrei finito l’università. Alle mie spalle arriva la richiesta d’aiuto. Mi giro.

«Nebo, faresti un caffè per il ragazzo?»
«NEBO!!» grida lui.

Mi si presenta in jeans, scarpa lucida, camicia azzurra sbottonata su catenina, giacca. Il viso è lo stesso di allora, però con poca barba e tantissimi capelli. Si chiama Alessio G, eravamo insieme alle elementari. Sfodera un sorriso entusiasta e fa tre passi avanti, calpestando il mio lavoro di mocio.

«Oddio non ci credo, sei proprio tu! Uguale!»
«Tu invece sei cambiato parecchio, Ale» dico.
«Me lo dicono tutti. E tu?! Che fine hanno fatto i capelli?!»
«Li ho incollati sulla faccia per protesta»
«Haha, sempre lingua lunga, tu!»

«Quello sicuro» commenta Miriam fuoricampo.

Sistemo i piatti, i portaceneri, chiacchieriamo dei vecchi compagni di classe. Alcuni li ha visti ancora, altri no. Dice che non si aspettava di trovarmi lì. E’ simpatico, allegro e curioso, una di quelle rare persone che preferiscono scoprire gli altri che sé stessi. Quando abbasso la saracinesca neanche noto Miriam allontanarsi infastidita. Ale è magnetico, ha i connotati stravolti dalla vita e gli occhi che mandano strani bagliori.

«Senti, ti va di berci due robe assieme?»
«Ok, tanto domani posso dormire. Anche se qui a Mestre non c’è niente d’aperto»
«E chi ha detto qui, andiamo a Treviso»
«Stavo per dirlo io»

Per strada discutiamo dell’esaltante carriera sessuale di Valentina quando tira fuori le chiavi e fa lampeggiare una TT decappottabile. Per un secondo rivolgo lo sguardo ed i pensieri alla madonna che tanto ha in comune con la mia ex compagna di scuola.

«Cos’era quella faccia, sarai mica diventato noglobal, contrario agli status symbol…»
«Eh?»
«Monta, pelato»

Stare seduti dentro una TT è fighissimo, sembra un F-117. Ho un flash della mia ex che fa un pompino su questa macchina. Scuoto la testa e mi concentro sugli interni, belli anche per un profano come me. Con il cambio poi le sarebbe difficoltoso, e dietro non possono scopare perché è strettissimo. Haha, stronza, e adesso? Nella mia 600 si andava da Dio, lui dove ti tromba, a parte la baita a Cortina? A parte quella romantica terrazza del suo appartamento a Milano?

«Hai detto Mirano?»
«Eh?»
«Dico, hai detto “Mirano”. Vuoi che andiamo a Mirano?»
«Treviso va benissimo»

Accende il motore, un rombo cupo e minaccioso.

«Visto che andiamo là dovrei vedere due persone, poi ce ne andiamo a bere e a guardar tette. Te gusta?»
«Le tette sono la stella cometa per i miei tre re magi qui sotto, amico mio» rispondo.
«Allora vamos!»
«Che è ‘sto spagnoleggiamento?»
«Amicizie sudamericane, dai e dai un po’ ti rimane. Ci sei mai stato? Caraibi? Cuba?»
«Ho il wallpaper»
Ride.

Vengo schiacciato contro il sedile dalla guida di un pazzo. Lascio alle mie spalle il bar, la Miriam, l’università, la musica, gli amici. L’umore è alto, il serbatoio è pieno, la notte è giovane ed ho 21 anni. Il terraglio ci accoglie come un maitre premuroso.

A trenta chilometri da noi, in un autogrill, un uomo nervoso paga un pacchetto di Marlboro. La cassiera ringrazia e gli augura una buona serata. Il tizio ha la faccia sudata, l’occhio sbarrato e se ne va urtando gli altri: «Sarà bene che sia una buona serata, signora, o qualcuno è la volta che si fa male»

Prologo

 

«APRI ‘STA PORTA O LA BUTTIAMO GIU’!»
«No, tu PROVA! ORA IO CHIAMA, ukatami? Musashiknpà?»
Grida rimbombano all’esterno.

«MI SENTI?» faccio, battendo sulla porta di metallo.

