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Perdonaci, Yara. Anzi, no.

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Nel 2010 una ragazzina di tredici anni scompare. La ritrovano sei mesi dopo in un campo, morta di ipotermia e di stenti. Sul corpo presenta ferite di arma da taglio, sui vestiti tracce di un DNA estraneo, nei polmoni calcestruzzo da cantiere. Inizialmente danno la colpa a un muratore albanegrebino che mentre parlava al cellulare ha detto qualcosa in albanegrebese che somigliava ad “Allah mi perdoni, l’ho uccisa io”. La popolazione insorge grazie al fatto che gli StimatiColleghi non si fanno problemi a mettere nome e faccia del vile saracino su tutti i giornali e nell’Internet, indicizzandolo forever.

Salta fuori che il traduttore s’era sbagliato e che lui non c’entrava una madonna.
Nel frattempo il tipo ha perso la donna, il lavoro, non gli rinnovano il permesso di soggiorno e sta nella merda, ma non frega un cazzo a nessuno.

L’Arma, dopo un’indagine strepitosa, trova a chi appartiene il DNA sugli slip della ragazzina. E’ di un muratore del paese, figlio illegittimo di un autista di autobus. Per arrivare a quel nome i Carabinieri hanno riesumato cadaveri, fatto 16.000 prelievi di DNA, finti alcoltest, intercettazioni, interrogato falangi di persone entrando nella vita di tre famiglie (ognuna con figli, mogli, zii, nonni) coi piedi di piombo per far su un pezzettino di puzzle. Alla fine ottengono il nome. Sono stati BRAVISSIMI.

Poi arriva il ministro dell’Interno e sputtana tutto.

Avendo libero accesso a qualsivoglia informazione ed essendo ansioso di far bella figura coi media, il ministro dà il nome agli StimatiColleghi. E’ una procedura standard, in questi casi. Tu mi dai informazioni di prima mano, io ti tratterò bene in futuro. E visto che hai un neonato partito claudicante, ne hai un gran bisogno. Noi giornalisti invece abbiamo un gran bisogno di visite. Le visite finiscono in tabulati che proponiamo agli sponsor, ossia quelle pubblicità fastidiose che chi non ha AdBlock vede nei siti d’informazione e che servono a pagarci. Più sono le visite, più soldi possiamo chiedere agli sponsor. Facciamo di tutto, per averle. Se necessario le falsifichiamo. Nei giorni normali le visite ce le garantiscono A) le stronzate nella colonna di destra coi gattini, i gossip, foto di tette o di VIP ingrassati e B) i commenti. Per quello li lasciamo. La gente per avere l’ultima parola a costo di andare a letto alle tre deve cliccare. Se non mettiamo i commenti sarà costretta a farlo altrove, quindi tanto vale monetizzare la sua rabbia repressa.

Ma questo non è un giorno normale. E’ un giorno in cui hanno trovato un – presunto – colpevole dell’omicidio di una ragazzina. In questi casi più giovane è la vittima e più l’ingiustizia pare grande, evidente, sicura, OVVIA. Tutti quelli che nella vita si sono autodistrutti a furia di scelte sbagliate hanno la possibilità di gridare al mondo una cosa “giusta”.

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Estremizzarla inneggiando a ghigliottine e torture e sangue perché più additano un colpevole e più si sentono innocenti.

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Puliti.

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Giusti.

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Per farlo hanno bisogno di materiale. Link, principalmente. E noi siamo qui per darglieli, guadagnando visite e nutrendo quella morbosità frustrata che alberga nel cuore dei lettori. E’ giusto? E’ sbagliato? Sticazzi, funziona così. Allora “sbattiamo il mostro in prima pagina”, sbandieriamo ai quattro venti i nomi, facciamo leva sul patetismo che fa scrivere alla gente banalità su Facebook. Esibiamo foto, usiamo musichette tristi, cambiamo aggettivi. Alcuni si lanciano in tentativi di poesia del dolore.

Poi arrivano gli intellettuali.
Che sono peggio di tutti, perché si credono superiori.

Con gesti da teatro vittoriano e grida tonitruanti berciano “OH TEMPORA! OH MORES! DOVE STIAMO ANDANDO?”. Si indignano. Dov’è la moralità? Dov’è il buongusto? Dov’è il rispetto per il dolore? Cali un rispettoso silenzio su di loro!

Abbiamo qui uno splendido esempio vergato dalla superiore penna di tal Clementina Coppini. Leggiamolo insieme.

Ho avuto occasione di incrociare alcuni cosiddetti approfondimenti sul presunto assassino di Yara Gambirasio. Ho due figli all’incirca dell’età di Yara. Ho passato una notte da incubo.

Oh, Clementina, se solo ce ne fottesse un cazzo.

Non per me o per i miei ragazzi, ma per lei e per la sua famiglia.

Clementina ci sta quindi comunicando che è una persona profonda, empatica, e si sente molto in colpa perché sì. E’ partecipe al dolore di gente che fino a ieri ignorava, e domani ignorerà.

La notizia dell’arresto l’ha voluta dare di persona il Ministro dell’Interno. E su questo è meglio calare un pietoso velo. A seguire è arrivato il resto. Per prima cosa si è sbattuto il mostro in prima serata. Ma è solo l’inizio. Tanto per cominciare si va subito sotto casa sua, dove non c’è più lui, che è in stato di fermo, bensì la sua famiglia. E per quale motivo? Per vedere chi e cosa?

Per fare share o visite ai siti. Per pagarci lo stipendio con cui mantieni i tuoi due figli che ti ostini a mostrare uso simbolo dello shogun Mitzukunimito.

Seconda cosa si va al commissariato e ci si lamenta che non rilasciano dichiarazioni. Cosa mai dovrebbero dire?

Qualunque stronzata va bene, basta che parlino. Abbiamo già il problema che ‘sto operaio si avvale della facoltà di non rispondere e non possiamo riempire trasmissioni di psicologi, avvocati, e altre truppe cammellate reclutate con la pesca a traino per dire quello che pensan fa più discutere.

Per quale afflato oscurantista si presume che le colpe dei padri debbano ricadere sui figli e sui parenti tutti, diretti e collaterali? Un conto è fare legittime indagini con prelievi di DNA, un conto è addentrarsi in inquietanti riflessioni lombrosiane sulle origini del male.

