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Fratelli d’Italia, l’Italia detesta

E’ il 29 dicembre del 1997.
In radio va “Laura non c’è” di Nek. In televisione c’è lo spot delle pagine gialle con un bandito che fa richieste assurde tenendo in ostaggio un tizio. C’è il boom del dietetico, negli scaffali dei supermercati fanno bella figura i pan di spagna “essere” con solo l’1,7% di grassi. Alle 16.30 di pomeriggio nella Banca Popolare di Milano si presenta un bell’uomo. La banca non ha metal detector, così passa senza problemi. Si chiama Domenico Gargano, ha 35 anni, una pistola Beretta calibro 7.65, una bomba a mano ed è fatto fino ai capelli di cocaina.
-E’ una rapina? –
-No –
Detto questo si barrica all’interno con quattro ostaggi e si mette a giocherellare con la granata. A Milano le strade sono bloccate dalle volanti di polizia e carabinieri, oltre alle troupe televisive. L’uomo minaccia di uccidere gli ostaggi a patto che non gli diano cinquanta miliardi e un elicottero con cui spargerli su Milano. Precisa che sparerà sulla polizia e su chiunque provi a entrare, che non ha paura di morire e che comincerà a giustiziare gli ostaggi.
Alla sede dei NOCS, a Roma, il telefono squilla alle 20.
Domenico Gargano è nato a Palermo il 20 dicembre del 1962. Al compimento dei suoi 24 anni ha già sulla fedina penale i reati di ricettazione, concorso in tentata estorsione, guida senza patente, furto e tentata violenza carnale, oltre ad essere un accanito consumatore di cocaina.
A 25 anni si sposa Maria Teresa e si trasferiscono a Milano, quartiere Corsico. L’anno dopo gli nasce il primo figlio. Nel 1994 si trasferiscono nel quartiere Buccinaso e Domenico si fa l’amante nel quartiere vicino, dove mette incinta anche questa. Dura poco, però. Nel 1995 viene trovato un cadavere col volto sfigurato da due colpi calibro 7,65. La vittima si chiama Giuseppe Tricarico, 32 anni, fedina penale immacolata, di mestiere venditore ambulante di frutta e verdura. Domenico viene interrogato dai carabinieri a cui dichiara di aver visto Tricarico poche ore prima che lo uccidessero. La testimonianza è “preziosa”, stando a quel che dice l’Arma, anche se molti sospettano che Domenico abbia detto molto meno di quello che sapeva. La moglie del defunto, tale Anna “Chicca” Cipriani, finisce sotto inchiesta per vicende di armi e droga.
Il colpevole comunque risulterà essere Salvatore Pasquino, piccolo boss di quartiere legato alla ‘ndrangheta.
Anna Cipriani, vedova inconsolabile, qualche mese dopo finisce tra le braccia di Domenico. Si trovano bene. Lui le regala un negozio di abbigliamento. C’è chi preferisce un braccialetto, chi un cellulare, lui regala negozi. Nel 1996 viene ricoverato in ospedale con due proiettili nelle gambe e spiega alla mobile che si è trattato di un banale litigio da bar, non di una gambizzazione mafiosa.
-Cool story bro – risponde la polizia.
Ma che lavoro fa, Domenico? E’ un uomo polivalente: va dalla cooperativa di facchinaggio all’imprenditoria. Ha una ditta nel settore degli infissi in legno, un capannone a Rozzano denominato “Kikki glass”.
Nel natale del 1997 Kikka abortisce e lo molla perché “non vuole un figlio da lui”. Domenico decide di chiudere la Kikki glass e si presenta all’Agenzia 32 della Banca Popolare di Milano, a Rogoredo, chiedendo cinquanta milioni per aprire un’impresa di pulizie. Quelli gli dicono di no.
Sono passate 26 ore.
Durante l’assedio Domenico ha accettato di rilasciare gli ostaggi sostituendoli con il maresciallo dei Carabinieri ed il procuratore antimafia, che tentano di farlo ragionare. Spiegano che un elicottero lì non può atterrare.
-Allora accostate alla finestra, che salto al volo – dice.
Il palazzo è di vetro antiurto. Attorno i cecchini dei NOCS osservano l’interno. Fare irruzione è impensabile, avrebbe troppo tempo per uccidere gli ostaggi. Bisogna farlo uscire. Riescono a convincerlo a sostituire l’elicottero con un’auto blindata. Gli mettono fuori l’auto e due borsoni con dentro quattro miliardi, sapendo che se raggiungesse la macchina sarebbero fottuti. Una volta dentro l’uomo potrebbe accoppare il magistrato e scappare. Domenico accetta di uscire.
L’azione dura meno di un minuto.
Non appena Domenico esce fuori il cane dei NOCS attraversa il piazzale in volata e gli azzanna la mano armata. Due agenti escono dai lati del palazzo e dopo uno scatto di dieci metri lo placcano. Quando Domenico li vede arrivare spara cinque colpi, ferendo a braccia e gambe gli agenti che riescono ugualmente a montargli sopra e ravanarlo di botte. L’assedio si conclude dopo 27 ore e 42 minuti. E’ un’azione che nessuna polizia del mondo avrebbe mai osato. Inglesi, tedeschi, giapponesi, finlandesi, spagnoli, risolvono queste cose coi cecchini. E’ più sicuro, più pratico e più veloce.
Ma non l’hanno fatto.
Quello che avete appena letto è un resoconto di fatti, nomi e date estrapolati dai giornali dell’epoca, a cui ho rimosso una patina che però potete gustare in questi straordinari titoli:
Alla domanda su come si sia procurato le armi, Domenico spiega che una notte dei ladri misteriosi gli entrarono nel capannone dove dormiva. Lui gli disse di portarsi via quello che volevano, ma che domani gli portassero una pistola e una bomba a mano. Qualcuno ha motivo di dubitarne? Assolutamente no.