La Cina, fuori, mi ignora. Strilla. Quando un cinese grida poi di solito si getta da una rupe per trasformarsi nella testa di un robot alto ottanta metri che spara raggi fotonici dalle mutande. Sono problemi. E non vi ho parlato di quello che succede alle cinesi donne.

«Chiamiamo il 112»
«E’ inutile. Non prenderà»
Ha ragione.

Le ragazze consultano il loro mondo portatile col medesimo risultato.

«Com’è possibile, siamo in centro Bologna…»
«Cemento armato. Una fredda, profonda, tomba per automobili. E’ buffo, visto che le automobili stesse sono la tomba per così tanti di noi»
Madonna santa.

La bionda è in un angolo che singhiozza e smanetta col cellulare. Grida ogni volta che batto contro l’uscita di emergenza. L’altra è paralizzata dalla paura. Un neon moribondo è l’unica luce che abbiamo. Siamo tutti e quattro mezzi nudi.

«Sfondiamola»
«Una porta blindata a calci? Non essere ridicolo, Nebo»
«Che palle, Ale, di là?»
«E’ un magazzino, detersivi e scope»
«C’è qualcosa di utile, dentro?»
Esplora svogliato: «Niente»
«Cerca roba che esploda»
«Un CD piratato di Avril Lavigne…»
«No»
«Ammoniaca?»
«Meglio, con cosa esplode l’ammoniaca?» chiedo.
«Non lo so. Eri tu quello bravo, in chimica»

Poche frasi comunicano il disastro come questa.

«AIUTOOOOOOO!» urla la bionda.
«E’ inutile» sentenzia gelido Alessio «moriremo qui, stanotte. Ma è giusto. Ha senso. A me va bene. C’ho pensato tante volte»
«C’hai pensato tante volte?»
«Continuamente, Nebo»

E’ febbraio del 2001. Sono nel parcheggio sotterraneo di Bologna sequestrato da Feng Dong il 356°, indosso una buffa camicia hawaiana, puzzo di Sangiovese, sono disgraziatamente lucido in compagnia di due studentesse perverse e lui. Soprattutto, soprattutto lui. Ma andiamo con ordine.

IL COMPAGNO
DI CLASSE
(una storia a puntate)

Il boyscout nucleare




Golf Manor è una cittadina sfigatissima del Michigan a 25 miglia da Detroit. Il 26 giugno del 1995 una vecchia, Dottie Pease, tornando a casa vede nel giardino del vicino una dozzina di uomini in tuta antiradiazioni che aprono il seminterrato con una sega elettrica. Mettono i pezzi dentro secchi d’acciaio con il simbolo PERICOLO – RADIAZIONI. Un impiegato dell’EPA (Environmental Protection Agency) dichiara pubblicamente “nun c’è gnente da preoccuparsi, signò, torni a guardà Studio Aperto”. 

Perché, come diceva Poirot, la realtà non sembra mai vera. 
Partiamo dall’inizio. 










David Hahn è un bambino americano qualunque. Sta nei boyscout, gioca a baseball, è biondo. Genitori divorziati, lui vive con padre e nonna ma cazzeggia a casa della madre. Comincia a dare segni di cambiamento verso i 10 anni, quando gli regalano Il grande libro degli esperimenti. A 12 anni ha già divorato tutti i libri di chimica del padre. A 14 crea la nitroglicerina. Una notte fa saltare per aria la casa della madre, che da allora gli proibisce di fare ‘ste stronzate in casa e gli regala riviste porno sperando cominci a pensare alla fica. Non funziona. Il ragazzino è timido e introverso, non parla molto anche se i genitori ricordano di avergli sentito dire “un giorno la benzina finirà”. Ogni tanto lo vedono girare con una maschera antigas e buttare via i vestiti dopo essere stato chiuso nel seminterrato fino alle 2 di mattina. Routine. Non dimentichiamo che siamo nei motherfucking USA fuck yeah. 

Convinti sia necessario inculcargli un po’ di disciplina lo iscrivono nei boy scouts avanzati, che pretendono 21 badge per merito. David si guadagna il badge in energia atomica nel maggio del 1991, poco prima del suo quindicesimo compleanno. Per allora ha maturato grandi ambizioni: irradiare qualunque cosa riesca. 

Così decide di costruirsi un cannone a neutroni. 



