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La vera trama de Lo Hobbit

Ognuno ha i simboli fallici che si merita.



Dei nani vivono in una miniera dove la temperatura sfiora i -50°, non esistono né donne né luce del sole e gli uomini passano le giornate a picconare la roccia. Un giorno arriva un drago, gli scassa il culo e si stabilisce lì. La metafora della donna è tremenda. I nani diventano esuli. Incontrano Voldemort sotto steroidi che parla come i selvaggi di Avatar, di John Carter o di Jersey Shore: ringhia, urla, indica e muove molto le possenti spalle. Cavalca lupi mannari che ringhiano di continuo. Comanda un esercito di mostri il cui scopo è essere cattivi. Spaccano il culo ai nani e loro continuano a fare i profughi frignanti.

Interessantissimo, no?
I nani sono i Palestinesi del fantasy.

La Contea è come Topolinia: non piove mai, nessuno chiava, tutti sono zii o nipoti e nessuno lavora. La gente si definisce “semplice e laboriosa”, ma di quelli che conosciamo nessuno fa un cazzo dalla mattina alla sera. Dopotutto si lavora e si fatica per il pane e per la fica e nella Contea, così come nelle miniere dei nani, l’utero si è estinto. Bilbo Baggins è un uomo di mezz’età che passa le giornate a chiacchierare con il suo effemminato nipote finché un vecchio spilungone appare alla sua porta.

-Buonasera – dice Bilbo, intimidito.
-Nel senso che è una buona giornata per te, che speri lo sia per me o che stai avendo una buona giornata?-
-Non compro niente-

-Bilbo, non mi riconosci?! Sono Gandalf! Il tizio dei fuochi artificiali!-
-Non compro niente lo stesso-
-Hai voglia di un’avventura?-

Una persona normale domanderebbe “di che tipo”, “in che senso”, “dove”, “con chi”, “perché”, “quando”, “mi pagate”, “c’è il free bar” ma soprattutto “c’è figa”. Bilbo scuote la testa e si barrica in casa. Gandalf gli incide “stronzo chi legge” sulla porta e se ne va. La sera si presentano tredici zingari vecchi, obesi e affetti dalle più disparate patologie.

-Ciao, io sono Ptarr figlio di Troll-
-Ciao, io sono Grwad figlio di Brnz-
-Ciao, io sono Kmal figlio di Krall-
-I vostri genitori hanno ruttato per tutto il battesimo? –

-Ciao, io sono Chralgh figlio di Beeurp –
-Io sono Mrwzgr figlio di Gloork –
-Ciao, noi due siamo Fuck e Fiko – dicono due nani, tenendosi per mano.


“E facciamo la donna a turno”



I tredici profughi gli entrano in casa e razziano la dispensa in un fiorire di rutti, scorregge e facce buffe. Bilbo invece di chiamare aiuto o percuoterli con un ciocco di legno rimane in disparte. Per ultimo si presenta un tizio con lo sguardo da psicopatico e l’eyeliner. Tutti gli straccioni si intesiscono: è Thorin, il figlio di Hamas, Re dei nani.



Quell‘Hamas.



Si siede in disparte, silenzioso e misterioso. Passa la serata a lanciare occhiate di superiorità e disapprovazione interpretando l’imbecille che alle feste fa tappezzeria con l’aria del tenebroso sperando di fare colpo. Nella vita reale finisce a seghe, in questo mondo è un Re temuto e rispettato.

-E così lei sarebbe lo scassinatore – gongola uno rivolgendosi a Bilbo.
-Guardi, a violazione di domicilio e rapina a mano armata aggiungo anche diffamazione, non ci metto niente-
-Haha, lei non sembra uno scassinatore. Sa combattere, almeno? –
-No, altrimenti vi avrei già buttati fuori-
-Ed è pronto per l’avventura? –
-MA QUALE AVVENTURA, LA FOCOMELIADE? AVETE SBAGLIATO CASA, IMBECILLI!-
-Ora canteremo una canzoncina-

I nani cominciano a ballare e cantare coglionando Bilbo. Gandalf ride. Tutti ridono, a parte il figlio di Hamas che da seduto guarda tutti così.

“Non pensate alla nostra patria? Ai nostri fratelli?”