Gli USA danno il meglio, di nuovo



Siamo negli Stati Uniti. Per strada mostri di lardo dal peso di ottomila chili deambulano su sedie elettriche anche solo per portare a spasso il cane o per fare la spesa. L’alimentazione di questa gente rasenta quello di un aborigeno che ravana nella spazzatura: un’educazione alimentare basata sul fast food li ha portati alla fast life, ossia crepano di diabete a nemmeno cinquant’anni. Se negli USA dici che sai cucinare, mi ha raccontato un mio amico, ti guardano sconvolti e fanno risatine: “gay” ridacchiano “ha ha, gay”.


Tra i vari problemi che ha questo affascinante popolo spicca la consistenza delle loro feci. L’americano medio mangia fuori tutti i giorni, scegliendo tra cucina thailandese, messicana, cinese, giapponese, “itallyana” o McDonald. Il risultato di questa dieta è naturalmente un abominio intestinale dalla consistenza fangosa, tanto da renderli confusi al momento del peto: è diarrea o aria, si domandano terrorizzati, vado o non vado?  Coloro che osano tentare questa roulette russa spesso vengono immortalati in giro col culo pezzato. 

Non è una battuta, sono gli Stati Uniti. Tre quarti del mondo crepa perché non ha da mangiare, loro crepano perché non sanno mangiare.


Un altro straordinario problema che affligge questo popolo è la violenza. Si ammazzano come mosche, è tipo il loro sport nazionale. Lo esaltano nei film, nelle serie TV, nei fumetti. Il loro presidente è uno che esce di scena prendendo a calci le porte e interrompe le trasmissioni per dire che ha fatto fuori qualcuno. I loro idoli sono cantanti carcerati che nelle canzoni esaltano rapine, stupri, omicidi e spaccio di droga. I loro genitori perdono le gambe in Afghanistan per creare un diversivo dai loro soldati professionisti che, mascherati da “contractors” per eludere le regole di guerra, sterminano interi villaggi per piantare pozzi petroliferi in grado di alimentare Hummer limousine che trasportano i loro ex schiavi in discoteca, dove questi gli trombano le figlie. Come ho detto, è un popolo affascinante.
Per farvi capire, di recente un ragazzino si è presentato al cinema per l’anteprima di Batman con i capelli colorati di rosso, un AR-15 con caricatore raddoppiato, un Remington a pompa ed una Glock. Ha urlato “sono il Joker!” e ha ucciso dodici persone.

Il Joker ha i capelli verdi.












