“Collo terroriFta” |
Proprio mentre l’Imperatore in persona conduce una carica verso un branco di daini che ruminano paciosi.
“Collo terroriFta” |
Proprio mentre l’Imperatore in persona conduce una carica verso un branco di daini che ruminano paciosi.
Bisanzio, 490 dC.
Uhallaaaaaah, canta il muezzin, lontano.
Uhamlaflemhlaaaaaaanaaaaaa.
E’ sera. Acacio e Teodora, padre e figlia, stanno spazzando le scalinate dell’Ippodromo. Teodora ha dieci anni. Fatica a muovere la ramazza, preferisce stringere il manico e scorrere le mani su e giù.
«Tesoro, che cazzo fai?» domanda il padre.
«Non so, mi viene naturale»
«Sei tutta tua madre» sorride Acacio porgendole l’acqua.
La figlia beve un sorso e riprendono a spazzare.
«Oggi ho sentito di una principessa adottata da una famiglia povera che veniva riconosciuta dal principe. La sposava e vivevano felici e contenti»
«Belle stronzate» commenta Acacio.
«Non è vero! Può succedere! Tutte le bambine del quartiere si sono anche promesse di restare illibate in modo che il principe le riconosca!»
«Hai mai visto il principe passeggiare nel quartiere?» chiede Acacio.
«No, ma…»
«Qui c’è puzza di cacca di cavallo, giri per strada e la gente ti lancia il piscio dalla finestra, il cibo fa schifo, le donne c’hanno più sifilide che denti e ogni tre secondi c’è una rapina o un omicidio. I bordelli sono territorio della truppaglia più bieca che se deve aspettare troppo esce in cortile e c’è la capra di cortesia. Te lo vedi un ufficiale dell’esercito a infilarlo dentro quei pozzi di gonorrea?»
Teodora tace.
Nel 500 dC Bisanzio conta 500,000 anime. E’ una città caotica e sovraffollata, crocevia di popoli e razze che si mescolano in una macedonia di sacro e profano. Manco a dirlo, il profano è più visibile dalle parti dell’Ippodromo. Teodora è nata qui, in un quartiere che pullula di attori, danzatori, ciarlatani, maghi, lottatori, scommettitori e mignotte. A lei piace. Le piacciono i mimi che prendono in giro i potenti, le grida dei commercianti, gli uomini dalla pelle colorata, le risate sguaiate delle prostitute, i cammelli che portano merci strane ed esotiche. Acacio scuote la testa, lascia cadere la ramazza e conduce la figlia fuori, risalendo le scalinate dell’anfiteatro. Una volta in cima indica la città che cola giù dalla collina, una distesa di palazzi giallastri che si confondono fino a immergersi nel Bosforo. Dall’altra parte della sponda, la luce del tramonto illumina le guglie del palazzo dell’Imperatore.
Uhallaaaaaah, canta il muezzin, lontano.
Uhamlaflemhlaaaaaaanaaaaaa.
«Lì ci sono donne belle, giovani, nobili ed educate. Principesse da tutto l’oriente, cibi e bevande così deliziosi e rari che alcuni si dice provengano da un altro mondo. E’ fresco d’estate, caldo d’inverno e pulito. Perché un principe dovrebbe venire qui?»
Teodora tace ancora, impressionata da quella visione.
E’ una bimba macilenta, occhi nocciola, capelli crespi e neri come l’inchiostro. Le mani sono callose e martoriate di tagli, le sopracciglia incrostate di fango. Acacio nota la figlia che, sovrappensiero, tenta d’infilarsi la ramazza in gola il più a fondo possibile.
«Tesoro, giocherai più tardi»
«HA AHHA GHAGGA GHE RIEHE!!»
«Lo so che alla mamma riesce»
Teodora stringe con due dita la ramazza davanti alle sue labbra, poi estrae dalla propria gola quindici centimetri di manico. Lo osserva con soddisfazione. Poi un’ombra di tristezza le attraversa gli occhi.
«Perché tutti ci odiano?» domanda trasognata.
«Ma che dici?»
«Quando usciamo per pulire, la gente sugli spalti ci ride dietro. Ci insulta, ci sputa, dicono cose orrende. Perché lo fanno?»
«La maggioranza delle persone decide in base a quello che fanno gli altri, come i pesci. Ci sono quelli che seguono il branco e quelli che lo seguono camminando all’indietro, come i gamberi. Nessuno ci odia. E’ che tra loro si stanno antipatici e la sola cosa che li mette d’accordo è insultare qualcuno in comune»
«E perché proprio noi?!»
«Perché contiamo meno delle mattonelle e non possiamo fargli niente»
«Sono dei vigliacchi» decreta la bimba con gli occhi lucidi «tanti e vigliacchi»
«Vieni qui» dice Acacio allargando le braccia. Teodora ci si infila come un verme nella carcassa putrida di un cane morto da due settimane sotto il sole di agosto. O almeno, questo è l’odore che ognuno di noi sentirebbe. Per lei è il profumo più dolce del mondo.
«E’ vero, siamo poveri» annuisce Acacio «viviamo spalando escrementi di tigre, mangiamo una volta al giorno, dormiamo in baracche senza vetri alle finestre, cachiamo per strada e ci puliamo con la mano, la nostra aspettativa di vita in questo periodo storico si attesta sui 45 anni, siamo circondati da disoccupati, pezzenti e artisti di strada, però qualcosa di buono l’abbiamo: noi. Ci vogliamo bene. Tu me ne vuoi?»
«Tantissimo!»
«E allora lo vedi che qualcosa di buono c’è? Oggi è anche il mio quarantaduesimo compleanno!»
Acacio muore.