-Bravi, ora fuori da casa mia – dice Bilbo.
-No, aspetti, firmi questo contratto. Dice che ha diritto al 14% della refurtiva e che non garantiamo per la sua incolumità-
-Ma vaffanculo-
-Ve lo dicevo che non ci serviva a niente- dice il figlio di Hamas.
-Ecco, appunto- annuisce Bilbo -potete andare-
-Prima canteremo un’altra canzoncina, questa volta seria-
-Aspetta, è seria seria che tipo ci si tocca i coglioni?- domanda il figlio di Hamas.
-Sì, mio signore-
-Allora la canto io-


“Lontano sui nebbiosi monti gelati
In antri oscuri e desolati
Ruggenti pini …”




-…ruggenti pini? – domanda Bilbo.
-E’ una figura retorica- sussurra un nano.
-Che cazzo di figura retorica è “ruggenti pini”?-
-Boh, che il vento tra i pini fa grrr-
-“Grrr”? Il vento s’è ingolfato? Gli diamo una spinta?-
-Guardi, stando al Castiglioni-Mariotti…-
-Il vento soffre di meteorismo? “Ruggenti pini”? Perché non “massi fischierini”? Tanto ormai è ammesso e concesso tutto, in questo sporco mondo di merda –
-Zitti!-

“sulle vette
Nei venti il pianto, nella notte
Il fuoco ardeva, fiamme spargeva
Alberi accesi, torce di luce”


-Bravi, Maria Callas ve lo sgrulla coi denti- completa Bilbo battendo le mani -ora di corsa a fare in culo, marsh-


“Sono molto deluso da te”


I nani si addormentano e Bilbo e va a dormire. Il mattino dopo non li trova, cambia idea senza motivo e li raggiunge.  Del resto se degli zingari ti hanno rapinato e deriso viene spontaneo sacrificare la tua vita per loro. Dopo tre quarti d’ora di nani che scorreggiano segue una ventina di minuti di paesaggi della National Geographic. Il figlio di Hamas peggiora: odia tutti, anche te che stai guardando il film. Gli orchi sono stronzi. I draghi sono merda. Gli elfi sono traditori. Bilbo è inutile. Gandalf è infido. La compagnia è immatura. Non vuole parlare coi maghi. Non vuole accendere il fuoco. Non vuole accamparsi. Non vuole che si chiacchieri. 

-Oh, raga, come butta a patata?- chiede Bilbo.

“Non pensi alla mia patria perduta?”



-Fa niente, fa niente-

La compagnia si divide in tre parti: la maggioranza è composta dall’armata dell’ospizio, un branco di vecchi arteriosclerotici sordi o babbei che fanno sembrare intelligente il biologo di Prometheus. Poi ci sono Gandalf e Hamas che piazzano trombonate da democristiani anni ’50 con tono enfatico. In ultima c’è Bilbo che si guarda attorno con aria spaesata. Questa triade permette momenti di grande cinema tipo Bilbo, avere coraggio significa avere il coraggio di avere coraggio e altra roba da baci perugina. Nessuno accenna l’argomento “donne”, mai. Del resto se i funghi non esistessero non riusciremmo a immaginarli. 

Incontrano tre troll che se li vogliono mangiare, Bilbo si mette a fare scenette divertentissime per una classe di bambini ciechi ed è tutto un fiorire di scorreggie, muco, saliva e faccette buffe. Arriva l’alba, Gandalf li salva spaccando una roccia a martellate, i troll muoiono. Esaltati si mettono a ficcanasare nel bottino e trovano tre delle spade più potenti dell’universo.

-Non è una cosa un pelo forzata, ragazzi?- domanda Bilbo.


“Ricordo ancora i nostri fratelli caduti”



-Vabbè, dicevo, per me stasera piove –

Nel frattempo, un mago che vive da solo nella foresta si tiene degli uccelli sulla testa che gli cacano roba bianca sulla tempia. Le metafore si sprecano. Scopre che nel bosco fatato c’è un negromante che vuole resuscitare i morti. Se la fa sotto, scappa e incontra la compagnia della scorreggia. E’ tutto spaventato, Gandalf gli fa fumare la pipa e il mago fa una faccia buffissima perché, a quanto si capisce, nella pipa di Gandalf c’è ganja! Il cinema scoppia a ridere e io mi guardo sull’iPhone incidenti stradali per tirarmi su di morale. Dopo questa preziosa informazione gli arteriosclerotici finiscono nella città degli elfi. Hamas non è contento, guarda tutti con odio e diffidenza finché c’è il primo vero colpo di scena.