E’ il primo giugno a Saginaw, in Michigan.

Le giornate sono calde, l’estate sta iniziando e c’è un barbone, tale Milton Hall, affetto da disturbi mentali. Dopo aver litigato con un commesso decide di chiamare il 911. Quelli rispondono che manderanno subito degli agenti, non si capisce perché. Arrivano quattro pattuglie – quattro – da cui invece che paramedici o poliziotti escono altri pazienti da istituto psichiatrico, solo che indossano una divisa. Il barbone sta a sei metri da loro farneticando in terza persona. Tira fuori un coltello. I poliziotti tirano fuori le pistole, gliele puntano contro e gli ordinano di metterlo giù. 

In quest’ordine.
-Non metto giù un cazzo! – dice il barbone.
-Metta giù il coltello! – insiste la poliziotta.

-Mi chiamo Milton Hall, ho appena chiamato il 911! Mi chiamo Milton Hall e sono incazzato! Lasciatelo andare! Lasciatelo andare! Lasciate andare quel povero bastardo – insiste l’uomo parlando di sè stesso. 

A quel punto fa qualche passo allontanandosi dai poliziotti i quali, colti da un raptus d’imbecillità, decidono di giustiziarlo. Aprono il fuoco contro il signor Milton Hall per un totale di 46 colpi sparati. QUARANTASEI. E’ come andare da uno che ha un temperino, svuotargli addosso un caricatore dell’AR-70/90, ricaricare e sparargliene un’altra metà per sicurezza. Qui il video della loro straordinaria performance ripreso da un tizio col cellulare.




Andate pure a vomitare o a iscrivervi a qualche gruppo estremista islamico.
A breve vi racconterò la storia di Domenico, accaduta a Milano anni fa e finita su tutti i giornali. E’ una storia di boom economico, arrivismo, follia, droga e stupidità. Ma soprattutto è la storia di come cazzo si gestiscono in un paese civile situazioni ben più drammatiche.

Verità in pillole



Le gogne sono quel rarissimo momento in cui mettendo un tizio a prendere sputi tutti i suoi simili finiscono la saliva. In Italia il linciaggio è il mercato più florido nell’industria dell’intrattenimento. C’è il linciaggio con risate, dove la vittima viene presentata dal Gabibbo e le donne nude. Roba da popolino. Poi c’è il linciaggio con sorrisi ironici, dove la vittima viene presentata da comici famosi in giacca e cravatta. Cultura medio bassa. Poi ci sono i linciaggi con sguardi severi e sospiri enfatici, dove la vittima viene presentata con gelido distacco  dai giornalisti professionisti. Ognuno sceglie la gogna che più lo aggrada.

La vittima sacrificale è di due specie: 


1. Il VIP
Sappiamo tutti di essere un popolo di mediocri, codardi, meschini, disonesti e puttane. Questo non ci crea problemi perché lo fanno tutti. Sentite il gusto di questa frase: lo fanno tutti. E’ tranquillizzante. Passiamo la nostra vita ad inculare il prossimo, a rubacchiare qui e lì creando mafiette, cricche, facendo minuscole truffe che vanno dal disco orario al pacchetto di gomme, dalla cannetta al biglietto dell’autobus, dalla musica piratata al resto sbagliato o al portafogli non restituito. Sono piccolezze che pratichiamo quotidianamente e ci dormiamo sereni perché, andiamo, lo fanno tutti. E’ la cosa più contraria allo spirito sportivo, ma se lo fanno tutti è come se non lo facesse nessuno. Per questo quando vediamo qualcuno che riesce in qualcosa ci viene la bile. Ci affrettiamo a dire che c’è riuscito con truffe, trucchi, amicizie, mafie, aiuti: di base perché è quello che faremmo noi, solo che lui c’è riuscito e noi no. Vedere uno che ce la fa in maniera pulita battendo noi che NON ce la facciamo in maniera sporca è una tortura insopportabile. Ci manda ai pazzi. La sua vittoria mostra non solo la nostra inferiorità, ma soprattutto la nostra mediocrità. Nessuno va a fare le pulci al secondo o al terzo classificato proprio perché sono tali e quali a tutti gli altri stronzi. E’ una legge della vita per nulla politically correct. Per questo quando un VIP finisce nella merda il nostro cuore esulta. E’ un sospiro di sollievo che ti dice “vedi, sei fortunato, non era tanto bello essere al suo posto”.