Il giorno dopo l’Ippodromo brulica di gente infoiata e festante in attesa dell’evento sportivo più in voga a quel tempo, ossia guardare cavalli che corrono e sognare di mangiarseli. I due cerchi sono divisi in tifoserie, Verdi e Azzurri. Il portavoce dell’Imperatore fa segno di tacere e il rombo della folla diventa un brusio.
«HO UN ANNUNCIO PER VOI, CREMA DELLA MERDA» proclama l’uomo «FARSI MOZZARE I TESTICOLI MI HA CONCESSO L’INDISCUTIBILE PRIVILEGIO DI PARLARE PER BOCCA DELL’IMPERATORE QUANDO LUI HA CALDO»
Mesto applauso di stima.
«EBBENE, BLATTE SACRIFICABILI, VI ANNUNCIO IL TRAPASSO DELLA TERZA GENERAZIONE DI GUARDIANI DELL’IPPODROMO. LE FIGLIE DI ACACIO SONO QUI PER CHIEDERE UN AIUTO ECONOMICO PER IL LORO MANTENIMENTO O SCHIATTERANNO DI FAME. SICCOME E’ DIVERTENTE VEDERE I POVERI CHE SI PESTANO CON I POVERI PER DECIDERE CHI DI LORO E’ PIU’ POVERO, POTETE ESPRIMETE LA VOSTRA OPINIONE»
Dall’ombra dell’androne emergono la moglie di Acacio con le figlie conciate a festa. La folla ride. Pronunciano una supplica con occhioni tristi e vengono accolte con lanci di immondizie, fischi e risate sguaiate. La madre fa un inchino, prende un sasso in faccia con grande contegno, fa un secondo inchino al palco dell’Imperatore, poi prende congedo accompagnata da altre parole dolci. Si accorge troppo tardi che Teodora ha lasciato la mano della sorella e sta al centro dell’Ippodromo con le mani sui fianchi, sfidando con lo sguardo le tribune. Quando lo stadio se ne accorge cala un silenzio elettrico.
Pesci e gamberi, pensa Teodora.
«VOI VERDI FATE SCHIFO!» grida «VIVA GLI AZZURRI!»
L’Ippodromo esplode.
L’Imperatore scoppia a ridere, deliziato. La curva dei Verdi detona in un mare di facce distorte dall’odio che scagliano sulla ragazza ogni epiteto e oggetto a loro disposizione, ma per Teodora non è una novità. L’unico suono che sente è alle sue spalle; centinaia di anime che fino a prima le lanciavano sputi ora applaudono, la incitano, le sorridono. Lei fa un inchino e rientra, lasciandosi alle spalle un olocausto di urla. Il giorno dopo, gli Azzurri garantiscono un sostegno economico che la madre usa per risposarsi. Mette le figlie a teatro a far spettacoli di “mimo satirico e ironico”, che gli storici dell’epoca giudicano “patetiche scuse per gli spogliarelli”. E’ bello notare come la scusa del burlesque sia radicata nelle donne da oltre millecinquecento anni.
Teodora non sa cantare né ballare e recita peggio della Gerini, ma ripulita da stracci e sporcizia fa cadere le mascelle; è bella. Oscenamente, vergognosamente bella. La piccina impiega poco a scoprire il suo vero talento. Mostra le tette, mima amplessi e in meno di un mese ha chi la mantiene in cambio di nerchiate sul viso. Scopa con qualsiasi cosa cammini e guadagna valanghe di soldi. Per due anni salta da un cazzo all’altro come il più atletico dei bonobo, non disdegnando orge, rapporti lesbo, clienti brutti, vecchi, grassi o stronzi. Il suo nome gira per i quartieri.
E’ la più bella, dicono i ragazzi.
E’ la più vacca, dicono gli uomini.
Pacific rim è bellissimo, dice l’Internet.
Non è la sola cosa che impara: gli uomini a letto parlano. Tutti i ceti sociali hanno una storia da raccontare e Teodora li ascolta con egual attenzione. A letto impara a scopare, in camera impara la politica, l’intrigo, le gerarchie, la strategia. Una volta un’intera falange tornò in città dalla guerra. Non vedevano una donna da anni e non era raro che in questi casi le ragazze venissero un po’ strapazzate, nel senso che ne entravano trenta e ne uscivano venti, tutte incinte. Le zoccole della zona si rifiutano, terrorizzate. Teodora entra nel bazar di Samir Al-Atta all’ora di cena. E’ la sola donna presente. L’intero bazar, già abbondantemente su di giri, ammutolisce.
«E tu chi sei?» chiede un soldato.
«Quarta falange, giusto? Avevate chiesto compagnia. Eccomi qui»
Parte l’ovazione.
«Le altre sono belle come te?» domanda il soldato.
«Non ci sono altre»
«SEI SOLO TU?!» sbotta il comandante «ma noi siamo cinquantasei!»
«Farete a turni di tre» sbuffa Teodora, lasciando cadere il vestito «forza, prima gli ufficiali»
I resoconti storici qui dissentono. Procopio di Cesarea sostiene che Teodora soddisfò tutti e, non paga, se li ripassò due volte. E’ bello immaginarla che sputa sperma con sacro furore urlando “il prossimo”. Altri dicono che uscì all’alba retta sottobraccio dal locandiere. Non che una cosa escluda l’altra. Dopo questa storia, il suo nome diventò leggenda. Impiegò poco a capire come turlupinare le altre zoccole. Erano belle, ma non avevano il carisma né l’esperienza di una che doveva eccitare i clienti medi emulando il verso del cammello. Il problema era che gli stessi clienti che la inculavano, per strada iniziavano a cambiare marciapiede. Non vogliono essere visti vicino a lei. La sua fama degenera fino a isolarla, lei capisce l’andazzo e se ne va. Gira per le città dell’oriente e approda ad Alessandria. Una città dove monasteri e bordelli hanno lo stesso peso politico, la fica domina e i poteri si incrociano. Nessuno sa cosa sia successo lì; Teodora fa ritorno a Bisanzio tre anni dopo, ottiene udienza dal principe Giustiniano I che la prende in sposa in sei mesi.
