Karansebes: troppo imbecilli per l’Inferno




Karànsebes è nel sud-ovest della Romania, dove si intersecano due fiumi del cui nome non frega un cazzo a nessuno. Il clima è mite. -15° d’inverno, 32° d’estate. Piove spesso, la terra è rigogliosa e fertile. Il panorama è composto da colline erbose, torrenti e montagne innevate. Uno splendido paesaggio bucolico simile alla Svizzera, dove invece dei campanacci delle mucche si ode “dai me zigaretti por favor” e “zinquo euro fai amori con bela filia”. Grazie a questa potente linea difensiva nessuno Stato oserebbe metterci piede, soprattutto visto che l’unica cosa interessante della Romania si esporta da sola nei raccordi anulari di mezzo mondo.


Ma secoli prima le cose erano diverse. 





Nel 1787 turchi e austriaci sono in guerra. Il 17 settembre 1788 circa 100,000 soldati asburgici arrivano a Caransebes e si accampano in riva al fiume. Ricordando cosa successe a Cesare contro i Nervi, il generale Shaissesturm decide che prima di guadare il fiume è meglio mandare qualcuno in avanscoperta; farsi beccare dai cecchini turchi durante il guado trasformerebbe l’armata asburgica in centomila paperelle che deambulano ad andatura turistica senza riparo, il che non è bene. Il generale è restìo a spedire lontano dall’accampamento gente valida per un compito così semplice, così decide di inviare dei piloti di Jaeger.
Il che è un bene, perché ci spiega cosa sarebbe successo se Pacific rim accadesse davvero.
Ora, dovete capire che i tedeschi hanno per l’autorità una sacra venerazione.
Nessuno mette in dubbio nulla, tutti eseguono gli ordini e si attengono scrupolosamente al piano. Questo dal punto di vista bellico ha pro e contro. Se al comando c’è un genio sei un Dio della guerra. Viceversa, finisci con Berlino distrutta, i bambini che sparano, lo Stato sul lastrico, cenere di ebreo dappertutto, il mondo che ti odia e al processo rispondi “me l’aveva ordinato un imbianchino”. Nel 1788 gli asburgo già ragionavano in questo modo, così se il generale decide di affidare le vite degli uomini alla versione subnormale delle giovani marmotte nessuno protesta, anzi: se l’ha detto il generale dev’essere un’idea della madonna. 
Per condurre questa gitarella oltrefiume viene eletto il colonnello Kartoffen. E’ mezzo cieco, ha problemi di alcolismo e la sindrome da deficit d’attenzione. In pratica se gli chiedi di spazzare il cortile il suo cervello pensa “ramazza-scopa-scopare-ballerine-piume-bailando bailando amigos adios” e dieci minuti dopo lo trovi che s’incula una gallina cantando Paola e Chiara. Gli viene affidato un numero imprecisato di soldati a cavallo (detti Ussari), un intero reparto di fanteria, una pacca sulla spalla e via verso mirabolanti avventure.
Kartoffen, guadato il fiume, prosegue trottando spensierato assieme agli altri cavalieri, lasciando indietro la fanteria. Non c’è traccia di turchi e, comunque, ha già dimenticato per quale motivo si trova lì. Sta pensando che forse ha una moglie da qualche parte quando una voce risuona nell’aria.
«Hammig! Hammigo belu! Vieni!»
Dal bosco emerge uno zingaro che agita una bottiglia di vino.


«Vuoi di asburgo, zì?!» chiede «noi rom molto fieri di voi asboro»

«Asburgo» corregge il capitano.

«Noi odia turchi. Loro no beve vino. Voi beve vino con noi?»

«C’AVETE L’ALCOLICO?!» sbotta Kartoffen «FRA’, SCATTA L’APERICENA INTERCULTURAL! OHE’ TRUPPA, VAMOS CHE FORSE CI SCAPPA IL POMPASBARBI, MUEVES»


«Ma… colonnello…» osa il capitano «saremmo in esplorazione, la vita di 100,000 uomini dipende da noi, se i turchi…»
«MA VA LA’, VA LA’, “I TURCHI”, TE LO VEDI L’OTTOMANO A CAMALEONTARE VICINO A MISTER BIDONVILLE, QUA? Dai, dai, sbronze gratis. Battaglione, marsch!»
Gli Ussari si dirigono entusiasti al campo dove si sbronzano a merda. Nel frattempo la fanteria raggiunge l’accampamento seguendo l’eco di urla e risate sguaiate. Anche loro vengono accolti con gioia dagli zingari, che li portano al cospetto di Kartoffen, ciucco duro. 
«Fanteria a rapporto, signor colonnello» comunica il sergente.
«SHGERGENTHE MINCHIETTHI HA HA» biascica Kartoffen «MINCHIETTHIHAH HAHAHAHA AHAHAH»
«Signore, forse è il caso che smetta di bere»

