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1904 – La maratona del degrado

Saint Louis, Missouri
12 agosto 1904

Sulla veranda, un uomo mangia una mela e coccola Oreste, il suo cane. Ci sono 28° all’ombra, umidità oltre il 90% e non tira un filo di vento. La campagna è quieta e immobile. I cavalli di passaggio sono sporadici. Non si muove niente, nel caldo agosto del Missouri. Oreste boccheggia sul pavimento, accetta il grattino del padrone, drizza le orecchie.
Anche l’uomo sente qualcosa.
rrrrr
Si sporge sulla poltrona.
Il suono cresce.
RRRRRRR
«Lo senti anche tu, mio piccolo Or

Automobili a tavoletta. Uomini in mutande corrono, un tizio accovacciato nel prato caga urlando in irlandese, spari, un francese passa piangendo e dicendo di essere il vero padre della bambina, uno nudo a bordo di un’automobile agita il cappello, sviene vomitando contro il cielo, due guerriglieri sudafricani scalzi fuggono guardandosi indietro, operai greci nei campi, un cadavere, un muratore scappa inseguito da due uomini che agitano una siringa, un cubano in canottiera arriva sulla veranda, gli strappa la mela di mano, fugge.

 

 

 

 

 

 

 

Stadio di Saint Louis
Un’ora prima

Al signor James Sullivan avevano detto che per organizzare la terza edizione delle olimpiadi servivano soldi, ma lui non li aveva ascoltati. Sfrutta i suoi contatti nell’ambiente sportivo e accademico, scrive a tutto il mondo di venire a gareggiare lì a spese proprie, noleggia lo stadio dell’università e attende le lettere di conferma.

«Che arriveranno a pioggia, ragazzo, non temere» dice al suo assistente.
Rispondono in 600, di cui 574 americani.

«Vabbè, capo, chiamiamola sagra della brugola.»
«Assolutamente no. Almeno il pubblico sarà numeroso.»

Inaugura l’olimpiade il presidente degli Stati Uniti, no, il vicepresidente degli Stati Uniti, no, il segretario, no, la nipote del presidente degli Stati Uniti. A quanto pare nessuno, in America, sa o è interessato ad assistere alle olimpiadi. Sullivan deve trovare qualcosa che attragga la plebe e, oggi come cent’anni fa, alla gente piace il circo. Sullivan quindi organizza le giornate antropologiche.

«Cioè facciamo i provini per il Grande fratello?» fa l’assistente.
«Ma no.»

Durante queste giornate, un branco di pigmei prelevati con la forza tentano di salire il palo della cuccagna, ma scivolano e si fanno male.

Poi sioux vestiti da imbecilli provano a scagliare frecce con archi giocattolo. Un arco gli si rompe in faccia e tutti ridono. Poi gare di bellezza tra negri e filippini, donne indiane contorsioniste seminude. Sullivan legge sui giornali resoconti dei giornalisti scandalizzati, col tono in stile “io sono razzista, ma questa cosa è troppo razzista”.

Quando i suoi sottoposti pagati a ciaccole annunciano a Sully che le nazionali di nuoto sono pronte a gareggiare ma non trovano la piscina, lui indica lo stagno dove normalmente i mandriani lavavano le vacche.

Fatalità tutti i nuotatori si ammalano di tifo, e quattro trapassano.
Dettagli.

Sullivan vuole inserire il polo a ogni costo. Un match di polo è eleganza, brutalità, velocità: in una parola, maestosità. È per questo che viene chiamato lo sport dei re. Vederlo dal vivo è uno spettacolo unico, ma a tre giorni dall’inizio delle olimpiadi, salta fuori che far venire da tutto il mondo giocatori, cavalli, scudieri, medici, veterinari e arbitri costa come 154 olimpiadi, e loro si guardano bene dal venire di tasca propria.

«…quindi rinunciamo al polo» dice l’assistente.
«Nononono, basta tagliare il superfluo.»
«Tipo?»

 

«I cavalli.»

 


«Visto, ragazzo? Basta un po’ d’inventiva» gongola Sullivan.
«Sì, e per magia gli spalti vuoti sono quasi confortevoli, no?»
«Silenzio.»

Segue il tiro al piccione elevato a disciplina olimpionica, l’handicappato con la gamba di legno che vince sei medaglie stracciando quelli integri, o mille altri tripudi di ritardo mentale che meriterebbero una trilogia, soprattutto visto che le olimpiadi durano mesi. Ma il fiore all’occhiello, la ciliegina sulla torta, il momento più importante, per Sullivan, è la maratona.

Pianificata da un uomo mentalmente disturbato, in questa edizione gli atleti dovranno fare cinque giri di stadio, uscire in strada, percorrere quarantadue chilometri su sterrato tra macchine, passanti, biciclette, 28° all’ombra e con uniche fonti d’acqua a 6 miglia (cisterna piovana) e 20 miglia (pozzo di acqua avvelenata). Questa è la scansione di una mappa che viene consegnata ai partecipanti.


Ma siccome la maratona deve essere internazionale, per ovviare alla scarsità di atleti Sullivan arruola la peggio plebaglia, purché di origini estere. Quindi operai, immigrati, clandestini, banditi, tutto fa brodo, anche se armati o inseguiti dalle forze dell’ordine.
È come se oggi qualcuno prelevasse gente a caso da campi rom, parchi, vicoli, stazioni e galere, per poi metterli sulla linea di partenza di giochi senza frontiere.

Ecco la linea di partenza.


 

Buona parte di costoro non ha mai corso e, dopo questa maratona, non correrà mai più. Prima che la pistola dell’arbitro scriva il più buio capitolo nella storia dello sport, però, vale la pena presentarli. Ognuno meriterebbe un romanzo (di alcuni esiste già) ma sono costretto a riassumere.

 

20 – Thomas Hicks

Un metalmeccanico di Cambridge. Gli piace correre, condurre uno stile di vita sano ed è astemio. Un giorno viene notato da un allenatore coperto di debiti e braccato dagli strozzini, tale Ernie Hjertberg. Ernie decide che quell’omino è l’occasione per rifarsi una vita. Si offre di allenarlo per la maratona. Thomas accetta a una condizione: «Niente schifezze né aiutini, chiaro?»
La vita, si sa, riserva sorprese.

 

 

31 – Frederick Lorz

Frederik si allena di notte, dato che di giorno fa il muratore dopo che il college l’ha espulso per rissa, furto, furto aggravato, contraffazione e qualche molestia. Dato come favorito, la notte prima si sbronza a merda e si presenta allo stadio in stato confusionale chiamando a gran voce tale Nausicaa. Il suo allenatore tenta di rianimarlo con acqua fredda e ceffoni, ma Frederick si piscia addosso in centro pista e sviene. L’allenatore ha puntato tutto su questo inaudito campione, dovrà quindi inventare una soluzione per farlo vincere. Ma quale?