Il 4 aprile 527, Teodora viene incoronata Imperatrice di Bisanzio.
Se dare la tua carta di credito a una donna non è mai una buona idea, dare a una spogliarellista soldi e potere illimitati è veramente un’idea del cazzo. Teodora aumenta le tasse fino a schiacciare la popolazione per potersi permettere feste, orge, banchetti, sculture e monumenti alla sua persona. Per le strade tira brutta aria. Un giorno, durante uno spettacolo all’Ippodromo – a cui Teodora assiste dal palco imperiale – sia i Verdi che gli Azzurri cominciano a urlarle insulti e proteste. Monta la rivolta. Le due fazioni si uniscono, escono dall’Ippodromo e reclutano passanti. Distribuiscono armi e trasformano la città in un campo di battaglia. Asserragliati nel palazzo imperiale, Giustiniano fa la cazzata che fanno tutti i regimi terminali: fa concessioni. La folla s’inebroa di entusiasmo, capisce che più ammazza più ottiene e dà l’assalto al palazzo.
«Ragà, io mi leverei di culo tipo subito» fa l’Imperatore «meglio una disonorevole fuga di un’onorevole morte»
Un sasso distrugge la vetrata, seguito da una freccia.
«Sa che mi ha convinto?» dice il primo ministro.
«Che poi non è che scappiamo, è solo per la merenda»
«Ma infatti, guardi, io manco mi porto le valigie»
«Tesoro» dice Giustiniano a Teodora «il tuo shopping c’è costato solo un impero, io me ne andrei prima che c’impalino»
«Andate pure» dice lei afferrando una spada «io resto qui»
«Guarda che questi non li calmi a bocchini»
«Il sangue è un bel colore per il sudario, e il trono è una tomba della madonna. Ora fuori dalle palle, mezze seghe»
Teodora pronunciò davvero questa frase. Sebbene il discorso non somigli a nessun monologo motivazionale hollywoodiano, gli uomini realizzano che l’unica persona nella stanza dotata di testicoli è una donna. Punti nell’orgoglio, decidono di restare e combattere. Riorganizzano le truppe e respingono la suburra. La situazione è di stallo. Da una parte studenti, disobbedienti, precari e femministe. Dall’altra Teodora. Anni di lenzuola le hanno insegnato che dove non arriva la spada arriva la lingua. Grazie ai vecchi agganci corrompe il capo della fazione Azzurri, il quale convince le truppe ribelli a barricarsi nell’Ippodromo. Una volta dentro, impossibilitati a fuggire, Teodora dà l’assalto in testa alle truppe, menando spadate e trucidando tutto quello che le capita sotto la lama. Alla fine, nell’ippodromo rimarranno 35.000 cadaveri. Teodora lascia cadere la spada, cammina tra i corpi mutilati affondando nel sangue fino alle caviglie. Raggiunge lo spiazzo dove quelle persone l’avevano derisa da bambina vent’anni fa. Si guarda attorno. E’ invecchiata, ferita e spossata. Solo lo sguardo è lo stesso.
«Scusa se c’ho messo tanto, papà» mormora.
Uhallaaaaaah, canta il muezzin, lontano.
Uhamlaflemhlaaaaaaanaaaaaa.
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Bibliografia
S.Castellanos, Mujeres perversas de la historia, Gruppo editorial Norma, Bogotà, 2008
P.Cesaretti, Teodora, ascesa di una imperatrice, Mondadori, Milano 2008
S.Bonura, Le 101 donne più malvagie della Storia, Newton Compton, 2011
C.Diehl, Figure bizantine, Einaudi, Torino 2007
S.Klein e M.Twiss, I personaggi più malvagi della Storia, Newton compton, Roma 2006
Procopio di Cesarea, Storia segreta, Sonzogno, 1818
«Zlurg, me lo fai un kukkuni?»
«No»
«Perché non mi fai mai i kukkuni?»
«Perché tu non mi ami abbastanza, Slaarg»
«MA CHE KNORP, sono l’alieno più ricco e potente del pianeta! Solo oggi abbiamo spaccato il zoarp ai rettiloidi di Alpha Centauri, assaltato i bastioni di Orione e sottomesso miliardi di gonadiani, perché, PERCHE’ KNORP NON MI FAI I KUKKUNI?! Ti ho regalato sessanta orecchini di vero palinnio, due case con l’idromassaggio in ammoniaca pura, che altro vuoi?»
«Lo sai.»
«LA TERRA?! Perché knorp vuoi un pianeta dove non si respira?! Ci abbiamo già mandato i dinosauri una volta e son morti tutti»
«Ma adesso è diverso! Ora ci sono i terrestri, dei tizi che producono sostanze venefiche che però rendono l’aria respirabile per noi!»
«E se accoppiamo gli umani che avvelenano l’aria, mi dici come knorp respiriamo, dopo?»
«Non è questione di respirare!! Oh, perché voi maschi non capite mai? Se tu mi amassi spenderesti tutti i soldi che hai per produrre giganteschi mostri e invaderesti la Terra. Lo faresti anche sapendo che è inutile e che ci moriremmo tutti dopo cinquant’anni, se questo mi portasse tra le tue quattro braccia. Ma tu non mi ami, Slaarg»
L’alieno gorgoglia: «Se lo faccio mi fai i kukkuni?»
«Bè… forse»
«Va bene. Apriremo mille e mille varchi dimensionali, le nostre truppe sciameranno a migliaia travolgendo e sterminando quella specie che ci garantisce la vita. Per quei cinquant’anni che la Terra impiegherà a ripulirsi faremo una vita che lèvati. Vado»
«No… no. Oh, voi maschi siete così maleducati. Apri un varco solo.»
