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La vera trama di Interstellar

Interstellar

Siamo in un futuro prossimo. La Terra è fottuta, i raccolti marciscono con la stessa frequenza con cui Beatrice Borromeo scrive pedopornografia e ci sono frequenti tempeste di sabbia proveniente da… da… da un posto pieno di sabbia. In una fattoria immersa nei campi di mais vivono Cooper, ex pilota della NASA ora agricoltore, e i suoi figli Murphy e Tom. Murphy è femmina. Il padre l’ha chiamata così in onore della legge di Murphy “tutto quello che può andare storto andrà storto”, un modo spiritoso per dire che gli si è rotto il goldone. Murphy entra in cucina e asserisce che in camera sua c’è un fantasma. Le rispondono “uhu, certo”, poi salgono a bordo di un pickup per andare a scuola. Per strada vedono un drone. Cooper inizia un pazzo inseguimento tra le sue piantagioni di granturco.

«Papà, ci stiamo falcidiando il raccolto, che cazzo ci mangiamo?» domanda Murphy.
«La cella energetica all’interno di quel drone potrebbe alimentare la nostra fattoria» risponde Cooper, rasando ettari di pannocchie in derapata.
«Ma a cosa ci serve se i campi saranno ridotti all’aeroporto di Dubai?»

Cooper vorrebbe rispondere, ma un organo da chiesa attacca a suonare coprendo ogni altro suono con TIRORIRORIRORIRO TARIRARIRIRORIRO. Riescono a dirottare il drone che si schianta su altro granoturco.

«Cazzo, queste sì che sono soddisfazioni!» gioisce Cooper «e ora a scuola dagli sciachimisti!»
«E per la merenda?»
«Tò, tieni una coscia di drone»
«Papà, questo evento a che serve nella narrazione?»

TIRORIRORIRORIRO TARIRARIRIRORIRO.

A scuola il direttore spiega a Cooper che il figlio sarà un ottimo zappaterra, la figlia invece si rifiuta di credere al fatto che l’allunaggio sia un gombloddo. Cooper obietta che l’astronomia è importante, i professori replicano che pensare ai pianeti quando manco c’hai da mangiare è un po’ da coglioni. Cooper sbrocca: morire di fame su Alpha Centauri è un casino cosmopolita, tipo gli italiani all’estero che si rifiutano di fare i falegnami in Italia per 800 euro e preferiscono fare i falegnami a Londra per 1200 euro pagando un affitto di 800 euro.

«Scusi, ma tutto questo a che serve nella narrazione?» domanda un professore.

TIRORIRORIRORORI TARIRIRARIRIRURI.

Tornano a casa, c’è una tempesta di sabbia e Murphy s’è dimenticata la finestra aperta. La camera è ridotta al set di Dune e per terra ci sono buffe striscioline. Lì per lì Cooper ci caga sopra, ma al mattino realizza che la gravità gli ha mandato un messaggio in codice binario.

«Scusa papà, mò la gravità parla?» domanda Murphy «io col fantasma ero in cerca d’attenzioni, tu che scusa hai?»
«Sono coordinate, Murphy»
«Potrebbe essere la mamma che ci dà i numeri del lotto»
«No, sono certamente coordinate»
«Potrebbe essere semplicemente un buffo fenomeno fisico»
«Coordinate. Vedi, ho provato a verificare: conducono in un posto dove non c’è un cazzo di niente. Zero, proprio. Un deserto»
«A maggior ragione io giocherei tutto sulla ruota di Venezia»
«No, andiamo lì, mi ha detto di farlo la sabbia in camera tua che parla a nome della gravità»
Partono.

Giunti a destinazione nel bel mezzo di noncestancazzostan scoprono uno strano edificio. Cooper scende col tronchesi perché quando la polvere ti detta delle coordinate per un posto inesistente te la porti di default. Una luce abbagliante lo tasera. Cooper si risveglia in un ufficio della NASA con il professor Brand, il suo vecchio datore di lavoro. Brand spiega che la NASA ora deve operare in segreto perché laggente non gli piace che i suoi soldi vengano sperperati alla ricerca di un altro pianeta quando loro devono bollirsi le suole delle scarpe.

«Ma perché, voi non avete fame?» domanda Cooper.
«No, ha ha ha ha»
«Ha ha ha ha» ridono felici gli altri in sala mensa.

«Vabbè, senta, io tornerei a casa» dice Cooper.
«Aspetta, già che sei qui senza motivo, ti va di salvare il mondo?»
«Mah, stasera avrei un aperitivo»
«Cooper, la Terra è fottuta» spiega il professore «noi della NASA abbiamo creato due piani per salvare il genere umano: il piano A e il piano B»
«E non un piano C?»
«Il piano C è telefonare agli europei e chiedergli aiuto. Roba da terroristi»
«Capisco. E i primi due?»
«Il piano A consiste nel cercare altri pianeti abitabili e trasferirci lì. Il piano B consiste nel trovare pianeti abitabili e lasciare lì degli embrioni in modo che la specie continui a esistere»

Cooper ci pensa.

«Aspetti, ma gli embrioni li lasciamo lì tipo piante?» chiede.
«Certo»
«E come crescono, come evolvono, come si nutrono? Chi se ne prende cura?»
Il professore lo fissa intensamente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Bè, ma tanto è il piano B»
«Vero, vero» concede Cooper.
«Allora, gli alieni…»
«No, guardi, mi finiscono il buffet» fa Cooper, andandosene.
«Aspetta! Gli alieni ci hanno lasciato un varco temporale che permette di viaggiare a grandissime distanze in poco tempo. Grazie a questo abbiamo mandato 12 scienziati su 12 pianeti a vedere se erano abitabili»
«Com’è andata?»
«Chi cazzo li ha più sentiti. Quindi mandiamo altri tizi a vedere come stanno. Non potranno comunque comunicarcelo dato che sono a secoli luce da qui, ma questo ci permetterà di mandare altri tizi per vedere come stanno i tizi che erano andati a vedere come stavano i tizi» sorride il prof.