No, un conto è che I CARABINIERI facciano legittime indagini. Non noi. Noi siamo trascrittori. Alla nera correggiamo le virgole delle veline che manda la questura. Se oggi fai un minimo tentativo d’indagine giornalistica autonoma, in Italia, rischi di venire tagliato fuori. Non ti invitano più alle conferenze stampa. Intercettazioni, verbali, è tutta roba che gli StimatiColleghi si procurano da politici, magistrati, poliziotti o uscieri. Ricordi l’epoca d’oro delle Olgettine?

Il quarto passo verso l'abisso è intervistare la zia dell’assassino

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Prima frigni che sbattiamo il mostro in prima pagina, ora un presunto innocente diventa assassino? Clementina, urge una decisione.

come se la zia potesse avere qualcosa a che spartire con la vicenda. Poi viene chiamato in causa un amico del padre dell’assassino.

Allora è lui il colpevole? Siamo sicuri?

Resta sempre la domanda su cosa c’entra tutto ciò con Yara, su come questo possa aiutare a capire, su come ciò possa consolare i genitori della ragazza e i figli del suo assassino

Sì, direi che siamo sicuri. A parte questo non capisco, Clementina. Prima dobbiamo fare cronaca senza sbattere il mostro in prima pagina. Poi dobbiamo fare indagini. Poi dobbiamo far capire. Ora dobbiamo consolare. Che cazzo siamo, Don Matteo?

[...]Non riesco a togliermi dalla testa il pensiero di quei due poveri genitori e il faccino pulito della loro figlia tredicenne.

 

Interessantissimo.

Ma come si fa a far vedere cose del genere, a mostrare una povera mamma e un povero papà disperati quando ancora cercavano di credere di non aver perso per sempre la loro bambina? No, non è possibile. Non è umano. 

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Anche la dimensione di questo dildo non è cosa da tutti i giorni, Clementina. Anche la facilità con cui questa ragazza ci gioca, eppure molte persone sono ansiose di vederla in azione. Se ci interessasse solo quello che è umano e possibile non saremmo umani. La gente si ferma a vedere gli incidenti stradali così come va a vedere gli esami all’università altrui.

Perché deve passarci.

Abbiamo allontanato i cimiteri dalle città, abbiamo dato ai morti un giorno per commemorarli e 364 per ignorarli, ma la morte e la sofferenza sono cose che ci riguardano tanto quanto 10,000 anni fa. Come affrontarla è soggettivo. La gente che va a farsi le foto vicino a casa di Michele Misseri non è diversa da uno che parla a una statuina crocifissa o uno che si mette a pecora su un tappeto: stanno tutti esorcizzando una cosa che li fa cagare sotto. C’è una differenza di stile, cultura, ambiente sociale? Sì. Una è più giusta dell’altra? Boh. Nel dubbio, continuiamo a togliere fondi alla scuola pubblica.

 

Ma non esiste più la vergogna di bearsi dell’altrui sofferenza? Dov’è finito il pudore?

 

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 Lo stiamo cercando.

 

Sarà diritto di cronaca, ma personalmente chiedo perdono a Yara e alla sua famiglia per aver indugiato nella visione di quelle immagini, per aver ascoltato quelle parole.

Ma cos’è successo, tuo marito t’ha legata davanti al televisore col blefarostato? Assieme al pudore e la vergogna a casa Coppini avete perso anche il telecomando? Puoi cambiare canale. Puoi spegnere la TV. Puoi togliere l’amicizia. Puoi defolloware. YES WE CAN.

Gli scrittori di tragedie greche avevano la consuetudine di non far vedere mai in scena le cose più orrende e macabre. Preferivano al limite suggerirle per immagini, perché certe cose per gli antichi non dovevano essere mostrate e non dovevano essere viste. Quella di Yara è una tragedia greca e noi dovremmo onorare la memoria di questa ragazza (i greci l’avrebbero chiamate kόre, un termine che rende alla perfezione l’idea di giovinezza e innocenza) non con impudiche descrizioni della sofferenza, ma come avrebbe fatto il più grande dei poeti epici greci, Omero, che in fondo è il primo giornalista della storia: portava le notizie in giro, ma lo faceva con rispetto. Con il cervello acceso e gli occhi chiusi.

L’idea che un vero giornalista debba essere cieco è splendida:

-Hey Omero, com’era il cielo dell’Africa?
-Caldo.
-Hey Omero, quanti morti in Uganda?
-Uganda?
-Hey Omero, chi dei due ha sparato?
-Quello con la pistola.
-Hey Omero, descrivimi la gioconda!
-Chi?

M’è esploso lo stronzatometro, Clementina.

Noi non siamo poeti. Non siamo tragediografi. Non siamo scrittori. Siamo un branco di sottopagati impiegati a cui suda il culo ogni volta che il direttore riceve i bilanci. Portiamo a casa stipendi miseri grazie ai gattini nella colonna di destra. La merda che vendiamo al pubblico è la merda che ha voluto togliendo i finanziamenti alle testate e costringendo le redazioni a licenziare, tagliare, compromettere qualità e contenuti in favore di qualsiasi cosa faccia muovere il ditino ai bravi cittadini che sono, normalmente, più interessati al pompino di Belen piuttosto che alle vere dinamiche del conflitto in Libia. Non che noi non avessimo colpe, eh. Ma se campassimo solo con le vendite resterebbero in piedi Cronaca Vera, Novella 3000 e basta. Io al Gazzettino prendevo 1,50 ad articolo. A Cosmopolitan molti di più. Questa è la decisione de Laggente, questo ha. Non devi scusarti con Yara. Devi scusarti con me per avermi fatto leg

Ups.

Sulla strada della dannazione non ci sono autogrill

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Entro al Verdi alle 19,30. Ci sono tutti. Sul nostro tavolino una birra media, uno spritz, un’acqua tonica, le ragazze un Bellini. Ario, Atza, Luca e sua moglie, la Leo con la nuova pettinatura rasata ai lati, Julia. Saluto la cameriera. Mi siedo. La Leo mi vede e mi sorride. Gli altri mi salutano come niente fosse. Atza sta spiegando ad Ario come mai il M5S sia un partito di rivoluzione e cambiamento. Luca beve, anonimo filoberlusconiano schiacciato dalla crisi generata anche dal tizio che ha votato per anni. Le ragazze chiocciano di qualcosa che non m’interessa perché contiene la parola “plateau”. Prendo fiato, alzo impercettibilmente la voce.