«Uno? E che ci faccio con uno?»
«La stessa cosa, ma con… tatto. Discrezione. Tanti varchi è brutto. Sembra sia un atto di odio e non di amore. Un solo varco, a cui magari darai il mio nome. Il varco Zlurg. Sarebbe romantico»
«DISCREZIONE?! Gli mandiamo bombosauri da 1900 tonnellate che devastano metropoli da milioni di abitanti però apriamo un varco solo? Che knorp di discrezione è?»
«Piano piano. Prima manda un mostro piccolo, poi uno medio, poi due grandi. Lo farai?»
Slaarg lo fa.
Il parlamento europeo ascolta in silenzio le parole del generale Potter.
«Nel 2020 un mostro alto 40 metri emerge dall’oceano e distrugge New York. I carri armati lo abbattono assieme ai caccia e morta lì, nel senso che proprio lo lasciamo ai gabbiani. Siamo militari, mica scienziati sfighi. Facciamo come con le zanzare: le schiacciamo e le lasciamo lì come avvertimento per le altre.»
«Giusto!»
«Bravi!»
«Avete fatto bene!»
«I biologi sono tutti sfigati!»
«Tuttavia, al quinto bestione che fa milioni di morti decidiamo di darci una sbirciata. L’abbiamo fatto fare a secchioni e altra gentaglia gay che hanno chiamato i mostri con un nome nerd. Gli invertiti scoprono che nel profondo dell’oceano pacifico – a circa 11.000 metri di profondità – è apparso un portale dimensionale. E’ da lì che escono i mostri. La frequenza di visite aumenta. Il problema è che abbatterli costa un casino. I nostri piloti, invece di sparare missili a distanza, hanno l’irrefrenabile impulso di volare vicino al mostro per farsi degli autoscatti su Instagram e vengono abbattuti. Ecco le ultime immagini dei nostri eroici piloti.»
“LOL fighting #monsters look at this big #motherf
“MISSILES ARE FOR PUSSIES!! U mad Army? Look how I f
Nella sala delle nazioni unite l’ultima diapositiva termina.
Il silenzio è pesante.
«Bisogna trovare un’alternativa» annuncia l’America «ogni autoscatto ci è costato 35 milioni solo di aereo. Servono soldi. Uniamo le nostre risorse e costruiamo l’arma definitiva.»
«Non basterebbe trovare piloti normodotati?» domanda l’Italia «e poi perché usare gli F-22? Se teniamo una flotta di C-130 a 20,000 metri di altezza che li martellano coi mortai da .105 hai voglia che ‘sti mostri arrivano a toccarli.»
La ragazza delle pulizie con l’aspirapolvere è l’unico suono nella stanza.
Whiiiirrr.
Whiiiiirrrr.
«Che ho detto?»
«Ignoratelo, pizza mandolino perluscone» replica stizzita la Germania «voi italiani sempre canta canzoni di amore alla mamma, non avete le palle.»
«Signori, vi prego, la situazione è grave» dice la Cina «abbiamo bisogno di un’arma. Sì, avremmo le testate nucleari. Sì, avremmo dei cannoni al plasma che spaccano il culo, ma non possiamo usarli.»
«PERCHE’?!» domanda l’Italia.
«Voi italiani, sempre a pensare soluzioni mafiose, sempre tradimenti, sempre spara spara.»
«E che dobbiamo fare, scusate?»
«Oh, certo, maffia maffia spagetti ammore. Volete anche offrirgli la pizza? Volete fargli la carbonnara?»
L’Italia sospira: «Va bene, cosa proponete?»
«ENORMI GIGAROBOT CHE GLI MENANO» grida il Giappone.
Voci e respiri sconcertati. L’America alza un sopracciglio: «Continui.»
«Ogni robot costerà circa come il PIL della Germania, ma volete mettere il gusto di MENARGLI IGNORANTE, a ‘sti mostri di merda?»
«Sì, perdìo! E li chiameremo… Jaeger!»
«Perché?»
«Come la Jaegerbomb, la bevanda dei duri di Jersey Shore.»
«GENIO!»
La Germania inizia a battere le mani. Russia, Cina, Spagna, Francia, Inghilterra e il resto del mondo la seguono.
L’aula è uno scroscio entusiasta di mani.
«Posso saperne di più di ‘sto cannone al plasma, per favore?» chiede l’Italia «tipo, potremmo montarlo a terra? Su postazioni? Magari su
Viene espulsa dalle nazioni unite.
Sono passati dieci anni dalla creazione degli Jaeger. L’intera economia globale è al collasso. La vita di una persona media consiste nello svegliarsi nell’immondizia, mangiare topi morti, rovistare tra cadaveri e rovine in cerca di cibo fino all’ora di pranzo, poi un gruppo di anarchici lo riempie di botte, gli mangia il figlio e gli stupra la moglie. A quel punto dal mare emerge un mostro che schiaccia gente e fa esplodere cose. La moglie, tremante sotto un lastrone di cemento, domanda con un filo di voce al marito: «Gualtiero, ma… trasferirci in campagna a coltivar legumi?»
«No, tesoro, in città ci sono più possibilità lavorative»
La zampa del mostro li uccide entrambi.
Ci vengono presentati Jack e Richard, fratelli, piloti di Jaegerbomb. Per far funzionare gli Jaeger servono due persone in ponte neurale collegato, un modo gentile per dire che formano un cervello in due. Tipo la Hilton e il suo chihuaua. Jack, il protagonista, spiega che non sono addestrati a fare niente, ma durante le risse da bar si parano il culo a vicenda e “questo li rende molto sincronizzati”. Anch’io se avessi un robot che costa come la Sardegna lo affiderei senza indugio a due subdotati del Kansas. Li selezionerei in base alle specializzazioni. “Fai abortire a pugni tua cugina”, “Rutto bifasico”, “Sputo più lungo” sarebbero i requisiti principali.