«Ma chi è il regista, Xzibit?»

«Il punto comunque è localizzare il pianeta migliore e tornare qui a dircelo. Così potremo iniziare a salvare il popolo americano che merita di soprav… Scusi un attimo, c’è un problema con la telecamera di sorveglianza»

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«…eccomi. Dicevamo?» domanda il professore.
«’sto piano è fantastico, saluto la mia famiglia e vavavuma»

Cooper fa un salto a casa; Murphy si sente in colpa per avere convinto il padre che la gravità gli avesse detto di diventare un astronauta. Cooper le regala un orologio. Lei gli dice che un orologio non manterrà né lei né suo fratello che dovranno farsi brutalizzare in orfanotrofio per avere mezza pannocchia marcia, poi spacca l’orologio e frigna. Cooper saluta. Dopo cinquantacinque minuti di organi da chiesa, dialoghi da mani in faccia e svolte narrative costruite con il fango e la merda, l’astronave si decide a partire.

A bordo dell’astronave Enduro c’è la figlia del professor Brand di nome Amelia (come Amelia Earharth, capito?), i robot CASE e TARS (con la forma del monolite di odissea nello spazio, capito?), il negro che bisogna metterlo o non vanno al cinema e Romilly che serve a morire quando la gente si annoia. I riferimenti dotti si sprecano, peccato l’unico a cui freghi qualcosa è un hipster in ultima fila; tutti gli altri nel cinema stanno russando tranne io che sono imbottito di droga come uno stegosauro, sudo e parlo allo schermo.

La compagnia della scuola di cinema entra in sonno criogenico, attraversa il wormhole e si risveglia con tre pianeti potenzialmente abitabili. Scelgono di esplorarne uno molto vicino a un buco nero e su cui il tempo passa più in fretta: un’ora della Terra lì corrisponde a 7 anni. Detta così il pianeta sembra abitabile come un dildo elettrificato, ma immaginate la comodità: tutti i pedofili che ti scippano la figlia scendono un attimo, risalgono e possono incularsela in santa pace perché tanto per la burocrazia è pensionata. Pensate ai tempi d’attesa per il prossimo Skyrim, finisci il primo, scendi, pisci, torni su ed è lì sulla scrivania. Pensate la comodità di spedirci vostra morosa a prepararsi per uscire.

«Andare a vivere nei paraggi di un buco nero!?» sbotta Cooper.
«È abitabile» fa spallucce Amelia.
«Sì, anche il Titanic negli ultimi 10 minuti era abitabile»
«Non fare il disfattista»
«Ok, allora come risolviamo il problema del sole?»
«Quale sole?»
«Appunto, imbecilli! Il sole, raggi ultravioletti che servono alle piante per produrre ossigeno, avete presente? Come fa a essere abitabile un pianeta senza sole?»
«Non farmi suonare l’organo»

A bordo dell’Enduro abbiamo tre maschi e una donna. Un equipaggio deve scendere per qualche minuto, l’altro deve restare a bordo per anni. Siccome stare senza fica o cazzo per anni tende a farti sbiellare di testa sarebbe consigliabile

«Negro, resta qui da solo»
«Sì, padrona»

Scendono. Atterrano in una spianata d’acqua, scoprono che la sonda è scassata e che tutto il pianeta è un grumo d’acqua con onde alte come l’Everest. Un tizio muore travolto dall’onda e tornano a bordo.

«Ehilà bello, come butta a patata?» dice Cooper.
«V-ventitrè anni di seghe» balbetta quello, fissando Amelia come fosse una bistecca «ventitrè anni a guardare un buco nero porcoddio, ditemi almeno che i migliori anni della mia vita li ho spesi bene»
«Nah, lì sotto abbiamo toppato, zio. È anche morto… come si chiamava? Vabbè, fa niente, passiamo al prossimo pianeta. Curiosità, ma noi qui dentro avevamo davvero viveri e ossigeno per 23 anni?»

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Nel frattempo, sulla Terra, Murphy è diventata un’astrofisica. Lavora alla NASA con il professore su un’equazione che dovrebbe rendere possibile il funzionamento del piano A. Dopo 23 anni il professore le confessa in punto di morte che lui in realtà ha già risolto l’equazione, ma che non c’è modo di far funzionare il piano A.

 

anigif_enhanced-buzz-13480-1368094187-20Il ministro dell’economia secondo Nolan.

 

«Sta dicendo che la nostra sola alternativa è seminare embrioni a cazzo?» chiede Murphy.
«Hhhhh, sì»
«Allora perché ha mandato tutta quella gente nello spazio?»
«Hhhhh, faceva…. Faceva ridere…»
«E perché ha continuato a farmi lavorare su una cosa già risolta sputtanando tempo prezioso e risorse?!»
«Hhhhh, ridere…»
«E NESSUNO CONTROLLAVA?! NESSUNO VERIFICAVA?!!»
«Il… il ministero della Difesa… il Presidente…»
«E NON HANNO FATTO NIENTE?!»
«Hhhhh, ridevanoooh…»

Il professore muore.
Da un altoparlante parte l’inno americano.

