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Se questo è un biomaschio

Di recente Facebook ha implementato la possibilità di modificare il proprio sesso. Oltre a maschio e femmina, aveva aggiunto 50 opzioni. C’è stata un’insurrezione popolare, così le opzioni sono rapidamente diventate 71. Essendo io nato maschio con aggravante etero (che nella neolingua si pronuncia biomaschio, o cisgender) ho sempre pensato si potesse nascere maschi o femmine, e che ti potessero piacere maschi o femmine. Che c’era di complicato?

Oggi i miei amici, quando in Internet parlano al plurale, scrivono “ragazz*” con l’asterisco alla fine, perché se uno legge “tutti” ed è una donna, si sente escluso.

Non ho mai visto niente di tanto ritardato sullo schermo. Niente. Nemmeno quelli incapaci di tirarsi una secchiata d’acqua arrivavano a tanto. Cazzo, ora che ci penso nemmeno Vanessa che pensava fosse la Rice bucket challenge, arrivava a tanto. Il nuovo Blade runner dovrebbe avere come teaser trailer uno che entra in un ufficio, dice “buongiorno a tutti” e in un angolo una tizia scoppia a piangere.

Eppure è considerato un grande passo avanti. Nell’articolo, l’intervistat* dichiara che per la prima volta può andare in un sito e dire alla gente qual è il suo gender. Ma perché comunicare alla gente le proprie abitudini sessuali è così importante? Perché oggi uno deve dirmi “ciao, mi piace vestirmi da volpe e farmi sodomizzare da un nano ermafrodita”? Sembri Bran quando dice di essere il corvo a tre occhi, cazzo.

«Ciao, io sono Nebo.»
«Ciao, sono un* trans nonbinary queer lesbian transformer megatron.»

Però sapete cosa, ho 37 anni. Il mondo cambia, è interessante scoprire come. Ho così deciso di informarmi recandomi in una comunità LGBT (Lesbiche, gay, bisessuali e transgender). Entro, domando se sono nel posto giusto e uno si mette a urlare che avevo urtato la sua sensibilità: la sigla giusta è LGBTQIA (lesbian, gay, trans, queer, intersex e asexual). Il tizio non aveva ancora finito di insultarmi che dalla stanza di fianco sono fuoriusciti altri tizi indignati perché aveva emarginato delle categorie. La sigla giusta è lesbian, gay, bisexual, transgender, queer, questioning, intersex, intergender, asexual, allied, pansexual: in una parola, LGBTQQIIAAP. Me la stavo segnando sul taccuino quando una porta s’è spalancata e sono entrati due indiani Navajo qualificandosi come Two-Spirit: persone di etnia diversa da quella bianca che esigono una categoria tutta loro in segno di rispetto. La sigla è subito diventata LGBTQQIAAPP+2S.

In inglese si pronuncia El gi bi ti chiu chiu i ei ei pi pi plus two es.
Servono tre secondi e mezzo solo per pronunciarlo.

Si parte con l’agender, uno che si ribella all’ordine costituito autoassegnandosi gli stessi attributi sessuali di Ken. Poi c’è l’androgino, tipo Justin Bieber. Il bigender, uno sia maschio che femmina tipo i dinosauri di Jurassic park. Entriamo poi nella categoria cis, ossia gente sana di men a proprio agio con la propria sessualità. Si dice cisgender perché viviamo in un mondo in cui il panino è finger food, lo zoo è il bioparco, il magazziniere è lo storeroom manager, e nei menu un hamburger ha il cheddar, il bacon, gli onion ring.

Poi c’è Gender fluid, il tizio che avete conosciuto alla festa e a quella dopo si presenta vestito da donna e pretende di essere chiamato Cristina perché quella sera si sente femmina. C’è il gender nonconforming, uno che si ribella alle definizioni dei ribelli e sceglie di avere un genere sessuale non conforme a nessuna regola.

Qualsiasi cosa significhi.

Tipo così, immagino.

Ecco poi il gender questioning, uno che passa molto tempo a domandarsi se gli piacciono gli uomini, le donne o gli animatroni del villaggio dei pirati a Gardaland. Il gender variant, che vorrebbe essere qualcosa che la società gli impedisce di essere, qualsiasi cosa sia, incluso un elicottero militare. Il genderqueer invece non accetta che al mondo si possa nascere solo col pene o con la vagina: una battaglia sacrosanta. Il non-binary è la stessa cosa del bisex, ma più intellettuale. Il pangender invece si sente sia maschio che femmina, ma in percentuali variabili. Tipo 60% maschio e 40% femmina, che esce in base a quanto hai voglia di rovinare la festa universitaria agli altri. I trans invece hanno centinaia di sottogruppi, ognuno dei quali merita rispetto. All’università di Oxford è vietato rivolgersi al maschile o al femminile: al posto di “she” o “he” bisogna usare “ze”, termine neutro della neolingua per non offendere i trans.

