Saint Louis, Missouri
12 agosto 1904
Sulla veranda, un uomo mangia una mela e coccola Oreste, il suo cane. Ci sono 28° all’ombra, umidità oltre il 90% e non tira un filo di vento. La campagna è quieta e immobile. I cavalli di passaggio sono sporadici. Non si muove niente, nel caldo agosto del Missouri. Oreste boccheggia sul pavimento, accetta il grattino del padrone, drizza le orecchie.
Anche l’uomo sente qualcosa.
rrrrr
Si sporge sulla poltrona.
Il suono cresce.
RRRRRRR
«Lo senti anche tu, mio piccolo Or
Automobili a tavoletta. Uomini in mutande corrono, un tizio accovacciato nel prato caga urlando in irlandese, spari, un francese passa piangendo e dicendo di essere il vero padre della bambina, uno nudo a bordo di un’automobile agita il cappello, sviene vomitando contro il cielo, due guerriglieri sudafricani scalzi fuggono guardandosi indietro, operai greci nei campi, un cadavere, un muratore scappa inseguito da due uomini che agitano una siringa, un cubano in canottiera arriva sulla veranda, gli strappa la mela di mano, fugge.
Stadio di Saint Louis
Un’ora prima
Al signor James Sullivan avevano detto che per organizzare la terza edizione delle olimpiadi servivano soldi, ma lui non li aveva ascoltati. Sfrutta i suoi contatti nell’ambiente sportivo e accademico, scrive a tutto il mondo di venire a gareggiare lì a spese proprie, noleggia lo stadio dell’università e attende le lettere di conferma.
«Che arriveranno a pioggia, ragazzo, non temere» dice al suo assistente.
Rispondono in 600, di cui 574 americani.
«Vabbè, capo, chiamiamola sagra della brugola.»
«Assolutamente no. Almeno il pubblico sarà numeroso.»
Inaugura l’olimpiade il presidente degli Stati Uniti, no, il vicepresidente degli Stati Uniti, no, il segretario, no, la nipote del presidente degli Stati Uniti. A quanto pare nessuno, in America, sa o è interessato ad assistere alle olimpiadi. Sullivan deve trovare qualcosa che attragga la plebe e, oggi come cent’anni fa, alla gente piace il circo. Sullivan quindi organizza le giornate antropologiche.
«Cioè facciamo i provini per il Grande fratello?» fa l’assistente.
«Ma no.»
Durante queste giornate, un branco di pigmei prelevati con la forza tentano di salire il palo della cuccagna, ma scivolano e si fanno male.
Poi sioux vestiti da imbecilli provano a scagliare frecce con archi giocattolo. Un arco gli si rompe in faccia e tutti ridono. Poi gare di bellezza tra negri e filippini, donne indiane contorsioniste seminude. Sullivan legge sui giornali resoconti dei giornalisti scandalizzati, col tono in stile “io sono razzista, ma questa cosa è troppo razzista”.
Quando i suoi sottoposti pagati a ciaccole annunciano a Sully che le nazionali di nuoto sono pronte a gareggiare ma non trovano la piscina, lui indica lo stagno dove normalmente i mandriani lavavano le vacche.
Fatalità tutti i nuotatori si ammalano di tifo, e quattro trapassano.
Dettagli.
Sullivan vuole inserire il polo a ogni costo. Un match di polo è eleganza, brutalità, velocità: in una parola, maestosità. È per questo che viene chiamato lo sport dei re. Vederlo dal vivo è uno spettacolo unico, ma a tre giorni dall’inizio delle olimpiadi, salta fuori che far venire da tutto il mondo giocatori, cavalli, scudieri, medici, veterinari e arbitri costa come 154 olimpiadi, e loro si guardano bene dal venire di tasca propria.
«…quindi rinunciamo al polo» dice l’assistente.
«Nononono, basta tagliare il superfluo.»
«Tipo?»
«I cavalli.»
«Visto, ragazzo? Basta un po’ d’inventiva» gongola Sullivan.
«Sì, e per magia gli spalti vuoti sono quasi confortevoli, no?»
«Silenzio.»
Segue il tiro al piccione elevato a disciplina olimpionica, l’handicappato con la gamba di legno che vince sei medaglie stracciando quelli integri, o mille altri tripudi di ritardo mentale che meriterebbero una trilogia, soprattutto visto che le olimpiadi durano mesi. Ma il fiore all’occhiello, la ciliegina sulla torta, il momento più importante, per Sullivan, è la maratona.
