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Ok, è ufficiale. Proeliator su Splinder è invivibile, i miei sgherri nell’ombra mi hanno informato che è stato venduto per quattro milioni di euro a una ditta abbastanza sinistra. Ieri notte ho fatto un post di cinque pagine, l’ho pubblicato e stamattina c’erano solo quattro righe.


Potete immaginare chi, tra me e la Leo, in questi giorni abbia le mestruazioni.


Per il momento ci si trasferisce qui, non protestate che non ci sono passere perché è una situazione d’emergenza. So che questo farà perdere una valanga di lettori, ma come mi disse qualcuno anni fa, i cambiamenti vengono dal coraggio o dalle tragedie. Del resto in tre quarti della mia vita sono riuscito a entrare perché qualcosa o qualcuno mi spingeva dentro. Buffo.


Ora state qui a fare gli stronzi che io torno a vedere se riesco a recuperare le robe passate.

Capitolo 6 – Il presagio

Sempre a letto, sempre alle sei, mangiamo crackers e arance. Lei ha gli occhi verde bottiglia, è bianca latte e piena di nei.
«Figure di merda! Figure di merda!» saltella.
«Ho perso il conto alla 2053, ma le ho ordinate per argomento» dico.
«Hmm… ragazze!»
«E ti pareva. Allora, a una festa c’è una quinta con scollatura, vado per fare il brillante e appena apro bocca mi parte un pezzo di patatina giusto sulla tetta di sinistra.»
«Aargh!»
«Non è finita. Mi parte il riflesso condizionato di pulirla…»
«Hahahaha, ceffone?»
«Peggio. Grido inorridito e fuga dalle amiche. Tua.»
«Casa dei genitori di un mio ex, sul tavolo in cucina ci son dei biscotti. Ne assaggio uno, mi giro per dirgli “diobòn che merda” e finisco la frase in faccia alla madre. Che li aveva fatti.»

«Tempismo perfetto» sorrido.
«Te di nuovo.»

«Campeggio» sospiro «Vegeta aveva la morosa olandese, lui la svergina e lei non perde sangue. Il pomeriggio siam seduti sugli scogli, io mi faccio i fatti miei, lui e lei chiacchierano in inglese. A un certo punto Vegeta mi fa “oh Nebo, questa dice che non ha perso sangue perché da piccola è caduta su un cancello”. Io rispondo “sì, di cazzi” e ‘sto imbecille GLIELO TRADUCE.»

«Sarete diventati grandi amici!»
«Pianto e stridore di denti» dico.
Affondo la testa nel cuscino: «Giada» dico, riemergendo «ti amo.»
Mi guarda per un istante, poi si distende: «No.»
«No che?» dico.
«Ami il mio ricordo, non me» sorride, fissandomi «è molto più sicuro. Come ami il suono degli aerei che non piloterai mai. Così ogni volta che li senti dirai

 

 

 

 

 

«Potevo esserci io, lì dentro» mormoro, guardando Giada.

E’ una notte splendida a Jesolo, la patria del divertimento, della gioia, il posto e l’ora ideali per sedere al tavolo con uno squilibrato dopo essere stati drogati e pestati. Cerco di controllare quello che potrebbe essere un attacco di paranoia che si alterna ad allegri flash di lei e me. Il cuore nelle orecchie batte come un martello su un pezzo di stoffa e lei sta lì. Troia, inconsapevole e bellissima, impegnata a regalare a quel tizio risate che una volta erano mie. Non c’è mai una Miriam, quando serve.

«Gnocca, la biondina» commenta Ale.
«Eh, ma ha il moroso. Senti, di preciso cosa intendi per “bruciare”?»

Beve un sorso. La guarda ancora, tira su col naso, fa un gesto con la mano.

«Pensa in grande. Ho gli amici giusti. Ho i posti giusti. Ho i soldi per iniziare. Non hai idea quanta grana si può fare solo frequentando certi locali, quando il palazzinaro o l’industriale in vacanza cercano bamba. O ragazze.»
«Quindi sei uno spacciopappone per VIP nella Milano da bere? E’ un mondo sterile come una roccia, Ale, non sono stoppini.»