 

39 – Sidney Hatch

Sidney vive con la madre che è la sua unica genitrice, tutrice, allenatrice, levatrice e il cerchio si stringe verso meretrice. Distrutto dall’attività sessuale contronatura, Sidney gareggia nei campionati amatoriali per fuggire dal buco che dopo averlo espulso lo rivuole. Fortemente motivato al suicidio o alla più classica carriera da psicopatico alcolista, per Sidney questa gara vuol dire molto. Sarà l’unica a cui parteciperà in tutta la vita.

 

Canotta nera – John Lordan


Irlandese immigrato negli USA, queste olimpiadi gli varranno un monumento nella sua città natale, a Bandon. Maratoneta professionista, anche lui di giorno lavora come idraulico e di notte si allena. Nel 1904 è malato, ma si presenta lo stesso sulla linea di partenza. Ha così tanta febbre che si dimentica di indossare il numero. Quando gli domandano se è pronto a gareggiare, lui risponde “Valahalla”.

 

3 – Felix “Andarin” Carvajal

Un postino cubano mai ammesso nella squadra olimpionica, si guadagna i soldi per il viaggio Cuba/USA facendo prove di corsa all’Avana o elemosinando. Sbarca a New Orleans, dove sprofonda in 12 ore di alcool, puttane e gioco d’azzardo. Si sveglia vestito da pirata in una bisca clandestina, e con solo i vestiti che ha addosso fa l’autostop cercando di imparare qualche parola d’inglese. Giunge allo stadio come lo vedete qui sopra, camicia a la Jack Sparrow, pantalone lungo di tweed, stivaletti da passeggio e basco siciliano “per onorare le sue origini italiane”. Un altro atleta, Martin Sheridan, si impietosisce e trova un paio di forbici per accorciargli le braghe. Quando gli chiedono se pensa di correre col cappello, lui risponde “què?”.
Non mangia da 72 ore.

 

6 – Dimetrios Velouis & company
Non esistono altre foto oltre a quella della partenza. Demetrios era uno dei nove operai greci messi lì appositamente per dare un senso di legittimità (olimpiade = Grecia). Dopo lungo cercare, sono riuscito a trovare l’unico elenco in Internet che ne contiene i nomi, dato che di molti non si sa nulla. Alcuni di loro non furono mai più visti. Nel senso che non giunsero mai al traguardo.

 

7 – Albert Corey

Parigi, 1903
«È bello, scopare» sospira Albert, crollando esausto.
«Oh, Albert… penso di essere incinta.»
«È bello, viaggiare» dichiara Albert alla dogana.
Arrivato negli USA, per un anno vive di espedienti per le strade, finché durante uno sciopero entra in una macelleria industriale per rubare, il capo lo scambia per un crumiro e lo mette subito al lavoro. I macellai lo braccano per ucciderlo, Albert fugge e arriva allo stadio di saint Louis.
«Lei è un atleta?»
«Qu’est-ce que vous avez dit?»
«RAGHE ABBIAMO UN FRANCESE»
«BOMBA, DATEGLI IL NUMERO 7»

 

9 – Frank Pierce
È un adolescente pellerossa dal coltello facile. Originario di Boston, appassionato consumatore di gin, famoso per rimorchiare le prostitute con la frase “ho un pene e un coltello, uno dei due ti entra dentro stasera”. Viene raccattato come comparsa per dare un tono internazionale alla maratona, lui accetta in cambio di uno sfoltimento della sua ragguardevole fedina penale che, comunque, non avverrà. Non esistono sue fotografie perché secondo Frank rubavano l’anima.

 

10 – Samuel Mellor
Atleta professionista, questa sarà l’unica maratona che non finirà.
Vedremo poi come e perché.

 

11 – Edward Carr
Trombettista di un’orchestrina jazz di Baton Rouge. Dopo aver scoperto sua moglie a letto col contrabbassista, fredda entrambi a revolverate e fugge, vagando in stato confusionale. Giunge allo stadio di saint Louis con ancora la pistola dietro, un colpo solo a disposizione e i fantasmi che lo tormentano. Gli chiedono se vuole correre, lui risponde “l’amavo” e vale per il sì. Edward vive la vita un quarto di miglio alla volta.


12 – Arthur Newton

Altro atleta professionista, abbandonerà la gara dichiarando che “qualunque persona sana di mente l’avrebbe fatto”. Un pavido di cui non mi occuperò.

 

35 e 36 – Jan Mashiani e Len Taunyane

Len Taunyane ha una vita da leggenda. Sudafricano, veterano della seconda guerra boera, venne fatto prigioniero, torturato e poi liberato. Dal sudafrica viene deportato negli USA per fare una recita dove reinterpreta la guerra assieme ad altri compatrioti per la gioia del pubblico. Appena scopre della maratona evade, tirandosi dietro il suo migliore amico, Jan Mashiani. Finisce allo stadio, si spaccia per maratoneta e gli credono. I due hanno ancora i costumi da soldati e un solo paio di scarpe. Jan le dona a Len perché lui si trova meglio a correre scalzo.

Gli uomini si sistemano sulla linea. Si voltano verso l’uomo con la pistola. Frank Pierce sguaina la lama e lo minaccia: «Giù il ferro, vecchio bastardo.»
«Allora, signori, avete tutti la mappa?» dice l’arbitro.
«Què?»
«Was?»
«VEDO GLI ANGELI CHIAMARMI A LORO»
«Que dit-il?»
«Katherine… mi dispiace…»
«Jan, smetti di mangiare la carta magica dell’uomo bianco.»
«Partiamo, cazzo, ho paura mia madre mi trovi, dai.»

Gli arbitri guardano Sullivan, Sullivan guarda i giornalisti, i giornalisti guardano i maratoneti. L’arbitro riprova: «Avete almeno capito le regole, ve-
«Oh, Tom!» urla un allenatore «ti va un goccetto?! Aiuta!»
Tom guarda storto l’allenatore e fa il gesto di no.
«Demetrios, credo il tizio con la pistola intenda che il muro dobbiamo tirarlo su lì.»
«Chicos, alguien tiene algo para comer?»
«AO RAGA IERI SERA BORDELLO, MA POI VOI CHI CAZZO SIETE?»

Sullivan ha gli occhi lucidi e il labbro tremulo, poi allarga le braccia e si gira dall’altra parte. L’arbitro guarda gli uomini: «Dio abbia pietà della vostra anima.»

Spara.
Sono le 15.03.

0.5° miglio
Fred Lorz lancia un urlo belluino, allarga le braccia e scatta in avanti perché convinto sia la prova dei 400 metri.
Frank l’indiano sguaina il coltello e si getta sull’arbitro per assassinarlo, ma nota la polizia e riprende a correre guardingo.
Gli altri partono quieti.

