C’è odore di banana nell’aria, e mia figlia ha una faccia colpevole


Ho diciannove anni. Linda ne ha sedici. Tra di noi c’è quella chimica che contraddistingue gli adolescenti, quando scopano qualunque cosa si muova e lo chiamano vero amore.



Un giorno, per variare la routine, compro una confezione di preservativi alla frutta. Sulla confezione c’è scritto “da non utilizzare per il sesso genitale”. Vabbè, tanto che mi frega? Linda accoglie con gioia la novità, selezioniamo insieme i gusti e così come nelle scatole di cioccolatini, anche in questo caso quelli alla banana vengono lasciati per ultimi. Siamo a casa di lei, i suoi genitori arriveranno per pranzo e sono le 11. C’è tutto il tempo. Tiro fuori il preservativo, apro la confezione alla banana e all’improvviso ho di nuovo dodici anni.

E’ il Natale del 1992. I miei genitori hanno regalato a mia sorella un Mio Mini Pony viola che profuma di bosco, ossia un pezzo di plastica intriso di una sostanza ripugnante che lo fa puzzare come una piantagione di banane marce. Questo. L’offerta dice che la confezione non è aperta. Dio abbia misericordia di chiunque l’aprirà. Quel mini pony è un batterio. Dovunque lo si sistemi, impesta l’ambiente. Ceste. Armadi. Vestiti. Umani. Immaginate di lasciare in bagagliaio sotto il sole per tutta l’estate un casco di banane e poi di aprirlo. Per l’intero dicembre 1992 ho vissuto con le finestre aperte a -2°, con mia sorella in cappotto che girava per il salotto gridando “vooola mio mini pony”. Mio padre, cacandosi la minchia di pagare un riscaldamento inutile, lo gettò via. Mia sorella pianse talmente tanto che ne arrivò un altro.

Sempre alla banana.

-Tutto bene? – domanda Linda togliendosi il mio pene dalla bocca.
-Sì, sì, continua – dico riposizionandola, ma il cuore è pesante. 

L’odore di banana è pungente e infido. Associare quel fetore a un pompino uccide qualunque tipo di libido. Mi concentro con tutta la forza che ho. La vedo che comincia a stancarsi, io c’ho due palle così e sono annichilito dall’orrore. Basta. Devo terminare l’opera così la faccio alzare, la sistemo a pecorina e comincio a trombarla.

-Non sono fatti per il sesso vaginale – precisa lei.
-Ma tu sì –

Ci dò con tutta la cattiveria possibile, cercando di schiodarmi dalla mente mia sorella che canta “voooola, mio mini poooony”. Io che trombo Salma Hayek mentre fa un 69 con Penelope Cruz. Beyoncé che la lecca a Jennifer Lopez. Una gangbang su Britney Spears. Nelly Furtado che mi cavalca. 

Linda ormai è ridotta a un siluro urlante di cui non si distinguono i lineamenti. La trombo uso mostro con il volto rigato di lacrime, gli occhi stretti, la mente che mi ripete “voooola, mio mini pooooony” e il disgusto che mi assale. Stacco le mani dai suoi fianchi e comincio a prendermi a sberle mentre Linda, privata dei blocchi, decolla contro la parete del divano ove si conficca, sprofondando in un crescendo d’urla belluine. La sensibilità al pene scende, non sento quasi più nulla, è come infilarlo in una terrina. Di Linda rimane solo il culo che sporge dal divano in pelle. Insisto, inseguito dallo spettro di questa bambina che dice “voooola, mio mini pooooony” e sfrutto l’attrito della parete superiore. Tutto sembra perduto quando immagino La Pina che viene investita da un autobus e percepisco il tremito. E’ lui, è Ponente, è l’estasi, è l’eterno dualismo, la genesi, il climax. Estraggo e apro il fuoco con un urlo di trionfo, irrorando quel che resta di Linda. Crollo, spossato. La cappella pulsa. Linda, a fatica, riemerge dal divano.

-Ma che cazzo è successo?! – domanda, ansimante.
-L’odore di banana, non lo reggevo –
-Quale odo
Queek.





















C’è un momento di difficoltà. Linda diventa viola, mi guarda.

-Non era il culo! – grida – mi hai fatto entrare aria! –
Il cervello di un diciannovenne elabora freneticamente quello che ha appena sentito.