Gandalf … mio Dio, dietro di te!

Cosa? Orchi?




Quando una donna appare in scena si scatena il panico, poi una volta appurato che non è lì per rubare la loro verginità si rilassano e la ignorano. Il capo degli elfi spiega agli sfigoboys che la loro mappa si può leggere solo con la luce della luna di un certo giorno dell’anno.

-Oh, no! Dovremo aspettare qui … con quella roba?-
-Galadriel? E’ una donna, non una roba-
-IIIIH, NON DIRE QUELLA PAROLA!-
-Intendi “donna”?-
-IIIIH-

Fatalità il giorno giusto per leggere le rune è proprio quello. Ci sono le coordinate per tornare in Palestina, loro sono felici e se ne vanno. Gandalf  preferisce rimanere perché sì, ha creato la compagnia, avallato la loro avventura e pianificato il percorso oltre ad averli salvati dai troll e averli messi nei casini, ma ora basta. Che si arrangino. Segue altra raffica di immagini da National geographic, due montagne che fanno a cazzotti con loro sopra, poi finiscono catturati dal popolo più stupido del mondo. Cadono per duecento metri rimbalzando contro speroni di roccia e atterrano in una gabbia senza un graffio. Chi li ha catturati? Chi sono i loro carcerieri?

I grillini.

Immaginate di essere il popolo più numeroso del pianeta che però non sopporta la luce del sole. Praticamente sgomiti per entrare in un forno crematorio, ma vabbé. Crei una caverna enorme e profondissima dove vivere. Per spostarvi da una parte all’altra costruite passerelle larghe un metro, traballanti e insicure che sporgono sopra voragini senza fine. Perché i titoli di studio non valgono niente e quello che fa un ingegnere può farlo benissimo anche Skardi dei Pitura Freska. Posizionate il trono del vostro Re su una di queste passerelle, giusto giusto al limite del precipizio. Sapete come i pirati buttavano in acqua i prigionieri, no? Ecco, decidete di mettere lì il trono.

Geniale, no? E’ l’evoluzione della stupidità. Una volta mettevano il pulsante di autodistruzione in bella vista, oggi mettono direttamente il Re su una trappola mortale. Portano i prigionieri al cospetto del Re, un ciccione che parla un italiano fluente ma governa gozziliardi di analfabeti.

-Ah, degli stronzi della casta! – annuisce il Re -vaffanculo!-
-VAFFANCULO!- gridano gli sgherri.
-QUI UNO VALE UNO, MA UNO COMANDA TUTTI GLI ALTRI!-
-SIIII! W LA DEMOCRAZIA DEL POPOLO!!-

I nani si guardano confusi. Stanno per essere sterminati quando puntualmente arriva Gandalf a salvargli il culo, anche se non si sa come li abbia raggiunti o trovati, ma vabbé. Seguono quindici minuti di orchi e goblin che si tuffano nel vuoto. Magari è una forma di protesta, non si sa. Comunque milioni di persone su una passerella vengono sterminate da dei nani che corrono. Durante il genocidio Bilbo passeggia a cazzo, incontra Gollum, gli frega l’anello e giocano agli indovinelli. Si riunisce al gruppo, fuggono dalla caverna dei grillini e vengono inseguiti da Voldemort palestrato che agita un sacco le possenti spalle. Si arrampicano sugli alberi che crollano sotto il peso dei nani obesi. I lupi mannari fanno per salire anche loro, ma Gandalf tira fuori le pigne al napalm e dà fuoco alla foresta. 

