All posts by Nebo

La droga uccide in modo molto divertente

La droga uccide in modo molto divertente

A Mestre son tre o quattro i posti dove puoi fumare in santa pace, noi ne avevamo uno vicino ad un campo sportivo. Questo posto era – ed è tutt’ora – meraviglioso, protetto, coccoloso ed intimo. Se da qualunque parte d’Italia (tranne Venezia) venite a Mestre in treno ci passate sopra per forza, è un ponticello sospeso su un fiume in mezzo al verde. Da una parte c’è una casa abbandonata, dall’altra un campo sportivo. Si arriva, ci si siede nella nicchia a lato dei binari e si guarda l’acqua, si fuma e ci si racconta puttanate.

Non è raggiungibile in macchina ed in caso di sbirri li vedi arrivare a molte miglia di distanza. Le vie di fuga sono migliaia. Quando sei lì la cosa migliore del mondo, la più divertente in assoluto, è prendere treni in corsa. In pratica più avanti c’è un passaggio a livello ed i merci hanno i vagoni piatti sempre in coda. Quando il treno arriva si ferma o rallenta, tu ci sali sopra e fai un venti o trenta metri, poi scendi quando accelera troppo. E’ una sensazione MERAVIGLIOSA, ti dà una idea di libertà con una – moderata – punta di adrenalina. Lo chiamavamo “al sorse” che in italiano significa “al topo” perché la prima volta che ci finimmo passò una pantegana più grande di un gatto.

Quella notte eravamo fatti come i fichi.

Si festeggiava il compleanno della ragazza di Dario, e otto o nove persone si accamparono lì e cominciarono a drogarsi ed alcolizzarsi dalle nove di sera. A mezzanotte eravamo completamente rincoglioniti da alcool, ganja, cioccolato ed esalazioni provenienti dal fiume. Io vado a pisciare alla latrina, ovvero un secondo ponticello di cemento largo un metro. Si affiancano Dario e Tex, attaccano a pisciare anche loro.

– Questo posto è strafigo, eh – dice.
– Sì, e poi non ci sgameranno mai, haha, se arrivano gli sbirri li vediamo ed abbiamo un sacco di vie di fuga, haha, li inculeremmo tutti –
Alle nostre spalle passa un merci e comincia a frenare, facendo un casino mostruoso.
– Sai che figo se arrivano?
– Hahahahhahahaha
– Sarebbe da chiamarli noi!
– HAHAHAHAHAHAHAHAH!
– DAI, CHIAMIAMO GLI SBIRRI!
– DAI, CAZZO, DAI, VEDI CHE FIGURA DEL CAZZO GLI FACCIAMO FARE!
– AHAHAHAHAHAHA DAI DAI QUAL E’ IL NUMERO? –
– CENTOQUINDICI!
– NO AHAHAHAHAHA QUELLI SONO I POMPIERI AHAHAHAHAH

Ridiamo tutti e tre, nessuno si ricorda il numero degli sbirri. Ario, nel casino del treno che frena, si gira verso il gruppo e urla “ragazzi qual è il numero degli sbirri?!”. Rispondono a stento “cosa?”. Ario urla: Dico, qual’è il numero degli SBIR-RIII!!
La tragedia si compie.

Nel casino generale alle orecchie degli strafatti amici arriva solo “sbirri”. E i guerrieri della notte scattano ognuno in direzioni diverse urlando “udio scampa”. Il treno che ci separa da loro smette di frenare ed aumenta la velocità. Dall’altra parte io, Ario e Tex guardiamo la scena: Ma che cazzo hanno da scappare?
– ODDIO, SON ARRIVATI GLI SBIRRI – urla Ario – SCAPPIAMO!