-C’è dell’aria … là dentro? – domando.
-Eh, sì! –
Queeek.

-Smettila – dico, indietreggiando.
-Non è colpa mia! –
Què. Què. Quèèèèk.




Què.


A un tratto l’odore di banana mi assale le narici. Linda, oramai ridotta a cratere, sta deodorando l’ambiente dell’odore sacrilego. Le intimo di fare qualcosa perché altrimenti non potrò mai più prendere sul serio la sua vagina.

-E COSA FACCIO, COGLIONE, MI METTO UN TAPPO!? –
Què! Què! Quèèèèè.

Fisso il buco del destino con rinnovato timore. E’ davvero possibile da una donna escano questi suoni? Linda si alza e tenta di guadagnare il bagno mentre il suo sesso scricchiola come un galeone spagnolo. Corre nuda emettendo suoni cavernosi quando la porta di casa scatta. Linda sbianca, fa retrofront e si lancia sui vestiti. Io la emulo, rapido e preciso. Il bello dei rapper è che felpe, magliette e pantaloni sono così larghi che se li lanci per aria ti scendono addosso come un paracadute, permettendoti di infilarli in poche mosse. Linda invece ha un bellissimo vestito di lana che indossa con la fretta dettata dalla disperazione. 
Ci sediamo sul divano contemporaneaQuèèèèè! Linda stringe in mano le mutandine che non ha avuto il tempo di indossare. Fa sparire il reggiseno sotto il divano. Io fingo indifferenza spaparanzato a guardare MTV con l’aria del consumato piacione. Entrano il padre, la madre, la sorella e la zia.


-Ciao, ragazzi – fa il padre – come stai, Nebo? –
-Bene, grazie – dico.
-Sei sudato –
-E lei come sta, invece? – tento.


Fa per rispondermi, poi si blocca. Annusa l’aria. Linda è in piedi vicino a me, una statua di sale che non osa muoversi perché al minimo tentativo di deambulazione dalle sue viscere sgorgherebbero geyser puteolenti.


-Ciò, ma – fa il padre – … cossa xé sto odor? –
-Me par … banana – fa la zia.

La madre si avvicina e annusa. Arriva anche la zia, poi la sorella. Tutta la famiglia sta annusando i peti vaginali di Linda. Io guardo gli angoli del soffitto. Chiudo gli occhi. La voce spettrale di mia sorella canta “vooola, mio mini poooony”. La madre raggiunge la cucina, prende il cesto di frutta e annusa le banane tra le arance e l’uva. Scuote la testa, ritorna in salotto, inspira a piene narici.


– Avete mangiato banane? –
– nnoh… – guaisce Linda, pallida come un cencio.
-Ragazzi, se avete mangiato frutta guasta fa male –

Osservo con distaccato timore il padre che dice alla propria figlia che la sua fregna sa di banana decomposta. C’è un che di poetico, in tutto questo? Chissà. Io, del resto, sto per essere ucciso.

-Zia, ti assicuro che non ho mangiato … –
Quèèèèèè!

-EH, COME NO, SENTI CHE ALITO! –

Studio le vie di fuga. Potrei barricarmi in cucina, avrei almeno una quarantina di secondi per sfondare la finestra e darmi alla macchia. Oppure potrei prendere in ostaggio la vecchia madre che si sta guardando attorno, finché i nostri occhi non si appoggiano tutti sullo stesso posto contemporaneamente. Del resto è un così bel tavolino. Artistico, design minimalista. Nero, basso, perfettamente in ordine, una confezione vuota di CONDOM FRUIT PASSION cattura l’occhio. La madre afferra la scatola con uno scatto da prestigiatrice, fulmina la figlia, fulmina me, poi prende la parola.

-Va bene, Aldo, scarichiamo la macchina –

Il padre si stringe nelle spalle e si dirige verso l’entrata. La madre mi indica e sussurra “tu e io dobbiamo fare un discorso”. Annuisco con aria colpevole. Povera donna, ignora che tra pochi istanti io sarò in viaggio per la Cayenna. Non appena si gira stampo un bacio a Linda e saluto. Lei si muove come un pinguino. Domandano se mi fermo a pranzo. Declino l’invito e cammino senza girarmi fino al vialetto, smooth criminal come Michael.