2. Quello che s’è fatto beccare
Alcuni truffano molto, altri meno. Altri lo fanno con classe, altri no, ma guardandoci allo specchio vediamo tutti la stessa merda umana. A questa enorme verità segue immediatamente un sorriso ebete, perché non ci hanno beccato. Sì. L’abbiamo scampata perché siamo più furbi, perché sappiamo stare al mondo, perché oh, è andata così. Quando però sulla gogna c’è qualcuno che non ha avuto la nostra fortuna, allora ci sentiamo in dovere di linciarlo e disprezzarlo. E’ catartico. Punita la sua colpa, mondata la nostra. Dagli al ladro, al cialtrone, al disonesto, al fancazzista, al pervertito.


Come sopravviviamo davanti al nostro ritratto di Dorian Gray? Con le parole magiche: “c’è di peggio”. La linea di demarcazione che ci separa dal linciato è sempre un millimetro sopra le nostre porcate, ed è mobile. Se rubi due mele quello ne ha rubate tre, c’è di peggio. Si applica a qualunque cosa.

-Lei ha ucciso due persone?
-Sì, però Stalin ne ha uccise 40 milioni, c’è di peggio.
-Lei ha evaso sessanta milioni?
-Sì, però Berlusconi ne ha evasi di più ed è libero, perché non arrestate lui?

Nessuno cita il fatto che c’è di meglio. Alcuni su questo ragionamento hanno fondato un movimento.





Il nostro atleta si è dopato perché aveva paura di non farcela e l’Italia si dice “sconvolta e sotto shock”. Se uno ha un minimo di cultura sportiva sa benissimo che tutto quello che vediamo attorno a noi è merito delle industrie farmaceutiche, dal campo della moda al campo del fitness passando per lo sport o il lavoro. Tutti i modelli nelle copertine sono fatti di tre o quattro ormoni diversi a cui è aggiunto Photoshop. Li conosci e te lo dicono serenamente. Gli atleti delle olimpiadi sono tutti bombati come fusibili, almeno nelle discipline che lo richiedono. Lo sport è un mondo fatto di prestazioni eccezionali, non di mediocrità, e il doping è un elemento essenziale. A microfoni spenti ve lo dirà qualunque medico dello sport. 

Somiglia alla tortura, in un certo senso: da una parte devi condannarla senza se e senza ma, dall’altra la metti in pratica sistematicamente perché, udite udite, funziona. Non si può ammetterlo, quindi la parola d’ordine è discrezione. Ci sono mille modi per coprire le tracce, basta farlo in maniera corretta. Se invece sei disperato e ti caghi in mano fai le cose a cazzo e ti sgamano. La tua carriera è finita non perché gli altri siano puliti, ma perché sei un VIP che s’è fatto beccare. La vittima da gogna perfetta per tutti quelli che ogni giorno pippano bamba, bevono Minias, si fanno di GH e ti odiano perché tu sei un VIP e loro no.

Il doping non è sbagliato.
Lo diventa quando ti beccano.

Il volto di Internet è quello di un uomo nudo che si masturba pensando al diavolo


Se sei un laureato in filosofia i tuoi sbocchi lavorativi vanno dall’assaggiatore di veleno per topi al bidello precario. Questa cosa scoccia parecchio a quelle persone che si sono schioppate di ganja a spese dei genitori fino ai trentadue anni raccontandosi che stavano cambiando il mondo. Quando si trovano davanti al mondo del lavoro frignano a radio 24: “io sono una filosofa, perché questo stato non mi paga per pensare?”. Alcuni di loro entrano in politica fallendo miseramente, altri persistono nei loro sogni di gloria e s’inventano un’organizzazione umanitaria.



Cos’è un’organizzazione umanitaria?

E’ una crew di laureati in filosofia e scienze politiche che in teoria serve ad aiutare il terzo mondo, in realtà a mantenere loro stesse.