-Scusa, Gandalf, ma ‘ste stronzate non potevi usarle prima? Tipo coi troll?-
-No-
-E tra sessant’anni durante l’assedio di Minas Tirith? Sai, mettevi ‘ste robe sui trabucchi e lanciavi. Mica male-
-Non si può-
-E se montavi sulle aquile bombardando i nemici dall’alto? Tipo gli A-10 in Iraq?-
-Non è possibile, Bilbo-
-Come “non è possibile”, vecchio rincoglionito? Abbiamo pigne incendiarie, spade che spaccano la roccia, pini che ruggiscono e un mondo senza fica ma non possiamo avere un A-10 Thunderbolt?-
-No

Sono comunque circondati e fottuti. Hamas decide di fare il negro, scende dall’albero, sguaina la spada e va incontro a Voldemort in un rallenty che dovrebbe essere epico, se non fosse che l’altro è alto due metri, pesa 100 chili, cavalca un lupo mannaro da 300 ed è incazzato a mostro. Hamas è alto un metro e un telecomando, pesa 40 chili ed è a piedi. Voldemort lo scrocia di botte uso Bud Spencer e tutto sembra perduto, finché Gandalf tira fuori la radio e dice “bravo due zero, bravo due zero, richiesto supporto aereo immediato”. Arrivano le aquile e li portano via.

Il film finisce qui.







Recensione?
Prendete una bottiglia, spaccatela per terra, cospargete il moncherino di benzina e schiantatevela su per il culo con tutta la forza che avete. “Lo Hobbit” è la stessa cosa. Tutto è fatto per essere commercializzato. Ogni cosa, ogni scena, ogni inquadratura più che un film è una reclame. Senti l’odore di plastica dovunque. L’aquilone che brucia nel cielo? Vendibile. I piatti che volano? Li potremo comprare. La canzone? La potremo acquistare su CD e iTunes. Gli interni della casa di Bilbo, i tappeti? Idem. Le spade? Certo. I nemici? Già fatte le action figures. Tutto è studiato e inquadrato perché tu lo possa ammirare, valutare e comprare. Il seguito dei film esiste già, devi solo comprare i biglietti. Comprare i cofanetti con i dietro le quinte, le scene tagliate, le interviste. Non c’è niente, NIENTE di cinema. E’ solo marketing per imbecilli, finto come i cattivi, le grotte, i combattimenti, i giganti, i set. E’ tutto finto dal principio alla fine. I personaggi non esistono. I dialoghi sono atroci. L’evoluzione umana personale è nulla. 

Però c’è il 3D! Hai visto che figo il 3D?!



Non c’è niente da salvare?
Sì. Martin Freeman è un attore straordinario.
Spreme sangue dalle rape, riesce a dare umanità, sentimenti e pensieri a un personaggio piatto come un banco da obitorio. A volte con uno sguardo, a volte con un gesto, è sempre al posto giusto. Dosa ironia e serietà, caparbietà e paura, dubbi e coraggio, frustrazione ed esaltazione. Vederlo sullo schermo è un piacere, l’unico, che ti aiuta a tollerare questa tortura di due ore e quaranta.

C’è odore di banana nell’aria, e mia figlia ha una faccia colpevole


Ho diciannove anni. Linda ne ha sedici. Tra di noi c’è quella chimica che contraddistingue gli adolescenti, quando scopano qualunque cosa si muova e lo chiamano vero amore.



Un giorno, per variare la routine, compro una confezione di preservativi alla frutta. Sulla confezione c’è scritto “da non utilizzare per il sesso genitale”. Vabbè, tanto che mi frega? Linda accoglie con gioia la novità, selezioniamo insieme i gusti e così come nelle scatole di cioccolatini, anche in questo caso quelli alla banana vengono lasciati per ultimi. Siamo a casa di lei, i suoi genitori arriveranno per pranzo e sono le 11. C’è tutto il tempo. Tiro fuori il preservativo, apro la confezione alla banana e all’improvviso ho di nuovo dodici anni.

E’ il Natale del 1992. I miei genitori hanno regalato a mia sorella un Mio Mini Pony viola che profuma di bosco, ossia un pezzo di plastica intriso di una sostanza ripugnante che lo fa puzzare come una piantagione di banane marce. Questo. L’offerta dice che la confezione non è aperta. Dio abbia misericordia di chiunque l’aprirà. Quel mini pony è un batterio. Dovunque lo si sistemi, impesta l’ambiente. Ceste. Armadi. Vestiti. Umani. Immaginate di lasciare in bagagliaio sotto il sole per tutta l’estate un casco di banane e poi di aprirlo. Per l’intero dicembre 1992 ho vissuto con le finestre aperte a -2°, con mia sorella in cappotto che girava per il salotto gridando “vooola mio mini pony”. Mio padre, cacandosi la minchia di pagare un riscaldamento inutile, lo gettò via. Mia sorella pianse talmente tanto che ne arrivò un altro.