«E tutto questo tu lo sai servendo spritz ai tavolini di un bar di Mestre?»
Touché.

«Nebo. Questa roba per alcuni è un mezzo, per altri il fine. I secondi, quelli che vogliono la Ferrari e il villone, durano come un gatto in tangenziale. Io tengo il profilo basso. Non do nell’occhio, non faccio le solite cazzate da circo. Resto buono e intanto mi guadagno tutto quello che possono darmi. Non mi servono amicizie di truzzi o zoccoline, quella è gente che non conta niente e al primo scossone finisce in strada. A me interessano banchieri. Imprenditori. Finanzieri. Carabinieri. Giornalisti. Servizi segreti. Gente che non hai mai sentito nominare e che per questo non può cadere. Grazie a loro mi farò una fama indistruttibile come l’aveva mio padre. Ci sono due mondi, qui. Quello che vedi, fatto da imbecilli avidi e stupidi che sbavano per una foto in copertina o la piscina più grande e quelli che contano davvero. Il potere e gli status symbol sono inversamente proporzionali. Quelli che falliscono sono sempre quelli che pensano al marmo del bagno. Quelli che falliscono sono quelli che vogliono il potere PER il marmo del bagno. Prendi la mafia. I grandi mafiosi. Vivono in buchi di merda grandi come celle, murati dentro cascinali abbandonati e braccati da avversari e carabinieri. Ti sei mai chiesto perché? Se questo è il risultato, chi glielo fa fare?»

«Mai capito» dico.
«Il potere. A loro non importa niente di club, nightlife, yacht o balle varie da vippanza da copertine. A loro interessa essere. Il potere è una cosa talmente grande, talmente enorme, che è invisibile. Il tuo cervello non riesce nemmeno a concepirlo. Puoi intuirlo, ma non riesci ad andare oltre. Vedi solo il bunker, la merda delle capre e le foto degli arresti. Oppure vedi il cellulare figo, la barca. Capisci?»
«Non del tutto.»
«Ci sono due cani e una bistecca, ok? Un cane è bello, di razza, curato, lavato, tenuto bene. L’altro è un cane randagio, malandato, malnutrito e brutto. Tutti e due hanno fame. Chi mangerà la bistecca?»

Ci penso: «Non lo so.»
Ale sogghigna, un sorriso sadico che nessun attore ha mai riprodotto con tanta naturale follia: «Quello a cui decido di darla.»

Madre mia.

«Ho capito. L’invisibilità del burattinaio.»
«Bravo!»
«La tua conclusione, Ale?»
«Rovinare il maggior numero di persone possibile» minimizza.
«E c’è gente che studia cure per il cancro a 1100 euro al mese.»
«Sono sicuro i vermi storceranno il naso quando verrà il momento. Senti, mi sono rotto di star qui con te che sbavi dietro alla biondina. Andiamo da un’altra parte, ti va? Voglio mostrarti una cosa.»

«Torniamo verso Mestre, magari. Che ore sono?» chiedo.
«Le due. E Mestre la vedi dal finestrino, ce ne andiamo a Bologna!»
«A BOLOGNA?! Sono le due di notte, arriveremo alle quattro, se stiamo lì un minuto torneremo a Mestre alle sei. Non so se vedi la mia faccia, ma la cameriera mi ha indicato due volte al proprietario.»

«L’hai mai vista, Bologna?»
«No.»
«Andiamo.»

Si alza. Prima che io riesca a prendere la strada di destra va dritto verso il tavolo della Giada. Lo seguo, inorridito all’idea di quello che leggerò nella faccia di lei appena mi vedrà. Eccola che alza la testa, parte dal basso, arriva alla manica della giacca di lui, rapido sguardo al viso, ora tocca a me. Giada sbianca molto prima di vedermi, e quando finalmente intercetta il mio viso passa dallo stranito a qualcos’altro. Alzo la mano e faccio un saluto di cortesia, un flebile “ciao” che spero lui davanti a me non senta. Lei non ricambia. Passa gli occhi velocemente da me a lui, da lui a me. Siamo fuori dal campo visivo. Mi giro un’ultima volta, con lei che ci guarda e dice qualcosa al nuovo trombatore.