Funzionano grazie ad un problema di coscienza dei capitalisti che nella vita son diventati ricchi inculando gente. Una volta invecchiati hanno quel pelino di “se muoio e scopro che c’è l’inferno?”, così diventano ansiosi di fare qualcosa di buono. A quel punto arrivano le OU con la manina tesa, la foto di un bambino mangiato dalle mosche e gli domandano “ha un minuto per i bambini?”. Il vecchio sgancia milionate, loro incassano e fuggono. Non è una balla. Nei budget di queste organizzazioni meno della metà va in aiuti concreti, il resto mantiene personale, rappresentanze, viaggi, uffici, banchetti, cene sciccose, auto. Creare un’OU per farsi mantenere è una truffa talmente sdoganata che gli USA hanno dovuto creare degli organi di controllo, perché queste crew di hipster benefattori spuntavano come funghi alla porta di attori famosi, imprenditori e top manager con la telecamera, la foto dei bambini morti e la manina tesa.

A loro modo sono molto eco-friendly: riescono a riciclare anche i cadaveri dei bambini negri morti, basta stamparli in alta risoluzione.




Una di queste gang di rapinatori è Invisible children.

Il ministero degli affari esterni USA ha accusato Invisible Children di plagiare e distorcere i fatti sistematicamente. Il Better Business Bureau, ente che vigila sulle frodi, ha fatto presente che IC si guarda bene dal fornire i propri bilanci a differenza di tutte le altre associazioni. Il Charity Navigator – l’ente più importante che tiene d’occhio le associazioni umanitarie – gli dà due stelle su quattro nella scala della credibilità proprio per questo loro ostinarsi a non far vedere i soldi che entrano ed escono. Come dire “siamo un casino no profit, ma non potete verificarlo”.

Siccome qualcosa devono pur dire per loro stessa ammissione solo il 31% va in aiuti umanitari. Il restante 69% finisce nelle tasche di tre tizi (tre!) che li spendono in viaggi (un milione di euro solo l’anno scorso) ed apparecchiature per montare i loro filmini (oltre il milione, sempre solo l’anno scorso). Il loro ultimo prodotto è stato il video di 30 minuti KONY 2012. Ne abbiamo sentito parlare tutti quanti, credo. In sunto, dalle parti dell’Uganda c’è un negro cattivo e fanatico che recluta ragazzini drogandoli ed addestrandoli a uccidere per lui in nome di Dio.

Ok, anche in Somalia.

Ok, anche in Costa d’avorio.

Ok, anche in Congo.

Ma da qualche parte bisogna iniziare.




Quando il video esce è tutto un fiume di lacrime, il mondo si commuove straziato dalle note della musica del Gladiatore e molti inneggiano all’intervento armato per porre fine a questo genocidio. Internet non parla d’altro, la rete esalta il giornalismo indipendente e libero che “dice finalmente verità scomode” ed ormai “è più affidabile e professionale del giornalismo vecchio stile”. I giornali autorevoli si guardano bene dall’approfondire e replicano la notizia. Kony diventa un video virale. Il successo milluplica le donazioni sui conti correnti di Invisible Children, il che porta alla detonazione della fragile psiche del loro leader, Jason Russell. 






…Il quale, in preda ad un’incontenibile euforia, decide di uscire dal suo scantinato e svelare al mondo il vero volto della rete. Viene arrestato alle 11.32 di mattina a San Diego mentre deambula nudo, masturbandosi e percuotendo il pavimento tra un riferimento al diavolo e l’altro. 
Quello stesso giorno in Africa un console si sveglia, fa colazione ed accende il computer. Quando la casella segnala “679.776 nuove mail” rimane perplesso. Inizia ad aprirne a caso. Alcune sono insulti, altre minacce di morte, altre vaffanculi. Tutte in lingue che non capisce. Confuso, telefona in ambasciata americana, dalla quale rispondono che L’INTERNET E’ MOLTO ARRABBIATO CON LUI. Dall’Uganda il console fa un video comunicato dove spiega che Kony è uno sciroccato che vive nella giungla con una ventina di suoi adepti e che non se lo incula più nessuno da anni. Nella lista dei criminali sta al livello “ha rubato un pacchetto di Big Babol in tabaccheria”. Ma nessuno lo diffonde né lo commenta; non interessa più. Il popolo della rete è già altrove, a caccia di altre ingiustizie da svelare e condannare.