Siamo di nuovo nello spazio. Il pianeta successivo è quello più promettente perché segnalato dallo scienziato più fighissimo del mondo, ma sull’altro pianeta c’è il trombatore di Amelia. La benzina è poca, devono scegliere quale dei due prendere. LE motivazioni addotte dall’utero sono che

«La risposta a tutto… è l’amore» fa Amelia.
«Eh?» chiede il negro.
«Amore, amore, amore» cita il robot.
«Cioè la voglia di scopare?» domanda Cooper.
«No! L’amore! Un sentimento inspiegabile, un manufatto di proporzioni gigantesche che trascende le leggi dello spazio e del tempo»
«Quale prodigiosa stronzata è mai questa? L’amore è un istinto che la nostra specie s’è impiantata per evolvere, miss America special children, altrimenti a furia di scopare e mangiare i nostri stessi figli venivano fuori mostri deformi tipo i redneck. Spiegami come il bisogno di scopare di un parassita su un sasso che fluttua vicino a un sole minore in spegnimento dovrebbe regolamentare l’universo» fa Cooper, avvicinandosi.

«Puoi essere in una dimensione e amare qualcuno in un’altra epoca, in un universo parallelo» fa Amelia.
«Ma perché, se tuo figlio va a fare la spesa smetti di amarlo?»
«No»
«E allora ‘cazzo dici?»
«Sto dicendo che… senti, se non è l’amore a regolare il mondo cos’è?» domanda Amelia in lacrime.

«Niente»
«Cosa?»

«Niente. Niente governa l’universo. Siamo meno di un peto in una dimensione ipotetica sospesa nell’infinito. La nostra stessa esistenza è discutibile, piccola bucchina di papà tuo. C’è il 50% di probabilità che io sia un sogno, o che io stia sognando te, o che tutto questo sia il sogno di u-un boh, un plitorpicisfo viola che da settecentonovantamila miliardi di anni respira neutroni, suda galassie e caga sistemi solari. Però attenzione, a noi piace scopare»
«Detta così suona male, però…»
«Male, Amelia? È come dire che gli spruzzi di urina del mio gatto stabiliscono le sorti del conflitto in Ucraina, dici che suona male?»
«Ma noi siamo esseri umani!»
«E in che modo i pruriti vaginali di… che ne so, una finlandese alcolizzata e tossicodipendente del 1964 dovrebbero regolamentare le leggi della fisica quantistica? Spiegamelo come lo spiegheresti a un rapper fallito di 34 anni»

 

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Vanno nel pianeta dello scienziato fighissimo.

Scendono e trovano un immenso ghiacciolo con l’aria piena di ammoniaca e tutti morti, tranne lo scienziato fighissimo che s’è ibernato. Lo svegliano. Quello all’inizio racconta che il posto è un paradiso, poi confessa di averli trollati: il pianeta è una merda, voleva solo che tornassero a prenderlo. Tenta di uccidere Cooper a testate, fa esplodere la loro navicella col negro dentro e usa la sua per risalire alla nave madre e attraccarsi.

«Signor scienziato fighissimo, non se ne vada» dice Amelia alla radio.
Lo scienziato fighissimo decolla.

«Signor scienziato fighissimo, non attracchi» dice Amelia alla radio.
Lo scienziato fighissimo attracca.

«Signor scienziato fighissimo, non chiuda l’airlock»
Lo scienziato fighissimo chiude l’airlock.

«Signor scienziato fighissimo, n
«MA MAGARI BASTA» sbotta Cooper, chiudendole il microfono.
«Cos’è che non devo fare?» domanda lo scienziato fighissimo alla radio.
«Niente»
Muore.

L’astronave è danneggiata dal botto, cade, parte l’organo a potenza rave party, Cooper e Amelia la raggiungono e con l’aiuto dei robot monoliti riescono ad attraccarsi e riprendere il controllo mentre TIRORIRORAAAAARIRURORIRI. Tutto a posto, ma ora non hanno benzina per tornare a casa e men che meno per raggiungere il terzo pianeta candidato.

«Che comunque visto il portento di umanità che avete mandato probabilmente la sonda è atterrata a Mestre, la suburra s’è stuprata a morte tutta la squadra e la sonda sta comunicando che è una ridente cittadina» sospira Cooper, guardando il buco nero dall’oblò «basta, io vado nel buco nero» dice, entrando nella navicella. Finisce dentro. Invece di diventare una sottiletta Craft si risveglia in una dimensione stranissima fatta di miliardi di librerie della figlia, e in ognuna succedono cose diverse. Lui si mette a percuotere i libri quando vede sé stesso nel passato che parte e la lascia sola. Piange disperato e grida, ma Murphy non sente perché TIRARARAIRI RIRAIRAIAIRI. A furia di menare libri Cooper scopre che può lasciarle un messaggio con la gravità, e si mette a buttare giù libri e muovere la lancetta dell’orologio rotto.

Perché battere i tasti su un portatile è troppo faticoso.

Nel frattempo sulla Terra tutto è fottutissimo e Murphy deve lasciare la fattoria. Dà un ultimo sguardo alla sua vecchia libreria impolverata e nota l’orologio rotto. Vede che le lancette ballano ancora, e invece di reputarlo una normalissima contrazione post mortem di un oggetto distrutto stabilisce che è suo padre che dallo spazio le sta parlando in codice morse. Ci sarebbe arrivato chiunque, in effetti. Cooper muore esattamente come Batman nell’ultimo film, poi però Hollywood aggiunge il lieto fine per quelli troppo sensibili e lo ripescano che fluttua nello spazio, manco fosse un bagnante troppo ardito della piscina La conca verde di Abano Terme. Torna giusto in tempo per vedere Murphy che crepa a 96 anni.

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«Come fine?!»

TARIRIRURURIRARI – BRAAAA- TARIRIRURORIRIRI

«No, scusate, il wormhole l’abbiamo messo noi, come abbiamo fatto a farlo? Senza wormhole ci saremmo estinti, siamo sopravvissuti solo perché qualcuno di noi l’ha messo, com’è possibile?»