Pianificata da un uomo mentalmente disturbato, in questa edizione gli atleti dovranno fare cinque giri di stadio, uscire in strada, percorrere quarantadue chilometri su sterrato tra macchine, passanti, biciclette, 28° all’ombra e con uniche fonti d’acqua a 6 miglia (cisterna piovana) e 20 miglia (pozzo di acqua avvelenata). Questa è la scansione di una mappa che viene consegnata ai partecipanti.
Ma siccome la maratona deve essere internazionale, per ovviare alla scarsità di atleti Sullivan arruola la peggio plebaglia, purché di origini estere. Quindi operai, immigrati, clandestini, banditi, tutto fa brodo, anche se armati o inseguiti dalle forze dell’ordine.
È come se oggi qualcuno prelevasse gente a caso da campi rom, parchi, vicoli, stazioni e galere, per poi metterli sulla linea di partenza di giochi senza frontiere.
Ecco la linea di partenza.
Buona parte di costoro non ha mai corso e, dopo questa maratona, non correrà mai più. Prima che la pistola dell’arbitro scriva il più buio capitolo nella storia dello sport, però, vale la pena presentarli. Ognuno meriterebbe un romanzo (di alcuni esiste già) ma sono costretto a riassumere.
20 – Thomas Hicks
Un metalmeccanico di Cambridge. Gli piace correre, condurre uno stile di vita sano ed è astemio. Un giorno viene notato da un allenatore coperto di debiti e braccato dagli strozzini, tale Ernie Hjertberg. Ernie decide che quell’omino è l’occasione per rifarsi una vita. Si offre di allenarlo per la maratona. Thomas accetta a una condizione: «Niente schifezze né aiutini, chiaro?»
La vita, si sa, riserva sorprese.
31 – Frederick Lorz
Frederik si allena di notte, dato che di giorno fa il muratore dopo che il college l’ha espulso per rissa, furto, furto aggravato, contraffazione e qualche molestia. Dato come favorito, la notte prima si sbronza a merda e si presenta allo stadio in stato confusionale chiamando a gran voce tale Nausicaa. Il suo allenatore tenta di rianimarlo con acqua fredda e ceffoni, ma Frederick si piscia addosso in centro pista e sviene. L’allenatore ha puntato tutto su questo inaudito campione, dovrà quindi inventare una soluzione per farlo vincere. Ma quale?
39 – Sidney Hatch
Sidney vive con la madre che è la sua unica genitrice, tutrice, allenatrice, levatrice e il cerchio si stringe verso meretrice. Distrutto dall’attività sessuale contronatura, Sidney gareggia nei campionati amatoriali per fuggire dal buco che dopo averlo espulso lo rivuole. Fortemente motivato al suicidio o alla più classica carriera da psicopatico alcolista, per Sidney questa gara vuol dire molto. Sarà l’unica a cui parteciperà in tutta la vita.
Canotta nera – John Lordan
Irlandese immigrato negli USA, queste olimpiadi gli varranno un monumento nella sua città natale, a Bandon. Maratoneta professionista, anche lui di giorno lavora come idraulico e di notte si allena. Nel 1904 è malato, ma si presenta lo stesso sulla linea di partenza. Ha così tanta febbre che si dimentica di indossare il numero. Quando gli domandano se è pronto a gareggiare, lui risponde “Valahalla”.
3 – Felix “Andarin” Carvajal
Un postino cubano mai ammesso nella squadra olimpionica, si guadagna i soldi per il viaggio Cuba/USA facendo prove di corsa all’Avana o elemosinando. Sbarca a New Orleans, dove sprofonda in 12 ore di alcool, puttane e gioco d’azzardo. Si sveglia vestito da pirata in una bisca clandestina, e con solo i vestiti che ha addosso fa l’autostop cercando di imparare qualche parola d’inglese. Giunge allo stadio come lo vedete qui sopra, camicia a la Jack Sparrow, pantalone lungo di tweed, stivaletti da passeggio e basco siciliano “per onorare le sue origini italiane”. Un altro atleta, Martin Sheridan, si impietosisce e trova un paio di forbici per accorciargli le braghe. Quando gli chiedono se pensa di correre col cappello, lui risponde “què?”.
Non mangia da 72 ore.