KONY 2012, il video che avrebbe 
salvato delle vite.








L’autore del video.

Camerati, riproviamo, stavolta con più brio

La fine della Lega va paragonata ad una bomba dentro un tombino di Calcutta. Tutto procede per il meglio: l’acqua è nel fiume, gli impiegati nei palazzi, le pubblicità sulle pareti e la merda sottoterra quando all’improvviso WHAM! La merda che tuo cugino ha cagato tre settimane fa decolla verso la finestra dell’ottavo piano, l’ultimo flusso mestruale di una tardona appare sul vetro di un’ape cross, la diarrea verdastra del chierichetto si fotografa sulla faccia di un cartellone pubblicitario. WTF, famiglia Bossi? Serviranno anni per pulire i residui di questa detonazione, ma ora le buone notizie: ne abbiamo trovati alcuni.
I lombardisti, o MNL, sono un movimento separatista il cui saluto è un modo brioso, accattivante e semi militaresco di fare gruppo. A voi verrà in mente la foto di Cristina Buonacucina di ritorno dall’Afghanistan.
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No.
E’ questa.

 

 

Il brio trasuda da tutte le parti. La tenebra che incombe da destra, il muro squallido da fucilazione alle spalle, la luce diafana, il blu tetro dell’uniforme, lo sguardo inflessibile, la bocca serrata, il pallore mortale ed il colletto sigillato mettono subito a proprio agio lo spettatore, che sulla sedia pregusta il momento in cui faranno irruzione gli infermieri, la DIGOS o un attore gay. Il protagonista specifica che non si tratta di uno scimmiottamento del passato, bensì di un modo spontaneo di fare squadra con “uno schietto e genuino sapore di militanza” [qui]

 

“Bella raga, ‘sta sagra è uno sballo”
E’ difficile stare a sentire cosa sostenga questo genio, perché è talmente innamorato della propria voce che per dire una cosa impiega lo stesso tempo che impiegherebbe Pannella a dire che ha sonno. Ai sempliciotti come me che hanno visto il Dottor Stranamore e credono lo “Hitler gruB” sia, come dice il nome, il saluto di Hitler, spiega che in realtà “è un saluto antichissimo che risale al medioevo germanico in cui i guerrieri salutavano il proprio re e che poi è stato ripreso dai nazisti, ma dai nazisti non è stato inventato”.
Perdìo, questo cambia tutto.
Trovo straordinario come i fanatici abbiano bisogno di attingere a roba del passato, vera o presunta che sia, per giustificare le loro più squinternate convinzioni. Nazismo, fascismo, la lega, le religioni, tutti sostengono di avere origini antiche ed eroiche per legittimare il loro disperato desiderio di isolazionismo che di solito termina con un foglio sul viso, le manette ai polsi ed uno stormo di fotografi romani che scattano ridendo. Qualunque persona normale sa che non importa se ti rifai ad un’idea del passato, se la stessa cosa l’ha già fatta qualcuno ed è venuta una merda tu sarai bollato come emulatore di una merda, non del passato. Certo puoi sperare che i tuoi seguaci non conoscano Adolf Hitler, ma questo ti renderebbe il leader degli scartati ai provini del Grande Fratello.
Andiamo avanti.
Dopo il saluto, la divisa. E’ costituita dalla camicia blu mestizia che il nostro eroe definisce “plumbea. Colore spartano, prussiano, militaresco, razionale, freddo, emblema di ferrea volontà”. Vi faccio un esempio di neo nazismo con e senza marketing nel 2012:

 

CON

 

SENZA

 

 