I due, con l’immancabile camminata jersey shore/carcerato/possente guerriero che muove molto le possenti spalle raggiungono la sala vestizione parlando del più e del meno. Ci dicono che sono ignoranti, eterosessuali, americani, giovani e ribelli. Anonimi operai gli infilano le tute, versano dentro al casco del Jack Daniel’s per metterli nel giusto mood e li infilano nel punto meno esposto e più sicuro del robot: la testa.
A dirigere le operazioni è il generale Pentecost, un negro in uno stanzino seduto di fianco a un impiegato che gioca a Tetris.
Però l’ambiente è pieno di lucine colorate tipo Prometheus.
«Sono il generale Pentecost» dice alla radio.
«HA HA HAHAH HA HAHAHA DAI, SERIAMENTE» replicano dallo Jaeger.
«Sono serio. Pentecost. Un chiaro riferimento a Neon Genesis Ev
«AHAHAHAH EDDAJEEEE»
«Signori, è uscito un caigiù. Minaccia una città, andate a proteggerla.»
I due tauri si guardano: «Momento, sul radar ce sta pure ‘na barchetta.»
«Sì, ma voi dovete difendere la città.»
«Ma è bella, sai che stile se ce giocamo come da pischelli?»
«LA CITTA’, DEFICIENTI! DIECI MILIONI DI PERSONE!»
«Puppacelo, annamo dalla barchetta e se er mostro se fa vedè JE MENAMO»
Per un pubblico americano (ossia di subnormali) questo atteggiamento dimostra che i protagonisti sono leader naturali, ribelli e allergici al comando. Per il resto del pubblico che sono due inutili coglioni.
«In qualunque esercito del mondo vi faremmo fucilare, lo sapete?»
«Zitto mo’, generale Sindone, che annamo a sarvà i cagariso. Daje zì, spigni a tavoletta che famo na stragge, porcoddio! FORZA NIUGGERSEEEEI!!»
«State rubando un robot che costa trecentonovanta miliardi di dollari per farvi una passeggiata nell’oceano lasciando indifesa una città di 10 milioni di persone.»
«STACCE.»
Il generale sbuffa e si siede. E’ questo che farebbe un vero ufficiale in comando. Sbuffare, sedersi e mettersi ad aiutare quei ragazzi ribelli, in modo che tutti gli altri militari vedano che il generale è un vecchio coglione inutile e che la cosa giusta è sempre fare di testa propria. Ora capisco come ha fatto l’America a vincere contro Vietnam Iran Iraq Afghanistan Facebook.
Vediamo lo Jaeger per la prima volta.
Si tratta di un prototipo scartato da Ironman 3, con tanto di reattore al palladio in centro petto. E’ naturalmente notte e piove perciò ti rassegni subito all’idea che non si vedrà un cazzo. Nel mezzo dell’oceano Pacifico percepiamo macchie nere che si muovono e qualche lucina azzurra. E’ lo jaeger che cammina con l’acqua che gli arriva alla vita? E’ il nipotino del regista che gioca con la pila?
Tutto può essere.
Come mai un robot di 80 metri cammini spedito su un fondale che si attesta intorno ai 2000 metri (e dove il mostro nuota) non è chiaro, ma soprassediamo. I due truzzi riescono a mettere al sicuro la barca alzandola e appoggiandola venti metri di lato. Il computer scrive BOAT SAFE in modo che gli spettatori non dotati di infrarosso capiscano che la boat è safe.
Dall’acqua esce un gigantesco squalo furry.
Si picchiano in maniera molto maschia ed è subito chiaro che gli Jaeger sono efficienti come Internet Explorer. Viene asfaltato di botte mentre Pentecost dà informazioni vitali alla radio:
«Oh, mio Dio! Vi ha appena colpito con un destro micidiale!»
«AO CATTOLICUS, PIANTALA DE DI’ CHE SUCCEDE»
«Cristo! Vi ha attaccati da sinistra!»
«CE STAMO NOI QUA DENTRO, TE PARE CHE NO’O SAPPIAMO?!»
«Ma non gli spettatori, che nel buio non capiscono una madonna.»
«MA TE VOI STA’ ZITTO?! Pugno inutile, fuoco!»
«Se non reagite sarete morti!»
«PENSA A LI MORTI TUA, CATECHI’! Rotazione immotivata, fuoco!»
«Attenti dietro! Ha alzato un braccio!»
«Calcio su fondale marino inesistente, fuoco!»
Lo Jaeger si accartoccia come una scatoletta di tonno. Ad un tratto, quando ormai sono fottuti, decidono di usare un cannone al plasma. E’ così che un vero uomo combatte un leone: prima tenti di menarlo, poi quando ti ha strappato un braccio e stai morendo estrai la pistola. In realtà bombardiamo coi droni gente su un cammello, ma vabbè, credere che facciamo così è catartico. I Jersey Shore brothers svuotano il caricatore in pancia al furro, che con un ultimo attacco mangia metà testa dello jaeger, fratello incluso.
Le cameriere di tutto il mondo tirano un sospiro di sollievo.
Jack torna depresso. Davanti alla perdita dell’equivalente economico degli Uffizi qualunque esercito lo farebbe fucilare, poi impiccare e decapitare. Questo lo licenzia. Passano cinque anni. Jack è tornato ad essere un manovale. All’ONU decidono di abbandonare il progetto Jaeger perché costa troppo e a noi, i soldi, servono anche se siamo tutti morti.
«Cazzo, ragaz, serve un’idea migliore» dice la Russia.
