Al primo sangue (2/3)

birra

Per far sì che questo massacro da crisi di mezz’età possa svolgersi secondo regole probabilmente vive solo nella sua testa, Atza e il visconte Pompin hanno bisogno di due padrini a testa, un secondo, un testimone e un medico

«…ma a quello ha già detto che ci pensa il visconte Poldin» spiega Atza.
«Ah, ora sono più tranquillo» dico.

I padrini dei ritardati mentali devono accordarsi sul luogo, le modalità, scegliere l’arma e conservarla con cura fino al momento del duello. Il secondo, invece, è una specie di sostituto. Normalmente non fa nulla, ma ci dev’essere in caso il duellante non sia in grado di combattere o di proseguire.

«Ok, io e Luca padrini, Nebo perfetto come secondo, è fisicato» dice Ario.
«COOOOOSA?!» sbotto «Manco so tenere una spada in mano, imbecille, che me ne faccio del fisico!?»
«Questa dovrebbero scriverla sotto tutte le palestre del mondo» sospira Luca.

Le mie pavide proteste non attecchiscono. Mi getto in una razionale spiegazione sul perché tutto questo è delirante. Al tavolo vengono tirati in ballo i più sacri valori di amicizia, fratellanza, debiti, droga. Quando Atza spiega che il secondo è pro forma e che io servo solo per far bella presenza, cedo. Il testimone sarà una persona di assoluta fiducia di Ario.

Questo tranquillizza tutti.

«Noi possiamo venire?» fa Lucia con una strana luce negli occhi.
«Escluso, non sono cose da fiche» scuote la testa Atza «e p
«NOI VENIAMO QUANT’È VERO IL CRISTO» ulula Francesca, pallida.
«Ohè, cos’è ‘sto tono? Agorafobia da esterno cucina?» tuona Ario, infastidito.
«Tu… voi… non avete idea di cosa sia tutto questo per una donna» ansima Francesca «io spero ‘sta Sabrina sia un pezzo di fica imperiale taglia 34 scartata da Victoria’s secret perché troppo bella»

«Ecco, benissimo» dico, massaggiandomi le tempie.

«Quante oggi possono dire che due uomini hanno combattuto per lei a spadate!?» ringhia Francesca «È tipo la cosa più arrapante dell’universo! Pensa se uno crepa, questa potrà raccontare per tutta la vita c-che… oh, Dio, basta, o mi si sono rotte le acque o non devo pensarci»
«E se quello che vince è un cesso? Non esiste» obietta Leonora.
«Chissene, sei pazza? Se non gliela dai dopo un duello non meriti di essere donna. Poi magari amici come prima, ma dargliela è un dovere morale»
«Se m’hai ferito o ammazzato il moroso e pensi sia una buona idea calarti i pantaloni in assenza di testimoni sei un povero coglione» sibila la mia soave educanda «ti ficco il braccio così dentro al buco del culo che diventi Dodò e l’albero azzurro»

«MA VI RENDETE CONTO!?» grida Francesca «un duello con le spade nell’epoca di nerd sfigati mammina papino playstation e frullati proteici?! È roba da tempi in cui la gente si guardava bene dal far commenti per strada, pesava ogni parola, aveva rispetto di tutti! La cavalleria, il darsi del lei, i vestiti curati, le feste…»
«…e voi che non potevate votare. Sì, bei tempi. Ora levate il vino alla zitella irrancidita e passiamo alle cose pratiche» dice Luca.
Ha ragione.

 

 

Leonora e io118920d1250602171-funny-strange-random-pics-untitled2

La mia mattinata passa con io che telefono a tutti i laureandi o specializzandi in medicina per riuscire a trovare qualcuno disposto a seguirmi. Sarei tentato di contattare ex colleghi di mio padre, ma data la duplice carriera del mio vecchio non posso rischiare di contattare un radiologo che risponde “qui tenente colonnello Santini” e io che gli spiego di dover partecipare a un duello medioevale. Preferisco la gente pensi che mio padre ha lasciato dietro di sé un figlio sano di mente. Già è un sollievo che non debba assistere a licenziamenti, denunzie e youtuber. Leonora raccatta Clelia, “laureanda a Trieste superbravissima guarda tiggiuro” con fatalità specializzazione in ginecologia “ma non è come pensi tu”. Significa che al 90% hanno giocato al dottore sfatte di rum. La dottoressa in pectore arriva in stazione nel primo pomeriggio. Scende dall’interregionale alta un metro e sessantacinque, minuta, mora, occhi nocciola, capelli lunghi e tette discrete.

«Non è come penso io, eh?» ringhio.
Leonora la saluta sorridendo da distante, parlando a denti stretti: «Non abbiamo fatto quasi niente, poi è la cosa più simile a un medico che abbiamo per quei ritardati dei tuoi amici, silenzio»
«Spiega “quasi niente”»
«Festa erasmus al Mandracchio, ubriache, casa mia, vaffancuTESORO!» esclama la mia fedele consorte, correndole incontro. Si abbracciano. Clelia si stacca e mi squadra.

«’sto pelato è il tuo dildo?»
Una vita normale, il mio regno per una vita normale, penso.