Tex ancora con il cazzo in mano comincia a girarsi di qua e di là come un ossesso pisciandoci addosso, urlando “Dove? Doveaaarrh” e finendo nel fiume. Io e Dario corriamo in tondo lanciando gridolini “iiik” “aaah” “oooh”, poi vediamo i vagoni piatti passarci davanti. E ci viene la peggiore idea della nostra vita. Come un sol uomo saltiamo sul vagone di coda del treno. In dieci secondi il treno acquista la velocità a cui bisogna scendere.

– Che facciamo, saltiamo?
– Ma no, poi ci prendono.
– Sì ma se restiamo qui ci ammazziamo.
I sassi sotto di noi corrono troppo veloci.

– Salta, salta!
– Ma col cazzo, salta prima tu! Sei tu che hai avuto l’idea della madonna!

Il vento comincia ad essere troppo forte, gli alberi a fianco di noi sfrecciano sempre più veloci.

– Distendiamoci!
– Ghe sboro, GHE SBORO, xe copemo!
– DOVE VA ‘STO TRENO?
– E IO CHE NE SO?

Avete mai provato a stare distesi su un treno senza pareti nè tetto? Non è gradevole. Le vibrazioni dei binari ti fanno sobbalzare e ad ogni sobbalzo retrocedi di un dieci o quindici centimentri verso una pietraia che, proiettata a settanta chilometri orari, è come un tritacarne. Io e Ario stiamo distesi in silenzio con le dita ficcate nelle fessure delle assi mentre il treno acquista velocità.

– Oddio, dove finiamo?
– E’ UN MERCI, CAZZO, NON FA FERMATE! FINIREMO IN ROMANIA!
– OH DIO NO LA ROMANIA È PIENA DI ROMENI

Sfrecciammo nel passaggio a livello di Carpenedo ed io guardai negli occhi un tizio al volante di una mercedes che fece una faccia indescrivibile. Dopo dieci minuti il treno rallentò per arrivare, appunto, in stazione a Mestre. Passammo a fianco di un interregionale per Padova e provammo quello che prova Superman quando il bambino dal finestrino dell’aereo lo guarda. Scendemmo con i capelli alla Michael Jackson prima dell’operazione, attraversammo i binari e ce la squagliammo. Il giorno dopo venimmo a sapere che:

1) la ragazza di Ario scappando si era storta una caviglia, aveva raggiunto casa zoppicando e per tenerlo nascosto ai genitori ora ogni volta che cammina a piedi scalzi le fa male il piede.
2) Eddy era caduto fracassandosi un sopracciglio.
3) Tex era riuscito ad uscire dal fiume ma aveva vomitato per tutta la strada, era arrivato con 40 di febbre a casa, lo portarono in pronto soccorso e diagnosticarono epatite A.
4) Edo aveva preso il cinquantino e convinto di essere inseguito da una macchina nera arrivò a Quarto d’Altino, finì la benzina, fece il pieno con i pochi soldi rimasti ed arrivò a S. Bruson di Dolo. Nessuno si spiega come. Non avendo soldi per farne altra chiamò Tex disperato chiedendo che lo venissero a prendere, ma Tex era in pronto soccorso. Rispose non si sa chi al cellulare che lo mandò affanculo ed Edo dormì dietro la baracca del benzinaio. Lo riaccompagnarono a casa i poliziotti e sul verbale c’è scritto “trovato in evidente stato confusionale rifiuta di fornire le proprie generalità”.
5) Di Lele non avemmo più notizie e dopo sei mesi di telefonate a casa la madre ci disse che vendeva gelati in Germania.

Ario pianse per tutto il percorso di ritorno dicendo che voleva farsi prete perché Dio gli aveva salvato la vita. Il giorno dopo, passata la botta, al telefono bestemmiava come al solito. Io tornai a casa, entrai in bagno e giurai che non mi sarei mai più drogato. Era il 1997.