Sempre alla banana.

-Tutto bene? – domanda Linda togliendosi il mio pene dalla bocca.
-Sì, sì, continua – dico riposizionandola, ma il cuore è pesante. 

L’odore di banana è pungente e infido. Associare quel fetore a un pompino uccide qualunque tipo di libido. Mi concentro con tutta la forza che ho. La vedo che comincia a stancarsi, io c’ho due palle così e sono annichilito dall’orrore. Basta. Devo terminare l’opera così la faccio alzare, la sistemo a pecorina e comincio a trombarla.

-Non sono fatti per il sesso vaginale – precisa lei.
-Ma tu sì –

Ci dò con tutta la cattiveria possibile, cercando di schiodarmi dalla mente mia sorella che canta “voooola, mio mini poooony”. Io che trombo Salma Hayek mentre fa un 69 con Penelope Cruz. Beyoncé che la lecca a Jennifer Lopez. Una gangbang su Britney Spears. Nelly Furtado che mi cavalca. 

Linda ormai è ridotta a un siluro urlante di cui non si distinguono i lineamenti. La trombo uso mostro con il volto rigato di lacrime, gli occhi stretti, la mente che mi ripete “voooola, mio mini pooooony” e il disgusto che mi assale. Stacco le mani dai suoi fianchi e comincio a prendermi a sberle mentre Linda, privata dei blocchi, decolla contro la parete del divano ove si conficca, sprofondando in un crescendo d’urla belluine. La sensibilità al pene scende, non sento quasi più nulla, è come infilarlo in una terrina. Di Linda rimane solo il culo che sporge dal divano in pelle. Insisto, inseguito dallo spettro di questa bambina che dice “voooola, mio mini pooooony” e sfrutto l’attrito della parete superiore. Tutto sembra perduto quando immagino La Pina che viene investita da un autobus e percepisco il tremito. E’ lui, è Ponente, è l’estasi, è l’eterno dualismo, la genesi, il climax. Estraggo e apro il fuoco con un urlo di trionfo, irrorando quel che resta di Linda. Crollo, spossato. La cappella pulsa. Linda, a fatica, riemerge dal divano.

-Ma che cazzo è successo?! – domanda, ansimante.
-L’odore di banana, non lo reggevo –
-Quale odo
Queek.





















C’è un momento di difficoltà. Linda diventa viola, mi guarda.

-Non era il culo! – grida – mi hai fatto entrare aria! –
Il cervello di un diciannovenne elabora freneticamente quello che ha appena sentito.

-C’è dell’aria … là dentro? – domando.
-Eh, sì! –
Queeek.

-Smettila – dico, indietreggiando.
-Non è colpa mia! –
Què. Què. Quèèèèk.




Què.


A un tratto l’odore di banana mi assale le narici. Linda, oramai ridotta a cratere, sta deodorando l’ambiente dell’odore sacrilego. Le intimo di fare qualcosa perché altrimenti non potrò mai più prendere sul serio la sua vagina.

-E COSA FACCIO, COGLIONE, MI METTO UN TAPPO!? –
Què! Què! Quèèèèè.

Fisso il buco del destino con rinnovato timore. E’ davvero possibile da una donna escano questi suoni? Linda si alza e tenta di guadagnare il bagno mentre il suo sesso scricchiola come un galeone spagnolo. Corre nuda emettendo suoni cavernosi quando la porta di casa scatta. Linda sbianca, fa retrofront e si lancia sui vestiti. Io la emulo, rapido e preciso. Il bello dei rapper è che felpe, magliette e pantaloni sono così larghi che se li lanci per aria ti scendono addosso come un paracadute, permettendoti di infilarli in poche mosse. Linda invece ha un bellissimo vestito di lana che indossa con la fretta dettata dalla disperazione. 
Ci sediamo sul divano contemporaneaQuèèèèè! Linda stringe in mano le mutandine che non ha avuto il tempo di indossare. Fa sparire il reggiseno sotto il divano. Io fingo indifferenza spaparanzato a guardare MTV con l’aria del consumato piacione. Entrano il padre, la madre, la sorella e la zia.


-Ciao, ragazzi – fa il padre – come stai, Nebo? –
-Bene, grazie – dico.
-Sei sudato –
-E lei come sta, invece? – tento.