A questo punto ho capito di essere vecchio e destinato all’estinzione. Vengo da un mondo in cui i rapporti interpersonali erano più semplici. Ti vedevi, ti conoscevi, ti piacevi, scopavi. Oggi mi trovo a non avere le competenze necessarie per rivolgere la parola a qualcun*. Mia madre mi aveva insegnato ad alzarmi quando entra una signora, ad aprirle la porta, a dare del lei, a regalare fiori, ad attaccare discorso per primo, ad annodarmi la cravatta. Tutta roba oggi vietatissima. Regalare fiori a una donna è considerato molestia. Anche aprirle la porta. Persino se mi metto la cravatta sono sessista. La verità è che non capisco un mondo dove per calcolare equazioni basta premere un tasto mentre per capire se possiamo innamorarci prima devo laurearmi e prendere un master.

 

Uno studente mostra con orgoglio il prestigioso master,
ottenuto all’Università di Pavia.

 

Mi trovo a empatizzare coi millennials che invece di scopare preferiscono stare a casa a guardare serie TV e schiantarsi di psicofarmaci. Chi te lo fa fare, a interagire con qualcuno senza prima aver verificato il suo gender sui social? Che ne sai se in quel momento si sente più Clara o più Francesco? Sbagli un pronome e sei fottuto. Ti screenshottano e il giorno dopo vieni licenziato. O magari quello ti accusa di molestie.

Inoltre, secondo Tom Ford, ogni uomo dovrebbe farsi penetrare almeno una volta per capire meglio le donne. Ma per la madonna, adesso non bastano più le sei ore davanti ai camerini, i pianti da sindrome premestruale, il mestruorage, le tendine coi fiorellini e il tappeto della camera che richiama il quadro della testiera del letto?! Non bastano i “dobbiamo parlare”, i silenzi passivo aggressivi, i “cos’hai niente”?! Devo pure prenderlo nel culo?!

Calma.

Forse hanno ragione i miei amici nella moda a dire che il biomaschio è destinato a diventare minoranza e poi a estinguersi in favore di una sessualità fluida e intercambiabile. Il Time ha dedicato una copertina, a ‘sti gender. In giro per il mondo, le cose stanno cambiando parecchio: a otto anni del sesso mio o altrui manco ci pensavo, l’unica cosa che volevo a ogni costo era lui.

Oggi, alla stessa età, Lactatia è una transgender canadese.
In Svezia, sullo stesso discorso, fanno dei talent seguitissimi.

 

Quindi boh. Staremo a vedere. Ultimamente ho la sensazione di guardare gente di ogni tipo appiccicare manifesti diversi sopra un solo monolite che nessuno sembra voler vedere, ma che li unisce tutti. Cosa sia, ancora non lo so.

“Nebbo gli difende ai nazzisti!!1!!”

A Charlottesville, in Virginia c’è stata una manifestazione di naziskin (so che adesso il nome è superato, ma sempre quelli sono). Si è aggiunta una manifestazione di antifa (sempre nazi, ma con la bandiera arcobaleno). Entrambi se le sono date con spranghe e scudi, una macchina ha investito intenzionalmente degli antifa, gas lacrimogeni, urticanti, solito copione che vediamo anche da noi ogni tanto. In Internet esce la foto di un tizio che manifestava tra i nazi.

 

La rete si affretta a trovare il suo nome e cognome e a sputtanarlo. Io dico che tutto questo è assolutamente Black mirror, perché l’opinione non è un reato e non deve avere conseguenze, secondo quel principio tanto sbandierato quanto tradito della libertà d’espressione.

Addio.
A quanto pare, difendo i nazisti.

Io.

 

A scanso di equivoci: la discriminazione razziale, sessuale o etnica è una puttanata che è stata sbugiardata da antropologi e scienziati in ogni dove; il nazismo si è dimostrato quanto di peggio sia stato partorito nella Storia europea degli ultimi 2000 anni. È un’ideologia basata su bias cognitivi, ignoranza, insicurezza, senso di impotenza, stress su cui sono stati scritti libri su libri, tutti con le stesse medesime conclusioni. Il nazismo è merda.

Allora perché esistono ancora? O meglio: perché stanno uscendo allo scoperto? Una volta questi pidocchi stavano nei sottoscala, nei loro circoli, e si guardavano bene dal farsi vedere in giro.

Cos’è cambiato?