 

1° miglio
Lorz galoppa fuori dallo stadio ripetendosi che tra poco è finita. C’è un rombo, ed è il suono di decine di automobili guidate da allenatori, giudici e giornalisti che partono al suo inseguimento lasciandosi dietro una nube di smog, polvere e morte dentro cui si ficcano tutti gli altri maratoneti. Non si vede niente, respirare è impossibile. Lorz rallenta.
Tom il salutista lo sorpassa guadagnando la prima posizione, inseguito dall’allenatore che lo incita col megafono.
Jan Mashiani entra in un campo di pannocchie ove viene inopportunamente arrotato da una mietitrebbiatrice, ne esce ridotto a covone di fieno ambulante e riprende la gara (qui una ricostruzione dell’accaduto).

 

2° miglio
Albert procede lento e costante: è bello, correre.
Tom il salutista si ferma a prendere fiato e mangiare pesche offerte dal suo allenatore.
Felix Carvajal passa, chiede se può mangiarne anche lui. Lo scacciano in malo modo, Felix ne ruba due e scappa mangiandole in corsa. Le automobili continuano a sollevare un polverone della madonna, tanto che alcuni operai greci, spossati e incapaci di respirare, sbagliano strada e disertano.

 

3° miglio
William Garcia è a bordo strada disteso in una pozza di vomito e sangue. Ma siccome nessuno sa che partecipava, lo scambiano per un comune cadavere e lo lasciano lì.
Len Tau studia la pergamena magica dell’uomo bianco senza capirne una madonna e imbocca il quartiere sbagliato. Ne esce inseguito da una posse contada con forconi e fucili. Aumenta sensibilmente l’andatura.
Demetrios vede Len in difficoltà e gli fa cenno di seguirlo. Quando i grezzi vedono la scena deducono il bianco sia il padrone e desistono.

 

4° miglio
Albert guadagna terreno. È bello, guadagnare terreno.
Edward sparatromba gli è a fianco, incerto se sparargli o spararsi. Gli grida qualcosa in inglese, Albert risponde in francese, dal campo emerge un covone di fieno con le gambe che grida in africano. Tutti, comunque, tossiscono troppo per comprendere le loro stesse parole.
Samuel Mellor e Arthur Newton conducono.
Lordan malatino è fermo contro un albero.

Fred Lorz quasi in ultima posizione si distende, chiude gli occhi ed erutta in un geyser di vomito che lo glassa. Alleggerito, riprende a correre emanando afrori di morte.

 

7° miglio
William Garcia è sempre a bordo strada. Viene percosso da una vecchia contadina con un nodoso randello. Appurato il reale malessere, la vegliarda avvisa i soccorsi. Lo ricoverano in fin di vita e scoprono che aveva mangiato così tanta polvere e smog che gli si era polverizzato l’esofago.
Albert è in preda ai deliri della disidratazione, ferma una coppia e dice di voler vedere suo figlio e di volere tornare in Francia.
Tom il salutista vuole andare a casa, ma il suo allenatore lo pungola sgommandogli terriccio in faccia. Non funziona. Tom arretra, ma l’allenatore gli dice di avere quello che fa al caso suo.
Lordan viene ospedalizzato.

 

9° miglio
Edward Sparatromba vede un’auto della polizia, entra in paranoia perché è convinto cerchino lui, spara verso di loro e fugge nella foresta. Nessuno lo rivedrà mai più.
Fred Lorz si toglie i vestiti lerci di vomito e fa per rinunciare, ma viene raccolto dalla macchina del suo allenatore, su cui sale nudo. Partono a tavoletta verso lo stadio. Nel tragitto si sbronzano superando i concorrenti.

 

10° miglio
Tom il salutista è ormai allo stremo. Supplica per avere dell’acqua, ma l’allenatore si rifiuta “perché ti fa male”. Gli da’ quindi una pastiglia di stricnina e un albume. Tom smette di alzare obiezioni e inizia a biascicare parole senza senso.
Frank Coltellofacile si ferma a rapinare una coppietta e viene prematuramente blindato.

 

11° miglio
Felix Carvajal vede un praticello fiorito e decide di farsi un pisolino.
Samuel Mellor ha respirato così tanto smog che ha allucinazioni, tossisce sangue e cade in ginocchio, venendo subito investito da una bicicletta. Si ritira, lasciando la prima posizione ad Arthur Newton.
Sidney Trombamamma raggiunge la cisterna d’acqua piovana, si idrata e guadagna terreno.

 

13° miglio
Felix Carvajal si sveglia, scopre di essersi appisolato sotto un albero di mele, ormai ha preso la mano e ruba pure quelle. Purtroppo sono acerbe, ne mangia a mostro e siccome ha tutto il sangue nelle gambe, fa indigestione. Viene assalito da drammatici attacchi di diarrea che espleta nei cortili delle case.
Len Senzascarpe si porta in seconda posizione dietro Tom il salutista, ma dalla selva emerge un molosso che lo insegue famelico. Per salvarsi dalle fauci del mostro si rifugia in una frazione di saint Louis il cui cartello recita questo.

Dev’essere quindi stato bellissimo, per gli abitanti, vedere entrare di corsa un negro e un cane. Parliamoci chiaro: solo questa è una storia eccezionale. Un guerrigliero sudafricano, negro nell’America del 1904, evade e finisce in una maratona tra gente che non parla la sua lingua. Perde il suo migliore amico e, inseguito da un cane idrofobo, irrompe in un matrimonio del KKK. Dopo azione frenetica e sparatorie, Len convertirà la cuginetta al cazzo estero, raderà al suolo il villaggio e farà amicizia col cane. Perché dobbiamo avere Moonlight se hai già la versione ottocentesca di Rambo TRATTA DA UNA STORIA VERA!? Lo chiami Mugrambo e hai l’Oscar in tasca.

Tempo fa l’ho proposto come soggetto a una casa editrice, ma hanno detto che vogliono qualcosa di intimista. Mi dispiace, Len.

 

19° miglio
Tom salutista è in vista del momento supremo. Ha gli occhi opachi, respira col fischio, cammina legnoso. Gli viene quindi somministrata altra stricnina, tre albumi e un bicchierone di brandy. Non ho mai provato a bere una pinta di Vecchia romagna e fare jogging sotto il sole d’agosto, ma sospetto non sia un’idea vincente. Hicks diventa “pale grey” ed entra in stato precomatoso. L’allenatore sente il fiato degli strozzini sul collo e si mette a tenerlo in piedi lui.

Fred Lorz è in testa quando la macchina sbanda contro un albero e il guidatore perisce tra le fiamme. Fred ne abbandona i resti e trotta verso lo stadio, sorpassando Tom, l’uomo che non voleva il doping ed è finito sbronzo pieno di veleno per topi.

 

Arrivo
Fred Lorz taglia il traguardo fresco come una rosa tra le ovazioni del pubblico. La nipote del presidente sta per consegnargli la medaglia quando qualcuno mostra il volante liquefatto e fa notare che questa è la maratona, non il grand Prix. Fred dice che in effetti sì, ma era tutto uno scherzo. Gli arbitri non hanno il senso dell’umorismo e lo squalificano a vita. Lo stadio è percorso da un’esplosione di urla all’ingresso di Tom il salutista.