«Dovete sapere una cosa» annuncio «e non c’è un modo giusto per dirvela, quindi la dico e basta»
«Stronzata in arrivo, tutti ai posti di combattimento» fa Luca.
«Adesso dice che è gay» dice Ario, afferrando il tavolo.
«Ti ricordo che scopa me da sei anni»
«Non vuol dire niente» dice lui senza guardarla «conosciamo le tue perversioni, oh donnaccia. E’ per quello che oggi tu e l’altra svergognata bevete la stessa cosa, no? L’acconciatura lesbo, sedute vicine… provo disgusto per voi degenerate»

Per tutta risposta l’amore della mia vita gli fa un sorriso di sfida, mima il segno della vittoria e ci infila la lingua in mezzo.

«Vergognati»
«Torna negli anni ’60, Ario»
«Così poi ti trovo nel ’69, ahahahahaha»

La vedo molto male.

«Mi ascoltate?» dico «è importante»
«Se stai per dire che hai quella malattia per cui rubi qualunque cosa… com’è che si chiama?» tenta Atza.
«La negrite» fa Ario.
«…quella, comunque lo sapevamo già»
«Scusa Atza, per l’INPS tua nonna quanti anni ha, 170?» rispondo, piccato.
«110, ma finché sei tu a farle le interviste finte posso andare avanti a grattare la pensione per anni, prima dello sgamo»
«E della conseguente quanto giusta carcerazione» precisa Ario.
«Allora? ‘sta cosa?»
Inspiro.

«In redazione hanno deciso che rappresento il volto di Metropolitan e vogliono mandarmi in TV a fare il giudice per un reality di donne che scelgono vestiti» sputo tutto d’un fiato.

 

 

 

 

 

Silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«AHAHAHAHAHAH AHAHAH HAHA AHA AHAH HAHAHAH AHAH» ride Ario.
«AHAH AHAHA AHAHAH HAHAHAHAHHHA HAHAHAH AHAHAAH» ride Atza.
«AHA AHAHAHAHAHAHA HAHA HAHAHA HAHAHAHAHAHAH» ride Luca «IL VOLTO DI METROPOLITAN!»

MmnIjQa

Io.

«A 12 anni mi segavo sulle copertine e poi mia madre s’incazzava che le trovava tutte appiccicose, praticamente t’ho eiaculato in faccia per anni?» chiede Ario, serio.
«Ti hanno preso perché coi pelati risparmiano sui truccatori?»
«No, per le sue grandi competenze nel campo della moda»
«Ma infatti, “ciao sono Nebo, muratore di Marghera, sono qui per parlarvi di stile ed eleganza”?»
«No, tipo “Nebo, da Venezia, è qui in quanto eterosessuale. Un applauso”»
«Mi avevano scelto loro!» dico.
«Eh, chissà che selezioni, là dentro sarai l’unico che usa le sedie nel verso giusto»

Impiego cinque minuti a riportare l’ordine.

La redazione viene contattata da uno studio di produzione con cui hanno già lavorato. La prima volta era andata bene e valutano un secondo round, stavolta con un maschio tra i giurati, dato che la prima edizione era la sagra dell’albicocca. In riunione salta fuori il mio nome in quanto “giovane, di bella presenza e brillante”, che è un bel modo per dire “collaboratore esterno sacrificabile in caso di fallimento”. Mi telefonano per chiedere il mio parere e replico che per la giusta somma faccio anche i salti mortali all’indietro, purché non ci sia di mezzo il M5S.

«Nebo, vuoi qualcosa?» chiede la cameriera.
«Una birra media»
«Non scordare la vaselina a parte, tesoro» flauta Luca.

«Bè, quando vai?» chiede Atza.

«Ci sono già stato. Ero troppo nervoso per tollerare due giorni a Milano bombardato dai vostri SMS del cazzo»
«Vile»
«Comunque non è andata» dico, ringraziando la cameriera e bevendo un sorso «al posto mio hanno messo uno che fa scarpe. Aveva più senso, immagino»
«Quindi niente grana?»
«E soprattutto niente curriculum. Se facevo il giudice per quella roba avrei potuto scrivere per qualunque rivista uterina. Vabbè, sentite, non si può vincere sempre»
«Non dire così. Pensando alla tua carriera da rapper ne va ammirata la coerenza fallimentare» gongola Ario «un sottile, dritto e lungo filo senza sbavature verso il basso»
«Ario, magari una parola di conforto ‘sto giro non gli fa male» dice la Leo.

«Perché? E’ giusto egli soffra. Ha pochi soldi, pochi amici, pochi capelli, mezzo genitore e una donna dalla sessualità chiacchierata»
«Tua moglie invece sta con l’aureola»
«Tsk tsk tsk. La sofferenza è la benzina per il sacro tragitto che ha intrapreso Nebo, oh perversa. Voi donne, esseri dalla natura ottusa e nescente, non potete comprendere ciò che passa nella mente di un uomo. Egli ha scelto la strada della dannazione. Ora la succhia, ingoia e all’occorrenza canterà la nona sinfonia a gargarismi»

«Che cazzo dici»
«Non ti è concesso comprendere. Torna nel tuo bodouoir di badesse a fornicare»
«E’ occupato da tua moglie»
«Dille che ti mando io, si smoscia»

Forse Ario ha ragione. Dovrei prenderla con filosofia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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03 – Donne

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Australia, periferia di Perth, alba.

 

Il sole sorge. L’Honda civic vola sullo sterrato lasciando dietro di sé una nube giallastra di polvere e detriti, disturbando il silenzio della natura. Il contachilometri tocca le 74 miglia orarie. Paola Banana, al volante, guida tenendo il cellulare all’orecchio.

«Ti avviso, sono arrivata adesso da Tetragon-9 in piena evacuazione civile, mi hanno quasi ammazzata tra le rovine di Glam e non dormo da due giorni, Hemlin» dice, scacciando con il tergicristalli decine di ragni rigonfi di veleno che assaltano l’auto «aggiungi che quei rincoglioniti hanno deciso di atterrare al Greenmont park per paura i terrestri vedano l’astronave. Dammi notizie decenti almeno tu»
«L’ambasciatore interstellare è arrivato ora» risponde il rettiliano dall’altra parte «asssssieme al rappresentante dei grigi di Octo-6»
«Teneteli occupati, ho preso una scorciatoia» dice Paola, scalando in quarta e investendo un coccodrillo.
«Come ssssarebbe?»
«La scorta dei bitorzoluti fa pena, ci mettono un’ora solo per capire come funzionano le automobili. Li ho seminati e mi sto arrangiando, sarò lì in una ventina di minuti, bestie permettendo» fa Paola, sterzando a destra per evitare di investire un canguro in mezzo alla carreggiata.
«Ma comandante! Ssssiamo in Ausssstralia! Qualunque essere vivente vuole ucciderci!»
«Umore dell’ambasciatore?» domanda Paola, abbassando il finestrino e sparando a serpenti che tentano di azzannare gli pneumatici.