Perché qualcosa È cambiato. Negarlo, silenziarlo, ridurlo ai minimi termini, bollarli come feccia e girare la testa dall’altra parte non solo non sta funzionando: li sta rafforzando. Allora forse sarebbe il caso di fare un respiro profondo, stringere i denti e trovare il coraggio di guardare in faccia questo problema. Perché è un problema. L’aumento dell’estremismo è un problema serio, grave, presente.

Possiamo parlarne?

Possiamo risolvere il problema, invece di chiuderci le orecchie e ripetere che Voldemort non è tornato? Perché i fascisti stanno contagiando quelli che dovrebbero combatterli. Gli passano i loro metodi, la loro mentalità, e vincono inevitabilmente perché violenza, repressione e linciaggi sono il loro terreno di gioco. Far perdere il lavoro a qualcuno per quello che pensa è un metodo fascista. Diffamare qualcuno per quello che pensa è un metodo fascista. Dire “con loro le regole non valgono” è la più pura e infame filosofia fascista. Schedare i manifestanti e perseguitarli è la quintessenza del fascista.

Allora cosa ti rende migliore o diverso?
Ho ragione ad ammazzarti, perché tu ammazzi quelli che hanno torto?

Davvero vogliamo risolvere il problema? O forse vogliamo fare finta di risolverlo, magari per poterci tenere comodo un capro espiatorio quando usiamo i loro metodi, i loro ragionamenti, i loro bias; così da poter dire “mica siamo loro”.

Sto solo domandando.

Non è che se voti a sinistra sei un brigatista, non è che se sei musulmano sei terrorista, non è che se voti a destra sei fascista. Sono semplificazioni da indottrinati e, soprattutto, ignoranti. Le persone sono complesse. Dietro un nazista del 2017 c’è un essere umano che ha visto certe cose e tratto certe conclusioni. Esiste, nel 2017, qualcuno che sceglie di arruolarsi nell’IS, o di diventare un nazista.

Ma solo a me interessa capire perché? Solo io credo che per risolvere un problema sia necessario capire come, dove e perché è nato? Scelte del genere sono la risposta a cosa? Qual era la domanda? Cosa cercavano? Chi erano prima?

“Ah, stai umanizzando il male”.
EH, SI. Perché piaccia o meno siamo tutti esseri umani. È proprio questa la base imprescindibile su cui ci si confronta, si comunica, si cresce, e alla fine si evolve. Se trasformi l’interlocutore in entità, no. Se dici “i nazisti/pedofili/stupratori/terroristi non sono esseri umani” magari fai un sacco di like su Facebook, ma sei parte del problema del cazzo, non della soluzione. Non sconfiggi qualcosa demonizzandolo o ghettizzandolo (ossia come fanno loro): lo sconfiggi sgretolandolo. Punto per punto, con calma, razionalità, pacatezza e logica. Finché uno dei due finisce per ammettere a sé stesso che ha torto.

Da lì è tutto in discesa.

Se sei davvero sicuro di te, delle tue idee, se sei certo le tue siano opinioni e non dogmi, allora non hai problemi a discuterle. Se invece ti arrocchi, chiudi il dialogo, urli slogan, qualcuno potrebbe pensare che non sei così sicuro di te. Qualcuno potrebbe addirittura pensare che non vuoi un dialogo perché hai paura di cambiare idea.

Il male trova sempre adepti tra mediocri e ignoranti.
Viceversa, codardi e imbecilli non hanno mai un seguito.

I nazisti del 1943 non erano “il grande male”. Erano un popolo di mediocri, stremato, che ha fatto una delle tante carneficine insensate della Storia nel nome del solito pallosissimo identitarismo, che riusciva a fare gli orrori che ha fatto solo grazie a droga, psicopatia, psicofarmaci, paura, stupidità e fanatismo. QUESTI SONO I PUNTI SU CUI LI SMONTI. Questo è il modo per dimostrare che il nazismo e il fascismo non sono L’Impero. Non hanno fascino. Non hanno ragione. Non hanno idee. Non hanno epica. Nessuno vuole essere Milosevic. O Gheddafi. O Stalin. O Saddam Hussein. Sono dittatori ignorati, derisi, o visti per quello che erano.

E se hai questo in testa, inizi a capire la chiave per sconfiggere i nazisti del 2017. Perché c’è un motivo, se stanno aumentando. E dove c’è un motivo, c’è un’origine. E se c’è un’origine, c’è anche un modo per terminarla.

Magari sbaglio.
Magari la soluzione è davvero linciare gente sui social e poi andare a vedersi Game of Thrones. Ma ho l’impressione non stia funzionando.