Il direttore dell’agenzia per la produzione e distribuzione di isotopi gli manda dritte su come isolare ed ottenere elementi radioattivi, gli spiega le caratteristiche di alcuni isotopi che se bombardati da neutroni possono scatenare una reazione a catena. Quando David domanda quali sono i rischi il direttore risponde di star sereno: il possesso di materiali in quantità sufficienti a rappresentare un rischio sono soggetti alla licenza dell’NRC, la commissione per il regolamento del nucleare. David risolve il problema scrivendo all’NRC e spacciandosi per un professore di fisica del liceo. 

Da loro viene a sapere che un piccolo quantitativo dell’isotopo radioattivo Americio241 si può trovare nei rilevatori di fumo. Contatta le compagnie che li producono e racconta di averne bisogno in gran quantità per un progetto di scienze, non importa se funzionanti o meno. A quelli non par vero: gli vendono tutto lo stock dei difettati a un dollaro l’uno. David fa telefonate per sapere dov’è precisamente l’americio, lo estrae e lo mette tutto in un cubo di piombo con un piccolo foro da un lato, in modo da far uscire i raggi alfa. Di fronte al blocco mette una lastra di alluminio i cui atomi assorbono i raggi alfa e cacano neutroni. Voilà. Il suo cannone è pronto. 

Ora, dovete sapere che nelle lanterne a gas il rivestimento della parte interna, sopra la fiamma, è ricoperto di un composto che contiene Torio232. Quando il Torio viene bombardato di neutroni produce Uranio233, che è fissile. David compra centinaia di lampade, stacca quei pezzi e con la fiamma ossidrica li riduce in cenere. Per isolare il torio spende 1000$ in batterie al litio, le taglia a metà, mette batterie e cenere di torio in una palla di fogli di alluminio e la scalda con un becco Bunsen. Questa procedura purifica il torio fino a 9000 volte i livelli in cui si trova in natura e circa 170 volte il limite massimo concesso dalla licenza dell’NRC. 

Ma il cannone di David non è abbastanza potente per trasformare il torio in uranio. 

Desiderando ardentemente del radio per un cannone più capace comincia a rovistare negli sfasciacarrozze, negli antiquari e nelle discariche a caccia di vecchi orologi con la rivestitura in radio. Gratta via la vernice e la mette da parte. Procede lento, finché un giorno becca un orologio da tavolo con all’interno una fiala di vernice al radio. Lo compra per 10$. Si concentra nel ridurre il radio in cenere, chissà se consapevole o meno del rischio. Il tizio dell’NRC gli aveva spiegato che “niente produce neutroni dalle reazioni coi raggi alfa come il berillio”. David ha un amico che gli ciula un pezzo di berillio da un laboratorio di chimica, poi lo mette di fronte al blocco di piombo contenente il radio. Ora il suo cannone a neutroni casalingo da fionda è diventato una Desert Eagle. Trova in uno dei tanti laboratori una pepita contenente infinitesimali quantitativi di uranio. La polverizza a martellate e ci punta contro il cannone. Nada, i neutroni del suo cannone vanno troppo veloci. Li rallenta con un filtro e questa volta va.

La radioattività comincia a crescere. A 17 anni David decide di costruire un reattore funzionante. Ha gli schemi nei libri del padre. Sbattendosene della sicurezza mescola il radio, l’americio e il berillio in una palla di fogli d’alluminio che formano un rudimentale – ma efficace – nocciolo del reattore. Circonda il tutto con una coperta di piccoli foglietti cosparsi di cenere di torio e polvere d’uranio, tenendoli insieme col nastro adesivo. 

Poi, ad un tratto, capisce. La radioattività è mostruosa, molto più alta di quando l’ha assemblato. Oramai il contatore geiger di David rileva radiazioni a cinque case di distanza. Decide che forse c’è troppo materiale radioattivo in un posto solo. Disassembla il reattore. Nasconde i pezzi un po’ di qua e un po’ di là, poi mette il grosso nella sua Pontiac. Alle 2:40 di mattina un’auto della polizia lo ferma per un’altra segnalazione, lui tradisce nervosismo e gli aprono il bagagliaio. Trovano una cassetta degli attrezzi sigillata con un lucchetto e nastro adesivo, fogli di carta coperti di polvere grigiastra, piccoli dischetti, materiale metallico ed un fusibile a mercurio. I poliziotti sono preoccupati soprattutto per la cassetta, che David informa essere altamente radioattiva. Chiamano gli esperti, che arrivati nella sua cantina trovano tonnellate di roba contaminata oltre 1000 volte i livelli di guardia, inclusi pezzettini d’alluminio e altro che può facilmente essere disperso dal vento. Dichiarano lo stato d’emergenza, epurano il posto e seppelliscono tutto nel centro del deserto, dove gli USA cacano le loro scorie nucleari. 