«Orribile. Sa che odia la Terra. Tra Alba dorata in Grecia, Le Pen in Francia e la rinascita dei cinque ssssstelle in Italia… insssomma, butta male. Ha con ssssé la valigetta. Sossssspetto contenga l’ordine di rilascio del farmaco per ingrandire il pene dei terrestri. Poi c’è un altro problema»
«E figurarsi. Dimmi»
«Abbiamo scoperto come ha fatto il M5S a rimettersi in sesto. Hanno un capo del cyberwarfare nuovo»
«E chi è? Non farti cavare le parole col contagocce, immonda lucertola»
BEP BEP BEP

«Ho un’altra chiamata» dice Paola «intrattieni l’ambasciatore, io arrivo»
Guarda. E’ Nick. Contemporaneamente avverte una fitta alla pancia. Fa la diagnosi: mestruazioni.
Benissimo.

Preme il tasto di risposta, ignorando il crampo: «Ciao papà»
«Dove sei?» chiede Nick, cupo.
«OH DIO» esclama Paola, chiudendo il finestrino appena in tempo prima che uno sciame di api assassine si infili nell’abitacolo «sono a… a Barcellona con quelle pazze delle mie amiche»
«Tu non hai amiche. Sai dov’è Lucrezia?»
«Uhmmmm…» dice Paola, poi mette in vivavoce, lancia il cellulare e afferra un mitragliatore AR 70/90. Si alza in piedi e dal tettuccio vuota il caricatore contro uno squalo tigre che le corre incontro saltellando.

In Australia succede anche questo.

«Paola? Cos’era quel rumore?»
«C’è… c’è una festa di paese, senti i petardi?»
«Tua sorella lavora con Casaleggio»
«COSA?!» sbotta Paola, mentre tutti i peli delle braccia le si drizzano.
«Eh. E da quanto dice il qui presente vicedirettore del Mentecatto quotidiano non solo il M5S è tornato, ma sta andando bene»

Meduse mortali piovono dal cielo, spiaccicandosi sul tettuccio. Paola riprende il volante e con un salto l’Honda atterra sull’asfalto della novantaquattresima. Sbanda, controsterza e preme a tavoletta verso Perth. Innesta la quinta, appiccica l’adesivo dell’auto di Stato sul cruscotto e riprende il cellulare.

«Come sai che Lucrezia è con loro?»
«L’ha scoperto questa sottospecie di mensile di moda maschile deambulante»
«Sono una persona attenta alla moda, e allora?!» grida Gaetano.

Paola strizza gli occhi, concentrandosi. Perché sua sorella? Come l’hanno trovata? Perché lei ha accettato? Da quant’è che non la sente?

«Sei ancora lì?» chiede Nick.
«S-sì» geme Paola, osservando schifata una medusa che palpita morente contro il parabrezza.
«Voglio che torni a casa, telefoni a Lucrezia e le parli. A me non risponde. Sono in un autogrill, sto andando a Roma. Appena ho un cellulare ti mando il numero»
«Ma sono a… a…»
BEP BEP BEP

«A Madrid» completa Nick.
«…sì, a Madrid»
«Avevi detto Barcellona. Come bugiarda hai sempre fatto pena. Ovunque tu sia, trova un modo per tornare. Ora.»
«Ok papà, ciao» riattacca Paola, poi prende l’altra chiamata: «CHE CAZZO C’E’, CROTALO DI MERDA, CHE CAZZO C’E’?»
«Comandante, l’ambasciatore sssscalpita!»
«E TU DIGLI CH

Paola si guarda tra le gambe. I pantaloni cargo sono macchiati di sangue. Vede un supermercato. Inchioda sul marciapiede e scende.

«Sono a due isolati, sto arrivando»
«Ma quessssto sssta già parlando con quello di Octo-6! Faccia pressssto!»
«Che cazzo! CHE CAZZO!» sbraita Paola, riagganciando e percorrendo gli scaffali. Afferra un tailleur e una camicetta in offerta, un paio di mutandine e un pacco di assorbenti, lascia i soldi sulla cassa e scappa fuori.

 

 

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Roma, redazione di Giornalettismo, ore 11.46

Maddalena Balacco e Stefania Carboni studiano una serie di fogli.

«E’ strano sì» commenta Stefania «prima era la sagra della porchetta, ora non sbagliano un colpo»
«Sò passati i tempi de Uoldisney» geme Maddalena, nostalgica, appoggiando le gambe sul tavolo «te ricordi? AO PERCHE’ NESSUNO DICE GNENTE CHE LE SIRENE ESISTONO, ARIEL C’AVEVA AVVERTITOOO!!!11!!1 e poi quell’altro rincojonito che diceva d’esse nubbbile, quello che se se sposano i frosci allora dovemo fa sposà pure l’animali… Vabbè, basta, sembro Serena Danna che se sgrilletta da Spotorno»

Stefania si passa una mano tra i capelli, riordina i fogli e sospira: «Ricapitoliamo: questi si autodistruggono dall’interno grazie a non si sa bene chi, si disperdono, dormono per due anni e poi in tre settimane inondano Internet di comunicati intelligenti e proposte sensate. Twitter esplode di commenti a favore provenienti da profili clamorosamente fake, quindi di influencer, tanto che rischiano di vincere le europee. Una mole di roba così significa un responsabile di cyberwarfare coi controcazzi. Sappiamo chi è?»
«No. De sicuro nun quello de prima. Ma pensamo ai soldi» sbuffa Maddalena.
«Questo è il problema. Il M5S sbandiera di aver rinunciato ai rimborsi, ma la realtà è che proprio non ne aveva diritto. Sono l’unico partito a non avere mai presentato un bilancio. A tutt’oggi nessuno sa quanti soldi hanno, come li spendono e da dove vengono. Potrebbero pure essere della mafia, da che ne sappiamo» mugugna Stefania, mangiucchiando una matita.