Il suono dell’aspirapolvere tace: «Scusate, io sarei una biologa» dice la trentenne con il cartellino “pulizie” ben lucidato sul petto.
L’intero pianeta si gira: «E non si vergogna a parlare?»
«Se date alla ricerca scientifica i soldi che spendete per uno Jaeger, con l’ingegneria genetica in sei settimane costruiamo un virus in grado di sterminarli. Inoltre sono alieni, hanno un DNA diverso dal nostro e per noi il virus sarebbe del tutto innocuo. Abbiamo a disposizione l’arma più potente del genere umano che però questa volta non ha. Nessun. Effetto. Collaterale.»
La sala esplode in una risata.
I nerd sono sempre divertenti, impacciati e litigano in modo buffo, ma è ora di parlare di cose concrete. Muri. Enormi. Se funzionano, gli oceani in due anni saranno infestati di mostri. In questo modo, quando riusciranno a distruggere i muri, ci si troverà ad affrontarne migliaia armati solo di bastoni e pietre guidati da Beppegrillo.
«E’ questo che ci ha permesso di diventare padroni della Terra, signorina: muri e cazzotti.»
«Catapultavamo cadaveri oltre le mura dei castelli durante gli assedi» piange la donna «dai, porca puttana, è tattica militare da terza media!»
«Lei è licenziata. Vada in Italia a servire caffè, hahaha»
Il mostro successivo abbatte il muro ruttando.
Il generale Pentecost, nel frattempo, ha lasciato l’esercito e deciso di proseguire il progetto Jaeger per i cazzi suoi. Come fa un tizio a sostenere le spese che tutti i governi del mondo uniti non erano in grado di reggere? Con il mercato nero. A quanto pare, la polvere d’osso dei mostri viene venduta a prezzi stratosferici, ed è per questo che in Cina hanno costruito interi quartieri con le ossa dei caigiù: dici “scusa, tesoro, devo prelevare”, gratti un po’ di polvere e ti compri una Lamborghini.
Pentecost è a corto di piloti di Jaeger.
Può pagare miliardi di operai, materiali, infrastrutture il cui costo è esorbitante, ma non trova tre alcolizzati violenti. Richiama Jack e lo accoppia a una giapponese psicologicamente distrutta che appena mette piede in un robot rischia di far esplodere tutti, ma si salvano staccando un cavetto nella torre di controllo. Lei si rivela presto come una psicopatica traumatizzata, ossia il miglior pilota di Jaeger possibile. E’ chiaro che lei e Jack tromberanno, visto che è la sola donna del film a cui è concesso parlare. Si innamorano durante l’allenamento coi bastoni che è un casino utile quando devi pilotare robot che o sparano o muoiono.
Oltre a questi due pazienti psichiatrici ci sono anche un padre e un figlio, figlio che naturalmente è un tamarro che non si può esimere dal dimostrare la propria virilità tra sguardi truci, movimenti di spalle e puntuali scazzottate, assumendo quegli atteggiamenti tipici dei carcerati, di Fast and Furious, di Avatar, di John Carter, dei soldati su Call of duty, di medal of honor, di HALO. Quel personaggio che agli americani trasmette potenza, leadership, sicurezza mentre a un qualunque europeo sopra i 13 anni che s’è trovato in una rissa trasmette “l’idiota che ti mette nella merda e al primo cartone scompare o sviene”.
Il resto dei piloti sono stereotipi anni ’50 a cui non è data la parola: i Russi, il cui robot si chiama “Cherno-qualcosa” sono biondi, grossi, austeri, cattivi e muoiono subito. I Giapponesi sono esperti di arti marziali, saltano come cavallette e muoiono subito.
Il robot negro col ritmo nel sangue purtroppo è morto in Trasformers.
Quelli che lavorano alla base sono la squadra lasciata a terra da Prometheus: un biologo scemo che baaa-ba-ba-balbetta (fa ridere), un fisico autistico che litiga col biologo (fa ridere) e l’immancabile cane, che non serve a niente, non ha alcuna utilità di narrazione ma bisogna metterlo. Il fisico fa intere lavagnate di calcoli per capire che sì, dal portale usciranno altri mostri. Il biologo dice le seguenti parole: «Ho analizzato il DNA di tutti i mostri che sono arrivati da noi. C’era quello a forma di gorilla, quello a forma di squalo, quello a forma di pesce. Erano tutti diversi, ma il loro DNA è identico! Sono dei cloni!»
A questo punto, illuminato da una di quelle frasi che ti farebbero crocifiggere nella mensa universitaria di qualsiasi facoltà scientifica, decide di connettersi a un pezzo di cervello rimasto dei mostri. Scopre che il portale è organico, e fa passare solo se riconosce il DNA dei mostri. Elabora Il Grande Piano: entrare nel portale usando un cadavere di caijijiu per fregare il sensore che rileva il DNA, entri nell’altra dimensione e lasci una testata nucleare.
Perché tirare una testata nucleare distrugge sempre tutto e tutti, anche se sono un pianeta gigantesco.
Dopo essersi menati con mostri giganteschi sotto una pressione che ridurrebbe a sogliola anche il granito, lo Jaeger dell’alcolizzato violento e della puttana traumatizzata è allo stremo. I cannoni sono scarichi. Il robot è messo male. Lei dice “oh, sai che abbiamo una spada che li affetta con niente?”
«Lol, no, ho pilotato ‘sti robi per anni, non lo sapevo, ero sbronzo!»
Vincono ed entrano nel portale. Lì, in un’altra dimensione, proseguono a dialogare via radio con Pentecost, che spiega punto per punto cosa sta succedendo con l’aiuto di un grafico 3D che illustra in tempo reale qualcosa che sta accadendo a molti milioni di anni luce dalla Terra. Si salvano grazie a delle capsule di espulsione che attraversano 16.000 metri di oceano, dove la pressione varia da “scroto di Odino” a “è più facile uscire dal sistema solare che stare dove siete”.