Questa è la storia del boy scout nucleare. Si sono ispirati a lui per creare il cattivo di Source Code. Perché non è una storia di fantasia. No. Questo è lui, un pelo segnato dalle radiazioni.







Nel 2007 David è stato arrestato per una storia di furti. 
Rubava rilevatori di fumo dai condomini.

Ho fame di terzo mondo



Ehi, tu! Sì, proprio tu, ragazza! Cerchiamo proprio te!
Sappiamo che il mondo dove vivi non ti apprezza. Lì, nelle grigie metropoli, qualche chilo di troppo basta a farti emarginare. Le donne ti prendono in giro, i locali non ti fanno entrare, gli uomini ti evitano, le commesse non hanno mai la tua taglia. Tu, bellissima principessa, che per caso sei finita a fare un lavoro noioso e mal pagato che non valorizza le tue reali capacità.

 Tu, costretta a guardare repliche di Friends di venerdì sera mangiando gelato in compagnia del tuo gatto. Tu, che non ti butti dalla finestra perché lasceresti un cratere di tali dimensioni da oscurare il cielo per 200 anni. Tu, che non ti impicchi perché trovare catene da rimorchiatori oggi è un casino. Tu, che non ti spari perché le dita non entrano nel grilletto, che non ti avveleni perché a furia di Pepsi hai lo stomaco in adamantio, che non ti tagli le vene perché servirebbe l’ecoscandaglio. 

Sì, tu.





Non sei stanca?
Non vorresti vivere un’avventura esotica in un posto da sogno? Dove ogni giornata è una novità, magari all’estero, in una villa coloniale, dove di giorno gusterai piatti tipici a bordo piscina e la sera durante un’intrigante festa in maschera conoscerai uno straniero misterioso, giovane e bellissimo. Un uomo d’altri tempi, che ti inebrierà con liquori ricercati per poi sedurti nella cornice di una splendida notte tropicale, tra luci soffuse e champagne. Lì, nella penombra, le linee del suo corpo perfetto che ti sfiorano, ti cercano, ti prendono. Sarà amore? Una sola notte? Chissà.










Se vuoi questo, devi dimagrire.
Altrimenti abbiamo la nostra associazione culturale Gordinhas & Negros.

Come di certo saprai, nel mondo occidentale le persone possono permettersi di scegliere i partner in base all’aspetto. Gente superficiale. Qui in Brasile invece siamo talmente infestati da droga, prostituzione minorile, corruzione e miseria che per due soldi ospitiamo terroristi, pedofili, narcotrafficanti, truffatori ed assassini da tutto il mondo. Figurati se è un problema elemosinare l’uccello a delle creature dalle fattezze vagamente umanoidi. La cosa importante è che non stai noleggiando un ragazzo del terzo mondo, lo stai aiutando. I francesi aiutano i libici e loro gli regalano un po’ di petrolio. I politici aiutano le studentesse a trovarsi un lavoro. I gioiellieri  americani aiutano i bambini africani a vivere. E’ un atto umanitario, perché sei una persona sensibile e bella dentro.

Oh, tranquilla: siamo tutti bellocci, che a te gli uomini grassi fanno schifo.

Si comincia subito con un aperitivo per conoscersi. Il tintinnare dei calici, tra sguardi che si inseguono e l’alcool che toglie le inibizioni per rompere il ghiaccio. Due sorsi e via, si parte sull’autobus che ci porterà a destinazione.



Eccoci arrivati. La nostra villa dei sogni si apre per rivelare i preparativi della festa imminente, anche se alcuni sono già su di giri, contagiati dall’atmosfera esotica ed i deliziosi cocktail, e sono ansiose di aiutare. Per la beneficienza questo ed altro!