«E tanti saluti ‘aa trasparenza. Donazioni?»
«Bè, secondo un’inchiesta caruccia il cash viene da “quote associative, donazioni, pubblicità sul sito e vendite di gadget”. Un fiume di grana di dimensioni sconosciute che converge in un fondo sconosciuto. Non si sa da dove vengono, quanti sono né dove vanno. Glielo chiedi e supercazzolano»

«Hm. Stamattina ho visto un banchetto in piazza Bologna. Famo ‘na passeggiata, và. ALESSANDROOOOO!» grida Maddalena, alzandosi «noi usciamo»

Alessandro D’Amato, direttore responsabile di Giornalettismo, è al telefono con la mano che copre la cornetta. Alza gli occhi, togliendosi un tovagliolo dalla bocca e facendo il gesto di tacere. E’ sudato.

«Ma che fa?» domanda Stefania.
«E’ lunedì, starà trollando ‘a segreteria telefonica de Riotta come ar solito» fa spallucce Maddalena, vestendosi.
Escono.

«Ti leccherò il vetro dello scanner» sussurra D’Amato, rimasto solo «ti legherò con il cavetto del trasformatore e ti leggerò i dati di vendite del Sole24, bellu terrone mio, e quando sarai all’apice ti farò eiaculare nella tua stessa porta USB. Ti piace, Gianni? Nel dolore c’è piacere e nel piacere c’è dolore, sai? Ora ti leggerò un passaggio del tuo ebook scorrendo le pagine dell’iPad col prepuzio. Riesci a vederlo nella tua testa, direttore di questo gran cazzo? Parlami, Gianni»

 

A piazza Bologna quello che sembra il capo dei cinque stelle indossa una polo sopra pantaloni a pinocchietto, cerniera aperta, scarpe da corsa e un’aria vagamente esagitata.

«Perché me lo chiedete?» domanda, sulla difensiva.
«No, così, noi se volemo arruolà» dice Maddalena «ma l’omo mio me chiede da dove cazzo pigliamo li sordi e io che je dico? Quello vota PD, a ‘ste cose ce sta attento. Se magari era der PdL nun se formalizzava»
«Trovate le rendicontazioni online»
«No»

«Come no, ci sono eccome!»
«Cioè tu sai esattamente chi ha in mano i soldi der M5S? Chi decide come spenderli? Dove? Chi firma gli assegni? Hai un IBAN? Nomi di donatori e cifre?»
«No, ma alla camera di commercio di Milano…» l’uomo si blocca, fissandole con sospetto maggiore: «Sentite, non importa. L’unica cosa che conta è mandare a casa i politici. Poi i cittadini prenderanno il sopravvento e tutto sarà diverso»

«Essì, basta guardà le riunioni de condominio che paradiso de gestione e onestà» dice Maddalena.
«Come?»
«Gnente» sospira Maddalena, sconsolata «qua ce serve ‘na botta de culo»

 

 

 

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Roma, Parioli.

Il telefono di casa Pretz squilla un’ora più tardi. Nora, ex moglie di Nick, sta guardando una soap opera sul Bravia a 52” avvolta in una vestaglia Versace, con pantaloni da casa in seta argentata e ciabatte di lana Loro Piana. Afferra il cordless Bang&Olufsen, guarda il display, sospira.

«Nick, l’assegno mi è arrivato, mi sono scordata di incassarlo»
«FICCATI LA CORNETTA NEL CULO» grida Nick.

Nora stacca l’orecchio dal ricevitore, assordata.

«Come hai detto?»
«HO DETTO INFILATI LA CORNETTA DENTRO IL BUCO DEL CULO»
«Ma… ma come ti viene in mente?»
Silenzio.

«Tu vuoi veramente che m’infili il telefono nel culo?»
Silenzio.

«Ma così, senza un lubrificante?»
Silenzio.

«Se ti fa piacere» grugnisce Nora. Si appoggia la testa del ricevitore tra le natiche. Spinge senza convinzione.
«Fatto, contento?»
«HO DETTO NEL CULO, NORA»
«L’ho fatto!»
«L’hai solo appoggiato. Togli i pantaloni»
«Nick, sto guardando Un posto al sole, non potremmo soprassedere?»
«NEL. CULO.»

Nora sospira. Ripete l’operazione, premendo più forte fino a fare una smorfia di dolore.

«Fatto»
«Bene, fai conto io ti abbia appena lanciato un’occhiata che ti fa provare quello che hai appena provato»
«M-ma perché?»
«NOSTRA FIGLIA E’ A CAPO DEL CYBERTEAM A CINQUE STELLE DEL CAZZO, ECCO PERCHE’!»
«Come… come l’hai saputo? No, scusa, dimentica la domanda. E’ un lavoro, no?! Poi io cosa posso farci? Ho così tante cose da fare, torno a casa a pezzi! Stamattina ho fatto colazione al Grand Hotel di corsa perché c’era una svendita da Harrod’s, poi l’estetista mi ha tirato su un pippone che non ti dico, in palestra la sessione di Zumba è stata pesantissima, tornando sono entrata da Fendi e ci ho perso tutta la mattinata, non ho nemmeno pranzato! Poi da Vuitton ho dovuto fare tre ore di fila per un paio di mocassini di vacchetta ch
«Nora, qui l’unica vacca che conosco ha due zampe, due pezzi di plastica nelle tette e mi costa 20,000 euro al mese di alimenti. Vuoi dirmi che non hai trovato il tempo di dire a tua figlia che stava entrando a Mordor?»
«Lucrezia torna a casa sì e no una volta al mese, non mi dice niente!»
«E non la chiami?»
«E tu, invece!? Passi le giornate a giocare all’uomo della foresta e c’hai soldi per tre generazioni, Nick, non farmi la predica, non è che tu sia un padre molto presente»
«Provo a chiamarla tutti i giorni che Dio manda sulla terra, non risponde mai»
«Ecco. Probabilmente nemmeno a me, quindi che senso ha provarci?»

Nick percuote il mobile con la cornetta del telefono.
«Perché? Perché?» geme «di mille posti del cazzo dove potevo venire, proprio lì dentro? Una quarta abbondante e le vengo in berta? Perché?»

«Nick? Sei ancora lì?»
«Senti, io vengo a Roma e sarà tempesta di fuoco con calci nel culo alla puttanesca»
«Non parlarmi così»
«Con 20,000 euro al mese posso anche leggerti il Necronomicon per telefono alle due di mattina, se mi gira»
«Sei proprio fissato coi soldi, sai? Guarda che nella vita c’è altro oltre a…»
Click.