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«Forse dato che veniamo definiti esseri “di quarta e quinta dimensione”, potrebbe essere che secondo la teoria della fisica quantistica gli universi paralleli si intersechino e ne esistano infiniti, giusto?»

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«Allora noi in un altro universo siamo più evoluti, osserviamo gli altri universi e possiamo interagirvi, come su Timeline di Crichton! Così troviamo un universo in cui siamo prossimi all’estinzione e ci aiutiamo. Può essere, no?»

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«Forse perché il nostro universo è un labirinto e noi siamo cavie di noi stessi più evoluti! O forse perché nel nostro particolare universo deve succedere qualcosa d’importante? Mi spiegate?»

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Lucca comics & games 2014, dall’altra parte della rete

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Lucca comics non è molto diversa dal carnevale di Venezia nel ’98, quando m’imbottivo di sostanze psicotrope e finivo rannicchiato in un angolo urlando. In quelli successivi sapevo già come sarebbe finita, così mi vestivo con una camicia di forza e la gente invece di chiamare i Carabinieri si faceva le foto con me.

Nel 2013 sono lì per fare il reportage per GQ, trovarmi con RRobe e vedere quali scuse patetiche hanno inventato le donne per svestirsi. Cosplayer di ogni taglia ed età sfilano in una Babilonia di spadine di gomma, minigonne inguinali, ragazzi denutriti o ipernutriti, lingue, accenti e colori. E’ tutto bellissimo, se non fosse che devo lavorare. Il problema è che l’articolo uscirà su GQ online, dove se rimborsano le spese è grasso che cola. Zero budget significa che le foto dovrò farle io, primo classificato al concorso incapaci. Ho quindi reclutato un amico, tale Bicio, che in carcere ha fatto un corso di fotografia. In cambio gli ho promesso fica, birra e un viaggio gratis, col risultato che alle dieci di mattina al terzo autogrill è già ciucco.

«AAAHAHA HAHAHA HAHAHA NEBO MI FOTOGRAFO LE PALLE GUARDA AAHAH HAHAHA HAHA» grida in mezzo alla folla, inserendosi l’obiettivo della reflex dentro i jeans e premendo il tasto.
Flash. Flash. Flash.

«Bicio, fai il lavoro per cui sei metaforicamente pagato» dico.
«Con l’ingrandimento vedo le piattole girarmi tra i peli come macchine tra i palazzi» nota, incuriosito «pare una Chicago degli anni ’20»

Bicio è rimasto alterato dalla nostra gloriosa adolescenza metanfetaminica. Inoltre in carcere deve avere scannerizzato con il proprio ano decine di cazzi in 3D, poiché è stato restituito al mondo con sodomitiche convinzioni new age. Di giorno lavora in Autogrill, nel tempo libero dice mille volte “namioreganchiore” sniffando incenso e ascoltando musica dodecafonica. In breve, devo liberarmi di questo idiota.

«Vieni, mio fido mentecatto» dico, tirandolo per un braccio «è tempo di c

 

Mi interrompo.
E’ successo qualcosa nella mia vista periferica.

Sposto gli occhi. Nella testa risuona la versione dubstep di All is hell what ends well dei 2 steps from Hell. Appena metto a fuoco ogni suono scompare, ogni colore desatura. Gli occhi si spalancano, la percezione passa ai 48 fotogrammi per secondo e si aggrappano a lei, rallentando tutto in uno slow motion che parte col beat mentre la mia mascella crolla a terra. Tutti i peli si alzano in piedi all’istante.

Magra, esile, consumata dall’odio e dal disprezzo verso qualsiasi forma di vita. La camminata maestosa di chi non ha nessuno di più importante di lei ad aspettarla. Passi lenti e misurati; ogni colpo di tacco, il chiodo di una bara. Il volto sollevato a guardare dall’alto ogni cosa. Labbra sottili e anaffettive, capelli corvini nascosti dal cappello, neri e lucidi come la pelle di un’orca assassina. Gli occhi che nascondono l’orrore e la statura di chi distribuisce dolore e sofferenza per diletto e noia. E’ una puttana manipolatrice, bugiarda, traditrice, crudele, sadica e opportunista. E’ tutto ciò che c’è di malvagio, crudele, osceno, ingiusto e corrotto. E’ l’amante del boia, la figlia del mafioso, la moglie di nessuno.

Malefica.

 

Rivedo il suo castello nel temporale, il fuoco verde che illumina il centro del salone di pietra e lei, così perfetta e immensa, stagliata contro un cielo nero e tempestoso che promette il giorno del giudizio. Spazza la folla con sguardo di sufficienza. Si sofferma su di me per un istante e prosegue. Scompare. Sono di nuovo circondato da un esercito di rincoglioniti. Restiamo soli io, la mia erezione e la consapevolezza di aver trovato un senso. La missione della mia vita è svelata: devo salvare il mondo distruggendo quella donna a pecorina.

«…EBO AAHAHAAAAHAHA HAHAHA HAHA FOTOGRAFO LE CREPE SUL MARCIAPIEDE HAH HAHA HAHAH FACCIO ARTE»
«Taci, bestia» sussurro.

L’ebefrenico fa primi piani alle erbacce disteso per terra sussultando dalle risate, incurante dei rigurgiti di vomito. Posso lasciarlo qui. Se lo trovano smembrato in Zambia non potranno mai risalire a me. Risolto questo devo uccidere la banda di schioppati che scorta quella cosplayer: potrei prendere l’arco del cielo stellato e spaccarlo sulla nuca di Gandalf e all’altra tizia vestita da Alien Mouthraped. Secondo problema risolto. Poi: rimorchiare Malefica con tatto e delicatezza pregando sia di zone accettabilmente vicine, trucidare l’eventuale accompagnatore, convincerla ad appartarsi con me e picchiarle tanto di quel cazzo da storpiarla a vita. Il piano c’è.