Nello sfintere della balena

La giornata inizia alle 6, quando gli impiegati aprono le aziende facendo partire gli allarmi. Risuonano come petardi a capodanno qui e lì. Riconosci il UUIIIIIUUUUUIIIII di una, il UA’UA’UA’UA’ dell’altra. Mi trovo a fantasticare se il capo abbia scelto la suoneria come fai con quelle del cellulare.

WAAAA-WAAAA-WAAAAA
«QUESTA LE PIACE?!»
«NO FA UN PO’ VECCHIO»
EEEEEEEOOOOOOOOEEEEEEEEOOOOOO
«QUESTA?!»

Non ce l’ho con gli impiegati. Quei cosi vengono installati dai paranoidi dirigenti, convinti il mondo pulluli di gente ansiosa di rubare il loro rossetto gigante da salotto. Impostano quindi la tolleranza dell’allarme a livello Internet; la fotografia di due gambe di donna sull’asfalto potrebbe urtare la sua sensibilità, un’esplosione che smembra 30 persone no. Risultato, appena lo attivano il malnato scatta dozzine di volte al giorno, tanto che se ormai un ladro entrasse davvero per rubare qualcosa, dai palazzi la gente scenderebbe a ringraziarlo.
AAAAAAAAOOOOOOOOOAAAAAAAAOOOOOO

«Madonna cheppalle» dico.
«No, scusi» fa il vicino sporgendosi dalla finestra «è lei che è uno snob.»
Ah, giusto.

Dopo un anno in questa città ho capito che se esprimi opinioni diverse dall’intellighenzia di Twitter sei uno snob, modo elegante che hanno qui per dire dilettante contadino. A Milano persino gli allarmi alle sei di mattina vanno ascoltati o, al massimo, ignorati. Tutto qui è una performance artistica, una provocazione postmoderna, una composizione sonora avant garde. Quello che salta la coda al semaforo e mette la freccia all’ultimo potrebbe stare facendo una performance d’arte figurativa, se è bianco e ha un’automobile ironica. Se invece ha un SUV no. L’altra sera entro in un locale raccomandatissimo e ordino un white lady. È uno dei cocktail più vecchi del mondo. Semplice, pulito, efficace. Mi portano tre bicchierini da shot su un vassoio in pietra lavica.

«Quello contiene il gin, quello il triple sec, quello il limone» dice il cameriere.
«Grazie, però io avevo chiesto un…»
«È un White lady. Ma destrutturato.»
«E come lo shakero?»
«Non ha capito. È una provocazione del mixologist. Gli ingredienti vengono serviti separati, è il cliente a mescolarli dentro di sè, sostituendo al ghiaccio dello shaker il gelo che ha nel cuore; sciogliendolo.»

 

«Diciotto euro ben spesi» dice il tizio al tavolo di fianco.

Mi manca, picchiare la gente.
Proprio le risse ignoranti che finisci a rotolarti per terra a dargli in faccia col portacenere, bam bam bam. Ma sono io, a non volermi rassegnare a crescere. E a 37 anni è patetico. Anzi, questa mia tendenza a non capire i meccanismi sociali moderni mi è costata un contratto della madonna. Invitato a una sfilata, ho detto che mi era piaciuta. Poi in giardino ho parlato di un altro stilista, il mio preferito. Tragedia. Gaffe imperdonabile, mi hanno spiegato gli addetti ai livori. Non possono piacerti due cose assieme, qui; quando sei in un posto, deve essere la cosa più figa del mondo. Poi devi andare in un altro e ripetere.

«Devi fare come Diprè. Tutto è bello. Tutto è arte. Così fanno i professionisti. Devi scegliere una cosa e martellare su quella. I cocktail ti piacciono?»
«Sì. Bè, quelli clas
«NONONONONO. Cocktail. Punto. Devi martellare su quelli. Bam bam bam, un brand dietro l’altro. È uscito il nuovo gin? Uao, figata. Fanno il White lady destrutturato? Capolavoro geniale, provatelo, hashtag, call to action ai brand, aumenti l’engagement e accendi un cero alla madonna.»

Milano, città dalle cento puttane e nessuna troia. Qui tutte scopano per soldi, nessuna per piacere. E del resto ci sono venuto apposta da Mestre, Negrato Pozzetto che vien dalla campagna. Darwin insegna che o ti adatti o muori. E l’hiphop mi ha dimostrato che è vero.
AAAAAAAOOOOOAAAAAAAAOOOOOOOAAAAAAAAOOOOOO

«Una brillante provocazione postmoderna» provo.
«Vedo che si intende di arte» dice il mio vicino di casa, dal cui ano spuntano misteriosamente delle verzure «Ha colto il riferimento agli allarmi delle fabbriche vintage? Una severa ironia sul mondo del precariato di oggi.»
«Magnifico» dico.
«Sente come prende bene il timpano, come perfora le pareti? Grida il dolore della moderna classe operaia, quei giovani sottopagati freelance che…»
«È la cosa più bella che abbia mai sentito.»
«Già, già» annuisce lui.