Fa il suo ingresso sospinto dall’allenatore a braccia, perché è ormai dopato come un cavallo e incapace di capire chi è, dov’è, o cosa sta facendo. Con un’ultima spinta, vince la maratona.

 

Dopo di lui arriva Albert (è bello, arrivare secondi), terzo il pavido Newman e quarto il postino cubano dissenterico. A Tom faranno fare il giro dello stadio in barella, e la foto di rito sulla macchina che lo condurrà all’ospedale.

Poi basta.

Quando ormai gli spalti sono vuoti e non c’è più un arbitro che tiene il tempo, arrivano alla spicciolata gli altri.

Non c’erano soldi per le coppe, così vennero fatte delle medaglie poi consegnate per posta, spesso a indirizzi inesistenti. Oggi sono andate perdute o stanno nei musei, dato che valgono somme mostruose.

Una replica fatta da schifo, su eBay sta a 850$.

La vera trama di 50 sfumature di grigio 2

È un giorno qualsiasi, nella vita di Anastasia Steele.
Cammina per strada con aria contrita, entra in ufficio con aria imbarazzata, parla a sussurri, guarda il mondo come un gatto guarda il decollo di un’astronave. Lavora in una casa editrice con ruolo di fermaporta. Un giorno va a una mostra d’arte di un suo amico, dove fatalità ci sono dei suoi ritratti con aria contrita. Anastasia si vergogna, non vuole. L’amico viene a sapere che quei ritratti sono appena stati acquistati da un milionario e lei ne è ancora più imbarazzata.

«Chi li ha comprati?» domanda.
«Io. Sono ricco» risponde Christian Gray, sbucando da un angolo.
«Oh, Christian» dice Anastasia «devi dimenticarmi. Hai superato il limite.»
«Ceniamo.»
«Ok.»

Al ristorante scopriamo che Christian Gray è affetto da una rara patologia per cui deve far presente il suo reddito ogni sedici secondi. Questo complica la comunicazione, perché da un lato Anastasia ha la stessa gamma di emozioni di Daitarn III, dall’altro abbiamo un uomo a cui hanno dato come dialoghi dei titoli di mensili di lifestyle anni ‘90.

«Christian, non abbiamo niente da dirci» dice Anastasia.
«Il polo: uno sport dimenticato.»
«A te piace farlo violento, a me invece piace il sesso raffinato, elegante.»
«Lo smoking si reinventa.»
«Mi stai… mi stai invitando a casa tua?»
«Lo yacht, filosofia di vita.»
«Christian, non dobbiamo! È sbagliato!»
«I migliori elicotteri del 2017.»
Scopano.

La prima scena di sesso consiste in inquadrature di deltoidi, bicipiti, mani che si stringono e lui che le mangia la passera. La colonna sonora pop-hop aumenta il disagio, essendo il genere musicale tipico dei cartoni animati per preadolescenti. Solo che invece della volpe coraggiosa nel bosco incantato c’è una tizia inespressiva che si fa sbaffare il grilletto dal fratello autistico di Tony Stark.

È come guardare il porno amatoriale di Paperone.

 

 

Il mattino dopo, Anastasia è contrita. Va al lavoro e invece di fermare le porte continua a mandarsi SMS con Christian, il quale è nel bel mezzo di una riunione e risponde con la sua solita carica erotica.

«Ci vedremo ancora?» domanda lei.
«I bottoni d’oro del blazer, un segno di distinzione senza età.»
«Siamo dei pazzi. Ma ti voglio ancora.»
«Il golf nel mondo.»

Quando si rivedono, Christian spiega ad Anastasia che lui ha subito delle violenze da piccolo, argomento che viene affrontato con la stessa profondità di un cinepanettone. I traumi hanno causato a Christian un buffo riflesso mentale per cui se qualcuno gli tocca pettorali o addominali, lui viene colto da mostruosi attacchi di dissenteria e caca senza controllo. Anastasia sussurra qualcosa di assolutamente irrilevante che porta Christian a dire una frase importante: «L’eleganza della pelle italiana.»
«Va bene, ma questa volta facciamo qualcosa di più spinto» dice lei.

Christian le tira due sculaccioni e le mangia la passera così.

Il mattino dopo, Anastasia è contrita. Dice che il suo capo non la apprezza. Christian quindi acquista l’azienda che gestisce l’azienda che gestisce la casa editrice dove lavora lei. È per questo che le donne hanno lottato: ottenere qualsiasi cosa non perché lavorano o perché si impegnano, ma perché scopano l’uomo giusto. E l’uomo giusto è ricco. Infatti quando Christian le regala smartphone e macchina lei non fa nemmeno il gesto di rifiutare.

«Ah grazie» dice lei con un accenno di sorriso «cosa facciamo stasera?»
«L’etica dell’estetica, a cura del barone Von Kauffman.»
«Stiamo andando a una festa alla Eyes wide shut? Davvero?»
«Il carattere dell’X5, il jet per eccellenza.»
«Vuoi mettermi delle palline cinesi in berta? Sei pazzo.»
«Rolex, tra passato e presente.»
«Ah certo, bellissimo, ora facciamolo violento, sottomettimi.»

Questa volta la sottomissione di Anastasia è estrema: Christian le tiene le gambe aperte con un bastone e le mangia la passera, ma con atteggiamento molto dominante. Il mattino dopo la festa più imbarazzante dai tempi del mio esame di maturità, Anastasia si sveglia in un attico/villa/yacht/astronave madre e non sa cosa pensare. Lo ama? La ama? Gli manda un SMS.

«Christian, dimmi la verità: cosa sono, per te?»
«Lo scamosciato, per un uomo di carattere.»

Il capo di Anastasia scopre di essere appena diventato dipendente dell’amante di lei, e fa quello che farebbe chiunque: prova a stuprarla. Non c’è momento migliore. Tra le scelte intelligenti si colloca giusto tra provare a disinnescare una bomba a martellate e fare il bagno nei fanghi radioattivi. Uno stupratore sceglie sempre di stuprare una donna nel momento in cui è più blindata. Si piglia un calcio nelle palle e sviene. Anastasia riferisce a Christian che lo licenzia. Il conflitto con l’antagonista termina con questa difficoltà.

 

«Oh, Christian, mi hai salvata!» dice Anastasia.
«Come prendersi cura della propria Bugatti Atlantic, pg.102.»

Dopo questa cavalleresca scena, Christian fa un bilancio: lui è un palestrato bellissimo che fattura 24,000 dollari ogni quarto d’ora, ha uno yacht, ville con piscina, azioni in borsa, un numero incalcolabile di aziende e gira in elicottero. Anastasia respira, ha la vagina ed è indecisa: è quindi la donna dei sogni di tutti gli uomini dell’alta società. Christian le chiede di sposarlo.