Ora devo solo raggiungerla.

«MALEFICA!» urlo facendomi largo tra la folla «MALEFICAAA!»
«See, er principe Filippo» dice uno con le orecchie allungate.
«Legolas all’alba dei quarant’anni, cosa vedono i tuoi occhi da elfo?» gli chiedo.
Non mi aiuta.

La via principale è impraticabile, urge deviazione. Raccolgo il fotografo da terra.
«E’ richiesta la tua indiscussa utilità» dico, strappandogli la borsa e frugando tra il suo ciarpame. Trovo il mio cellulare. Consulto Google maps. Dritto per una ventina di metri, poi bivio. A sinistra bar, a destra boh. Nella vita come nel lavoro il tragitto giusto è sempre quello difficile, quindi scatto per fare il giro della parallela e trovarmela di fronte.

Sbarrata.

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Tiro una bestemmia in faccia a due preti che rispondono “e sempre sia lordato”. Mi guardo attorno. Le mura. Decollo in quella direzione, divoro i gradini tre a tre. In cima, altre bancarelle. Scatto in avanti. Picachu colpisce coi testicoli il mio ginocchio e si accascia muggendo. Tiro dritto. Centro con una gomitata Ezio di Assassin’s Creed che si sta facendo fotografare sul cornicione. Lui tira un “gnaah”, poi fa un salto della fede realistico quanto fallimentare schiantandosi pochi metri sotto su un venditore di zucchero filato, che s’incazza uso tasso letargico e attacca a ravanarlo di botte. Scalinate. Mi catapulto giù e sono di nuovo in strada, dall’altra parte della massa. Oltrepasso un grumo di ninja denutriti. Percorro la via parallela travolgendo cartocci di patatine, elfi, dinosauri, truppe paramilitari di obiettori di coscienza, Batman, venti joker, donne pagliaccio, Cristi con la croce, demoni manga e marinarette dello spazio con sguardo da estetiste.

Arrivo davanti al bar, niente. Penso più in fretta che posso. Ogni secondo che il mio pene passa fuori dall’intestino di quella cosplayer è una fitta di dolore. La mente è attraversata da flash di lei in ginocchio col trucco sbavato e le guance arrossate dai ceffoni. Sento il suono della testiera del letto che batte a tempo con le sue suppliche di fare più piano, io che l’attacco al muro e

…e un cazzo. Non la rivedrò mai più. Nel 2013 ho imparato che a Lucca comics c’è troppa gente per fare qualsiasi cosa, specialmente dietro la rete che separa giornalisti da autori.

Curiosamente quest’anno GQ non mi ha contattato per fare un reportage, così sono arrivato lì come autore. Questo repentino cambio mi ha permesso di fare figure di merda a ripetizione. Un lettore s’è presentato chiedendo una foto ed era troppo imbarazzato per dirmi che avevo capito male, così è stato fermo e buono mentre io lo fotografavo con sua morosa. Solo dopo, con tono incerto, ha detto “grazie, ma intendevo se te ne facevi tu una con me”. Alla cena della Limited ho spintonato un giappo che stava in mezzo dicendogli “ocio, Chinatown” e solo dopo Chris m’ha svelato che era tale Masacazzo Cazzimma, eminenza grigia di manga di donne nude.

 

tumblr_m4g8zieuy01qfw2dno1_250 (1)Ups.

Poi c’è stata la presentazione di Nick Banana. 140 pagine in bianco e nero di storia che lega la prima saga alla seconda – ecco perché qui mi son fermato. Uscirà circa ad aprile 2015 e sarà una collaborazione tra me e Michele Monteleone alla sceneggiatura, Daniele Di Nicuolo ai disegni. Questa foto della conferenza riassume bene il nostro stato d’animo: io serena inconsapevolezza, Daniele sconsolata disperazione, Michele che paglieggia sperando nessuno lo riconosca.

 

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Insomma, grazie a tutti per esserci stati. La prossima volta sarò più professionale, o più probabilmente no.

Lucca comics 2014, dove mi trovate

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Ok, ho le date ufficiali di Lucca su dove potrei essere se sobrio dovrò essere presente per contratto. Qui trovate la mappa di Lucca completa per orientarvi.

 

Giovedì 29/10 (Sala Tobino – Palazzo Ducale)
ORE 15.00
con Michele “Babyface” Monteleone, Daniele “Kota” Di Nicuolo e quelli della Star comics presenteremo Nick Banana. NON SARA’ ACQUISTABILE, E’ SOLO LA PRESENTAZIONE DEL FUMETTO! Se venite mi fa piacere, vi presento un disegnatore che è stato in tribunale per me (giuro!) e uno sceneggiatore incredibilmente tollerante. Occhio se vi portate la morosa, Michele è uno che fa strage di cuori.

Venerdì 31 ottobre (Stand G41, Padiglione Carducci)
Dalle 11.00 alle 12.00, poi dalle 14.00 alle 15.00 sarò con quel figo di Christian Borghi, potrò rimediare alla cappella delle firme sui libri e, se ancora non l’avete fatto, potrete acquistare le ultime copie rimaste. Troverete anche Doc Manhattan, con cui adoro punzecchiarmi su chi ha venduto di più. Lui, naturalmente.

Sabato 1 novembre (Stand G41, Padiglione Carducci)
Dalle 14.00 alle 15.00 idem come sopra.