Quel che non dicono i testi hip hop italiani

Quel che non dicono i testi hip hop italiani
– Papà, io sono un rapper.
Così esordisce Gianfilippo, un uomo sulla trentina, alla sua riunione di famiglia. Le reazioni dei parenti sono varie. Le donne che votano a sinistra hanno un moto d’affetto istintivo, dovuto al fatto che si innamorano di ciò che non capiscono. I maschi presenti sono il nonno, il padre, lo zio ed il fratello minore di Gianfilippo, un dark con due occhiaie spaventose che pippa coca come un bracco e minaccia di suicidarsi ogni due minuti.
– Vedi – esordisce il padre, rivolgendosi allo zio – ma non poteva semplicemente nascermi handicappato?
Lo zio scuote la testa. Il nonno si sporge:
– Gianfilippo, cosa cazzo è che sei?”
– Un rapper, nonno.
– Ma vai in chiesa?
Qui Gianfilippo esita. Molti gangsta di New York hanno crocifissi e nei video li vede pregare. Tenta il tutto per tutto:
– Sì! Vado in chiesa”
– Allora sei uno stronzo – taglia corto il nonno, che militava per Rifondazione.
– Questa non è la mia vera famiglia – risponde Gianfilippo, sprezzante – i miei fratelli sono laggiù, fuori, in strada.
Il padre drizza le orecchie: – Come sarebbe?
– SI! I miei veri fratelli sono là fuori! –
Il padre si gira verso la moglie, che comincia a diventare viola, e le chiede se c’è qualcosa che deve dire. La moglie scuote immediatamente la testa, ma il suo colore par quello di una ferrari.
– ORA BASTA! – urla Gianfilippo, gesticolando – questa è una cazzo di situazione, io me ne vado, qui l’aria sta diventando pesa.
– Il nonno si dev’essere cagato addosso – sospira la zia alzandosi verso l’anziano, che bestemmia e la allontana a bastonate.
Per strada Gianfilippo medita. Ha trent’anni, rappresenta il vero anche se parla uno slang non suo, veste marche non sue con nomi non suoi, fa musica non sua e rappa di storie che non sono sue su un flow che non è suo ed ascolta musica non sua in macchina. Di suo padre. Gianfilippo è un soldato di Zion. Non sa cosa voglia dire, ma deve avere qualcosa a che fare con la ganja. Più o meno come quando un professore all’università disse “protesto vibratamente” e lui rispose “sento la sua vibra, prof”.
Suona il cellu. Guarda chi è. HCTIB.
Lo rigira.
BITCH.
Risponde usando il suo nome in terza persona.
– G.J.Gangsta
– Ciaaao, bellissimo…
E’ la donna della sua vita, Fly Keem, una donna che si trucca con il fucile a pompa, pesa tre volte lui, ha più piercing che cervello ed un complesso di Edipo da Guinness dei primati.
– Eyyò, bitch, com’è?
– Com’è cosa?
– Chi?
– Non so, tu hai detto com’è.
– Yò, non importa. Spara.
– Come stai?
– Pff.. i soliti casini – minimizza lui.
– Capisco cosa intendi.
Non è vero, ma Fly Keem vota a sinistra.
– Allora, quando ci bekkiamo? – continua lei, sensuale.
– Yò.. non so, devo andare a New York uno di questi giorni, qui ci sto stretto.
– Anch’io.
Ed è vero. Fly Keem ha appena buttato un paio di pantaloni che ora sono usate come lenzuola matrimoniali da una coppia di barboni.
– Stasera?
– Ok. Mi metterò il maglione attillato…
Che, ovviamente, i barboni aspettano per usarla come trapunta. Viene la sera.
Gianfilippo cammina nel suo rionez con l’andatura di un ammalato cronico di emorroidi, saluta gente per strada fagendo gesti da bambino spastico e si trova con la balena, che viene scambiata da molti per un pilastro di marmo travertino.