[continua]

02 – Ralph Lauren

LIBRO PRIMO
 [Una tribù di handicappati] - [La caduta del cielo] - [La luce in fondo al tunnel è un treno] - [Il pugno di Dio] - [Lo scontro finale]
LIBRO SECONDO
[Masterpiece] - [La cravatta] - [Newton era un precario]

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DA QUALCHE PARTE SUL MONTE GRAPPA, 19 Aprile, ore 18.11

Lo scrocchiare delle ruote sullo sterrato riverbera contro la parete della montagna e si propaga nel silenzio, morendo tra le foglie dei pini che circondano la vallata. Il cielo è terso, l’aria fresca. A valle, Nick Banana chiude il libro che sta leggendo in veranda. Quindici minuti dopo l’Audi A3 spegne il motore di fronte a lui. Esce un uomo sulla sessantina in piumino e pantaloni con le pinces. Ha capelli bianchissimi, barba ben fatta e una valigetta. Si studiano, con la ventola del radiatore come unico suono.

«Quel montone è magnifico» commenta l’uomo fissando Nick «Shearling originale, scommetto»
Nick abbassa la testa, la rialza: «Credo, sì»
«E quei jeans… Jacob Cohen, naturalmente. Si riconosce la stoffa giapponese. Modello comfort 866. Sulla camicia sotto il maglione Marlboro non sono sicuro. Brooks Brothers? Ermenegildo Zegna?»

Silenzio.

«Ingram? Cerruti 1881?»

«Chi è e cosa ci fa nella mia proprietà» sbuffa Nick.
«Passavo di qui per caso»
Nick si mette le mani sui fianchi: «Per caso?»

«Sì»

«La sua targa è di Roma. Lei ha percorso mezza Italia, fatto 63 tornanti, è giunto sulla cima del Grappa, è sceso per una laterale sterrata non segnata sulle mappe, forzato un lucchetto, alzato una sbarra con scritto “divieto d’accesso” e percorso altri due chilometri di bosco per caso? Cos’è, Colin McRae con l’Alzheimer?»

«Sono una persona distratta»

 

 

 

Si fissano.

 

 

 

«Va bene, sono un giornalista» concede l’uomo «mi chiamo Gaetano Ciconte, vicedirettore del Fatto quotidiano. Sono io che ho scritto l’articolo su Lucrezia. Ho telefonato a casa. Sua moglie ha detto che dovevo parlare con lei»
«Non ho idea di cosa stia dicendo»
«Non l’ha avvertita?»
«A 1775 metri prendo solo radio Alpini, parlano idioma locale, tre inni di Mameli al giorno e il resto son cori che cantano di vino, tedeschi e puttane»
«Credevo quella fosse una cabina del telefono» dice Ciconte, indicando un rettangolo di legno malmesso.
Nick si volta.

«E’ la latrina. Ci cago dentro»
«Capisco»
«Non credo»

 

 

 

 

Lo chalet è pietra grezza e legno. Il fuoco è acceso. Nick riempie due bicchieri d’acqua e ne sporge uno all’ospite. Ciconte si guarda attorno, tamburellando la valigetta in grembo.

«Ambiente spartano ma confortevole, somiglia al set della collezione Ralph Lauren Denim 2013/2014. Quella coperta è Hastens? Hastens usa solo lana di baby alpaca del Peru, un caldo abbraccio che unisce il lusso a
«La userò per avvolgere il suo cadavere, se non la pianta»

Ciconte prende una scatoletta dalla tasca, tira fuori una pastiglia, la mette in bocca e beve un sorso d’acqua: «Deduco lei non abbia molti contatti col mondo esterno» dice, deglutendo.
«No. Mi dica quello che ha da dire e ricominci a vagare in stato confusionale»
«S-sua figlia minore, Lucrezia, è stata licenziata dalla RAI. Dicono sia colpa sua se Masterpiece è stato un flop. Io… noi, come redazione, abbiamo ricevuto direttive di picchiare duro» dice Ciconte, aprendo la valigia e mettendo sul tavolo il ritaglio di giornale. Nick lo legge, corrugando la fronte man mano che scorre le righe.
«Qui dice che era stata assunta perché “giovane e preparata”. Lucrezia si è diplomata a Le Rosey con il baccellerato internazionale in economia. Com’era finita in RAI?»
«Tramite curriculum, pare. Di più non so. Dopo la prima tranche di articoli stavamo lavorando per demolirle la vita, ma all’improvviso Travaglio ha ordinato che quel nome non venga mai più pronunciato. Tutto finito dall’oggi al domani. Ho chiesto chiarimenti e ho ricevuto occhiatacce»

«E quindi che ci fa qui, Phileas Fogg?»

«Bè, ho smesso di fare un giornalista molti anni fa, però l’istinto è una brutta bestia. Ho fatto qualche ricerca per conto mio. Sa, alla mia età si comincia a tirare le somme della propria v… Ma certo, Church’s!» esclama Ciconte, guardando i piedi di Nick «io preferisco Clarks. Pelle eccelsa, prima scelta. Cos’è che stavo dicendo?» dice Ciconte, tirando fuori un’altra pastiglia.
«Cos’è quella roba che trangugia, Zoloft?»
«Cipralex. Vuole?»
«Sono vecchio stile» fa Nick, alzandosi e prendendo una bottiglia di whisky «diceva che hanno bloccato tutto»
«Ah, certo. Così, incuriosito, ho richiamato la madre e mi ha detto che non la sente da quando sono usciti gli articoli. Passate tre settimane ho richiamato. Sua moglie è stata dalla Polizia e le hanno detto che si tratta di allontanamento volontario. Lucrezia sta bene ma non vuole essere trovata. Lei sa dov’è?»
«Non la sento da un anno» scuote la testa Nick riempiendosi il bicchiere «la maggiore ogni tanto quando torna in Italia»

«Eh, i figli… OH DIO, le cuciture di quel borsone sono splendide! Scommetto The Bridge, concerie toscane, lavorazione di altissimo livello. E’ The Bridge, vero? The Bridge è una certezza. Peccato che il M5S alla fine metterà il cuoio fuorilegge»

Il bicchiere di Nick si ferma a mezz’aria.

«Come ha detto?»
«Sì, il M5S. Sta per vincere le europee, non lo sa?»
«Grillo è scomparso, da quanto so»
«Oh no, è tornato. Lei è proprio tagliato fuori dal mondo, eh? Li ha rimessi in riga, stanno andando bene. Si lamentano che c’è poca figa, ma a parte quello… Ha fatto anche un talk show da Vespa. Cioè, se lo fanno gli altri li espelle, ma lui può farlo perchè
«…perché uno vale uno, sì» completa Nick «nella fattoria degli animali sono tutti uguali, ma alcuni più degli altri. Lei che ne pensa?» domanda vuotando il bicchiere.