Domenica 2 novembre
Dalle 14.00 alle 15.00 (sala Ingellis, quella gialla piccolina) megaconferenza con la scuderia della Limited, Doc Manhattan, Farenz e nuove reclute che ancora non conosco. Dalle 16.00 alle 17.00 (Stand G41, Padiglione Carducci) sto a cazzeggiare, se ancora non siete riusciti a venire è l’ultima occasione.

 

Insomma, sarò a Lucca fino alla fine e senza dover far finta di lavorare per GQ come l’anno scorso. A parte gli impegni, quindi, sarò a spasso per sbronzarmi e tenere a bada la Leo che inseguirà le cosplayer. Sto carico abbestia, sembra il carnevale di Venezia senza frittelle. Se non avete un picchio da fare, ci becchiamo lì.

Dal buio

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È buio. La temperatura è mite. L’odore di pulito ricorda quello degli alberghi di lusso. La voce arriva roca, riflessiva, come ne senti nei bar dopo le due di mattina. Non c’è altro suono. L’unica cosa visibile è un cerchio di luce che illumina una moquette. In fondo, una porta si apre e lascia intravedere una sagoma.

«Il sentimento più profondo dell’uomo, l’istinto più atavico, la spinta propulsiva più forte, è la paura» dice la voce da un punto imprecisato della stanza «ogni scelta, ogni decisione, ogni frase della gente. Tutto ciò che fanno, dicono, mangiano, bevono, vestono, scopano… risale alla paura»

 

La porta si chiude.

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La voce tace. Nel buio si sente un sospiro, poi un deglutire.

«La paura viene dall’ignoto. Pensa alla frase “c’è qualcosa sotto al letto” e paragonala a “c’è un mostro sotto al letto”. Fa molta meno paura la seconda, anche se è un mostro. Noi temiamo ciò che non conosciamo» conclude la voce.

C’è un fruscio di vestiti.

«La paura è un assassino in una notte senza luna. Entra nella stanza piano, strisciando i piedi per non fare rumore e impiega ore a raggiungere il tuo letto. Tu sei lì, fermo, vigile, attento a cogliere ogni minimo suono, ma lui non ne fa abbastanza per farti alzare e non è abbastanza silenzioso da farti dormire. Quando ti uccide realizzi che il dolore del pugnale è infinitamente minore rispetto alla tensione che hai provato fino a quel momento. La morte diventa una liberazione, il dolore, quasi una delusione»

Si sentono passi felpati sulla moquette, lenti e profondi.

«Oggi, ora, adesso, questo popolo è infestato dalla paura. Della crisi, del terrorismo, delle malattie, dei tradimenti, dei furti, delle truffe, della finanza, degli stranieri, del cambiamento. Sono tutte cose che non capisci, quindi le temi. E siccome non sei abbastanza intelligente per affrontarle, hai scelto di ribattezzarle. Ricreare un mondo che puoi controllare e comprendere»

 

Tre passi. A pochi metri si distingue qualcosa, scarpe nere e lucide, l’inizio di un pantalone elegante. Il silenzio è tale da lasciar percepire il sottilissimo ticchettare dell’orologio da polso.

«Non prenderlo come un insulto. Ognuno è diverso. L’introspezione, l’autoanalisi, l’autocritica, appartengono a persone diverse da me e te. Siamo simili, tu e io. Anche se con risultati sociali molto diversi. Quindi non prendertela» dice la voce, facendo un passo avanti «se dico che

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Sì, io ti conosco.
È tempo che tu conosca me» sorride Nick.

Buio.

La vera trama di Lucy

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Lucy è un’americana di vent’anni che deve ancora decidere cosa fare della propria vita. Per concentrarsi meglio si trasferisce in Corea del sud con un’amica che sogna di farsi sfondare dal mondo del cinema. È uno dei piani più intelligenti si siano mai visti perché è sacrosanto una vada a farsi trapanare a Mykonos o a Magaluf, ma Lucy&Co. scelgono la patria dei cazzi piccoli e del famosissimo cinema sudcoreano featuring possibile guerra nucleare.

Cominciamo benissimo.

«La vita ci è stata donata un miliardo di anni fa: che ne abbiamo fatto?» si domanda Lucy bevendo un milkshake.

Purtroppo il proiettore si guasta e sovrappone una carrellata di città, autostrade, semafori, gente in scooter, cartelloni pubblicitari di qualche fottuto documentario animalista. Proprio quando sto per alzarmi riappare Scarlett che guarda il cielo con aria confusa. Viene richiamata all’ordine da un tizio vestito come Bono.

«Lucy, questa è una valigetta misteriosa» dice Bono «devi portarla nella hall lì dentro, vedi?»
La hall è a cinque metri da loro.

«Cosa c’è nella valigetta?» chiede lei.
«Documenti»
«Vediamoli»
«È chiusa con la combinazione»
«Allora me ne vado»
«Dai, porta la valigetta»
«No»
«Sì»
«No»
«Sì»

Questo dialogo prosegue per otto minuti tanto che qualcuno in sala s’è offerto di portarla lui. Esausto, Bono ammanetta Lucy alla valigetta e lei si decide. Il proiettore salta di nuovo e mostra un topo che annusa il formaggio di una trappola. Non fai in tempo a urlare insulti al proiezionista che si ritorna a bomba nel film: nella hall arrivano dei ciccioni coreani, fuori qualcuno spara a Bono nell’indifferenza generale e Lucy viene deportata. Sarei curioso di vedere cosa succede ora ma il proiezionista decide di mandare sequenze National Geographic di giaguari.

 

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Sì. Giaguari.
Cacciano gazzelle per qualche minuto.