«Senta, parlando d’altro, perché ha una carota nel culo?»
«Mi piacevano le verdure, un pubblicitario ha inventato una marketing strategy provocatoria che spinga la gente a interagire. Lei infatti si è interessato. Sono carote Burzì, buone qui e buone lì.»
«Si guadagna bene?»
«Certo. Ho potuto permettermi un quadro che sognavo da tempo. Venga, glielo faccio vedere» dice, rientrando.
Seguo la sua coda verde sculettare.

 

«Non è stupendo?» domanda.
«È la cosa più bella che io abbia mai visto» annuisco.
«Lo so. È un Pigasso originale commissionato e dipinto per me.»
«Ma Picasso è morto.»
«Ho detto Pigasso. Non Picasso.»

 

https://www.thesun.co.uk/news/2260166/meet-the-pig-who-is-conquering-the-art-world-with-her-abstract-paintings-after-her-rescue-from-the-chop/

Mi giro a guardarlo in faccia.
UEIUEIUEIUEIUEIUEIUEI
Continuiamo a guardarci.
UA’UA’UA’UA’UA’UA’
La carota cade a terra.

Come nasce la Blue whale o il green dolphin

«Dotto’, lei deve salva’ mi fijo.»
«Non sono dottore.»
«È uguale.»
L’ufficio dello psicologo è spartano ma ordinato, scaffali anni ’70 pieni di libri, una scrivania dall’aria scolastica e due seggiole in plastica e alluminio. C’è silenzio e profumo di carta. La donna ha passato i quaranta, indossa un paio di jeans e una maglietta stinta, zeppe di corda su piedi callosi.
«Quanti anni ha, suo figlio?»
«Sedici. Da un po’ de mesi ha iniziato a comportarse strano. Poi, ieri sera, quand’è uscito so’ andata in camera sua e ho trovato questo» dice la donna, porgendo un foglio stropicciato. Il titolo è “Il gioco del delfino verde”.
«Io conoscevo la balena blu» fa lo psicologo.
«EH, E QUESTO È ER DERFINO VERDE»

1) Acquista un poster della Lanterna, appendilo in camera e manda una foto al tuo tutor.
2) Svegliati alle 4:20 e guarda video di naufragi che ti manda il tutor.
3) Mangia della panissa. Solo tre pezzi, poi manda la foto al tutor.

«Cos’è la panissa?» domanda l’uomo.
«Polenta de ceci fritta» fa la donna.
Lo psicologo fa una smorfia di disgusto.
«’o so, ‘o so. Legga, legga.»

4) Disegna una barca su un foglio, accartoccialo e buttalo nel cesso. Tira l’acqua e guarda il foglio sparire. Manda il video al tuo tutor.
5) Se sei pronto a diventare un delfino, scriviti “belin” sulla fronte. Se no, mangia della panissa.
6) Sfida.
7) Inciditi con un rasoio il miglio nautico sulla mano. Manda la foto al tutor.

«Hmmm, potrebbero essere atti di autolesionismo atti al ricondizionamento psicologico» dice l’uomo, alzandosi a cercare un libro «Ma a sedici anni è possibile sia una recita per attirare l’attenzione.»
«Dotto’, nun c’ho capito gnente, ma legga.»
«Non sono dottore.»
«LEGGAAAAA.»
L’uomo torna a sedere.

8) Scrivi “#sono_un_delfino” sulla tua bacheca Facebook.
9) Sconfiggi la tua peggiore paura.
10) Svegliati alle 4:20 e vai davanti a uno specchio d’acqua. Lago, piscina, fiume, mare. Anche una pozzanghera va bene.
11) Acquista un costume da Gabibbo. Indossalo e manda la foto al tutor.
12) Metti dell'acqua in bocca e facendo i gargarismi intona "Con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così, che abbiamo noi quando andiamo a gurgle gurgle".

«Questa canzone l’ho sentita tanti anni fa» fa lo psicologo «La cantava un uomo mentre affogava in spiaggia.»
«Poi è morto?»
«No, era sulla battigia. L’ha salvato un bambino sollevandogli la testa.»

13) Ascolta “liberaci dal mare” per 100 volte.
14) Riempi il lavandino e tieni la faccia in acqua più che puoi.
15) Esci con una donna e chiedile di pagare anche per te.
16) Fai in modo di stare male o mangia una pizza stracchino e pesto.

«Stracchino e pesto» mormora lo psicologo.
«Me dica lei se nun è grave.»
«Suo figlio probabilmente si sente escluso dalla comunità e cerca di integrarsi in un’altra. Ma non capisco quale.»
«Se nun lo sa lei.»