Il paradosso è che risultano entrambi esilaranti.
Sulla camicia plumbea il nostro spiega il significato delle patacche appiccicate sopra. Sul cuore troviamo la croce celtic lombardista, di cui non esiste traccia in alcun documento se non nella sua mente debilitata. A destra quello che pare la bandiera della Roma rappresenta il simbolo del cantone bergamasco. Sul braccio ecco una cara amica: l’aquila imperiale germanica della mitteleuropa, a cui – sempre secondo lui – la lombardia appartiene. Voglio focalizziate bene questo punto: la lombardia tedesca. Se andassi ad un aperitivo milanese e mi mettessi ad urlare “dovete diventare tedeschi!” troverebbero pezzi di me a galleggiare nei navigli, ma magari conosco i milanesi sbagliati. Gran finale sull’altra manica, dove appare il bisun viscontero, per quelli che proprio non sono stati attenti fino all’ultimo e l’avevano scambiato per una comparsa di Schindler’s list. Il resto è composto da una cintura nera, due pantaloni da lavoro neri e naturalmente di due – lustri! – anfibi neri, che non sono AS-SO-LU-TA-MEN-TE nulla di nazistoide, spiega, ma sono il completamento ideale di una divisa.
Bene. Ma di preciso, che vuole? Innanzitutto precisa che loro non sono un partito bensì un movimento (va un casino di moda, tra i pazzi) e non fa politica, ma cultura e movimentismo.

 

“WAS?”

 

. Movimentismo.
Dev’essere tipo la movida dei manicomi.
Mantenendo l’eloquio soporifero di un politico anni ’50 conclude l’intervento spiegando che loro vogliono solo la difesa e la salvaguardia del sangue e del suolo arian lombardo e lo faranno tra la gente, non da cattedre di tromboni che parlano come politici anni ’50. Su Youtube tra i pochi commenti appare una domanda: le donne possono entrare nel movimento?
Allacciate le cinture.

 

Dopo un prologo di un minuto e quindici secondi dove spiega che le donne sono importanti, che i lombardisti non vogliono relegarle in casa e sono ben consapevoli del loro ruolo societario (uh?) eccolo partire con il punto cruciale: come vestirle. La voce si fa spezzata, più alta, le sopracciglia viaggiano in un’apertura d’amore. Le divise saranno diverse, spiega, perché il ruolo dell’uomo e della donna sono diversi. Quindi dalla camicia blu desolato passiamo ad una camicetta bianca a maniche corte, abbinata ad un foulard rosso (niente plumbeo spartano, la fica in rosso spacca), una cintura, una gonna di media lunghezza nera, calze nere ed un paio di scarpe nere dal tacco moderato. Vediamo il risultato.

 

Non ho la sciarpa, ma le mutandine sono rosse, capo

 

La cosa deve pigliarlo bene, perché dopo questa attenta descrizione è costretto ad asciugarsi la bava (qui). A quel punto spiega che non vede l’ora le donne si presentino a fare tutto quello che il movimento lombardista chiede loro di fare per il benessere loro e del popolo lombardo. Questo cazzo non si succhierà da solo, tesoro.
Sul loro sito trovo i punti del loro programma, che va oltre ogni immaginazione. Va dalla difesa etnica del popolo lombardo, niente cazzi negri nè passere sudamericane, al radere al suolo qualunque forma di civiltà riportandola al medioevo coi carri, gli aratri e le capanne di pietra e fango, fermando la cementificazione selvaggia che tanto nuoce alla vita umana con eresie tipo autostrade, ospedali, condomini. Non manca il punto della lingua, ovviamente. E’ d’uopo ripristinare la lingua di mezzo secolo fa togliendole 500 anni di “oppressione linguistica fiorentina” e ripulendola “dalle ridicole toscanizzazioni degli ultimi tempi”.
E’ straordinario come questa gente riesca ad inimicarsi le regioni culturalmente più potenti della terra in così poco tempo.
A seguire, tradizioni lombarde a rotta di collo. La loro indole è “laboriosa e fedele”. Sognano una Contea dove le donne non guardano le spalle del vicino di casa, dove tutti lavorano quanto te, dove nessun futuro ignoto minaccia il tuo insicurissimo presente e gli aerei non possono volare nel tuo spazio aereo.
Conclude dicendo cacca della globalizzazione ed auspicando un futuro sotto la solida guida di un’Europa dei Popoli – cito sempre – fiera e emancipata che sappia essere faro di civiltà per tutto il pianeta.
Su Facebook il gruppo dei Lombardisti piace a 189 persone, tutte accuratamente schedate dai carabinieri. Tuttavia a guardare la cronologia del loro canale su Youtube noterete che ad ogni nuovo filmato c’è una minuscola differenza.