«Si è mai chiesto cosa rende le camicie Ralph Lauren così diffuse? O le Tommy Hilfiger?» domanda Gaetano.
«Cazzo, non ci dormo la notte»

«Sul serio?»
«No»

«Bè, nulla. Sono camicie come le altre. E’ l’idea che rende Ralph Lauren leader. Il messaggio. La visione. Le vende un’immagine. Indovini in quale ambito?»
«Se lo indossa lei posso escludere l’orienteering»
«Famiglia. Ralph Lauren è famiglia. Niente modelle strafighe in ghingheri, niente lusso altezzoso di Versace o truzzo di Dolce&Gabbana. Vendono uno stile più sobrio. I modelli sono ritratti come bravi ragazzi, non come machi o zoccole. Se dovesse immaginare che marca indossa la famiglia del mulino bianco qual è la prima che le viene in mente?»

«”Reparto psichiatrico”»

«Ralph Lauren! Andiamo, non vede il casolare in campagna come quello dei Weasley di Harry Potter? Caminetto acceso, figli belli e bravi, moglie fedele, nonno saggio? Siamo un paese che sogna capifamiglia autorevoli. I Savoia. Mussolini. Berlusconi. Le squadre di calcio. Veneriamo qualunque cosa ci faccia sentire parte di una grande famiglia unita. Compriamo, vestiamo, mangiamo versioni cool dei parenti. Pensiamo che indossando quella roba avremo anche noi una famiglia così, o almeno una finzione credibile di essa. Paghiamo somme folli per averla. Per questo ci fidiamo ciecamente della qualità Ralph Lauren, dei plumcake del Mulino bianco, della morbidezza di Coccolino pur senza sapere un cazzo di sartoria, cucina, calcio o chimica. Perché crediamo al simbolo e alla promessa di protezione che c’è dietro. Il M5S vende una famiglia. Non è un movimento di protesta: è un orfanotrofio»

«E lei e Travaglio siete il gatto e la volpe che tra un racconto pedopornografico e una leccata di culo a raccomandate gli avete portato i bimbi sperduti» sogghigna Nick, rigirando il bicchiere «non credo sia proprio come dice lei, ma va bene lo stesso. Che ci fa qui, vicedirettore? Reunion dei padri falliti?»
«Ho fatto qualche indagine, ho sfruttato dei miei vecchi contatti da giornalista 1.0 per capire chi fosse davvero Lucrezia. Fatalità, invece, ho scoperto che suo padre era nientemeno che i muscoli digitali del M5S. E lei ha una vita interessante, signor Banana. E’ strano trovarla in mezzo al nulla dopo tutto quello che è successo»

«Lei non era qui per caso?»
«Sono un po’ scarso nell’approccio»
«Lei fa cagare, nell’approccio. E non ero niente di che. Facevo il bidello di un istituto per menomati mentali che s’è svegliato spartano e ha reintrodotto la rupe tarpea»

«Lo rifarebbe?»
«Oh, no. Ho già fatto abbastanza danni al mio paese. Mi godo la pensione, visto che non posso godermi la famiglia»
«Bè, si rallegri» sospira Gaetano «ho scoperto dov’è sua figlia. Ha trovato lavoro a Milano»
«Se sa tutte queste cose che ci fa qui?»
«A breve mi processeranno» dice Gaetano «tribunali di piazza ci metteranno alla berlina, rovinandoci la reputazione, diffamandoci, linciandoci, senza darci la possibilità di difenderci. Non ci saranno giudici né avvocati, solo la gogna. E alla mia età, il patibolo»

«Eh, il bello degli estremisti è che fanno le stesse cose e sono tutti uguali» sorride Nick, guardando fuori.
«Come ha detto lei, alcuni più di altri» dice Gaetano, sporgendo un foglio.

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Nick sbircia. Stringe le spalle.
«Colui che non ricorda la Storia è condannato a riviverla. La parte divertente è che era scritto su un cartello a Jonestown. Rivogliono una dittatura, l’avranno. Poi succederà quello che è sempre successo. Il giustizialismo straborderà nel Terrore. Il Terrore farà valanghe di danni e morti collaterali, di cui buona parte innocenti. All’ennesimo tutti diranno di essere sempre stati antigrillini e i figli dei loro figli occuperanno i centri sociali strillando slogan ANTIM5S e millantando antenati rivoluzionari pur di saltare scuola. Eccole il futuro, signor figlio di partigiani»

«E lei dovrebbe sentire questa cosa molto a fondo, signor padre di fascisti» dice Gaetano, mettendo l’ultimo foglio sul tavolo.

 

 

 

 

 

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Milano, sede della Casaleggio associati, 3° piano interrato, ore 20.19

«VA BENE, TESTE DI CAZZO, APRITE LE ORECCHIE» tuona Lucrezia Banana, attraversando la situation room e posizionandosi davanti al megaschermo «mancano dieci giorni alle elezioni europee. D’ora in poi saranno giorni di fuoco. Immaginate questo posto come il purgatorio e me come un Dio intollerante, permaloso, onnipotente, onniscente e costantemente premestruato. L’ordine è di calare come lava su qualunque mezzo di comunicazione e raderlo al suolo. Se c’è una cosa che l’Italia insegna è che se vuoi la gente vada in piazza, dille che la gente sta andando in piazza. La partita si gioca sulla fascia indecisi in zona grigia, la stragrande maggioranza di questo popolo di sfigati opportunisti. Quindi voglio vittoria. Niente polemiche, niente litigate. Entusiasmo. Tutti devono credere che abbiamo già vinto»

«Signora, se facciamo così si creerà il paradosso del Rapper» dice uno, in fondo «appena una cosa piace a tanti, i complessati si oppongono anche se sono d’accordo pur di avere un’identità propria»
«Non questa volta. I complessati sono il nostro zoccolo duro. Restano gli altri e quelli martelleremo»

BEEP

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«Teneteli, tenete tutto. Traffico fa grana, grana fa pubblicità»
«Ma sembrerà che i nostri elettori siano dei ritardati!» obietta uno.
«E tu prega che ci credano tutti» dice Lucrezia, andandosene «finché non scoprono il resto va tutto bene»
«Quale resto?»
Lucrezia si ferma sull’uscio: «In un bar affollato c’è un idiota ingenuo e un frustrato disfattista. Quale dei due preferiresti fosse armato?»
Il ragazzo si guarda attorno.