Mi consolo pensando alle famiglie nell’altra sala che invece di “Natura in fiore” si trovano sequestri e sparatorie. Sto iniziando a interessarmi al documentario quando si ritorna a Lucy trascinata dai cicciocorea nella suite Mary Poppins, una stanza d’albergo magica dove può apparire di tutto, a patto che non c’entri un cazzo. È piena di coreani vestiti da becchini e cadaveri sanguinolenti. Lucy viene fatta accomodare e appare uno vestito uso camuorra in love di Giggino o’ mariuolo 1992: completo grigio lucido, cravatta anni ’90 con perlina, camicia impeccabilmente stirata, faccia e mani grondanti sangue.

Giggino si lava con l’acqua minerale perché i rubinetti sono demodè mentre Lucy supplica e prega di lasciarla andare. La ignora e confabula con un suo socio di manga o sashimi o katane, poi fa una telefonata.

«Salve, signorina, io tradurrò tutto quello che dice al signor Giggino» dice il telefono.
«Oh Dio grazie, dica che non c’entro niente e che non so cosa c’è nella valigetta» piange Lucy.
Segue katanese applicato.

«Signorina, lei sa cosa c’è nella valigetta?» domanda l’interfono.

Dopo un estenuante dialogo di surreale stupidità Giggino o’ mariuolo si caga il cazzo, scrive su un foglio il codice per aprire la valigetta e si allontana. Dal bagno della suite di Mary Poppins i coreani tirano fuori degli scudi antisommossa, forse dotazione standard dell’hotel, e si posizionano lontani. Evidentemente temono che dalla valigetta spuntino mille e mille noglobal, perché se invece il timore è che ci sia dell’esplosivo gli scudi di plastica servirebbero come una cavigliera a Pistorius.

«Signorina, apra la valigetta, non c’è niente di pericoloso»
«Sa che non mi ha convinto?» fa Lucy, osservando i coreani terrorizzati.
«Apra o le spareranno»
«E dopo chi apre la valigetta?»

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Giggino o’ mariuolo grida qualcosa.

«Mister Giggino vuole che si sbrighi, ha altro da fare»
«Ma tipo cosa?»
«Apra, per l’amor di Dio, in sala s’addormentano come mosche»

Lucy apre. Ci sono delle buste blu. Sollievo generale. Giggino ne apre una e tira fuori delle strane pietruzze, schiocca le dita, i coreani aprono l’armadio e tirano fuori un drogato, anche quello dotazione standard dell’hotel. Gli fanno pippare la polverina, lui è tutto contento e loro per farlo smettere di ridere gli sparano in testa. Lo buttano in bagno insieme agli altri cadaveri e agli asciugamani usati.

«Signori, io sentito urla di stupro e spari di morte, serve servizio in camera?» domanda da fuori la cameriera.
«No, grazie, ripassi dopo»
«Va bene»

Ora siamo in un’aula universitaria dove Freeman tiene una lezione sull’umanità che ha fatto cose straordinarie. Purtroppo il proiezionista inciampa e appaiono filmati di repertorio History Channel seguiti da una digressione sul delfino di dieci minuti, mentre dall’altra sala provengono strilli terrorizzati delle famiglie che assistono allo stupro di Scarlett Johansonn. Di nuovo Freeman. Sostiene la vaccata che noi usiamo solo il 10% del nostro cervello, poi fa la classifica stile Super Saiyan in cui se arrivassimo a usare il 20% leggeremmo nel pensiero e al 50% intercetteremmo le telefonate; purtroppo riusciremmo a ingrandire le tette di nostra morosa solo al 60%. Scoramento tra gli studenti.

«Professore, al 100% cosa succederebbe?»
«Diventeremmo europei»

 

Lucy si sveglia in una stanza d’albergo con la pancia squarciata, bende insanguinate e nessun dolore. Ritornano i coreani assieme a un tizio che spiega IL PIANO: hanno cucito nella sua pancia e in quella di altri tre stronzi le buste di droga, in modo da importarle in Europa. Loro arriveranno in aeroporto, verranno prelevati, aperti, ricuciti e lasciati andare liberi e felici.

«Mi sembra credibilissimo» fa Lucy «vi ci vedo a impegnarvi per ricucirmi dopo che manco avete fatto la fatica di rimettere il tossico in armadio»
«Se cercherete di scappare o di andare dalla polizia le vostre famiglie verranno uccise»
«Quindi io adesso esco, telefono alla mia famiglia e gli dico di catapultarsi in un luogo sicuro, poi vado dritta in ambasciata e chiedo d’informare la polizia raccontando tutto compresi i vostri identikit e la testimonianza di un omicidio, mi faccio asportare la busta in ospedale e siamo tutti contenti?»

«No»
«E perché non dovrei farlo?»
Filmati di animali che scopano.

 

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Lucy ora è in una stanza di un palazzo dove viene gonfiata di botte senza motivo da gente mai vista prima. A furia di calci in pancia la busta di droga si apre, le entra in circolo e la fa volare per la stanza. Letteralmente. Volare. Finito il volteggio si siede composta. Qualcosa in lei è cambiato. Entra un coreano per capire che cazzo succede, lei lo sderena di botte, prende la pistola, esce, ammazza quattro tizi che giocano a carte, raccoglie le armi, esce in strada. Qui trova due tassisti che stanno chiacchierando e domanda chi la capisce. Uno dice di no e lo uccide perché vaffanculo. L’altro tassista è così terrorizzato che parlerebbe anche il babilonese, la carica in macchina e la porta in ospedale. Lucy scende.

«Aspettami qui» dice.
Chi non lo farebbe.

