01. La chiamata dell’eroe

01. La chiamata dell’eroe

L’idea ci venne durante una di quelle lunghe e dolorose domeniche d’estate in periferia, quando i rintocchi di campanili e l’abbaiare annoiato dei cani ti ficcano la miseria nelle ossa anche se è luglio. Io, Ario, Luca e Atza eravamo seduti sulle scalinate di un condominio, soli in mezzo a quel che restava dell’ottimismo architettonico anni ’60. Attorno a noi asfalto vecchio, siringhe e preservativi facevano da materasso per il paese reale: adulti partiti per cambiare il mondo e finiti a cambiare canale, ragazzini partiti per combattere il sistema e finiti a combattere le proprie tossicodipendenze.

Avevamo appena scoperto che a compiere diciotto anni non cambiava nulla.

Eravamo i soliti quattro sfigati. Un rapper, un truzzo, un metallaro e un bravo ragazzo che avevano scelto strade diverse per esprimere la propria adolescenza, ma che condividevano i grandi valori della vita: sognare di trombare Antosha, una prostituta dell’est nostra coetanea. Aveva pelle bianca come la neve e nessuno sapeva dire che faccia avesse, perché il suo reggiseno strabordava di ciò di cui sono fatti i sogni.

Batteva alla fermata del 21/. Scendeva dall’autobus verso mezzanotte in jeans e canottiera, entrava nel boschetto e ne usciva in versione pornodiva. Costava 50,000 lire a cranio, che per noi era il bilancio annuale. Anche grattando dai cappotti e dai portafogli dei genitori riuscivamo a fare su il minimo necessario per birra, droga, sfide a Point Blank e miscela per il motorino.

«Ma Cristo, solo io, qui, ho sangue nelle vene?» dice Ario, alzandosi in piedi «Ormai siamo maggiorenni, abbiamo dei doveri: la coscia di Antosha ha bisogno d’aiuto e l’Italia che fa? Perché QUESTA è l’Italia, signori. Un paese dove giovani volenterosi, gagliardi, sono costretti a delinquere per poter fare il loro dovere. Insomma: tocca scippare.»
«MA QUANDO MAI?!» sbotto.
«Dai, ci facciamo una vecchia, magari stiamo attenti a non strapazzarla e siamo a posto.»
«Pieno così di vecchie con 200,000 lire in borsa» dico.
«Ma noi ce ne facciamo tante! Se m’avessero insegnato matematica così sarei ancora che studio. Ogni vecchia ha una borsa con 30,000 lire e un portapillole d’argento che ne vale 60,000. Se il ricettatore prende metà del guadagno e Antosha per aprire le gambe ne vuole 50,000, quante vecchie deve scippare Ario per scopare? Altro che le mele della signora Pina che va al mercato.»

Io

«NIENTE. VECCHIE.» scandisco.
«Va bene, allora stiamo più nella comfort zone: svaligiamo appartamentini» fa Ario «Che tu hai esperienza.»

Era parzialmente vero. La storia d’amore della mia adolescenza era stata una ladra, a Venezia. Ci ero stato abbastanza da imparare a usare arnesi da scasso artigianali e conoscere i fondamenti pratici e teorici del ladro d’appartamenti.

«Sentite, è inutile: prima di scassare servono dritta e ricettatore. Non abbiamo nessuna delle due» dico «Se in una casa c’è qualcosa di valore lo devi sapere prima. Non puoi andare a caso, o sei come quei mentecatti che rapinano gente per strada e finiscono in galera per un telefonino scassato e tre monete. Le dritte sulle case te le dà il personale di servizio, i vicini di casa, gli operai che lavorano sulle impalcature, i tecnici della caldaia, idraulici, elettricisti; insomma, quei mestieri che impari in galera per riabilitarti. Quando subisci un furto in casa, la prima cosa che fanno i poliziotti è parlare con i vicini, poi informarsi se hai fatto lavori in casa. Poi serve il ricettatore.»
«C’è il padre di Taglia, ricettatore perfetto» fa Ario «Adesso fa il rigattiere, ma alle spalle ha un rispettabile curriculum di furti, rapine, scippi. Poi è stato dentro qualche anno e ora ha imparato che “profilo basso” e “Mercedes vetri oscurati” non fanno rima.»
«Quindi è controllato» sospiro «Non puoi fare come gli slavi che vanno dai gioiellieri, è il primo posto dove vanno a cercare. Non puoi nemmeno tenerti la roba in casa sperando di venderla in futuro: devi prendere e rivendere entro poche ore, perché appena hai in mano roba altrui, da qualche parte un poliziotto o un Carabiniere stanno pensando il tuo nome.»
«Nebo noi dobbiamo fare su 200,000 lire, no Houdini che svaligia la banca d’Inghilterra. E poi siamo tutti più o meno incensurati. Dunque entriamo in un posto X, arraffiamo quel che capita e via dal Taglia» fa Ario.