 

 

Ario e Luca74307_64BJGZV6GC5WZO6YLUBYRZUFDY8PBR_dscf1688_H133641_L
Il campanello di casa ronza alle sei e mezza di mattina. Luca abbandona a fatica il calore corporeo di sua moglie. Scivola nella vestaglia da camera di pile, preda da me conquistata al mercatino, rietichettata “Armani” e regalatagli per nuova al suo compleanno. Apre la porta, trova Ario col vestito del matrimonio. Si guardano per qualche istante. Luca torna dentro e Ario lo segue.

«Vuoi un caffè?» sbadiglia Luca.
«Cappuccino, poca schiuma» fa Ario, stravaccandosi sul divano «con lo Zymil, o non garantirò l’agibilità del cesso. Poi torta, biscotti, quello che hai»
«Non ho manco lo Zymil»
«Meglio, mi sturo. Poca schiuma o l’effetto moltiplica in proporzione, tiro scorreggie che lancio le ciabatte»
La moka va.

«Nel frattempo spiegami perché ti sei messo il vestito del matrimonio» fa Luca, grattandosi la barba «e perché dobbiamo fare ‘sta sceneggiata a casa mia»
«Vuoi che riceviamo i padrini in tuta dell’Asics nel mio appartamento a Marghera, magari con mia moglie che russa? Non farmi il provinciale. Anzi, vestiti, qui faccio io. Mi raccomando, completo»
«È domenica, bestia. Domenica il completo lo mettono solo i contadini»
«Fai come ti dico o sveglio tua moglie con una sborrata in fronte chiamandola Simba»

Luca, padrone a casa sua, non cede e indossa pantalone, camicia, cravatta e maglioncino fighetto mentre Ario sorbisce il caffè macchiato. Lo abbandona per andare in bagno. Luca fa il primo sorso di caffè quando alle sue spalle esplode un urlo femminile e una porta che sbatte.

«Amore, che succede?» fa Luca.
«SUCCEDE CHE C’È ARIO VESTITO DA SPOSO SEDUTO SUL CESSO DI CASA NOSTRA CHE PIPPA COCAINA SU FAMIGLIA CRISTIANA ALLE CINQUE DI MATTINA, LUCA, ECCO COSA SUCCEDE»
«Cos…?» sbianca Luca «cosa fa?!»
«E basta urlare, porca madonna, non mi viene se gridate!» bercia Ario dal bagno.
«HA BESTEMMIATO!» grida la moglie.
«Ma por… Ario, mia moglie è cattolica!»
«Lesbica?» tenta Ario.
«CATTOLICA, NO LESBICA!»
«E cosa me ne frega? Sto facendo un pippotto, mica una messa negra»
«Amore… tesoro, scusalo …» flauta Luca alla porta sbarrata della camera da letto.
«COSA CI FA QUELL’ANIMALE IN CASA NOSTRA?!»
«E-eh… ti avrei spiegato, ma…»
Il campanello suona.

«ODDIO LA POLIZIA» grida la moglie di Luca.
«CAZZO I VISCONTI» sbotta Ario, spalancando la porta con le braghe abbassate, il naso sporco di bianco, una nube di tanfo mefistofelico e un wc glassato di merda da cui spunta la pagina “i nostri bambini e il catechismo”: «PULISCO DOPO, VIA, VIA, APRI AI VISCONTI»

«Luca, dimmi subito chi è alla porta o telefono a mia madre!» urla la moglie.
«N-non è la polizia»
«Chi è?» fa Ario al campanello, sempre in mutande.
«Siamo i paggi del Visconte» rispondono.

«SONO I GAGGI DEL VISCONTE BUCCHINO» strilla Ario «DI A SIMBA DI TACERE E CORRI QUA, RAPIDO!»
«Simb… tesoro, ascolta, non arrabbiarti» fa Luca, appoggiato alla porta «adesso resta lì, poi ti spiego»
«Devo andare in bagno, è libero?» domanda lei.
«LUCA DIOCANE COME SI APRE IL PORTONE?»
«HA BESTEMMIATO ANCORA!»
«I-il bagno…» suda Luca, osservando l’orrore davanti a sé «il bagno…»
«MADONNA PUTTANA DEI SETTE PUGNALI, LUCA, COME SI APRE IL PORTONE?»
«AAAH!»

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Luca.

 

Uno è sulla sessantina, capelli grigi, aria poco sveglia, mediamente elegante. L’altro è sulla ventina e potrebbe essere il nipote. Capelli con la riga in parte, maglione girocollo con camicia bianca, brufoli. Ha sottomano un pacco lungo avvolto in una stoffa verde militare. In casa l’odore è nauseante.

«Scusate, ho qualche problema con le tubature» fa Luca.
Ario tira su col naso.

Si accomodano in salotto. Rifiutano il caffè, gradiscono un bicchiere d’acqua. Dopo convenevoli minimi il pacco viene aperto e vengono mostrate due sciabole. La lunghezza è di circa un metro, lucide, con quella roba che ti ripara la mano. Somigliano vagamente a quelle dei pirati.