Fa per rispondermi, poi si blocca. Annusa l’aria. Linda è in piedi vicino a me, una statua di sale che non osa muoversi perché al minimo tentativo di deambulazione dalle sue viscere sgorgherebbero geyser puteolenti.


-Ciò, ma – fa il padre – … cossa xé sto odor? –
-Me par … banana – fa la zia.

La madre si avvicina e annusa. Arriva anche la zia, poi la sorella. Tutta la famiglia sta annusando i peti vaginali di Linda. Io guardo gli angoli del soffitto. Chiudo gli occhi. La voce spettrale di mia sorella canta “vooola, mio mini poooony”. La madre raggiunge la cucina, prende il cesto di frutta e annusa le banane tra le arance e l’uva. Scuote la testa, ritorna in salotto, inspira a piene narici.


– Avete mangiato banane? –
– nnoh… – guaisce Linda, pallida come un cencio.
-Ragazzi, se avete mangiato frutta guasta fa male –

Osservo con distaccato timore il padre che dice alla propria figlia che la sua fregna sa di banana decomposta. C’è un che di poetico, in tutto questo? Chissà. Io, del resto, sto per essere ucciso.

-Zia, ti assicuro che non ho mangiato … –
Quèèèèèè!

-EH, COME NO, SENTI CHE ALITO! –

Studio le vie di fuga. Potrei barricarmi in cucina, avrei almeno una quarantina di secondi per sfondare la finestra e darmi alla macchia. Oppure potrei prendere in ostaggio la vecchia madre che si sta guardando attorno, finché i nostri occhi non si appoggiano tutti sullo stesso posto contemporaneamente. Del resto è un così bel tavolino. Artistico, design minimalista. Nero, basso, perfettamente in ordine, una confezione vuota di CONDOM FRUIT PASSION cattura l’occhio. La madre afferra la scatola con uno scatto da prestigiatrice, fulmina la figlia, fulmina me, poi prende la parola.

-Va bene, Aldo, scarichiamo la macchina –

Il padre si stringe nelle spalle e si dirige verso l’entrata. La madre mi indica e sussurra “tu e io dobbiamo fare un discorso”. Annuisco con aria colpevole. Povera donna, ignora che tra pochi istanti io sarò in viaggio per la Cayenna. Non appena si gira stampo un bacio a Linda e saluto. Lei si muove come un pinguino. Domandano se mi fermo a pranzo. Declino l’invito e cammino senza girarmi fino al vialetto, smooth criminal come Michael.

Un racconto erotico filosofico




E’ il primo appuntamento galante di Roberto. La prima vera uscita con una donna, solo lui e lei. Il mondo attorno a loro è sfocato e distante, emozionati come sono. Lei è stata in bagno dalle nove di mattina, lui s’è lavato l’uccello trentasei volte, ha portato la macchina dei genitori a lavare e ora è seduto, ansioso, di fronte a Caterina. Il primo appuntamento è come uno spurgo fognario: se tutto va bene potreste togliervi un bel peso, ma ci sono elevate possibilità di finire coperti da un mare di merda. 




La conversazione tra Roberto e Caterina procede senza intoppi. Hanno entrambi diciotto anni, tutti e due sono preoccupati per la maturità. Racconti e preoccupazioni scivolano uno dopo l’altro tra risate e sorrisi complici. Caterina osa sfiorare l’argomento sesso, per vedere le reazioni di Roberto.
-Tu quando hai perso la verginità? – chiede lei.
Roberto si aspettava questa domanda. Tutti i suoi amici l’hanno persa a sedici o diciassette, lui no. Lui è ancora vergine. Grazie alla sua compagnia è consapevole che dirlo ucciderebbe l’entusiasmo di qualsiasi donna e mente con disinvoltura.

-A sedici. E tu? –
Caterina si aspettava questa domanda. Tutte le sue amiche l’hanno persa a tredici o quattordici, lei anche. In campeggio c’era un ragazzo tedesco di ventuno che assieme ad un suo amico le hanno fatto la festa assieme ad una bottiglia di vodka e un chilom. Grazie alla sua compagnia è consapevole che dirlo suona male, in questo mondo maschilista e sciovinista.