«CHAPITNOOOOO!! VENGA A SHENTIRE CHE CAZZO VUOLE QUESHTO»
Il capitano fa il suo ingresso in scena con addosso una gonna zingara e nient’altro. Tenta di parlare, vomita un fiotto di vino e si accascia a terra.
«Signore, devo chiederle di smettere di bere» dice il sergente, e fa per strappargli il fiasco di vino.
«OHE’ MINCHIETTHI GIU’ LE MANI»
«Signore, la prego»
«E’ PERCHE’ SHIETE DEGLI STRASCIòNI?! E’ PERCHE’ INVIDIATE NOI USSHARI CHE VOLETE BBERE IL NOSTRO VINO!?»
«Mi dia quel fiasco, colonnello»
«INSUBORDINASHIONE!» urla Kartoffen «UOMINI, A ME!»
Nella tenda rotolano cinque uomini seminudi e barcollanti. Uno si tiene ancora l’uccello in mano, proseguendo la propria minzione con savoir faire. 
«CHOMANDI MASHRTO DI CHIAVI» fa uno, scattando sull’attenti.
«QUESHT’UOMO CI VUOLE THOGLIERE IL VINO, ARRESHTATELO»
«Signore, per l’amor di Dio! Torni in lei!» supplica il sergente.
Quando il primo ubriaco lo afferra, il sergente si gira di scatto e lo colpisce con un diretto in pieno zigomo. L’uomo cade a terra privo di sensi. Gli altri Ussari saltano addosso al sergente. Uno sbaglia mira e centra il bastone della tenda, gli altri incespicano e si fanno male contro spigoli, baionette, bottiglie vuote, ginocchia. La tenda crolla e svela agli occhi di tutti cosa sta succedendo. La musica cessa. Le grida tacciono. I grilli smettono di cantare. Zingari, fanti e cavalieri sono cristallizzati in un’unica, immobile, scultura vivente. Davanti a loro c’è un soldato nudo con l’uccello in mano, due che sembrano morti in una pozza di sangue, il colonnello Kartoffen in piedi con un fiasco in mano e il sergente che si rialza lentamente, seguito dalle pupille di ogni essere vivente. 
«Allora… s-stiamo calmi»
Do the harlem shake, dice Dio.
E il campo esplode.



Gli Ussari saltano addosso ai fanti che saltano addosso agli zingari che saltano addosso a entrambi. E’ difficile immaginare una rissa da cinquemila persone, eppure il prode esercito asburgico non esita ad impersonarla. Ovunque lo sguardo vaghi c’è gente che si ravana di botte. Dai cazzotti si passa alle spade. Il colonnello ordina agli uomini di erigere delle fortificazioni  – delle fortificazioni, sì – per difendere il vino e loro stessi dall’assalto dei fanti. Uno di questi, colto da un lampo di genio, decide di trollare l’intera divisione che si sta massacrando di botte per una fiasca di vino. Prende fiato, schiva un cazzotto e urla


«I turchi!»
«Dove?!» chiede un fante che sta venendo accoltellato da un Ussaro.
«Cosa?! I turchi?!» chiede uno zingaro prima di venire abbattuto da una bottigliata.
«Sei turco?» urla un Ussaro.
«No, tu sei turco! Ti sei travestito!» esclama un fante, uccidendo quello che ha gridato.
«I TURCHI SONO TRA NOI, SONO TRAVESTITI!»
In una delle pagine più buie dell’otorinolaringoiatria mondiale, quest’armata di piloti Jaeger passa ai fucili, i cui colpi risuonano nel buio della notte come un tuono.
“Collo terroriFta”
«PERDIO» esclama dall’altra parte del fiume l’Imperatore Giuseppe II, notando i lampi e sentendo gli spari «i nostri esploratori sono sotto attacco! Avanti, guadiamo il fiume e sterminiamo quei bastardi!»
Centomila uomini si scagliano nel torrente lanciando urla belluine. Nessuno potrebbe biasimarli, dopotutto. Uno stratega può prevedere molte cose, ma non che l’intera armata voli sul nido del cuculo cantando la macarena.
Nel frattempo al campo ROM gli Ussari sono convinti che i fanti siano turchi travestiti, i fanti credono l’opposto e gli zingari, nel dubbio, spacano botilia e ammazzano familia. Le tre allegre fazioni si giustiziano a vicenda in un crescendo di drammi esistenzialisti, dubbi etnico culturali e la consapevolezza che tuo cognato ti ha sparato in pancia credendoti un vu cumprà.
E’ perciò una fortuna che dal bosco emerga la fanteria asburgica al gran completo urlando “HALT!”, che in tedesco significa “stop”, ma alle orecchie di tutti suona come “Allah”, parola che li fa accogliere a gioiose scariche di fucileria. I nuovi arrivati vincono il premio Anch’io non ho capito un cazzo e rispondono al fuoco; partono alla carica in un vortice di lame che accresce il già ragguardevole numero di eroi morti. I soldati, ormai del tutto rincoglioniti, si disperdono nella boscaglia sparando a qualunque cosa si muova. Il culmine della serata viene raggiunto grazie un comandante di corpo d’armata, il quale, colto da estasi creativa, fa armare i cannoni e apre il fuoco sulle colline.

Proprio mentre l’Imperatore in persona conduce una carica verso un branco di daini che ruminano paciosi.

La detonazione tritura la guardia reale, un notevole numero di persone e disarciona l’Imperatore che quasi affoga in un ruscello. Lo scaltro dinamitardo capisce che la sua idea non verrà capita dai critici e abbozza, girandosi dall’altra parte, mentre l’esercito continua a ridursi di numero. Solo Nicolai Lilin avrebbe potuto fare di meglio.
All’alba del giorno dopo i turchi si fanno vedere a Karansebes per chiedere ai crucchi se possono fare qualcosa anche loro, ma trovano solo 10,000 morti.