Finalmente il banchetto è pronto!































Dopo essersi rifocillati ci si può lasciare andare a balli scatenati con le amiche, sui ritmi coinvolgenti del posto con uomini che non si fermano all’apparenza.





Sì! Loro ti corteggiano per quello che sei dentro. Non è turismo sessuale, è beneficienza, amore e solidarietà. Ci sceglierebbero anche se non pagassimo perché siamo vere donne, maliziose e seduttrici. Altro che i panzoni italiani!! 😉




Dopo la festa, a nanna e.. segreto! ;))































Il giorno dopo è un’altra, incredibile meraviglia. Al mattino ci si rilassa in piscina, tra giochi d’acqua e sguardi nascosti dagli occhiali da sole per scegliere la prossima preda. Tranquilla, qui non ci sono donne magre che ti possono mettere a disagio. Niente concorrenza! Chi sarà il tuo partner per la magica serata che ti aspetta?

































Oh, già, forse non te l’ho detto: stanotte la nostra organizzazione ha preparato per voi, maliziose birichine, una festa in maschera. Chi vuoi essere, questa notte? Un sensuale agente dell’FBI, dallo sguardo di ghiaccio ma dal sorriso accattivante?




Una sensuale hawaiana, che tra i mille colori dei caraibi saprà sedurre anche il più timido?




Una spagnoleggiante Carmen, dal sangue caliente?





Chissà. Sta solo a te decidere. Qui potrai trovare altre mille idee, mille esempi e mille motivi per essere felice: finalmente qualcuno che ti apprezza per quello che sei. 

Per quello che sei davvero, lì dentro.

Anatomia di una battaglia navale (Pirati dei Caraibi)



Quando ho visto pirati dei Caraibi la sola cosa che mi ha lasciato a bocca aperta è stata la battaglia navale tra l’Interceptor e la Perla Nera. Fu una folgorazione. Non ci ho capito niente ma era figa. Le immagini, le tempistiche, i dialoghi, tutto suonava come un’orchestra. Quando guardiamo un film fatto bene di solito non ci accorgiamo del lavoro che c’è dietro. Tutto scorre, amen. Solo quando il montaggio fa merda, la regia è sbagliata o gli attori sono un disastro allora ci rendiamo conto che non stiamo vivendo una storia ma assistendo ad una messinscena. 

Invece, anche se scorreva da Dio, la battaglia navale di Pirati dei Caraibi mi è rimasta impressa. Oggi che di nautica ne capisco un po’ di più ho deciso di riguardarmela e mi ha esaltato il doppio, perché l’ho capita. Ed è bellissima, se non ci fosse Elisabeth Swan. 








«Gente agli alberi, mollate i velaggi! Con questo vento di poppa la nave terrà ogni vela spiegata!» 

Gibbs vede la Perla approssimarsi e mette tutte le vele al vento. Più vento, più velocità. Il vento non è esattamente di poppa, ma al traverso. Ipotizzando circa 20 nodi da SSW, questa è la posizione iniziale di entrambe. 



«Che succede? Ditemi!» chiede Elisabeth.
«La Perla Nera! Ci sta raggiungendo!» spiega Annamaria al timone. 

Qui c’è una stronzata. Il timone è un vecchio modello, il primo, a caviglie. Per manovrarlo servono tre uomini, un timoniere al centro e due aiuto timonieri ai lati. Nel 1600 i timonieri erano famosi per essere i più massicci della ciurma. Su Pirati dei Caraibi l’unico fisico da timoniere, per intenderci, è il negro. Una ragazzetta di 50 chili scarsi non riuscirebbe nemmeno a muoverlo, difatti se notate sulla Perla Nera al timone sono in due. Però vabbé, sono esigenze iconografiche di copione. 

«Noi peschiamo meno di loro, vero?» chiede Elisabeth.
Come questa donna sappia cosa significa “pescare” è il vero mistero del film. 

«Sì»
«Non possiamo staccarli su quelle secche?» 