La poesia è fortunatamente morta

La poesia è fortunatamente morta
Cento-duecento anni fa la poesia faceva strage, funzionava, dava spettacolo e – soprattutto – seduceva le donne. Se una cosa seduce le donne è arte. Se no, no. Oggi che l’ignoranza (buona e cattiva) domina il mercato la poesia è morta perché Thomas Milian/Amendola hanno palesato la retta via: svacco o morte. Partiamo col freestyle.
“Voglio morire
per rinascere nel legno
dei tuoi sguardi intarsiati
dei mille uomini
che non hai mai conosciuto”

Ditelo ad una donna qualunque. Farà una faccia confusa, poi risponderà: “come sei dolce”. Non scoperete per le prossime dodici ore.

“Amore, confesso: ho chiavato puttane,
fra troie slovene e bagasce italiane
mi fanno i bucchini, io sborro contento.
Ma con te è diverso, c’è sentimento”

Vi tirerà una pacca sulla testa ridendo e dicendo “che stronzo che sei”. Scoperete nel giro di dieci minuti. Vorrei ora farvi un esempio perfetto di quello che intendo: Asia Argento e Morgan. Asia è la classica ragazzina viziata wannabe artista-alternativa-kontrokorrente che ispira milioni di adolescenti complessati fatti con lo stampino. Grazie a questo trucchetto della “perversa artistoide” ha meritato migliaia di seghe da parte di tutta Italia. La stessa cosa della Jolie, ma più ignorante. Per stare a tema con il suo personaggio ha deciso che l’uomo perfetto da abbinare dev’essere un poeta maledetto: chi c’è in giro? Morgan.

Morgan è un depresso cronico, fallito nell’animo, uggiolante, senza palle, bambinone, farcito di paranoie come un cannolo, brutto come il culo. Portato alla ribalta per aver scritto le stesse puttanate che scrivono legioni di adolescenti nei blog, Morgan emerge prepotente salendo sulle piramidi di pus dei suoi più disperati fan. In Italia va così, mandan in alto i simboli di una categoria perché se ce la fa lui, ce la fanno anche loro.

Si vedono e convinti di essere la reincarnazione di qualcuno si mettono insieme, per il primo periodo vivono il Sogno. Morgan scrive poesie disperate e fa musica farneticante bruciando nel fuoco dell’arte. Asia interpreta parti sempre più simili al suo personaggio, eccoli, ECCOLI, il trionfo dell’arte alternativa: una buzzicona romana ed un contadino depresso. Me li vedo distesi sul letto a baldacchino ad eccitarsi guardando foto di nani deformi per poi fare una pecorina mentre Morgan recita versi di Baudelaire ed Asia lecca sperma citando Prevèrt.

Sublime.

Dopo una vita del genere, se fossero morti insieme in un’orgia per overdose di cocaina io sarei andato al funerale con le dita a YO e sulla bara avrei detto “respect, bruvaz, FUCK YEAH” perché le rockstar devono morire così, come il chitarrista dei Pantera: una vita all’insegna del vaffanculo, mortali, io mi brucio tutto sborrandovi in testa. Ma non va così, purtroppo. Morgan s’ingelosisce un pò vedendo Asia che sarà anche alternativa, ma si bagna a lago per i muscoli e la nerchia di Vin Diesel. Lui non produce più un cazzo perché quando agli adolescenti kontrokorrente dai una vagina la loro verve creativa curiosamente s’esaurisce.

E’ il collasso.

Asia sarà quel che sarà, ma è romana. Io ho un rispetto ed una simpatia istintiva per i romani, perché hanno un dialetto che è in grado di far crollare montagne ed un cervello addestrato da anni di insulti da strada. Mai attaccar briga con un romano, se parla e c’è pubblico sei fottuto. Non importa quello che dici, il romano lo dirà meglio e con più potenza. Se poi i due avversari sono un complessato tisico del nord ed una donna romana, fate voi. Morgan in un’intervista dice “Asia io l’amo ancora, nel mio cuore c’è solo lei”. Asia in un’intervista dichiara “oh, nun ne potevo più, piagneva sempre”.