«Non lo so, sono indecisa. Potrei avere di meglio, dopotutto sono una nullità.»
«Tennis, uno sport da gentiluomini.»
«Lo so che mi ami, ma hai ancora il trauma della dissenteria. Non sei perfetto. Ricordati, io rappresento il riscatto sociale di milioni di zitelle che a furia di standard fantascientifici oggi dormono con trenta gatti e quattro antidepressivi diversi.»
«Il Philippe-Patek, un classico intramontabile.»
«Come può esserti passata? È l’amore che provi per me?»
«Gli alberghi sette stelle nel mondo e i loro designer.»
«Ma tu sei un sadico! Ti piace fare del male!»

Le mangia la passera, la porta al castello tra mille e mille fuochi artificiali, organizza un banchetto da 7834893487348734 invitati tra cui Obama, Ghandi, Temistocle, Grace Kelly e l’imperatore Marco Aurelio, la conduce in una piscina sotterranea, mostra un anello che costa come la Morte nera e le chiede di sposarlo. Anastasia dice di sì.

Sostanzialmente, l’uomo ideale per E.L.James è Rin tin tin.

 

La vera trama di Arrival

 

Buio. Archi strazianti, depressione e malinconia. GNAAAAAAA UOOOOO. È sera, il cielo nuvoloso, il mare freddo. Una tavola apparecchiata e vuota. Una casa vuota. Tristezza. Una bocca bacia una manina. Sagome in controluce. Un neonato sfocato. Macchie scure sfocate. Vagiti. Dettaglio di una fede stranamente a fuoco ma subito sfocata. Madre e figlia giocano, dettagli sfocatissimi. Sussurri biascicatih, ti voglio bbeneh PREEEEEEEEEEEE RAAAAAAA. Corridoio di un ospedale. Lagrime. Sussurrih. Primissimi piani di gente mai vista, movimenti di camera a caso, desolazione.

Fine del prologo.

 

Un buon inizio, mio signore.

 

La bionda professoressa F4 Basita inizia la sua lezione di linguistica all’università. Pioggia di SMS tra gli alunni, qualcuno domanda di accendere la TV, sono arrivati gli alieni. F4 torna a casa. Nel tragitto sentiamo passare jet, elicotteri, urla di disordini, carriarmati, ma vediamo solo lei che discute al cellulare con sua madre di bufale su Facebook. È tipo La guerra dei mondi, quando hai città distrutte da tripodi alti trenta metri ma tu reputi più interessante le turbe psichiche della figlia di un portuale.

Il giorno dopo si presenta un tizio in felpa, si qualifica come colonnello Negroni e le intima di tradurre una cosa. Preme play su un registratorino tascabile da cui esce questo splendido dialogo.

Chi siete? Prrrr-r-r-rt.
Da dove venite? Beuurrrp.

«Basta così» dice Negroni, spegnendo «secondo lei cos’è?»
«La gara di rutti di Cazzago di Dolo
«No. Sono gli aglieni. Cos’hanno detto?»
«Che ne so, devo parlarci, interagire.»

Segue tentennamento pietoso inutile ai fini delle narrazione e finalmente decollano. A bordo dell’elicottero conosciamo Phrogy, elemento maschile dalla personalità sfaccettata come un manichino di H&M. Giunti al campo base vediamo l’astronave, un robo a forma di cuori di mela sospeso sopra un praticello. È una bella soluzione di regia. Non solo hai l’impressione che l’alieno Mxztpl si sia aperitivato il cervello e abbia parcheggiato a sboro la starship-sharing, ma soprattutto invece di avere l’effetto drammatico di Indipendence day otteniamo l’effetto Fantozzi contro gli alieni.

Internet non la prende benissimo.

 

L’atmosfera al campo bAAAAAAAA WOOOOOOOOOse è intellettuale e malinconica. Vedo militari correre, c’è una crisi globale, abbiamo un contatto con una civiltà aliena ma io desidero solo sorseggiare tè verde biologico con curcuma e sterco d’opossum, accendere una candela di soia al profumo di nuovo Mac e parlare di Donald Trump.

F4, Phrogy e militari entrano nel biscottone, camminano sui muri e giungono a una vetrata. Appaiono due calamari giganti che muggiscono. Uno spruzza inchiostro formando una macchia da tazza di caffè. C’è il rischio il film diventi interessante, quindi si susseguono:

  • bambina sconosciuta su campo fiorito
  • bambina tocca bruco
  • riflessi di pozzanghere
  • tramonti sfocati
  • bastone che mescola acqua
  • bambina gira sasso
  • dettagli sasso
  • dettagli acqua
  • dettagli bastone

Siamo tornati al campo base.
Nella tenda ci sono computer e uomini indaffarati. Su una parete di monitor, scienziati da tutto il mondo cercano d’interpretare le macchie di caffè. Sono connessi via Skype in tempo reale e tra loro spicca il Pakistan, paese il cui motto è “scienziati & banda larga”.

Australia: «Noi stiamo provando a interpretarle al contrario.»
Inghilterra: «Noi abbiamo trovato riscontri logici stendendole su un piano.»
Germania: «Noi gli abbiamo applicato una matrice e sta funzionando»
Pakistan: «B
Francia: «Il nostro governo sta facendo pressioni, qualcuno ci da’ una mano?»
Norvegia: «Raga, qui abbiamo uno che ha trovato qualcosa d’interessante, vi mandiamo le scansioni.»
Russia: «Guardate i picchi in alto a destra del cerchio 24 e paragonateli a quelli del 74. Qualcuno riesce a vettorializzarli?»
Canada: «Russia, abbiamo fatto noi, stanno sul server.»
Pakistan: «u»

I telegiornali riferiscono che nelle città laggente spacca vetrine e crede a gobloddi. I militari, essendo tutti fascisti e stupidi, credono a queste fole e minano l’attrezzatura di Basita e Phrogy quando vanno a parlare coi calamari.
C’è un accenno di esplosione, azione, movimento, quindi subito appaiono:

  • Dettaglio sfocato treccia di bambina
  • Dettaglio occhio destro
  • Dettaglio zigomo sinistro sfocato
  • Dettaglio orecchio destro di bambina sfocato
  • Nasi sfocati si sfiorano
  • Sagome controluce
  • Macchie sfocate
  • Cielo nuvoloso

Basita si sveglia in infermeria.
Ha capito le macchie per magia: in realtà sono una scrittura che altera la percezione del tempo e permette a chi la legge di vedere il futuro. Si guarda attorno, vede il colonnello Negroni.

«Cos’è successo?» domanda.
«Ma niente, i ragazzi hanno messo una bomba.»
«Ah. Eh, succede» fa Basita, scendendo dal letto.
«Sì, manco vale la pena parlarne» dice un infermiere.
«C’è una cosa che deve tradurre per me» dice Negroni, e le fa ascoltare un’intercettazione del primo ministro cinese.