Il pescaggio, in soldoni, è quanta nave sta sotto la linea di galleggiamento. Più una nave è carica, più carena è immersa. Se la nave a carico vuoto è alta 100, 20 stanno sotto acqua e 80 sopra. A carico pieno sta immersa 60 ed emerge 40, ci sarebbe tutta la terminologia ma vaffanculo. Elisabeth nota che il pescaggio dell’Interceptor è inferiore a quello della Perla, vede una secca (ossia un rialzamento del fondale marino) e suggerisce di passarci sopra. La Perla non può farlo perché si incaglierebbe, dovrebbe passarci attorno perdendo tempo. 



«Ci basta resistere ancora un po’, il tempo di arrivarci» dice Gibbs, esaltato.
«Alleggerite la nave» pigola Annamaria «Da prua a poppa!» 


Questo è importante. Con il vento al traverso, l’ordine con cui la nave si alleggerisce conta assai. Più la prua è leggera, più la nave s’inclina dove c’è ancora peso (a poppa) e di conseguenza si impenna, permettendo alle vele di prendere bene il vento e aumentare la planata. Nave impennata, meno scafo immerso, meno resistenza, più velocità. Se avesse fatto il contrario, la prua si sarebbe abbassata, rallentando di molto. La cosa potrebbe funzionare se non fosse che due zoccole ed un buon nostromo hanno contro il miglior comandante di vascello sia mai stato visto su grande schermo nella storia della cinematografia mondiale. 


«Bracciate in croce! Preparate i cannoni» sogghigna Barbossa sulla Perla Nera «…e fuori i remi» 


Le bracciate in croce sono l’orientamento dei pennoni, quelli che reggono le vele. In questo caso significa metterli perpendicolari all’asse longitudinale della nave, con l’effetto di farla “derapare” sottovento. Si chiama orzata. E’ una manovra pericolosa perché la nave sbanda, se il vento è troppo forte spacca gli alberi. Barbossa dà lo sprint in più con i remi per portarsi in posizione B, ed è lì il colpo di genio che gli sceneggiatori ed il regista hanno tralasciato, ma che è la vera chicca della battaglia. 

Ossia, con l’orzata a bracciate incrociate, la Perla si intromette tra il vento e l’Interceptor. Niente vento, niente propulsione. Di fatto questa manovra immobilizza l’Interceptor togliendogli qualunque possibilità di fuga mentre la Perla gli derapa contro dal lato dei cannoni senza che loro possano rispondere al fuoco. E’ una manovra geniale, che richiede un’assoluta conoscenza del mare e della nave che si governa. L’Interceptor è fottuto. 


Gibbs capisce la mossa: «La Perla orza sulla nostra quarta di babordo! Ci infilerà senza neppure offrirci un bersaglio!». 

A questo punto accade l’inspiegabile. Invece che rintanarsi da qualche parte a frignare disperata in vista dello stupro imminente, un’insopportabile stronza viziata che è sempre vissuta sulla terraferma, figlia di un governatore rincoglionito e priva di qualsiasi esperienza ha un’idea. Elisabeth Swan partorisce un misto di follia, coraggio e strategia militare tali da superare quella di Barbossa. 

«Caliamo l’ancora di destra. Quella di tribordo!» 



Virare sull’ancora significa tirare il freno a mano a 180 all’ora. Obbliga la nave a virare quasi su sé stessa, causa danni ingenti sia allo scafo che alle vele. E’ una manovra disperata, che sacrifica un’ancora e a volte la nave stessa. Annamaria lascia il timone, il che permette una virata ancora più secca e rischiosa. Questo momento è girato in maniera spettacolare, con un’epica che nessun assalto al fosso di Elm potrà mai ripetere. Lo scafo emerso dell’Interceptor, con le onde che se lo contendono ed il vento che lo schiaffeggia è un’immagine che può persino commuovere, se non siete delle mamme Twilight o gente che ha potuto votare Pisapia e beve Campari.




A questo punto la situazione entra in pareggio. 
Barbossa vede che virano sull’ancora e può solo accostare a sinistra per arrivare ben parallelo alla fiancata dell’Interceptor, così da evitare alcuni dei suoi cannoni siano inutili e tirino in acqua perché fuori assetto. Ora comincerebbe la bassa macelleria, quando nelle stive interamente in legno venivano sparate palle di cannone che creavano migliaia di scheggie ultrasoniche che mutilavano ed uccidevano, ma la Disney ha preferito mettere Orlando Bloom che fa snorkeling dentro un galeone.