«Bè… L’idiota?»
«Perché»
«Perché l’idiota alla peggio si spara, o spara a qualcuno. Il frustrato fa una strage per un vago senso di rivalsa»
«Ecco. Lasciate tutto, segate solo incitazioni all’odio razziale, sparatorie, bombe eccetera» dice Lucrezia.
Finché non sarà troppo tardi e questo paese di merda affogherà nel sangue, pensa chiudendo la porta.
[continua]

Nel metaverso uterino è di nuovo tempo di prova costume

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Entriamo in un negozio qualunque che vende roba qualunque con etichette diverse. La temperatura è in modalità tempesta di fuoco. La radio gronda merda. Commesse che invece di sfruttare il loro vero potenziale si aggirano annoiate. Faccio l’errore di incrociare lo sguardo di una. Si avvicina, sebbene io faccia di tutto per somigliare a un manichino tipo quando entrano gli indiani con le rose.

«Ciao! Posso aiutarvi?» domanda.

La donna al mio fianco risponde con l’immancabile “No, diamo solo un’occhiata” ma mente, come tutte le meretrici di Bisanzio. Passeremo ore, qui dentro. Ore. Mostruosità temporali inconcepibili per un essere umano, qui, vengono definite “un’occhiata”. La commessa replica “Se avete bisogno chiamatemi” e io mi domando in quale metaverso se un cliente ha bisogno di informazioni invece di chiamare la commessa telefona a Pronto Pizza. Il fatto è che dopo anni di peregrinaggi in questi boudoir di psicologhe e laureati in ginnastica anale sono giunto alla conclusione che più il posto smercia pattume e più i commessi fanno i simpa. Entri al Duca D’Aosta? “Buongiorno signori”. Entri da Berska? “Hey, ciao, come state?”.

Il che mi dice molte cose sulla differenza di prezzo tra educazione e simpatia.

 

Inseguo il mio utero consenziente tra oceani di jeans devastati, magliette ironiche per ritardati, scarpe incollate a catarro, felpe mutilate, gonne sdrucite, cinture di plastica, borse di plastica, braccialetti di plastica, giacche di plastica, costumi di plastica e poi mi stupisco perché dopo sei anni ancora mi fa mettere il goldone.

Raggiungiamo il reparto costumi da bagno. Il soffitto del negozio esplode, i frantumi vengono risucchiati da una spirale nera e blu che vortica sopra di noi. Le pareti scompaiono. Il pavimento svanisce. Siamo nell’universo della prova costume, ove ogni legge della fisica scompare. Ogni logica è sovvertita. Un coccodrillo parlante con cappello da elfo irlandese, bandoliera da Carabiniere prima guerra mondiale e tanga tigrato s’infila una scopa nel culo, ci saltella incontro e indica i camerini. Le mie mani hanno otto dita. Seguo la cortigiana nel girone infernale, un corridoio infinito di tende nere costellato di abiti e attaccapanni da cui escono mani femminili che sporgono vestiti. Davanti a ogni tenda è posizionato un dannato, maschi dall’occhio vitreo che afferrano abiti, se ne vanno, ritornano, dicono “sì” o “no”, si chinano sul cellulare tentando di forzare la password del wifi del negozio perché il 3G non prende.

«Tranquillo, ci metto solo un secondo»

Quando c’è da scopare la spoglio in cinque secondi e al sesto ha già un dito nel culo.
Qui solo per rimuovere i pantaloni impiega dieci minuti.

«Amore, come mi sta?» chiede.
Scosto la tenda.

«MA CHE CAZZO FAI, CHIUDI!»
Richiudo.

«Devi mettere la testa dentro ma tenere la tenda bloccata con le mani, altrimenti mi vedono!»

 

 

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Dunque.

I costumi da bagno sono mutande e reggiseni colorati. Per quale innominabile ragionamento se le vedi in spiaggia va bene ma se le vedi in camerino si coprono urlando? Dev’essere lo stesso per cui se una si veste poco sembra una troia e non va bene, ma se una la cala a tutti non è giusto che la si chiami troia. Sul soffitto, elefanti rosa.

«Allora? Come mi sta?» domanda.
E io che cazzo ne so.

Un costume da bagno non può stare “bene” o “male”. Stiamo parlando di pochi centimetri di stoffa che coprono capezzoli, ano e vagina. Non sta bene o male, STA E BASTA. Nessun fazzoletto tra le gambe trasformerà una balena in Alexis Amore e nessun sacco di juta renderà LupeFuentes un’obesa. Ma queste sono considerazioni che appartengono a un universo lontano. Qui lei è consapevole che a me piace la combinazione topless + tanga, ma per lei è volgare. Sa che a me piacciono i fisici prosperosi, ma per lei è bello il fisico della Barbie. E siccome l’obiettivo è ufficialmente piacere a me, segretamente piacere agli altri uomini e contemporaneamente avere l’ammirazione delle altre donne, la cosa migliore da fare è chiedere a me se mi piace quello che piace a lei.

«Aspirina?» chiede un uomo, offrendomene una.
«Grazie, ho il Moment» rispondo.

Faccio una carrellata di quello che piace a me.

 

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E ora quello che piace a lei.

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Ovvero cagate che “stanno bene” solo alle clienti di Guantanamo.

Quando avevo la barca era tutto più facile: vigeva la regola che le donne erano ammesse a bordo solo con tanga o perizoma. Loro protestavano dicendo che era sessismo, io rispondevo che potevano sempre andare a Jesolo restando tutta la mattina in macchina sotto il sole e salvare l’onore.

Ho così scoperto di conoscere solo donne di bassa moralità.

Sfortunatamente la Fusillus appartiene a un mondo dove due più due fa quattro, non ai camerini di Bershka dove due più due si declina al congiuntivo col resto di nove.

«Ti sta bene» dico.
«Non mi intozzisce?»
«Tesoro, non è una cintura da palombari»
«Dici che è meglio meno sgambato?»
«Io dico zeppa di sughero 15, tanga leopardato e crema solare. Volendo, un pareo»

«Trasparente» precisa il tizio dell’aspirina.

«Dai, seriamente»
«Sono serissimo»
«Non ho il fisico da tanga!»
«E allora perché starei con te?»

 

 

 

 

 

Silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

«…perché mi ami?»
Un mormorio di risate percorre i camerini.

Alla fine, bikini anche quest’anno. Le donne hanno un sadismo tutto loro per ricordarti che se vuoi la carne devi avere il grano. E la mente ritorna all’estate del 2013, quando la cumpa beveva birre, io governavo magistralmente e a prua, grazie al sobbalzo delle onde, vedevamo questo.

 

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