17) Trova lo specchio d’acqua più grande e profondo che trovi. Resta sul bordo per un po’.
18) Sali su una torre. Concentrati. Immaginala affondare.
19) Prova a salire su una barca. Se non ci riesci, la prova è superata.
20) Il tuo tutor verifica se sei affidabile.
21) Parla su Skype con un altro delfino.

«Torri che affondano, specchi d’acqua, delfini, barche su cui non si riesce a salire, polenta coi ceci» fa lo psicologo «Ma che razza di indottrinamento è?»
«Ma io che ne so? Finisca.»

22) Metti i piedi dentro uno specchio d’acqua.
23) Sfida: ripeti che l’America l’ha scoperta Cristoforo Colombo. Fallo finché ti sembra vero.

«Hahaha che sciocchezza, l’America l’ha scoperta Amerigo Vespucci, lo sanno tutti» sorride lo psicologo «Colombo ha scoperto san Salvador. Tra l’altro ignorando i calcoli di Eratostene e cappellando gravemente la dimensione del globo terrestre. Se non avesse sbagliato strada sarebbero tutti morti in mezzo all’oceano.»
«Ma sticazzi de ‘ste robe da froci, vada avanti.»

24) Impara a riconoscere gli albarini.

«E cosa sono?» fa l’uomo.
La donna alza il labbro e stringe le spalle.

25) Incontrati di persona con un delfino.
26) Il tuo tutor ti dirà la data e dovrai accettarla.
27) Alzati alle 4:20 di mattina e guarda un acquario.
28) Non parlare con nessuno per tutto il giorno. Se sei costretto, fatti andare di traverso la saliva.
29) Impara la differenza tra bere dal rubinetto e waterboarding.
30-49) Svegliati tutti i giorni alle 4:20, guarda video di naufragi, mangia almeno un piatto di pasta al pesto al giorno, parla con un delfino.
50) Trasferisciti a Genova.

Lo psicologo depone il foglio: «Sconvolgente» dice.
«CAPITO?! Ma che problemi c’ha?! Che je manca? Che avemo sbajato?!» grida la donna.
«Innanzitutto, si calmi.»
«MA ABBIA PAZIENZA! Ieri sera mio marito va da lui, gli dice…» si soffia il naso «aò maschio, domenica nnamo a vede’ ‘a Lazio?, e mi fijo sa che risponde? Papà» singhiozza la donna «èmmo za daeto!»
«E cosa significa?»
«MA CHE CAZZO NE SO IO! MO’O DICA LEI! È POSSEDUTO?! CHE IDIOMA È, LE BESTIE DE SATANA, I NORMANNI, COSA?! COS’È?! Ma lo sa che m’ha raccontato la madre de Mario, n’compagno de scuola? Che mi fijo è annato in discoteca co’ gli amici e ha ordinato un Basito!»
«Un cosa?»
«ER MOJITO COR BASILICO AR POSTO DAA MENTAAAaaah» piange la donna battendo i pugni sulla scrivania «Mo’ dopo questa come posso spera’ de fallo scopa’!?»
«Signora!»
«EH SCUSI, EH! Ma ha presente se vai co’ ‘na romana ar bar e ordini un basito che succede?!»
«No, cosa succede?»
«PENSA CHE SEI FROSCIO, ECCO COSA!»
«Su, su, sta esagerando» dice l’uomo, porgendole un Kleenex «pensi che in Russia, invece di questo Delfino verde, c’è la Balena blu. E alla fine i giovani si suicidano, altro che diventare genovesi.»
«È ‘a stessa cosa.»
«Non lo dica nemmeno per scherzo. Un romano che vuole diventare genovese è… peculiare, ma non un suicida. Sarà attratto dal mare. Vorrà fare il marinaio.»
«MA MI NONNO ERA DE PISA!»

 


«Ah» fa lo psicologo, tirando indietro la testa.
«Capisce, adesso?» dice la donna, con un filo di voce «Noi siamo il sangue che ci portiamo appresso. Er tempo è ‘na bugia. Cos’è uno, senza storia? A che s’aggrappa? Ce credo che poi s’arruola nell’Iris o fa er capidoglio azuro, ‘a balena verde…»
«Blu.»
«MA PURE LILLA, DOTTO’! Io so’ ignorante, non ho studiato, p-però… Quanno c’erano carestie, assedi, traggedie, i nostri avi sapevano chi l’aveva messi ar mondo. Sentivano de rappresenta’ mamme, nonne, bisnonne, indietro fino a prima de Garibaldi. E SE PENSI QUESTO NUN SEI MAI SOLO! Sei ‘na linea, no un punto! Un punto è come ‘a particella de sodio! È solo, nun sa dove anda’, se perde, more! Una linea nun se perde mai! Se non hai un motivo pe’ sta’ in piedi, stai in piedi per il sangue tuo! Me spiego?»