«Ma certo. Ciao Taglia, ho questo prestigioso frullatore degli anni ’80 che funziona a carbone, coprimi d’oro» dico «Taglia ecco questi deliziosi quadri dipinti da una commessa in crisi di mezza età, mi raccomando, i milioni li voglio in tagli piccoli. Taglia qui ho un ironico portaombrelli a forma di cazzo, dammi direttamente le chiavi del BMW.»

«Nebo, il tuo disfattismo è sconcertante» fa Ario.
«Tanto non abbiamo la dritta, stiamo parlando di niente.»
Silenzio.

Din don don, din don don, fanno le campane segnando le nove

«Perché stiamo parlando solo di case?» domanda Luca «Perché non… un collegio?»
Tutti e tre ci voltiamo a fissarlo come se fosse emerso dalla terra.

A diciotto anni, Luca voleva far parte della gente perbene. Voleva essere come i suoi genitori volevano. Ma era uno di noi, e lo detestava. Si tirava dietro la sua anima come un vecchio fumatore si trascina la bombola d’ossigeno, sempre con la gamba saltellante sotto al tavolo, i sospiri a mascella serrata, lo scuotere impercettibile della testa. Ogni dettaglio gridava il suo bisogno di essere perbene, mentre ogni muscolo svelava la sua natura.

E faceva di tutto per stare in quei ristretti circoli di mostriciattoli detti “compagnie giuste”. Arrivava in piazza Ferretto con i capelli gellati, la camicetta bianca e il maglione blu, i jeans di marca, le scarpe perfette. Si aggiungeva ai cerchi dei compagni di scuola che parevano fatti in serie. Stava a spalle strette e sopracciglia corrugate, il sorriso teso a mordicchiarsi le pellicine del labbro, citando tormentoni della TV come massima forma di comunicazione. Sembrava si divertissero un mondo, invece lo vedevi entrare al Pool alle dieci e mezza, massimo alle undici. Spesso con la faccia gonfia.

Perché aveva scatti di rabbia spaventosi.

Beveva troppo, poi attaccava rissa senza provocare, senza le spinte, senza gli insulti: prendeva una sedia e la sfasciava sulla schiena di un tizio di passaggio. Tirava un cazzotto a una persona a caso. E la gente perbene lo adorava, perché i bulli sono odiati nei film quanto amati nella vita reale. I bulli continuano a essere tali perché la gente li istiga. Sono divertenti, rendono le serate eccitanti. A nessuno importava che le botte che Luca pigliava, in realtà, se le stava dando da solo. La sua più grande sfortuna, in fondo, era l’intelligenza. Quella tagliente e indomabile, famelica di libertà, capace di consumarti le viscere.

Quand’era con noi si trasformava.

Arrivava al tavolino, unica camicia bianca di tutta la sala giochi. Fisico asciutto, spalle curve e strette, guance incavate. Ci guardava, arricciava il naso, scuoteva la testa. Prendeva una Coca al distributore – al Pool non c’erano alcolici – e dieci minuti dopo chiacchierava con noi sui tavoli unti, il linoleum con le bruciature di sigaretta, la cacofonia della radio sovrapposta ai videogiochi, la puzza di sudore e ganja, le ragazze che parlavano solo dialetto. Le spalle si allargavano. Prendeva colore. Faceva respiri più lunghi. La sua gente era lì fuori, lontano dalle luci lampeggianti degli arcade. Erano le macchine regalate dai genitori che sfrecciavano in tangenziale mentre noi scaldavamo i bong in campagna. Erano carriere, investimenti, aziende di famiglia, adulti in divenire. Quindicimila lire per un Angelo azzurro sul tavolo a bordo pista dell’Area city, con le ragazze che cantavano quella nenia malinconica e crudele di Alexia, me and you, la la la la la laaa. Luca odiava quella canzone. Ogni volta che al Pool la mettevano, si alzava e chiedeva di cambiare.

«Scusa, che collegio?» domando.
«Ad Astorzi di Boion. Ci andavano i figli dei ricchi negli anni ’80, quest’anno ha chiuso. L’ho letto sul giornale. Forse c’è ancora la roba dentro.»
«Dunque tutto il ciarpame sciccoso è ancora al suo interno» fa Ario, grattandosi il mento «Mobilio di pregio, argenti, cose gay rivendibilissime. Nebo?»
«Che sia distante da qui sarebbe anche un vantaggio» ammetto «Quanto?»

Quaranta minuti di macchina. Decidiamo di fare un sopralluogo, tiriamo fuori tutti i nostri risparmi e totalizziamo 9.850 lire per la Fiat 127. Ario stringe i soldi nel pugno: «Dio! L’eccitazione dell’avventura manigolda preme, la sentite anche voi o no? Vamos, vamos!» ringhia a denti stretti «Palle vuote o galera! Sarà come una di quelle storie di grappa e spada, dov-
«Cappa e spada.»
«…dove gli eroi assaltano il castello per rubare e trombare la principessa. Nulla potrà fermarci.»

Invece sì. Ma sono passati oltre 15 anni, i reati sono in prescrizione.
Andiamo a incominciare.
[continua]