«Dice che hanno sbloccato onore, draghi e fiori» fa Basita «oh mio Dio, i cinesi stanno comunicando con gli alieni usando le tessere del mahjong!»
«AHAHAHAHAHA» ride Negroni «AHAHA IL MAHJONG COI POLIPI SPAZIALI»
«Sono seria.»
«Mi rifiuto di crederlo.»

Invece sì.


 

Quello che mi fa incazzare di Arrival è che ogni sottotrama è interessante tranne la principale. Prendete la riunione degli esperti cinesi: se il mahjong è stato eletto idea meno stupida, quali erano le altre? Io esigo due ore di riunione top secret dove un esperto suggerisce di inviare 150 drag queen, un altro canguri con le lettere dell’alfabeto e il capo di Stato vestito da Sailor moon che dice “nah ragaz, mahjong uber alles”. Oppure gli scienziati del Pakistan che cercano di stabilire una connessione usando un vecchio 386, connessione 56k e precetti del Corano.

Comunque, Basita torna dai calamari, domanda perché sono venuti sulla Terra, loro fanno la solita squirtata nera e il computer traduce donare arma.
È l’apocalisse.

«Arma! Ha detto arma! Via tutti!» urla Negroni al campo base. Tutti i paesi si disconnettono tranne il Pakistan. I russi sparano a un interprete perché boh. Le flotte girano i cannoni contro le altre. Vengono attivate tutte le testate nucleari del pianeta. Nel tendone la gente corre in cerchio urlando, fogli volano, gente grida, cani strusciano il culo per terra. Basita cerca di quietare gli animi:

«Raga, le traduzioni sono imprecise, non potete sclerare per una parola! Nessuno la dirà più. Dai. Magari il calamaro intendeva Arma
«Fate alzare in volo i bombardieri nucleari!»
«…ndo! E guarda dove vai col caffè, m’hai macchiato il maglione di Arma
«Stato di allerta massima!»
«..ni! Vabbè ne prendo un altro in arma
«Via! Via! Agli elicotteri!»
«…dio! AO BASTA FA’ GLI ISTERICI, CARMA
«Portate il presidente in un posto sicuro!»
«…TEVI! Dottore, mi aiuti, distribuisca un farma
«Scappiamo, è la guerra dei mondi!»
«…co! Ma che cazzo, ho dettocalma! Tu! Aiutami a tranquillizzare la sala!»
«Non posso!»
«Perché?»
«Sono il barma
«MORIREMO TUTTI»

Mentre il mondo si piscia addosso dalla paura, Basita scopre non si sa come che la calligrafia degli alieni, se la leggi tanto, ti insegna a prevedere il futuro e quindi di modificarlo! Nei corsi di sceneggiatura è detta tecnica Hokuto-Ken. Notate lo sceneggiatore vestito di blu mentre massacra sospensione dell’incredulità, coerenza, inventiva, soggetto originale e testicoli degli spettatori.

 

In sala il pubblico applaude entusiasta.
Nel film, Basita legge il libro che pubblicherà in futuro e capisce che i calamari sono lì perché fra 3000 anni saranno loro ad avere bisogno di aiuto. È la scrittura, la vera arma che portano! A quel punto Basita ruba un telefono satellitare, telefona al primo ministro cinese e gli ripete le parole che sua moglie gli ha mormorato sul letto di morte, senza che nessuno abbia idea di come, quando o perché lei le abbia sentite. Non sapevamo nemmeno il primo ministro avesse una moglie; è un peccato, sarebbe bastato togliere un paio di inquadrature di sassi e zigomi per dirlo.

 

 

Come succederebbe a chiunque, se uno sconosciuto ti telefona e ripete le ultime parole di tua moglie morta, tu ringrazi, riattacchi e smetti di lavorare. Anche il primo ministro cinese fa così: ascolta, si commuove e annulla l’ordine di attacco. Tutto il mondo è felice e contento, abbassa i cannoni. A quel punto le astronavi si girano, diventano invisibili e ne vanno.

Fine

No, scusate.
Mancano ancora venti minuti di AAAAAAAA WOOOOO GNEEEEEEEE. Inquadrature lente. Mare freddo. Cielo nuvoloso. Una shilouette. Shusshurrih ci shpieghanoh lah verithàh. È proprio quando l’unica parte interessante del film s’è conclusa che vale la pena rivangare le interruzioni di cui non te ne fregava niente prima, figurarsi adesso.

Ancora meglio farlo con shpshhshussurrihh.

A crisi ultimata, Basita si fa ingravidare da Phrogy. Siccome vede il futuro sa che la figlia morirà di cancro a dodici anni. Phrogy dice che non vale la pena farla, Basita invece dice che tutte le sue amiche su Facebook partoriscono e poi, comunque, un gatto dura meno. Phrogy la mollaAAAAAAA WOOO GNIGNIGNIIIIIIII, lei partorisce e cresce la bambina da sola. Le fa anche fare la chemioterapia pur sapendo che comunque schiatterà, perché al festival di Venezia non può mancare la scena di qualcuno moribondo in ospedale.

Fine.

In una tenda, un monitor polveroso ha un bagliore.
Pakistan: «ongiorn»

 

Come funziona la hate parade

Da quando sono su Facebook m’hanno invitato in tutti i gruppi chiusi del mondo. Qualsiasi cosa con favelas, degrado, pastorizia, etc. Tutti.

Dentro trovo i soliti quarantenni che fumano canne e si sentono Escobar, i soliti trentenni felpa&calvizie che cercano di darsi un tono e le solite pornofoto corredate da insulti tipici dei repressi (caGNNe, tRRoie, eccetera). Di solito mi disiscrivo dopo tre post. Soltanto un sociopatico mai uscito dalla cameretta dei genitori può pensare quella roba sia da duri o divertente. Nel mondo reale i maschi rispettano chi riesce a rimorchiare, a fare bene un lavoro, a guadagnarsi da vivere, a difendersi e aiutare il prossimo. La lingua è il cazzo degli impotenti, gli insulti sono i pugni dei codardi e i membri di queste pagine sono sbarbati o cialtroncelli che ridono tra benzodiazepine e crisi di panico.

Purtroppo qualche giorno fa gli stimaticolleghi ne scoprono l’esistenza e per incanto un manipolo di perdenti diventa “la cultura dello stupro”, “gruppi per uccidere le donne” con lo stesso principio per cui un cazzotto diventa “massacrato di botte” o un tamponamento “inferno in autostrada”.

Ne risulta il solito starnazzar di penne nell’aja che riassumo in questa gif.

 

È emozione, non informazione.
Cioè immondizia.

Purtroppo ogni volta che Selvaggia Lucarelli giuoca a la Stella della senna delle baraccopoli, nella mia casella messaggi fioccano richieste di commenti sul suo operato. A cui non rispondo, perché piuttosto di parlarne mi piallerei lo scroto con una grattugia arrugginita. Ma dato che i messaggi su FB stanno diventando tantini, chiudiamo ‘sto discorso una volta per tutte.

Dunque.