-Anch’io a sedici –
-E com’è andata? –
Caterina non ha che vaghi ricordi di quella notte. Sa solo che ha dovuto buttare via le lenzuola della roulotte e dopo un pomeriggio di pianti disperati si è fatta portare dalla madre a prendere la pillola del giorno dopo senza che il padre, operaio Fincantieri di Lotta Operaia, lo venisse a sapere.


-E’ stato bello, ero molto innamorata. Per te com’è stato? –
-Bè, all’inizio… all’inizio mi ha fatto un po’ male, ma poi è andata bene –
-Ha fatto male a te? –
-S-sì? –
-Questa non l’ho mai sentita. Perché? – chiede Caterina, incuriosita.

In realtà si aspetta la solita battuta sulla dimensione del pene, che è un classico di tutte le chat in Internet già dal 1990. Ne ha già sentite di tutti i tipi. Dopo che le amiche le hanno detto di Googlare “Blackzilla” ha smesso d’impressionarsi. Roberto entra nel panico, perché ha un segreto. 


Un segreto spaventoso.
Quando aveva dieci anni, in preda alle prime curiosità sessuali, Roberto ebbe la malsana idea di cercare “donne nude” su Google usando il PC del padre. Non avendo idea di cosa aspettarsi cliccò sull’unico risultato già visitato dal padre, dichiarò di essere maggiorenne e venne catapultato in un universo di donne bellissime dotate di cazzi enormi. Dopo un’attenta esplorazione chiuse, sconvolto. Da quel giorno lontano Roberto passò gli anni convinto che tutte le donne avessero tra le gambe un pene. Questo scatenò una serie di problemi inimmaginabili, tra cui spiccava il principale: se hai due spine e nessuna presa della corrente, con due spine che ci fai? Nessuno degli amici di Roberto smentì mai queste deviate convinzioni. Per ovvie ragioni a Roberto la pornografia non interessò per nulla, anzi: quando sentiva i propri compagni parlar di inculate e pompini si allontanava inorridito.

-Se fa male a voi, perché non dovrebbe far male a noi? – chiede Roberto.

Caterina è spiazzata.

-A nessuno dei miei ha fatto male – risponde lei, poi precisa – intendo dire nessun amico del mio ex ragazzo, naturalmente –
-Ah, no? –
-Siete uomini, è diverso –

Roberto deduce che si tratti di puro machismo e decide di rimediare.

-Bò, forse perché era troppo grosso –
-Seee, vabbè – sogghigna Caterina, guardando altrove.
-Vabbè cosa? –
-Dicono tutti così –
-Ma non il mio, il suo! – precisa Roberto.

Caterina rimane a guardarlo per un istante, poi scoppia a ridere. Una risata così spontanea, così sincera, così profonda, che fa guadagnare a Roberto 1000 punti. Lui la guarda confuso, mentre lei si dimena sul tavolo. Deve aspettare una trentina di secondi.

-Oddìo, l’hai detto con una faccia… – dice Caterina, asciugandosi le lacrime.
-Che c’è di strano? –
All’improvviso la morte le paralizza il cuore.

-Ma… sei gay? –
-No! –

Sospiro di sollievo. La tensione sessuale s’è interrotta con quella risata, così la conversazione si dirige altrove. Caterina ha già deciso che lui è carino, simpatico e originale. Gli piace. Ha un modo di fare tutto suo e la tratta in maniera diversa dagli altri ragazzi. E’ a suo agio, come se lei fosse uno dei suoi amici. Al termine della cena vanno al cinema. Escono in una serata appena spruzzata di pioggia primaverile e si rifugiano nei portici dove c’è il primo sfioramento di guance, con la scusa di stare in due sotto l’ombrello. Lui la accompagna a casa, stanno sotto il suo portone a parlare fino a tardi, poi c’è il primo bacio, lungo e appassionato. Lei si stacca, armeggia con le chiavi mentre riflette. Non può dargliela la prima sera, ma ne avrebbe una gran voglia. Pensa che l’occasione perché i suoi genitori non siano a casa non si ripeterà.

Si gira a domandargli se la accompagna su.

Per le scale la salivazione di Roberto è azzerata. Fa il check mentale di tutto quello che sa o che deve sapere, ossia molto poco. Una volta in appartamento si distendono sul divano e cominciano a pomiciare. Le mani corrono sopra i jeans di Caterina, raggiungono le cosce e dopo brevi resistenze vanno in meta. Caterina lo lascia fare. Il tocco di Roberto è prima lento, poi frenetico, poi si stacca.