6 – Dimetrios Velouis & company
Non esistono altre foto oltre a quella della partenza. Demetrios era uno dei nove operai greci messi lì appositamente per dare un senso di legittimità (olimpiade = Grecia). Dopo lungo cercare, sono riuscito a trovare l’unico elenco in Internet che ne contiene i nomi, dato che di molti non si sa nulla. Alcuni di loro non furono mai più visti. Nel senso che non giunsero mai al traguardo.
7 – Albert Corey
Parigi, 1903
«È bello, scopare» sospira Albert, crollando esausto.
«Oh, Albert… penso di essere incinta.»
«È bello, viaggiare» dichiara Albert alla dogana.
Arrivato negli USA, per un anno vive di espedienti per le strade, finché durante uno sciopero entra in una macelleria industriale per rubare, il capo lo scambia per un crumiro e lo mette subito al lavoro. I macellai lo braccano per ucciderlo, Albert fugge e arriva allo stadio di saint Louis.
«Lei è un atleta?»
«Qu’est-ce que vous avez dit?»
«RAGHE ABBIAMO UN FRANCESE»
«BOMBA, DATEGLI IL NUMERO 7»
9 – Frank Pierce
È un adolescente pellerossa dal coltello facile. Originario di Boston, appassionato consumatore di gin, famoso per rimorchiare le prostitute con la frase “ho un pene e un coltello, uno dei due ti entra dentro stasera”. Viene raccattato come comparsa per dare un tono internazionale alla maratona, lui accetta in cambio di uno sfoltimento della sua ragguardevole fedina penale che, comunque, non avverrà. Non esistono sue fotografie perché secondo Frank rubavano l’anima.
10 – Samuel Mellor
Atleta professionista, questa sarà l’unica maratona che non finirà.
Vedremo poi come e perché.
11 – Edward Carr
Trombettista di un’orchestrina jazz di Baton Rouge. Dopo aver scoperto sua moglie a letto col contrabbassista, fredda entrambi a revolverate e fugge, vagando in stato confusionale. Giunge allo stadio di saint Louis con ancora la pistola dietro, un colpo solo a disposizione e i fantasmi che lo tormentano. Gli chiedono se vuole correre, lui risponde “l’amavo” e vale per il sì. Edward vive la vita un quarto di miglio alla volta.
12 – Arthur Newton
Altro atleta professionista, abbandonerà la gara dichiarando che “qualunque persona sana di mente l’avrebbe fatto”. Un pavido di cui non mi occuperò.
35 e 36 – Jan Mashiani e Len Taunyane
Len Taunyane ha una vita da leggenda. Sudafricano, veterano della seconda guerra boera, venne fatto prigioniero, torturato e poi liberato. Dal sudafrica viene deportato negli USA per fare una recita dove reinterpreta la guerra assieme ad altri compatrioti per la gioia del pubblico. Appena scopre della maratona evade, tirandosi dietro il suo migliore amico, Jan Mashiani. Finisce allo stadio, si spaccia per maratoneta e gli credono. I due hanno ancora i costumi da soldati e un solo paio di scarpe. Jan le dona a Len perché lui si trova meglio a correre scalzo.
Gli uomini si sistemano sulla linea. Si voltano verso l’uomo con la pistola. Frank Pierce sguaina la lama e lo minaccia: «Giù il ferro, vecchio bastardo.»
«Allora, signori, avete tutti la mappa?» dice l’arbitro.
«Què?»
«Was?»
«VEDO GLI ANGELI CHIAMARMI A LORO»
«Que dit-il?»
«Katherine… mi dispiace…»
«Jan, smetti di mangiare la carta magica dell’uomo bianco.»
«Partiamo, cazzo, ho paura mia madre mi trovi, dai.»
Gli arbitri guardano Sullivan, Sullivan guarda i giornalisti, i giornalisti guardano i maratoneti. L’arbitro riprova: «Avete almeno capito le regole, ve-
«Oh, Tom!» urla un allenatore «ti va un goccetto?! Aiuta!»
Tom guarda storto l’allenatore e fa il gesto di no.
«Demetrios, credo il tizio con la pistola intenda che il muro dobbiamo tirarlo su lì.»
«Chicos, alguien tiene algo para comer?»
«AO RAGA IERI SERA BORDELLO, MA POI VOI CHI CAZZO SIETE?»