Insultare qualcuno in Internet attiva lo stesso meccanismo psicologico del gioco d’azzardo: soddisfazione immediata, quindi dipendenza. Fateci caso: è molto più difficile ignorare che insultare, perché l’odio è una droga. Ogni volta che vedo gente screenshottare i propri arguti commenti in risposta agli status di qualche VIP io vedo questo.

 

 

Sono tossicodipendenti.

Il lavoro di Lucarelli, Salvini, Adinolfi, Grillo etc. consiste nel raccogliere le deiezioni emozionali della suburra, attaccarci il proprio nome sopra e venderle alla massa, che a suon di commenti e condivisioni eleva il venditore a “personaggio controverso”. Ossia uno che in radio, TV e giornali garantisce valanghe di ascolti, quindi di soldi. Succede grazie agli haters, non ai fan. Se una cosa ti piace, solo premere “like” ti fa fatica. Ma se una cosa ti fa incazzare allora parte la risposta, lo spam ossessivo, la ricerca di supporto, le condivisioni, gli insulti. Quando vedi un filmato su Youtube che ti piace, spesso ti dimentichi di mettere il like. Viceversa metti il dislike e aggiungi il commento.

Se vuoi fare numeri veri, in Internet, devi procurare odio e linciaggi.

Pagine degrado: le donne sono troie, linciamole. Lucarelli: gli uomini sono sessisti, linciamoli. Salvini: gli immigrati caccapupù, linciamoli. Marcianò: gli scienziati mentono, linciamoli. Grillo: i politici arrubbano, linciamoli. Adinolfi: i gay fanno schifo, linciamoli. Animalisti: gli umani sono cattivi, linciamoli.

È sempre la stessa formula.

Ai capipopolo non importa nulla di chi difendono. Donne maltrattate, popolo italiano, gente che non arriva a fine mese, animali, sono pretesti. Scuse per massacrare idioti a caso legittimandosi con la legge del taglione. E lo fanno perché nel medioevo in cui viviamo odio e sangue fruttano barche di soldi.

 

Una persona sana di mente, se ha tempo libero, legge cose che gli interessano. Coltiva le proprie passioni. Lavora per migliorare la qualità della propria vita. Assorbe positività. Ecco perché ogni giorno cerco di non cascarci. Quindi, per favore, non scrivetemi cosa penso delle ultime novità in hate parade. Sarà stronzo e snob, ma ho di meglio da fare.

La giuria popolare, gli elettori e una macchina

Sottosuolo della nuova sede Casaleggio associati
Il sotterraneo è un’arena di monitor, tower e tastiere, illuminata da lampade e schermi a led. In alto, nella postazione di comando, Lucrezia Banana tiene le braccia incrociate e ascolta le parole del telegiornale. 

L’Umile Portavoce, dopo aver fatto un passo di lato, poi un passo indietro, poi un passo avanti, poi aver affermato di essere lui l’unico capo del M5S, ha dichiarato che la realtà, d’ora in poi, verrà sottoposta a una giuria popolare di iscritti al suo blog. Se la giuria stabilirà che un evento, un fatto o un’informazione non sono reali, non lo saranno. In Internet…

«Oh, Gesù» fa Lucrezia.
«SIGNORA!» urla l’addetto al sito, ma non serve: tutte le luci d’emergenza diventano rosse, e nell’aria risuona una sirena digitale.

BEEP

«Si comincia» fa Lucrezia, guardando il commento «animo, abbiamo visto di peggio. Frank, chiama gli autori e domandagli cosa si sono fumati con ‘sta storia della giuria po

BEEP

 

«Che cazzo dice, questa?» fa Frank, viceresponsabile, di fianco a Lucrezia.
«Toglietelo.»
«Ma è un account certificato!»

I telefoni squillano in un crescendo di grandine digitale: «Signora, dagli uffici del terzo piano domandano quanto tempo ci serve per formare la giuria popolare.»
«Formarla? Ma sono seri?»
«Signora, dal quinto piano domandano se qualcuno di noi ha mai letto 1984.»
«Va bene» dice Lucrezia, scrivendo in fretta su un block notes «dov’è Casaleggio?»
«È morto.»
«MA NO LUI, L’ALTRO!»
«Ah. L’hanno trovato che vagava in stato confusionale nella foresta del costa Rica. Un’equipe di guerriglieri addestrati alla Playstation stanno organizzando il rimpatrio.»
«…allora chi da’ gli ordini?»
«Lei, signora.»

BEEP

«E da chi dovrebbe essere controllato, da un chirurgo?»
«Piantala di cercare un senso, Frank, è come cercare di cacare un esagono. Abbiamo altri problemi. MATTEO!»
«Comandi!»
«Tira giù dal letto gli influencer a casa, falli venire tutti. Social! Quanto ci vuole per blindare i trending topic?»
«Almeno mezza giornata, senza rinforzi.»
«Mi basta un muro di hashtag scorrevole, ce la fate in due ore. ANDREA, MARZIO, PORTATEMI I CANDIDATI PER ‘STA GIURIA POPOLARE, VAMOS!» dice Lucrezia, battendo le mani. Da qualche parte una stampante inizia a sparare fogli pieni di nomi.

BEEP

 

«I famosi avvocati che operano come volontariato» mormora Lucrezia.
«Il nutrito pool» aggiunge Frank.
«Signora, abbiamo dei problemi su Facebook.»
«Fate vedere.»

 

Lucrezia Banana inspira dal naso con forza, espira: «Gestitela voi, solito protocollo.»

BEEP

«Cioè… cioè questo crede Beppe sia Gesù Cristo redivivo?»

BEEP


«Perché s’è interrotto?»
«Devono essere arrivati gli infermieri» dice Lucrezia, afferrando un plico di fogli che gli porge un influencer. Sono i nomi dei 37.000 iscritti al blog. Lo butta sul tavolo: «Non posso passare il pomeriggio a scorrere gente con la seconda e mezza elementare o pazienti psichiatrici. Tu, tu e tu, fatemi una scrematura. Tirate fuori una decina di tizi capaci di passare per sani a un’intervista superficiale.»

«SIGNORA!» urla l’addetto comunicazioni «IL MEETUP DI POSILLIPO DOMANDA SE LA GIURIA POPOLARE HA STABILITO SE LORO ESISTONO O MENO.»
«Cosa?»
«Un fatto è reale solo se la giuria popolare decide che lo è, giusto?»
«Sì.»
«Ma è vero che Grillo l’ha detto?»
«Certo, è scritto.»
«Ma nessuna giuria popolare l’ha approvato. Quindi, finché una giuria popolare non dichiara che Grillo ha davvero ordinato di formare una giuria popolare, quella giuria non si può formare. Ma se non esiste una giuria, come si fa a dire che Grillo ha davvero detto che bisogna formare una giuria popolare? Potrebbe essere una balla dei media.»

 

BEEP


«Ah, certo» fa un analista «il famoso stato Giorgia.»
«Il blocco catene verità-bitcoin.»
«Il recente esempio.»