Lo psicologo si sporge sul tavolo.
«Scusi, con tutto il rispetto: ma per non far sentire suo figlio un… punto, come lo chiama lei; cos’ha fatto? Che gli ha detto?»
La donna stringe gli occhi: «Ma che, serve dirglielo, che ha ‘na famija?»
«Non saprei. Suo figlio conosce i nonni? È mai stato a Pisa? Ha idea di quale sia la sua storia?»
«No.»
«In casa avete foto, oggetti, cose che dicono chi siete, da dove venite?»
«No. Ma che c’entra?»
«Così» dice lo psicologo, appoggiandosi allo schienale «Ogni volta che passo per porta portese vedo corredi della bisnonna, medaglie della prima guerra mondiale, posate con le iniziali… Tutto svenduto a due soldi. Mi sono sempre chiesto cosa rimane in casa di chi vende.»
«Spazio. Ndo’ la metto tutta quella roba?»

«Bè, adesso ha una camera libera» dice lo psicologo.

Appunti sparsi su Guardiani della galassia (1 e 2)

In uno studio psicoanalitico di Alien, gli autori hanno evidenziato il parto/nascita dell’alieno, poi hanno notato che per tutto il film sono presenti esperienze psichiche del bambino nei primi mesi di vita (audio di respiri, battiti e suoni). Hanno aggiunto che l’interno delle astronavi di Giger ricorda l’interno di un corpo umano; l’entrata dell’astronave è una vagina. Ci sono uova nella caverna inferiore. Il computer si chiama Mother. In conclusione, Alien è la rappresentazione della paura del bambino di vivere in un mondo dove non ci sono padri e le madri sono cattive. Nel mondo reale, la madre di Ridley Scott è stata “la prima femminista che ha conosciuto” e suo padre era un militare sempre in giro per il mondo.

Perché il processo creativo viene dalla memoria.

Ora andiamo a parlare di “un blockbuster senza pretese”, come è stato definito da buona parte degli opinionisti di Internet: Guardiani della galassia. Parla di un bambino a cui muore la madre, rifiuta di accettarlo, scappa, vive in un mondo tutto suo alla giornata finché incontra una bambina arrabbiata e ferita come lui. Diventano amici; trovano un gruppo che li protegge e insieme affrontano il dolore, la malinconia e la solitudine che provano tutti i bambini mentre diventano adolescenti. Guardiani della Galassia 2 è il passaggio all’età adulta, l’ultimo gradino – il più atroce – che coincide con la morte del padre e la trasformazione in uomo.

I personaggi principali sono cinque, ma in realtà è uno solo: Starlord, o meglio, il rosso. Nel film, il rosso è il colore dei buoni e della famiglia. Ognuno dei suoi compagni è una parte del suo Io, e ne contiene una parte.

 

 

 

Gamora
È l’eros. Il desiderio infantile del bambino verso la madre. Quando nel primo film Gamora tende la mano a Starlord, lui rivede la madre sul letto di morte. Il maschio adulto cerca nelle donne un succedaneo della propria madre. Nel fumetto, Gamora è definita “la donna più pericolosa dell’Universo”, ossia quella che alla fine ti sposi. Gunn ne sa, dato che ha divorziato nel 2008. Tra Gamora e Starlord c’è qualcosa che non si esplicita ma è molto profondo. Notare: Gamora è verde ma coi capelli rossi. Starlord la reputa estranea. Alla fine, nel momento del climax, quando lei gli tende la mano

…col movimento di camera, dal verde c’è la transizione al rosso.

È in quel momento che Starlord passa da bambino ad adolescente. Gamora diventa l’erede della madre (la cui coperta è rosa, cioè rosso che si spegne). Eppure, dai capelli sapevamo fin dall’inizio che aveva qualcosa di lui.

 

Drax
È la malinconia del passato, dell’innocenza perduta e del proprio ego infantile. È un peso ingombrante, indistruttibile e patetico, come lo scaffale di giocattoli anni ’80 nella casa di un quarantenne. Drax ricorda Hulk perché le scarnificazioni rosse, sopra la sua pelle blu, somigliano alla giacca di Starlord che si straccia per farlo uscire. È l’Hulk della nostalgia. Nella scena del combattimento iniziale col mostro su vol.2, difatti, Drax decide di combatterlo dall’interno. Perché Drax è una cosa interiore tutta maschile, diversa ma uguale a Inside out. Ha lo stesso colore, stazza e tono di Sadness e la stessa innocenza di Bing bong, perché noi gestiamo e affrontiamo la tristezza in modo diverso dalle donne. Non c’importa quante ne prenda Drax; a livello inconscio sappiamo che la nostalgia non la batti a cazzotti. È per questo che su GotG la sospensione dell’incredulità non cade: sappiamo che stiamo guardando altro.