Dopo una cosa del genere qualunque uomo dotato di attributi o prende la penna e fa il miglior album della sua vita pilotato da un singolo chiamato “Piango perché non sai fare i pompini” o, più dignitosamente, si suicida. E sapete perché? Perché lo spettacolo non lo fa lo stronzo sul palco, lo fa il pubblico. E se una volta era fatto di sempliciotti sentimentali, ora è un saloon da frontiera dove se ti presenti con uno spettacolo di giocoleria o di poesia, finisce a revolverate; i cowboys vogliono i culi.

Forza, ragazze, al lavoro, c’è gente che aspetta. La poesia è morta, banda di rompicoglioni. Ogni volta che guardate un culo, ogni volta che credete di essere poetici, la poesia muore di più.

Bromuro is overrated

Bromuro is overrated
Le tragedie iniziano sempre con un nome innocente. La mia si chiama “Mexican Sauce”.
- 2 avocado maturi
- 100 g di pomodoro
- 4 peperoncini "Serrano"
- 40 g di cipolle
- 2 gambi di coriandolo verde
- il succo di mezzo limone verde
- sale
Come diavolo m’è venuta l’idea di invitare a casa la donna dicendo “cucino io”?
Vi do un indizio: ho le palle vuote.  Su, mica è la fine del mondo. Poi me la sono sempre cavata bene con i fornelli. Sì, forse “frittata” e “carne alla piastra” non sono il soufflè, ma chissene. Mi restano due ore e ventisette minuti, sono armato come Rambo e sconfiggerò questa salsa messicana con niente. All’attacco.
Scottare in acqua bollente i pomodori, pelarli, togliere i semi e tagliare la polpa a pezzetti.
L’acqua bolle, lancio i pomodori da tre metri e secondo il principio “Vajont” una muraglia d’acqua rovente spegne il fuoco. Vaffanculo. Sposto la pentola ustionandomi, riesco a non farla cadere. Due dita fottute, vesciche che sembrano porcini di stagione. Con medio ed anulare prendo il fiammifero e riattivo la fiamma. Ci appoggio la pentola. Il salvafiamma spegne il fuoco. Sposto. Rifaccio. Aspetto, rimetto la pentola, funziona. Nel frattempo i pomodori/bomba si sono orrendamente frollati ma io non posso saperlo, estraggo con un cucchiaio i pomi che al pari di un ectoplasma si POLVERIZZANO. Incredibile, mai visto nulla del genere. Sciolti. SCIOLTI. Rifaccio. Questa volta i pomodori vengono “scottati”. Li pelo in un massacro di dita, cerotti, acqua bollente, polpa, semi e Swatch. Sì, ho tagliato il cinturino dell’orologio. Non chiedetemi come. Il risultato è brillante: i pomi sono in fila belli tagliuzzati e orgogliosi. Faccio un primo conteggio dei morti, due dita, un cinturino e quattro pomodori nuclearizzati. Devo razionalizzare un po’.
Tritare le cipolle e i gambi di coriandolo
Haha, FACILE. Prendo il tagliere e colto da sacro furor divino riduco una cipolla in pappetta, lacrime sgorgano dai miei occhi come quando pagai i biglietti a me e alla mia ex per guardare “Giovanna La Pazza” al cinema e leggemmo “con la partecipazione di Manuela Arcuri” quando avevano già sprangato la sala.