Fine.
Recensione
Pacific rim è l’equivalente di trovarsi due ventenni sbronze a letto che lesbicano e tu che vomiti ubriaco in bagno. E’ stato orrendo riviverlo, per uno che ha lottato fianco a fianco di Gordian, Vultus 5, Combattler V, God Sigma, Laserion, Daiapolon, Daitarn 3 e Trider G7. Detesto essere l’unico a cui non è piaciuto e me ne vergogno molto, senza ironia. Il fatto è che io, andando a vedere Pacific rim, mi aspettavo di rivivere le emozioni di quando ero bambino, quando tutto quello era possibile. Quando funzionava.
Mi sono trovato davanti a un film per adulti con tecniche narrative da bambini.
E non funziona più, perché so un sacco di cose che al tempo non sapevo. L’obiezione che tutta la fiumana di haters pronuncerà è “oh, lo sappiamo che non è possibile, ma volevamo i robottoni che si menano”. NO, VAFFANCULO, IO NON VOLEVO VACANZE DI NATALE IN CG, VOLEVO DI NUOVO QUELLA CREDULITA’. Volevo che invece di fare sei minuti di palazzi che crollano pagassero sceneggiatori decenti.
Perché la verità è che se vuoi farlo verosimile, ci riesci.
Ray Bradbury, Le cronache marziane.
Tutti i racconti de “Le meraviglie del possibile”.
Puoi rendere verosimile tutto, se hai voglia. Pacific rim ha dentro tre o quattro elementi che potevano renderlo strepitoso e, soprattutto, farmi di nuovo vivere quella sensazione di “pensa che figo se”. Era quello, che volevo, non robot guidati da idioti che si menano senza motivo. Volevo provare la stessa sensazione di quando a nove anni mangiavo pane e Nutella coi jeans sporchi di erba.
Volevo crederci.
Puoi rendere verosimile che l’unico modo per sconfiggere un mostro sia costruire robot. Se mi metti un portale biologico, gioca sulla diversa dimensione. Dimmi che quelli che appaiono non sono veri e propri mostri, ma una sorta di immagine tra due dimensioni. Loro possono colpirci e noi no, perché siamo monodimensionali. A questo punto costruisci un materiale costoso e difficilissimo, tipo materia oscura. Cazzabubbola con la fisica quantistica. Crea qualcosa che è in grado di toccarli. Non ci puoi costruire missili, hai troppa poca roba per farlo, ma puoi rivestirci la lama di una spada gigantesca. E l’unico modo per usarla è costruirci un robot umanoide.
Scricchiola ma regge, è comunque più verosimile e smonta le armi biologiche, i missili, la pressione dell’acqua e giustifichi i cazzotti. Magari deliro, ma tant’è.
Considerazioni finali
Andate a vedere World war Z. E’ fatto bene, è credibile, è bellissimo.
E’ arrivata l’estate.
L’aria profuma di zampironi, salsedine e grigliate. Gli studenti si riversano fuori dalle aule. E’ più facile trovare donne nude per strada che in Internet. Ovunque, sagre. Happy hour, toga party, feste universitarie, grigliate, discoteche all’aperto. Le città diventano un immenso territorio di caccia. Per chi tra noi ambisce a inserire il pene nel maggior numero di tizie possibili ce n’è un tot a metro quadro, tutta roba di prima scelta.
Regole d’ingaggio, Tango-Tango: Trombare Tutto.
Prendere contatto, espellere baggianate dalla bocca, foraggiare beveraggio, calcolare tasso tempo/possibilità di penetrazione e coefficiente vacca. In caso di bilancio negativo, procedere verso il secondo bersaglio. In caso di penetrazione positiva, idem. La tempistica dell’operazione di aggancio dev’essere ridotta al minimo. Quando il bersaglio asserisce “non venirmi in bocca” estrarre il membro ed eiaculare asserendo “questa è Sparta”. Fuggire.
E’ tutto semplice e bello? No. Perché bisogna far polemica anche sulla fica. Da due giorni Internet è invasa da un articolo di Marco Cubeddu, “ragazze in short, vi siete viste?” nella nuova rubrica “intransigenze”. Facciamo una rapida carrellata dei punti salienti.
Sono rientrato a Genova.
Ecco.
Genovesi, i marinai più impediti dell’universo.
Se metti un valdostano su una barca saprà governarla meglio di un genovese. Si fanno spaccare il culo dai turchi, affondano pescherecci per sbaglio, vengono assaltati dai pirati in Somalia, grippano i motori in Egitto, vanno a fuoco in Sudafrica, naufragano in Grecia. Che cazzo, Grillo era in macchina ed ha affondato anche quella. Ora riescono persino ad affondare le torri. Come si fa ad affondare una torre? Bisogna essere geneticamente attratti dal centro della Terra o non me lo spiego. A Venezia ci piace chiamarli “gli atlantidei”, perché se tanto mi dà tanto un giorno l’Italia si sveglierà e la Liguria sarà affondata. Non so come, ma ci riuscirebbero.
Affonderebbero anche nel deserto del Mojave, porca puttana. Fossimo io e Marco sui riarsi altipiani del Gennargentu mi girerei giusto in tempo per vederlo gorgogliare bevendo dalla borraccia “belìn, affogo”.
“non possono lamentarsi se poi le stuprano”.
Il “se la sono cercata” è una filosofia di vita stupenda che Genova dovrebbe applicare alla nautica. Costruire un enorme muro uso striscia di Gaza, tanto il numero di morti è quello, circa. Ci scrivono i nomi di tutti gli affogati a eterno monito. Fanno rimuovere il gonfalone dalla bandiera della Marina Militare e nessuno gli dirà più niente. L’entroterra li aspetta, basta che stiano lontani dalle pozzanghere o non garantisco per loro.
perché le ragazzine si vestono così da sgualdrine? Nessuno dei miei amici si fidanzerebbe con una che si veste così.