 

Rocket
È l’aggressività adolescenziale, quella fase della vita in cui pensiamo solo a picchiarci per frustrazione sessuale e rabbia verso il padre/ostacolo, quella figura che si mette di mezzo tra noi e il nostro desiderio verso la madre e ci obbliga a diventare adulti per avere delle donne che la sostituiscano. Anche per questo odia Gamora, non si fida di lei e fa di tutto per liberarsene. Quando su vol.2 Rocket si contende il controllo della navicella spaziale con Starlord, è una bella rappresentazione dei sedici anni tra botte, seghe e accenni di maturità. Ricordate nel vol.1, quando è Rocket che si presenta da Yondu armato per riavere Starlord? State assistendo a una lite tra adolescente e genitore. Insensata, patetica, eppure serissima per Rocket.

 


Groot
Su di questo personaggio ci sarebbe da dire molto. Prima di tutto, è l’unico a non avere desideri. Drax e Gamora vogliono vendetta, Rocket e Starlord vogliono soldi. Lui non vuole nulla. Ma quando alla fine del primo gli amici stanno per morire, Groot li salva dicendo “noi siamo Groot”. In conclusione, James Gunn ha usato la parola “groot” per rappresentare il concetto di famiglia. Si presenta assieme all’aggressività perché rappresenta il primo abbozzo di nuova famiglia dell’adolescente che lascia il nido: la compagnia di amici con cui vai in giro a fare danni. Alla fine si sacrifica l’idea di gruppo per (ri)nascere) idea di figlio. Ecco perché quando Drax guarda baby Groot lui si immobilizza: quello sketch è il conflitto interiore dei trentenni tra nostalgia del passato e desiderio di paternità. Groot è la cumpa. Baby Groot, comprare una culla.

 

La Milano
Gunn l’ha chiamata così in onore di Alyssa Milano, la sua prima cotta. Il che depone parecchio a favore del fatto che la Milano sia la Ryley di Inside out, contenente le cinque emozioni principali.

 

 

 

Yondu
Per evitare possibili fraintendimenti, Yondu è così freudiano che ha due parti rosse: la testa e il cazzo. Lo so, può essere ridicolo parlarne, ma Yondu è identificato da un simbolo fallico che incute una paura boia a Starlord: la bacchetta. Che fatalità lascia una scia rossa ed è indistruttibile finché non incontra il padre biologico. Quella bacchetta è così importante che su vol.2 viene inquadrata al rallentatore in 3D mentre ti punta la faccia. Non ditemi che non c’è Freud, in questa roba.

La scena che riassume tutta l’epopea della crescita è quando Yondu, a bacchetta spezzata, abbraccia Starlord e lo porta fuori dal pianeta verso lo spazio, finché i suoi retrorazzi non ce la fanno più. Con Yondu, Starlord abbandona il padre biologico, quell’Ego che vuole annientare tutte le altre personalità per replicarsi (come i padri che cercano in tutti i modi di far piacere ai figli Guerre stellari) abbracciando il padre mentore, che lo spinge al limite delle proprie possibilità per permettergli lo spazio. E quella vastità nera con loro due rappresenta il resto della vita che Starlord dovrà vivere come vorrà. Ma senza più un padre.

Come in tutti i film generazionali, arriviamo al climax. Il Perozzi di Amici miei. Silente di Harry Potter. Obi Wan Kenobi su Guerre Stellari. La morte del padre unisce le personalità di Starlord nel dolore, una cosa lunga, silenziosa e straziante. Si chiude con la rabbia adolescenziale, Rocket, in lacrime dopo aver realizzato quanto lui e Yondu fossero simili. E mentre il primo volume si conclude con una frase che direbbe qualunque adolescente di sabato sera “cosa facciamo? Qualcosa di buono, di cattivo o di così così?”, il secondo si chiude con un silenzio assordante. Perché è così che inizia il primo giorno del resto della vita.

Guardiani della galassia usa un linguaggio nuovo. Conosce Internet e usa i suoi ritmi, le sue esagerazioni e i suoi segreti. È qualcosa di diverso e anomalo. Se quando siete usciti dal cinema avevate una sensazione strana, se per motivi inspiegabili non avete notato incoerenze, buchi, oppure li avete notati e ve ne siete fregati, è perché Guardiani della galassia parla d’altro.