Dov’eravamo? Ah, sì: il coriandolo. Quando mi sono presentato dal fruttariolo gli ho detto “due gambi di coriandolo”. Mi ha guardato dicendo “non esistono”. E io mica mi permetto di contraddirlo. Così è partito un dibattito che ha coinvolto tutti i clienti. Alcuni sostenevano fosse il porro. Altri che esistevano i SEMI di coriandolo, altri che dicevano che i giovani d’oggi si drogano con tutto.
Ora io guardo una confezione di semi di coriandolo, due gambi di porro e due gambi di una pianta a me ignota ma che costa come il platino. Il dramma è che tutte e tre hanno tre odori diversi. Che faccio? L’orologio corre, e come direbbe Bauer non c’è tempo. Chiamo mia sorella. Mia sorella studia farmacia. Papà e mamma non sanno che è stata allontanata dal laboratorio di chimica perché l’han sgamata per tre volte che provava a fare il C4. L’esplosivo.
– Che c’è?
– Per l’amor di Dio, cos’è il coriandolo?
– Un’erba da cucina. Somiglia al prezzemolo.
– Ho qui davanti dei semi, due porri ed una pianta che non so cosa sia. Devo fare una salsa messicana.
– Chiamo subito l’ambulanza.
– Scema, dimmi quale di ‘ste tre cose è il coriandolo.
– Santa madonna. Ti videochiamo, metti giù.
Mi videochiama.
– Quei semi potrebbero essere, l’altro è porro, quella pianta lì… OHMIODDIO! E’ utricularia australis, una pianta rarissima! E’ l’erba vescica!
– DAAAIIII, HO FRETTA!
– Mio Dio, e quella lì a fianco… OH, MADONNA, E’ ESTINTA DA MILIONI DI ANNI!
Metto giù incazzato nero. Decido di soprassedere.
Privare dei semi i peperoncini e tagliarli a cubetti.
Eseguo senza fatica. Fatto.
Tagliare gli avocado in due parti per il lungo, tagliare la polpa, eliminarla del nocciolo ed inserirla nel frullatore.
…frullatore? Io non ho un frullatore. Ho una macchina per fare granite, però. In teoria E’ un frullatore. Provo. Apro il tubo d’acciaio, guardo la lama verticale: funzionerà. Metto il bicchiere sotto, accendo. *zbròf* Nella frazione di secondo contenuta nel suono “zbròf” il primo avocado si nebulizza sulla parete della mia cucina, dipinge fantasie giallastre sulla mia maglietta e crea splendidi arazzi sul soffitto. Leccandomi la faccia metto via la macchina per granite ormai lercia, prendo il tagliere e comincio a massacrare a coltellate i due avocado rimanenti. Funziona. Come un orlando furioso trituro tutto, i semi, il porro, la pianta vescica misteriosa. Butto tutto in una terrina. Mescolo, aggiungo sale e limone. Assaggio aprendo già l’acqua del rubinetto pronto a vomitare. Macchè. E’ buona. Picca da morire, ma è buona. Perfetto: faccio le tortillas alla bell’e meglio, ma tanto son già prefatte.
Tempo restante a doccia e apparecchiatura: dieci minuti.
BEEE-E-E-E.