Sullivan ha gli occhi lucidi e il labbro tremulo, poi allarga le braccia e si gira dall’altra parte. L’arbitro guarda gli uomini: «Dio abbia pietà della vostra anima.»
Spara.
Sono le 15.03.
0.5° miglio
Fred Lorz lancia un urlo belluino, allarga le braccia e scatta in avanti perché convinto sia la prova dei 400 metri.
Frank l’indiano sguaina il coltello e si getta sull’arbitro per assassinarlo, ma nota la polizia e riprende a correre guardingo.
Gli altri partono quieti.
1° miglio
Lorz galoppa fuori dallo stadio ripetendosi che tra poco è finita. C’è un rombo, ed è il suono di decine di automobili guidate da allenatori, giudici e giornalisti che partono al suo inseguimento lasciandosi dietro una nube di smog, polvere e morte dentro cui si ficcano tutti gli altri maratoneti. Non si vede niente, respirare è impossibile. Lorz rallenta.
Tom il salutista lo sorpassa guadagnando la prima posizione, inseguito dall’allenatore che lo incita col megafono.
Jan Mashiani entra in un campo di pannocchie ove viene inopportunamente arrotato da una mietitrebbiatrice, ne esce ridotto a covone di fieno ambulante e riprende la gara (qui una ricostruzione dell’accaduto).
2° miglio
Albert procede lento e costante: è bello, correre.
Tom il salutista si ferma a prendere fiato e mangiare pesche offerte dal suo allenatore.
Felix Carvajal passa, chiede se può mangiarne anche lui. Lo scacciano in malo modo, Felix ne ruba due e scappa mangiandole in corsa. Le automobili continuano a sollevare un polverone della madonna, tanto che alcuni operai greci, spossati e incapaci di respirare, sbagliano strada e disertano.
3° miglio
William Garcia è a bordo strada disteso in una pozza di vomito e sangue. Ma siccome nessuno sa che partecipava, lo scambiano per un comune cadavere e lo lasciano lì.
Len Tau studia la pergamena magica dell’uomo bianco senza capirne una madonna e imbocca il quartiere sbagliato. Ne esce inseguito da una posse contada con forconi e fucili. Aumenta sensibilmente l’andatura.
Demetrios vede Len in difficoltà e gli fa cenno di seguirlo. Quando i grezzi vedono la scena deducono il bianco sia il padrone e desistono.
4° miglio
Albert guadagna terreno. È bello, guadagnare terreno.
Edward sparatromba gli è a fianco, incerto se sparargli o spararsi. Gli grida qualcosa in inglese, Albert risponde in francese, dal campo emerge un covone di fieno con le gambe che grida in africano. Tutti, comunque, tossiscono troppo per comprendere le loro stesse parole.
Samuel Mellor e Arthur Newton conducono.
Lordan malatino è fermo contro un albero.
Fred Lorz quasi in ultima posizione si distende, chiude gli occhi ed erutta in un geyser di vomito che lo glassa. Alleggerito, riprende a correre emanando afrori di morte.
7° miglio
William Garcia è sempre a bordo strada. Viene percosso da una vecchia contadina con un nodoso randello. Appurato il reale malessere, la vegliarda avvisa i soccorsi. Lo ricoverano in fin di vita e scoprono che aveva mangiato così tanta polvere e smog che gli si era polverizzato l’esofago.
Albert è in preda ai deliri della disidratazione, ferma una coppia e dice di voler vedere suo figlio e di volere tornare in Francia.
Tom il salutista vuole andare a casa, ma il suo allenatore lo pungola sgommandogli terriccio in faccia. Non funziona. Tom arretra, ma l’allenatore gli dice di avere quello che fa al caso suo.
Lordan viene ospedalizzato.
9° miglio
Edward Sparatromba vede un’auto della polizia, entra in paranoia perché è convinto cerchino lui, spara verso di loro e fugge nella foresta. Nessuno lo rivedrà mai più.
Fred Lorz si toglie i vestiti lerci di vomito e fa per rinunciare, ma viene raccolto dalla macchina del suo allenatore, su cui sale nudo. Partono a tavoletta verso lo stadio. Nel tragitto si sbronzano superando i concorrenti.
10° miglio
Tom il salutista è ormai allo stremo. Supplica per avere dell’acqua, ma l’allenatore si rifiuta “perché ti fa male”. Gli da’ quindi una pastiglia di stricnina e un albume. Tom smette di alzare obiezioni e inizia a biascicare parole senza senso.