Se solo padre Pio fosse qui, pensa Lucrezia, m’aiuterebbe a bestemmiare.

BEEP

«Non sarpei davevro, signore» dice Frank guardando il megaschermo «inspiegabili intrighi di poetre.»
«FRANK, NON TI CI METTERE ANCHE TU!» grida Lucrezia «Matteo, riferisci al meetup di Ritardia che abbiamo già abbastanza problemi. Novità dalla writing room?»
«Hanno tutti rassegnato le dimissioni e viaggiano spediti verso la Cayenna.»

BEEP

«Ma certo, certo» annuisce Frank, lavorando al suo terminale «Non ricostruiremo Amatrice prima di aver stabilito se quest’anno fa più caldo dell’anno scorso.»
«FRANK!»

BEEP

Lucreziaaah…

 

BEEP

«Ho già visto ‘sto sistema di governo, era il villaggio dei Puffi.»
«No, lì c’era il grande puffo.»
«Ma Gargamella e il suo gatto Birba potrebbero rappresentare Renzi e
«Silenzio!»

 

BEEP

«OH DIO» grida un influencer «OH DIO SONO CIECO, CIECO!»
«Mandatelo in infermeria, ha riletto il commento. Tranquillo, ragazzo, tra un’ora sarai come nuovo. Arriva ‘sto personale ausiliario o no?» fa Lucrezia.
«Stanno sellando i cavalli.»
«Cosa?»
«Sono le nuove regole della decrescita ecologica cruelty free bio vegan, signora. Il problema è che i cavalli cacano senza controllo, e ogni dieci metri gli influencer devono fermarsi a raccogliere stronzi grossi come coccodrilli. Sa, la raccolta differenziata.»

BEEP

«Ps4 hai foto di piedi?»
«Un giorno faranno un film su questo secolo e lo chiameranno Ritardati fantastici e dove trovarli.»
«Chiamatemi l’influencer senior.»
«In vivavoce adesso, signora.»
«Giddap! Vai, Ombromanto! Al trotto! Chi parla?»

 


 

 

 

 

 

 

 

Il mattino dopo, ore 5.32
Primo piano della Casaleggio associati.

Frank esce dalla stanza, raggiunge la macchina del caffè. Vede Lucrezia a occhi chiusi seduta su due sedie, con la testa all’indietro. Frank apre una busta di Nescafè cercando di fare il meno rumore possibile. Lei apre gli occhi, si rigira il cellulare tra le mani, tira su la schiena con una smorfia.

«Come si sente, signora?»

 

 

 

 

 

«D-domanda sbagliata?»
«Ti ho mai parlato di Sofia?» dice Lucrezia, stiracchiandosi.
«No» dice lui, versando l’acqua calda «lei non parla molto.»
«Famiglia medioborghese, caruccia e stupida. Viveva di fronte a casa nostra al mare. Estati insieme. Stava sempre male.»
«Di salute?»
«Di testa. Ogni cosa le creava ansia. Crisi di nervi solo per decidere cosa mettersi.»
«Ho avuto una ragazza così all’università.»
«Bè, a diciannove anni Sofia decide che vuole vivere senza pensieri. Non vuole più decidere o preoccuparsi di niente. Come una principessa.»
«S’è fatta d’eroina?»
«No. Ha iniziato a prostituirsi.»
Frank scoppia a ridere e gli va di traverso il caffè: «Scusi, ma…»

«Coi primi soldi va in palestra, apre un profilo Instagram dove si mette in mostra. Va alle feste giuste. Si paga una plastica dopo l’altra fino a diventare una bambola. Oggi ha ventiquattro anni e ce l’ha fatta.

Non deve decidere il menu. Non deve scegliere i drink. Non deve pensare a cosa fare, dove andare, con chi. Non si preoccupa del futuro. Non fa i conti a fine mese. Non ha idea di quanti soldi ha in banca. Non pensa nemmeno a cosa mettersi la mattina o la sera, trova sempre tutto pronto. Vestiti, borse, gioielli, istruzioni, orari. Se vuole, chiede. E non ha più ansie. Gira alberghi a sette stelle e voli in prima classe con addosso vestiti e gioielli che io non avrò mai, in posti che non vedrò mai» dice Lucrezia, guardando le foto con un sorriso d’ammirazione «Non è bellissima?»

Frank sporge la testa: «È sicuramente un gran pezzo di… donna.»
«Non lei, Frank. Quello che rappresenta. Il suo Instagram è la prima cosa che guardo appena sveglia, o quando sono stanca morta. È un monumento, per me.»

«Alla prostituzione?»
«No. Alla volontà.»

«Scusi, non è degradante?»
«È degradante Inside Out, semmai. Il manifesto di un occidente fatto di bestie emotive come quelle lì» dice Lucrezia, indicando la control room «la protagonista del cartone te la ricordi? Solo emozioni. Gioia, rabbia, disgusto, paura. Fine. Un animale. Sofia è l’esatto opposto.»
«Non capisco.»

«Come abbiamo scalato la catena alimentare, Frank? Con le emozioni? Facendo sapere ai leoni e ai nostri simili cosa provavamo in quel momento?»
«Non credo.»
«Infatti, ci siamo evoluti sopprimendole. Con dedizione e disciplina. Sofia voleva vivere come una principessa? Bene, s’è ficcata plastica sotto la carne, fresata le ossa, mangiato e bevuto da monaca, s’è fatta un culo così in palestra e s’è fatta penetrare da un numero imprecisato di vecchi e ciccioni. E ha ottenuto quello che voleva. Dov’è che le sue emozioni sono state utili?»

«Da nessuna parte.»

«Già. Ci sono solo razionalità, volontà, dedizione: in una parola, azione.» dice Lucrezia, e i muscoli del naso hanno un tremito: «Le emozioni sono escrementi mentali. Interessano solo alle nullità che si crogiolano nella propria pigrizia e si masturbano con l’invidia. Che celebrano le loro importantissime emozioni come scimmie che venerano la propria merda. Per me la vita ha senso in funzione di quello che faccio, non di quello che sento. Per questo Sofia a ventiquattro anni mangia aragosta a Dubai, io dirigo un reparto e le nostre coetanee frignano su Internet da casa dei genitori.»

«Non volevo offenderla.»
«Non l’hai fatto. So che era una cortesia. Lo apprezzo. Ma io non sono una donna dolcemente complicata, Frank. Sono una macchina. Non ho amiche, né amanti, né animali, né gioielli, né vestiti diversi da quelli che indosso. Ho solo quello che voglio e quello che devo fare per ottenerlo. Capito?»
«Sì.»
«Nessun problema. Riposiamo venti minuti, poi torniamo al lav

 

 

«Perché mi guardi così?» fa Lucrezia.
«C-cosa? Come la guardo?»
«Smettila. Sembri un imbecille.»
«Scusi» dice Frank.
È che mi innamoro sempre delle donne sbagliate, pensa.