Sono completamente nudo con un piede nella doccia quando il campanello ronza. E la madonna? Vogliamo parlare della madonna? Metto un asciugamano, apro la porta.

– Cate, sto entrando in doccia. Abbi pazienza, è stato un massacro. Stai bene con quel vestito. Siediti che faccio in un minuto –
– Grazie! Posso far qualcosa? –
– No, tranquilla, è tutto pronto. Ho fatto la migliore salsa mai assaggiata, un capolavoro –
Entra, si guarda attorno, appoggia la borsa, ci diamo un bacio. Faccio per andare ma mi blocca e prolunga il contatto. Il tizio là sotto tira una gomitata al cervello e dice che ora guida lui. L’asciugamano finisce per terra. La attacco alla parete e le alzo la gonna, sposto le mutandine e ci infilo due dita: semaforo verde. Mentre le dita mettono in pratica ciò che in sala giochi facevano con Blanka lei comincia a scivolare per terra. Geme che è un’orchestra. Io tolgo le dita dal bottone e prendo la cloche, già bella che prontaBENEAQUESTO PUN
– Aspetta…
 -Cosa?
– C’è qualcosa che non… come… AAAAAARGH! – urla Caterina, piegandosi in due e accasciandosi.
– Cate, cos’hai? – è viola in faccia e ansima – Cate, cosa… –
E a quel punto lo sento anch’io.
Prima è una sensazione. Poi, leggero, arriva uno strano tepore. Gradevole. Poi milioni di piccole formichine rosse cominciano a camminare sulla punta del mio pene. Poi lo morsicano. Poi il mio pene esplode. La fitta di dolore divora il glande, risale il cazzo – ci mette un po’ – arriva al sistema periferico, risale rapido la colonna vertebrale e deflagra nel mio cervello in un’unica grande ondata che viene tradotta dalla mia bocca in un “H” e dai miei occhi con un semplice sottotitolo: “peperoncino, idiota”
– Cristo, Cate, è peperoncino.
– LO SO, PORCA PUTTANA EVA, LO SO!
Ci guardiamo.
Scattiamo entrambi verso il bagno. Lei si tuffa alla disperata sul bidet. Io apro la doccia, la manopola è fissata male e scatena una pioggerella che la prende in pieno. La vedo di striscio mentre allarga le gambe e ci posiziona il getto gelido dell’acqua. Io metto il tubo sul cazzo e premo. Il sollievo è istantaneo. Per qualche interminabile secondo lo scrosciare d’acqua è l’unico rumore del mondo.
– Non fregarmi l’acqua – dice.
– E’ casa mia, l’acqua è mia – rispondo con tono di sfida.
Silenzio.
– Sei un cretino.
– Sei tu che volevi trombare, haha, sì, trombiamo, facciamo i fighi, ti avevo detto che non avevo fatto la doccia.
– MA ALMENO LAVATI LE MANI PRIMA DI METTERMELE NELLA PITOCCA, TE PAR? –
– E IO CHE NE SAPEVO, CATERINA, IO VOLEVO FARMI LA DOCCIA, LA DOCCIA, CAPISCI?
– ECHESBORO CHIEDI SCUSA, ALMENO, INVECE DI URLARE!
– STO INNAFFIANDO D’ACQUA GELATA UN CAZZO CHE SEMBRA UNA LANTERNA DA SEGNALAZIONE ELICOTTERI, RAGAZZINA, VUOI CHE TI CHIEDA SCUSA TENENDOMI IL CAZZO IN MANO? SCUSA, CONTENTA?
Tolgo la doccia dal mio scroto.
Rimetto immediatamete.
– Non è una buona idea – dico – meglio se prima usiamo il sapone –
– Ne hai neutro?
– Tra la roba di mia sorella, credo.
– E dov’è?
– Sullo scaffale. In alto –
Silenzio.
Nessuno dei due vuole allontanarsi dall’antardide gelida che lenta e letale sta anestetizzando i nostri genitali. Scatto, furego, le formiche tornano alla carica, stringo i denti. Trovato. Trovo anche delle cartine da cannoni, ma soprassiedo. Le lancio il flacone e salto nella doccia. Si lava. Me lo passa e sta a guardare. Eseguo la stessa procedura. Lentamente il dolore scompare lasciando solo un arrossamento viola tenebra. A quel punto si mette a ridere. Mi metto a ridere anch’io. Scoppia a piangere. Continuo a ridere.
– Che c’è?
– Oddio, io volevo tanto fosse una bella serata!
– Tranquilla, non abbiamo ancora mangiato, magari va meglio. C’è un ingrediente segreto, nella salsa.
Si asciuga le lacrime e si strofina con un asciugamano.
Non oso dirle che lo uso per la palestra.
– Che… che ingrediente segreto? No, perché il peperoncino l’ho già assaggiato -sorride.
– Non lo so, me l’ha data il fruttivendolo spacciandomela per coriandolo, è una spezia.
Riesco a risistemarla. La cena procede e la serata finisce bene. Solo il giorno dopo scoprii che l’ingrediente segreto era radice di liquerizia, un purgante per cavalli. Due giorni tra la vita e la morte maledicendoci i morti per telefono tra roventi scariche di diarrea.

Anche nei porno esistono i supereroi

Anche nei porno esistono i supereroi

Un mio amico si porta dietro l’hard disk per fare il backup dei miei suoni e delle basi ogni tre giorni. Questo giro gli offro la cena, mi pare il minimo. Mentre spignatto e ci raccontiam i vari casini mi dice che s’è tirato giù un porno che “devo vedere assolutamente”. Finita la bistecca ci mettiamo davanti al piccio e come ai tempi dell’adolescenza visioniamo questo capolavoro del cinema. Quando eravamo in cinque era più divertente, ma vabbè. Parte.

Interno di una casa.
Un donnone dagli zigomi botulinati borbotta qualcosa al telefono. Stacco, porta si apre con un tizio che tiene un cartone di pizza in mano all’altezza della vita. Il tizio esordisce dicendo “fuck yeah, bitch”. Lei per nulla offesa da questo epìteto apre il cartone trovandovi una pizza pane, pomodoro, mozzarella, prosciutto, funghi e un pene eretto che scatta su come una molla. Positivamente colpita da questo esotico condimento agguanta la proboscide, appoggia la pizza sul pavimento e attacca a succhiare come un calippo. La scena si sposta in salotto, dove la raccoglitrice di funghetti si denuda lasciando intravedere due tette cibernetiche che puntano con odio qualunque cosa. L’uomo, per nulla intimidito da tali aberrazioni umane, le tasta, giocherella coi capezzoli nell’indifferenza di lei, di lui, di me e del mio amico.

Anche il Media Player è un po’ imbarazzato.

Ora il candido giglio pretende il piatto forte e alza il vestitino mostrando un culo con tante di quelle smagliature da sembrar la bandiera americana. Di stelle ce ne son solo due, però.

«Fuck yeah» mormora l’uomo «fuck yeah»

Lei lo guarda maliziosa, scoprendo le sue grazie come ho visto fare solo ad una pescivendola anni fa. Ma lei tagliava a mannaiate le teste delle orate, Cristo, questa invece piazza il culo a pecora con la stessa semplice naturalezza con cui un prete giunge le mani. A quel punto c’è uno spostamento d’aria, il cameraman piagnucola “oh God”, il fantasioso pizzaiolo ha un cedimento e la telecamera vacilla. Io e il mio amico urliamo “uoh!” e facciamo un salto così sulle poltroncine.

Non è una vagina, è un imbuto da petroliere.

L’ano è largo come un avambraccio, da cinque metri è possibile una rettoscopia con vista su colon e fegato e ehi, abbiamo la gola arrossata. Il pizzaiolo si fa coraggio ed infila il pene in quella specie di caverna mentre lei geme compiaciuta. Nel silenzio di un pomeriggio americano osservo un uomo tentare di trarre piacere agitando il proprio scroto all’interno di una pentola da pastasciutta.

La donna urla come se stesse partorendo. L’uomo si muove e con lo sguardo dice al cameraman “per me era rigore”. La telecamera annuisce impercettibilmente. Mi giro verso il mio amico e dico che per me può bastare. Lui mi dice che no, il bello arriva alla fine.  Non mentiva. Improvvisamente, colto da un moto di orgoglio, l’uomo si risveglia: la gira e comincia a schiaffeggiarla, ma con quel fior di scudo di botulino è come fare a cuscinate. Il momento è drammatico, il primo piano degli occhi di lui sono quelli dei manga giapponesi quando scoprono l’effettivo potere del nemico. Come sconfiggerla? COME? E allora lui, Lui, LUI, LUI CHE IN QUEL MOMENTO E’ LA NAZIONALE MASCHILE DEL MONDO, LUI, prende la pizza e la schiaccia in faccia alla donna, che inorridita emette uno strillino. Con decisione disperata il pizzaiolo a cazzoni (non so dirla meglio) trova la bocca e ci infila il pistone dell’amore. A quel punto eiacula urlando “YAAA-HAAA!”.
Sfumatura, titoli.

Domani mi licenzio e divento pony express, è deciso.