«Valutate e scegliete» dice il padrino giovane «è un vostro diritto. Come sapete, dovrete averne massima cura fino a domattina, o quando decideremo il duello avrà luogo. Poi le ispezioneremo insieme in presenza dei visconti»

Ario ne prende una. Tocca la lama.
«Che sboro, taglia» dice.
«Sono state fatte affilare dal Sabbadin, il miglior arrotino di Venezia, che serve la famiglia Poldin da molte generazioni. Le ricordo, tuttavia, che la lama va toccata il meno possibile affinché non si ossidi. Sono sciabole costruite con tutti i dettami d’epoca»
«Uhm… questa?» fa Ario, porgendola a Luca.

Luca è sudato. Forse tutto non era sembrato vero fino a quel momento. Forse sembrava solo un bello scherzo, o una farsa patetica di un trentenne in crisi d’identità. È incredibile come la sola presenza di un’arma sia in grado di cambiare l’intera percezione di una situazione. Forse in noi è radicato qualcosa a livello inconscio che suona pericolo ogni volta che vediamo lame oltre una certa dimensione, pur non avendone mai visto gli effetti nella realtà. Forse è solo abitudine a vedere strade di cemento, giacche di ecopelle, bicchieri di plastica e pensieri in cristalli liquidi, ma c’è qualcosa di poderoso nei materiali grezzi. Terra, cuoio, pietra, ferro, legno, hanno un alone di crudeltà e bellezza che non siamo più abituati a vedere. Atza è davvero disposto ad affrontare un uomo adulto che tenta d’infilargli quello spiedo in pancia? È davvero tanto coglione?

«Direi che va bene» mormora.
«Ottimo. Dunque, secondo tradizione, il duello deve svolgersi all’alba, naturalmente in un luogo isolato e distante da sguardi indiscreti» fa il vecchio.
«Zero pare, sono il Re della zona industriale» gongola Ario «vi porto dietro la Italchem, abbandonata da anni, il cortile puzza che è una cacatoio ma di lì non passa neanche la polizia, all’alba i travoperuviani hanno sgombrato, tutto nostro»
I due paggi ridacchiano.

«Che c’è?» fa Ario.
«Bè, sebbene l’opzione da lei proposta sia valida, a livello di estetica converrebbe più un paesaggio… naturale. Esteticamente gradevole e rilassante»
«Perché?» domanda Ario.
«Bè, perché…» sorride l’anziano, guardando il più giovane.

«Perché se va male è un bel posto per morire» sussurra Luca, sedendosi.
«…ecco» allarga le mani, compito, il vecchio.
Silenzio.

 

 

«MADONNA SANTA, MA… CHE SCHIFO È?!» urla la voce della moglie di Luca «MA S’È PULITO IL CULO CON FAMIGLIA CRISTIANA?! LUCA, È ANCORA… QUESTA È DROGA?! LUCA, QUESTA È DROGA!»

Al tavolo nessuno muove un muscolo.

«Tranqui raga, è borotalco» sdrammatizza Ario, sistemandosi il naso «quindi parco della Bissola?»
«Noi pensavamo più a XXXXXXXXXXXXXX, dietro la villa. All’alba non c’è nessuno e l’atmosfera è perfetta. In alternativa c’è il giardino del visconte Poldin, ma non sarebbe corretto dal punto di vista psicologico»
«Dietro la villa va benissimo» fa Luca, guardandosi alle spalle e temendo l’apparizione della moglie.
«Allora siamo d’accordo» dicono i paggi, alzandosi.
«Una cosa» fa Ario «Atza è uno che, insomma, metal, quelle menate lì, vuole farla alla celtica»
«Alla celtica?» domanda il vecchio.
«Alla celtica?» domanda Luca.
«Sì, niente di diverso, solo che prima in segno di rispetto guerriero e tutte quelle merdate i due sfighi bevono da dei calici vecchi tipo ferraglia goth, credo sia per venerare il loro Dio del metal zombie»
«Alcolici?» sgrana gli occhi il vecchio.
«No, macchè, acqua, porto la bottiglietta di Ferrarelle»
«Ah, allora non c’è problema. Ci vedremo domattina al sorgere del sole a XXXXXXXXXXXXXXXX, dunque»
«Sette e mezza» taglia corto il ragazzo «noi portiamo il medico, il dottor Fortunelli. Voi?»
«Stiamo provvedendo»
«Avete il secondo?»
«Certo, è un uomo di grande esperienza»
«Molto bene. Riguardo al testimone…?»
«Ce l’ho io»
«D’accordo, allora. Arrivederci»
Escono, compìti come sono entrati.

Nel salotto il silenzio pesa. Luca si siede sul divano e si accende una sigaretta. Ario giocherella con la sciabola sul tavolo.

«Forti, i gaggi» dice.
«Ario» espira Luca «questi fanno sul serio»
«Hai visto il rolex? Vero, eh, no patacche»
«Ario!» latra Luca.
Lui molla la spada e lo fissa.

«Questi. Fanno. Sul serio»
Sulle labbra di Ario si dipinge un sogghigno.

(continua e finisce lunedì mattina)