-Cosa c’è? – domanda lei.
Ogni neurone del ragazzo è concentrato nella prova di maturità più impegnativa della sua vita. Ci chiediamo sempre cosa faremmo noi se fossimo protagonisti di un film di fantascienza, dove una fondamentale e scontata regola dell’esistenza viene a mancare o è sovvertita. Roberto ha pochi secondi per risolvere un enigma da un milione di pezzi perché, a quanto pare, questa donna non è come quelle in Internet.

-Non ce l’hai – constata Roberto, staccandosi ed osservandola.
-Non ho cosa? –
-Il pene –

Caterina scoppia a ridere di nuovo, estasiata. Trovare un uomo che sa ridere e scherzare anche in quei momenti, a diciotto anni, è davvero raro. E’ felice. Scuote la testa, sorride e lo abbraccia.

-Eh, no – replica.

La mente del maturando divide il problema in due tronconi: A) se non ha il pene, là in mezzo cosa c’è? B) cosa faccio, se non c’è nulla? Capisce che deve fare un’ispezione diretta, così inizia a spogliarla. La maglietta se ne va lasciando vedere un reggiseno. Non sa toglierlo, ma ovvia al problema sfilandoglielo da sopra. La vista delle tette lo esalta, ci gioca un po’ e si toglie la maglietta, poi comincia ad aprirle i jeans. La visione delle mutandine lo sconvolge. Ci passa una mano sopra, cautamente.

Caterina lo osserva. Di solito i ragazzi con cui andava erano degli animali frettolosi. Lui ha tatto, delicatezza ma anche desiderio e decisione, visto come le ha tolto il reggiseno senza perdere tempo ad aprirlo. Lo lascia fare, affascinata.

Ecco, porca puttana, è come temevo, non c’è niente pensa Roberto, terrorizzato. Nulla, liscia e piatta come un manichino. Non ha idea di cosa fare. Passa e ripassa la mano sulla superficie della stoffa, notando un minimo avvallamento al centro. Lei geme. Deciso ad andare fino in fondo a questa tragedia le sfila le mutandine e sgrana gli occhi. C’è solo il pelo. Non si vede un cazzo di niente, solo un oscuro pelame da cui non emerge nulla. Nulla. Una selva oscura che la retta via era smarrita.

Roberto è sempre più confuso. Con mani da chirurgo, attento, inizia l’esplorazione. C’è una sostanza viscida. Si asciuga sul divano senza farsi vedere e prosegue. Trova una fessura e ad un tratto l’istinto lo guida. Trova l’ingresso, deduce il resto e guarda il sesso di Caterina con espressione di trionfo. Lei ansima, rossa in viso. I neuroni nella mente di Roberto, maturando in ragioneria, montano tutto il puzzle: il pene va lì con una probabilità che sfiora il 70%. Ce la può fare. Si spoglia in fretta e con la forza della disperazione tenta il tutto per tutto. E’ un successo. Tutto procede per il meglio. La tensione del momento, mescolata agli ormoni di un diciottenne, gli garantiscono una durata di molto superiore alla media. Caterina scambia il terrore per l’esperienza ed è stregata dalla maestria di Roberto, di cui tesserà le lodi alle amiche il giorno dopo, a scuola.

Roberto torna a casa. Guarda sul proprio computer “donne nude” e scopre l’atroce verità. E’ allora che capisce qualcosa che nessun figlio dovrebbe capire del proprio padre.













Tempo fa mi chiesero di scrivere dei racconti erotici per Playboy.
Questo è uno di quelli.

Di mare in peggio



Gioite, branco di debosciati, ora anche noi abbiamo una pagina Facebook. Visto che l’immagine profilo sarà sistematicamente una donna nuda diversa impiegheranno poco a bannarlo, quindi lanciate i vostri escrementi finché potete. La pagina è provvisoria, nel senso che non ho ancora ben idea se serva o se sia una cagata, nel dubbio provo.

Ovviamente i post verranno sempre scritti qui, ma verranno linkati lì.
O saranno copincollati lì in modo da dirigerli qui.
Ululì.






Già scriverlo pare una vaccata. 
Non importa! Si sperimenta, si giuoca, si tenta. Esaltatevi: