Ok, è ufficiale. Proeliator su Splinder è invivibile, i miei sgherri nell’ombra mi hanno informato che è stato venduto per quattro milioni di euro a una ditta abbastanza sinistra. Ieri notte ho fatto un post di cinque pagine, l’ho pubblicato e stamattina c’erano solo quattro righe.
Potete immaginare chi, tra me e la Leo, in questi giorni abbia le mestruazioni.
Per il momento ci si trasferisce qui, non protestate che non ci sono passere perché è una situazione d’emergenza. So che questo farà perdere una valanga di lettori, ma come mi disse qualcuno anni fa, i cambiamenti vengono dal coraggio o dalle tragedie. Del resto in tre quarti della mia vita sono riuscito a entrare perché qualcosa o qualcuno mi spingeva dentro. Buffo.
Ora state qui a fare gli stronzi che io torno a vedere se riesco a recuperare le robe passate.
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Capitolo 6 – Il presagio
Sempre a letto, sempre alle sei, mangiamo crackers e arance. Lei ha gli occhi verde bottiglia, è bianca latte e piena di nei.
«Figure di merda! Figure di merda!» saltella.
«Ho perso il conto alla 2053, ma le ho ordinate per argomento» dico.
«Hmm… ragazze!»
«E ti pareva. Allora, a una festa c’è una quinta con scollatura, vado per fare il brillante e appena apro bocca mi parte un pezzo di patatina giusto sulla tetta di sinistra.»
«Aargh!»
«Non è finita. Mi parte il riflesso condizionato di pulirla…»
«Hahahaha, ceffone?»
«Peggio. Grido inorridito e fuga dalle amiche. Tua.»
«Casa dei genitori di un mio ex, sul tavolo in cucina ci son dei biscotti. Ne assaggio uno, mi giro per dirgli “diobòn che merda” e finisco la frase in faccia alla madre. Che li aveva fatti.»
«Tempismo perfetto» sorrido.
«Te di nuovo.»
«Campeggio» sospiro «Vegeta aveva la morosa olandese, lui la svergina e lei non perde sangue. Il pomeriggio siam seduti sugli scogli, io mi faccio i fatti miei, lui e lei chiacchierano in inglese. A un certo punto Vegeta mi fa “oh Nebo, questa dice che non ha perso sangue perché da piccola è caduta su un cancello”. Io rispondo “sì, di cazzi” e ‘sto imbecille GLIELO TRADUCE.»
«Sarete diventati grandi amici!»
«Pianto e stridore di denti» dico.
Affondo la testa nel cuscino: «Giada» dico, riemergendo «ti amo.»
Mi guarda per un istante, poi si distende: «No.»
«No che?» dico.
«Ami il mio ricordo, non me» sorride, fissandomi «è molto più sicuro. Come ami il suono degli aerei che non piloterai mai. Così ogni volta che li senti dirai
«Potevo esserci io, lì dentro» mormoro, guardando Giada.
E’ una notte splendida a Jesolo, la patria del divertimento, della gioia, il posto e l’ora ideali per sedere al tavolo con uno squilibrato dopo essere stati drogati e pestati. Cerco di controllare quello che potrebbe essere un attacco di paranoia che si alterna ad allegri flash di lei e me. Il cuore nelle orecchie batte come un martello su un pezzo di stoffa e lei sta lì. Troia, inconsapevole e bellissima, impegnata a regalare a quel tizio risate che una volta erano mie. Non c’è mai una Miriam, quando serve.
«Gnocca, la biondina» commenta Ale.
«Eh, ma ha il moroso. Senti, di preciso cosa intendi per “bruciare”?»
Beve un sorso. La guarda ancora, tira su col naso, fa un gesto con la mano.
«Pensa in grande. Ho gli amici giusti. Ho i posti giusti. Ho i soldi per iniziare. Non hai idea quanta grana si può fare solo frequentando certi locali, quando il palazzinaro o l’industriale in vacanza cercano bamba. O ragazze.»
«Quindi sei uno spacciopappone per VIP nella Milano da bere? E’ un mondo sterile come una roccia, Ale, non sono stoppini.»
«E tutto questo tu lo sai servendo spritz ai tavolini di un bar di Mestre?»
Touché.
«Nebo. Questa roba per alcuni è un mezzo, per altri il fine. I secondi, quelli che vogliono la Ferrari e il villone, durano come un gatto in tangenziale. Io tengo il profilo basso. Non do nell’occhio, non faccio le solite cazzate da circo. Resto buono e intanto mi guadagno tutto quello che possono darmi. Non mi servono amicizie di truzzi o zoccoline, quella è gente che non conta niente e al primo scossone finisce in strada. A me interessano banchieri. Imprenditori. Finanzieri. Carabinieri. Giornalisti. Servizi segreti. Gente che non hai mai sentito nominare e che per questo non può cadere. Grazie a loro mi farò una fama indistruttibile come l’aveva mio padre. Ci sono due mondi, qui. Quello che vedi, fatto da imbecilli avidi e stupidi che sbavano per una foto in copertina o la piscina più grande e quelli che contano davvero. Il potere e gli status symbol sono inversamente proporzionali. Quelli che falliscono sono sempre quelli che pensano al marmo del bagno. Quelli che falliscono sono quelli che vogliono il potere PER il marmo del bagno. Prendi la mafia. I grandi mafiosi. Vivono in buchi di merda grandi come celle, murati dentro cascinali abbandonati e braccati da avversari e carabinieri. Ti sei mai chiesto perché? Se questo è il risultato, chi glielo fa fare?»
«Mai capito» dico.
«Il potere. A loro non importa niente di club, nightlife, yacht o balle varie da vippanza da copertine. A loro interessa essere. Il potere è una cosa talmente grande, talmente enorme, che è invisibile. Il tuo cervello non riesce nemmeno a concepirlo. Puoi intuirlo, ma non riesci ad andare oltre. Vedi solo il bunker, la merda delle capre e le foto degli arresti. Oppure vedi il cellulare figo, la barca. Capisci?»
«Non del tutto.»
«Ci sono due cani e una bistecca, ok? Un cane è bello, di razza, curato, lavato, tenuto bene. L’altro è un cane randagio, malandato, malnutrito e brutto. Tutti e due hanno fame. Chi mangerà la bistecca?»
Ci penso: «Non lo so.»
Ale sogghigna, un sorriso sadico che nessun attore ha mai riprodotto con tanta naturale follia: «Quello a cui decido di darla.»
Madre mia.
«Ho capito. L’invisibilità del burattinaio.»
«Bravo!»
«La tua conclusione, Ale?»
«Rovinare il maggior numero di persone possibile» minimizza.
«E c’è gente che studia cure per il cancro a 1100 euro al mese.»
«Sono sicuro i vermi storceranno il naso quando verrà il momento. Senti, mi sono rotto di star qui con te che sbavi dietro alla biondina. Andiamo da un’altra parte, ti va? Voglio mostrarti una cosa.»
«Torniamo verso Mestre, magari. Che ore sono?» chiedo.
«Le due. E Mestre la vedi dal finestrino, ce ne andiamo a Bologna!»
«A BOLOGNA?! Sono le due di notte, arriveremo alle quattro, se stiamo lì un minuto torneremo a Mestre alle sei. Non so se vedi la mia faccia, ma la cameriera mi ha indicato due volte al proprietario.»
«L’hai mai vista, Bologna?»
«No.»
«Andiamo.»
Si alza. Prima che io riesca a prendere la strada di destra va dritto verso il tavolo della Giada. Lo seguo, inorridito all’idea di quello che leggerò nella faccia di lei appena mi vedrà. Eccola che alza la testa, parte dal basso, arriva alla manica della giacca di lui, rapido sguardo al viso, ora tocca a me. Giada sbianca molto prima di vedermi, e quando finalmente intercetta il mio viso passa dallo stranito a qualcos’altro. Alzo la mano e faccio un saluto di cortesia, un flebile “ciao” che spero lui davanti a me non senta. Lei non ricambia. Passa gli occhi velocemente da me a lui, da lui a me. Siamo fuori dal campo visivo. Mi giro un’ultima volta, con lei che ci guarda e dice qualcosa al nuovo trombatore.
Siamo in macchina all’altezza di Santa Maria di Piave quando mi arriva un suo SMS.
COSA CAZZO CI FACEVATE VOI DUE ASSIEME??
Rispondo.
Ale è un mio vecchio compagno di classe. E tu eri bellissima.
Passano cinque minuti, poi lo schermo si illumina di nuovo.
Non si chiama Ale.
«Casini con le donne, biondo?» sogghigna lui, voltandosi.
[continua]
Il colpo di stato
Power Francers
Va bene guru, opinionisti, educatori, filosofi, ma cazzo: artisti no.
Fa sfigato.
Dalla parte del pubblico invece si è sviluppato un distorto senso di colpa. Se ti piace qualcosa di non formativo, non culturale, non educativo, sei una persona vuota. Oggi bisogna giustificarsi se ti piace qualcosa, premettere che normalmente ascolti tutt’altro sciorinando i nomi più underground possibile. Così siamo finiti che pubblico e cantanti vivono nel costante terrore di sé stessi, i primi hanno paura di fare musica e i secondi di ascoltarla.
Capitolo 5 – Il cane di fuoco
La parola “smarrimento” indica con simpatico distacco un’emozione sgradevole. Siamo stati tutti un po’ smarriti. A quattro anni quando all’asilo ci fregarono Gordian. A sedici quando lei voleva farlo al buio. A venti quando voleva un uomo che la facesse ridere. A ventuno quando il rombo del motore copriva le battute ma andava bene lo stesso. Smarriti. Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto lo sguardo di Flavia Vento. Ora il mio occhio sinistro ha appena visto la mia ex con tacco 13 e un’ipotesi di vestito dirigersi verso un punto indefinito, l’occhio destro invece si è paralizzato davanti ad un uomo che mi ha appena raccontato di aver seppellito tutta la famiglia in blocco. Sono smarrito. “Hai bisogno della cartina?” domanda dal 1996 Francesca, al buio, mentre tento di scoparle l’ombelico.
«Se vuoi cambiamo argomento» fa Ale.
Cerco di concentrarmi, concentrarmi, concentrarmi.
«No, bè… dipende da te, credo»
«Tanto te l’avrei raccontato lo stesso, stanotte»
La vedo che va a sedersi in un punto imprecisato del locale.
«Non riesco ad immaginare come ci si senta»
«Oh, il peggio possibile. Calcola che i miei sono morti reputandomi un fallito incapace che nella vita non avreebbe mai combinato nulla di buono»
Sto zitto. Non so come guardarlo. Immagino dovrei dire qualcosa, ma sono attratto dal suo sguardo assente e scanzonato. Sembra stia raccontando un film o una storia non sua. Non riesco ad associare le parole alla faccia, è una scena surreale.
«Insomma, devi capire che mi sono trovato solo, bambinone, con un patrimonio discreto che non sapevo né come usare né perché. Ho passato buona parte della mia vita ad aspettare che i miei risolvessero tutti i problemi. Sai, una specie di sicurezza inconscia, tipo la vita con la rete di salvataggio. Tanto ci sono loro, tanto ci penseranno loro… Per quello potevo permettermi il lusso di avere paura»
«Quando è successo?»
«Un anno fa, circa»
Gesù.
«Mi sembra tu abbia reagito bene» tento.
Solleva le sopracciglia: «Me so comprà na bottja de Laphroig, un Cohiba, sono salito sul tetto di casa con l’obiettivo di buttarmi sul parcheggio che c’è sotto, un volo di cinque piani circa. Bam, fine. Il Laphroig è perché un po’ mi cagavo addosso»
«Ah»
«Eh. Mi son fatto tre quarti di bottiglia ed avevo quasi trovato il coraggio, quando mi è venuta in mente una vacanza di quando ero bambino, in Calabria. Sarà stata l’estate del ’94, quella lunga e calda»
«Me la ricordo»
«Bè, un giorno io e mio padre stiamo andando in spiaggia, incrociamo il guardiano. Un vecchio senza denti messo lì per nulla, ma se non lo pagavi ti spaccava tutte le finestre. Papà si ferma a farci due parole, entra nell’argomento incendi. Quello annuisce con l’aria stanca che hanno i calabresi e ci racconta come si appiccano gli incendi. Tu lo sai?»
«Non so, i mozziconi di sigaretta, una tanica di benzina…»
«Noo, sei matto?! Una tanica di benzina lascia tracce e crea incendi isolati. Li puoi spegnere facilmente. Il trucco per un incendio fatto bene, di quelli che fanno tabula rasa, sono tanti incendi isolati appicciati nello stesso momento. Il segreto sono i cani»
Mi scuoto: «I cani?»
«Già. In Calabria prendono dei cani randagi, li inzuppano di benzina e gli danno fuoco. Le bestie impazziscono per il dolore e corrono fino a morire attraverso ettari di erba secchissima, a cui basta una fiammella per accendersi. In pochi secondi fanno il lavoro di un esercito. Tanti piccoli focolai. Poi quando muoiono non lasciano tracce; anche se trovano le carcasse sono alcuni tra i tanti animali carbonizzati. E’ geniale, se ci pensi. Così, sbronzo e depresso sul tetto di casa mia, ho realizzato che è esattamente quello che volevo essere: un cane di fuoco»
Oh, guarda, il tono di voce di un malato mentale. I peli delle braccia si raddrizzano: «Caaaapisco»
«Non credo. Per me le persone importanti… Il loro disprezzo me lo tengo senza possibilità di rimediare. Amici o amori sono andati o non ne ho mai avuti. Quindi vaffanculo. Il cambiamento arriva per una tragedia o per coraggio. Ho un bel gruzzolo da parte, mi faccio schifo e la vita per me ha un significato ridicolo. Queste cose messe assieme creano un cambiamento. Così sono sceso dal tetto felice. Finalmente nella mia vita sapevo cosa fare. Ho iniziato questa sera»
Il dente comincia a pulsarmi: «A far che?» chiedo.
«A bruciare tutto» sogghigna.
Inizialmente non capisco. Poi qualcosa nella mia testa si domanda se il nostro incontro sia stato casuale. È paranoia? È la droga? Cosa so davvero di lui? Mi accorgo troppo tardi che Ale sta seguendo il mio sguardo fino a vedere lei, seduta al tavolo che ora sembra orrendamente vicino.