Frank Coltellofacile si ferma a rapinare una coppietta e viene prematuramente blindato.
11° miglio
Felix Carvajal vede un praticello fiorito e decide di farsi un pisolino.
Samuel Mellor ha respirato così tanto smog che ha allucinazioni, tossisce sangue e cade in ginocchio, venendo subito investito da una bicicletta. Si ritira, lasciando la prima posizione ad Arthur Newton.
Sidney Trombamamma raggiunge la cisterna d’acqua piovana, si idrata e guadagna terreno.
13° miglio
Felix Carvajal si sveglia, scopre di essersi appisolato sotto un albero di mele, ormai ha preso la mano e ruba pure quelle. Purtroppo sono acerbe, ne mangia a mostro e siccome ha tutto il sangue nelle gambe, fa indigestione. Viene assalito da drammatici attacchi di diarrea che espleta nei cortili delle case.
Len Senzascarpe si porta in seconda posizione dietro Tom il salutista, ma dalla selva emerge un molosso che lo insegue famelico. Per salvarsi dalle fauci del mostro si rifugia in una frazione di saint Louis il cui cartello recita questo.
Dev’essere quindi stato bellissimo, per gli abitanti, vedere entrare di corsa un negro e un cane. Parliamoci chiaro: solo questa è una storia eccezionale. Un guerrigliero sudafricano, negro nell’America del 1904, evade e finisce in una maratona tra gente che non parla la sua lingua. Perde il suo migliore amico e, inseguito da un cane idrofobo, irrompe in un matrimonio del KKK. Dopo azione frenetica e sparatorie, Len convertirà la cuginetta al cazzo estero, raderà al suolo il villaggio e farà amicizia col cane. Perché dobbiamo avere Moonlight se hai già la versione ottocentesca di Rambo TRATTA DA UNA STORIA VERA!? Lo chiami Mugrambo e hai l’Oscar in tasca.
Tempo fa l’ho proposto come soggetto a una casa editrice, ma hanno detto che vogliono qualcosa di intimista. Mi dispiace, Len.
19° miglio
Tom salutista è in vista del momento supremo. Ha gli occhi opachi, respira col fischio, cammina legnoso. Gli viene quindi somministrata altra stricnina, tre albumi e un bicchierone di brandy. Non ho mai provato a bere una pinta di Vecchia romagna e fare jogging sotto il sole d’agosto, ma sospetto non sia un’idea vincente. Hicks diventa “pale grey” ed entra in stato precomatoso. L’allenatore sente il fiato degli strozzini sul collo e si mette a tenerlo in piedi lui.
Fred Lorz è in testa quando la macchina sbanda contro un albero e il guidatore perisce tra le fiamme. Fred ne abbandona i resti e trotta verso lo stadio, sorpassando Tom, l’uomo che non voleva il doping ed è finito sbronzo pieno di veleno per topi.
Arrivo
Fred Lorz taglia il traguardo fresco come una rosa tra le ovazioni del pubblico. La nipote del presidente sta per consegnargli la medaglia quando qualcuno mostra il volante liquefatto e fa notare che questa è la maratona, non il grand Prix. Fred dice che in effetti sì, ma era tutto uno scherzo. Gli arbitri non hanno il senso dell’umorismo e lo squalificano a vita. Lo stadio è percorso da un’esplosione di urla all’ingresso di Tom il salutista.
Fa il suo ingresso sospinto dall’allenatore a braccia, perché è ormai dopato come un cavallo e incapace di capire chi è, dov’è, o cosa sta facendo. Con un’ultima spinta, vince la maratona.
Dopo di lui arriva Albert (è bello, arrivare secondi), terzo il pavido Newman e quarto il postino cubano dissenterico. A Tom faranno fare il giro dello stadio in barella, e la foto di rito sulla macchina che lo condurrà all’ospedale.
Poi basta.
Quando ormai gli spalti sono vuoti e non c’è più un arbitro che tiene il tempo, arrivano alla spicciolata gli altri.
Non c’erano soldi per le coppe, così vennero fatte delle medaglie poi consegnate per posta, spesso a indirizzi inesistenti. Oggi sono andate perdute o stanno nei musei, dato che valgono somme mostruose.
Una replica fatta da schifo, su eBay sta a 850$.