Lucy passeggia nell’ospedale brandendo una pistola con silenziatore senza che nessuno si scomponga, la fermi o la noti. In sud Corea è normale girare con una pistola per un ospedale. Entra in una sala operatoria dove un chirurgo sta effettuando un intervento, uccide il paziente perché vaffanculo, così impari ad ammalarti e pretende che il medico le estragga la busta rotta dalla pancia senza anestesia. Nel frattempo telefona a mammina.

«Mamma» piange Lucy «mi ricordo tutto, sento tutto, vedo tutto. Sento la forza di gravità, le vibrazioni, i colori…»
«MANNAGGIACRISTO È FATTA DURA, ANSELMO, TUA FIGLIA SI DROGA, VIENI A SENTIRE»
«E mi ricordo quando ero bambina e accarezzavo il gatto morbido, e tu che mi baciavi…»
«LUCY, NON TI MANTENGO PERCHÈ TI SPACCHI DI BAMBA E MI TELEFONI ALLE TRE DI MATTINA QUANDO SEI IN DOWN, BRUTTA PUTTANA»
«Vedo le trasmissioni di dati dei cellulari, la linfa delle piante, la vita attorno a me…»
«TI BLINDO IL BANCOMAT, TROIA»
«Volevo ringraziarvi per tutti i baci, le carezze…»
«PROVA A TORNARE A CASA CON LA SUSHIFILIDE E T’AMMAZZO A BASTONATE»
«Addio, mamma»
«MA STOCAZZO»

Terminato l’intervento Lucy e il medico discutono sul contenuto della busta. Si tratterebbe di CPH4, una roba che le donne incinte iniettano al feto alla sesta settimana di gravidanza per fargli crescere le ossa e i muscoli. La sospensione dell’incredulità seduta al mio fianco scoppia a piangere, Lucy esce dall’ospedale e torna a casa di Giggino o’ mariuolo che si sta facendo tatuare ascoltando musica classica in cuffia, quindi non sente gli spari di Lucy che trucida i suoi scagnozzi.

La tatuatrice invece dev’essere sorda.

Lucy tortura Giggino fino a farsi dire dove sono andati gli altri portabusta e lo lascia in vita perché uccidere un tassista innocente o un malato va bene, ma un mafioso no, non è chic. Esce, si attacca a un computer, legge tutto l’Internet e trova le ricerche scientifiche del professor Freeman. Gli telefona via Skype.

«Pronto?»
«Salve, mi chiamo Lucy, sono la prima donna ad aver raggiunto il 100% del proprio cervello»
«Il mio aspirapolvere è a sua disposizione»
«Professore, non capisce. Ho letto tutte le sue ricerche, seimila pagine di roba»
«Può venire lunedì, mercoledì e venerdì»
«PROFESSORE! Io ho letto dentro di me l’universo. Ho capacità che nessun altro essere umano…»
«Signorina, l’avviso, ho girato tutti i bordelli di Olanda, Austria e repubblica Ceca»

«Il suo sessismo non mi fa ben sperare nella sua intelligenza»
«Va bene, le farò un test: a Teheran uno può avere tre mogli e se protestano le sèda a ceffoni. Qui abbiamo le Femen. Mi elenchi tre motivi per cui l’occidente è meglio del medioriente»

«La… la democrazia»
«Movimento a cinque stelle»
«La libertà?»
«NSA»
«I nostri valori»
«iPhone dorato, Foxconn, Barbara D’Urso»
«La tolleranza per la diversità»
«Sentinelle in piedi»

 

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Silenzio.

 

 

«Senta, se mi aiuta le do il culo»
«Ora ha la mia attenzione»

 

«Se uno avesse a disposizione tutta la conoscenza del mondo e stesse per morire, cosa dovrebbe fare?» chiede Lucy.
«Curarsi. Avrebbe il totale dominio di medicina, farmacologia, chimica e biologia»
«Ok, ma se fosse incurabile?»
«Beh, non so. Litigare su Facebook, credo»
«Ma le pare?! Io sono una Dea!»
«E nonostante questo chiede a un uomo cosa dovrebbe fare. La maledizione dell’utero non perdona»
«Verrò da lei a Parigi per fare silenzi passivo aggressivi, raduni altri medici. Maschi, o non funziona»
«Capisce perché ho divorziato?»
Click.

Lucy telefona all’Interpol e fa arrestare tutti i corrieri con la pancia gonfia che tentano di scappare invece di abbracciare la polizia come se li avesse appena salvati dal bisturi di Hell’s Kitchen Korea. Sono scene così inutili da far rimpiangere i giaguari e le gazzelle. Giggino nel frattempo è incazzato a mostro per essere rimasto in vita e insegue il semidio uterino sputtanandosi uomini, soldi e mezzi pur di riavere quattro bustine di droga. Lucy prende l’aereo, ha un problema tipo che inizia a smolecolizzarsi perché… perché… perché sì, trangugia il resto della droga nella busta e torna a stare bene. Arriva in Francia, recluta coattamente un poliziotto che gli fa da autista e trasforma Parigi nella striscia di Gaza guidando contromano e sterminando dozzine d’innocenti colpevoli di andare al lavoro. Inseguita da coreani armati di mitragliatori e bazooka probabilmente fatti passare come bagaglio a mano raggiunge l’università. Fuori la polizia ingaggia una coreografia di Gangnam style basata sull’idea che se in patria ci sono stranieri con armamento pesante noi non chiamiamo l’esercito, rispondiamo a pistolettate. Dentro Lucy si fa in endovena tutte le buste di droga rimasta, fa una carrellata della storia dell’umanità trovandosi di fronte al primo australopiteco bipede che fatalità si chiamava anche lui Lucy

 

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…e fatto questo diventa un blob che si mangia i computer. Quando Giggino o’ mariuolo sta per spararle in testa lei diventa negra, poi si trasforma in un’app e regala a Freeman una chiavetta USB.