Ma difatti. Io voglio che un magrebino entri dalla finestra e stupri me perché mia morosa fa troppo cagare.
Ma non capisco perché una ragazzina dovrebbe voler apparire in questo modo. Cosa pensano di ottenere?
E’ a questo punto che capisco.
Nemmeno un genovese può avere tanta stupidità: sta trollando, ossia “lanciando una provocazione”, secondo il vocabolario di quelle testate che chiamano il culo “lato b”. Consiste nello scrivere una stronzata sperando che qualche rincoglionito ci caschi e si autodistrugga in un’invettiva che scatena discussioni, dibattiti e soprattutto accessi al sito. Serve a tre cose: ingigantire l’ego dell’autore, generare traffico e ridere.
Cosa che approvo.
Per il lol si può fare tutto. Il lol E’ tutto.
Si ride dei film, della gente, della politica, del proprio padre morto, della propria stupidità, dei propri difetti, degli stereotipi e dei cliché. Quindi aspetti che Marco Cubeddu salti fuori dicendo “ragà, vi trollavo, fateve na de risata”.
Il problema arriva quando il troll, messo alle strette, s’inventa scuse patetiche ammantate di arguti riferimenti storici o filosofeggiamenti sulla società allo scopo di legittimare la stronzata. Quello è il momento più triste di tutti. Ti senti come quando la maggiorata si spoglia e lascia tre quarti delle tette nel reggiseno. Non era per ridere. Era per farmi la morale dall’alto del suo essere un tizio qualsiasi che legge Repubblica e dunque è meglio di noi.
Marco Cubeddu e la rubrica sul Secolo XIX sono la stessa cosa. Entra dicendo “se si vestono da puttane meritano di essere stuprate”, la gente si gira inorridita e lui, con sopracciglio alzato e sorriso sarcastico, completa dicendo:
Lo scopo di “Intransigenze”, non troppo mascherato, era quello della polemica. Missione compiuta.
AH CAZZO, GENOVA UBER ALLES.
Serviva un talento eccezionale per riuscire a scatenare delle polemiche in un paese dove si riesce a fare polemica sulla mia parodia de Lo Hobbit. Cioè, se domani Repubblica.it fa una rubrica chiamata “zingaro vogue” mica riuscirebbe a totalizzare sette milioni di commenti in un giorno, eh. Serve arguzia. Bisogna saper provocare con fini metafore.
Cosa dovrebbe comunicare un gluteo al vento? Risulta a qualcuno che Einstein, Margherita Hack, Stephen Hawking, Rita Levi Montalcini, Maria Callas, Frank Sinatra indossassero pantaloncini inguinali?
L’unico modo che avrebbe Margherita Hack di convincermi ad avere un amplesso con lei sarebbe buttare del popper nel condizionatore e tararlo in modalità tempesta di fuoco. Piuttosto di accoppiarmi una tediosa rompicoglioni come la Montalcini mi facevo cementare lo scroto col Saratoga.
A me non tira quando sento la Montalcini parlare di farmacia, mi tira quando vedo tette e culi. E sospetto sia per questo che le donne mettono gli shorts: piacere.
Per lo stesso motivo per cui le femmine di scimmia si arrossano il culo in primavera, gli uccelli del paradiso ballano, i piccioni si gonfiano, i pavoni fanno la ruota, le gatte gnaulano, le cerve si mettono in cerchio, le piante fioriscono. Per essere attraenti, desiderate e approcciate dall’altro sesso a scopo riproduttivo.
E’ la ruota della vita.
Che debba spiegarlo mi sembra inconcepibile.
La società/tribù crea standard estetici e sociali a cui i membri devono adattarsi per riprodursi. In Africa le donne s’infilano sassi sottopelle e si allungano il collo con anelli d’osso. Qui si mettono plastica nelle tette e inchiostro sugli occhi. In Somalia un’obesa è l’equivalente di Megan Fox. Più una femmina è attraente, più viene approcciata, più ha possibilità di scegliere. E’ anche il motivo per cui tua morosa, nell’avatar di Facebook, ha messo questa foto
E non la scansione della laurea. Che c’è di strano o sbagliato? E’ il motivo per cui su Twitter ha scritto
e non “colto” o “intelligente”. Del resto essendo fotografa dubito si dedichi a fotografare l’intelligenza delle persone. Anche perché campa lavorando in mezzo a fotomodelli e fotomodelle. Perché bisogna intellettualizzare anche la fregna? Le ragazzine di oggi la danno prima? Affari loro. Non vogliono dimostrare niente, vogliono solo essere desiderate come qualunque forma di vita del pianeta. Il loro compito è selezionare i migliori codici genetici con cui riprodursi; per farlo devono attrarre maschi alfa e non catorci o disperati. Gli uomini devono essere forti, intelligenti e capaci a far qualcosa. Con queste tre qualità, se anche sono brutti, troveranno di che accoppiarsi. Viceversa le donne devono essere attraenti, tant’è che la prima cosa che le donne guardano, in un uomo che gli interessa, è quali altre donne si scopa.
È biologia elementare.
John Wayne ha fatto sette figli. Margherita Hack e la Montalcini no.
I like aumentano, i post si diffondono, le tette in PM milluplicano, sgherri del governo segnalano contenuti e bloccano pagine. Ebbene sì, siamo i pirati delle puttane e delle puttanate. A BORDO, CANI ROGNOSI, CI SONO TETTE, CULI, RUM E PUTTANATE IN ABBONDANZA PER OGNUNO DI VOI.
Gna ha haha.
Adoro ‘ste cose.