Siamo in macchina all’altezza di Santa Maria di Piave quando mi arriva un suo SMS.

 

COSA CAZZO CI FACEVATE VOI DUE ASSIEME??

Rispondo.

Ale è un mio vecchio compagno di classe.
E tu eri bellissima.

Passano cinque minuti, poi lo schermo si illumina di nuovo.

Non si chiama Ale.

«Casini con le donne, biondo?» sogghigna lui, voltandosi.
[continua]

Il colpo di stato



Il generalissimo entra nella stanza. Sono presenti i massimi vertici della difesa e dei media. Si alzano tutti. Il suo braccio destro, Andrea Frenzi, gli offre un bicchiere d’acqua. Il generalissimo lo prende, beve, si sciacqua la bocca e la sputa in faccia alla Sgrena. 

– Grazie, generalissimo. 
– Da parte di un mio amico. 

Il generalissimo lancia il bicchiere contro il ritratto del presidente della Repubblica, che si schianta a terra tirandosi dietro il crocifisso. 
– Bella mira, signore. 
– Vaffanculo tutti. Allora, cominciamo. 
I presenti si siedono. 


– Quello chi è? 
– Ehm, il giornalista di Repubblica. 

Il Generalissimo sbuffa, estrae la Beretta e gli spara in testa. 


– Signore! Ma che ha fatto!? 
– Silenzio. Cominciamo. 
L’aula annuisce in silenzio. 


– Allora, riguardo questo governo militare di transizione. A me ‘sto paese piace, c’ho fatto un sacco di scopate e mi ero rotto i marroni di vederlo in mano a dei cialtroni. Quindi una sera mi sono chiesto: “perché non ucciderli tutti?”. Siccome non ho trovato buoni argomenti a sfavore, l’ho fatto. 

– Signore, con chi ha, diciamo, dibattuto l’argomento? 
– Con mia moglie. 
– E lei che argomenti ha messo sul tavolo? 
– Il bourbon. Devi interrompermi ancora, Frenzi? 

Frenzi abbassa lo sguardo. 


– Partiamo subito con Internet. Riguardo ai social network: porno amatoriale, vita intestinale, battute, lavoro e foto. Non verranno utilizzati per altro. Negli status il metodo del gancio verrà punito con frustate in piazza. 

– Signore… cos’è il metodo del gancio? 

– Quello che ho appena usato, idiota. Tu aggiorni lo status facebook con frasi del cazzo tipo “peccato”, così tutti ti chiedono “cosa” e tu puoi rispondere felice “non mi va di parlarne”. Come entrare in un negozio, incrociare le braccia e dire “non compro niente”. Frustate. Poi. Tutte le discoteche gay si chiameranno “Google+”. 

– Ma perchè? 
– C’hai mai visto una donna, là dentro? 
– Ma è un social network emergente, che in futuro… 

– Il futuro sono io. Discoteche gay. Poi: il termine “anonimo” è bandito da Internet. Confonde i ritardati mentali, ha un’aura di mistero e incute vago e immeritato rispetto. D’ora in poi verrà sostituito dal titolo “stronzo qualsiasi di cui non frega un cazzo a nessuno”. Senti come è purificante? Dà piena libertà a chiunque di ascoltare l’opinione senza pregiudizi di alcun tipo. Questo titolo verrà sempre riportato per esteso. Non esisteranno account personalizzabili, salvo identità digitali certificate dal comune gli altri saranno “stronzo qualsiasi di cui non frega un cazzo a nessuno_9866788999” e potranno scrivere quello che vogliono riguardo musica, politica, alieni, medicine alternative, ricostruzioni storiche, cospirazioni e varie adorabili cazzate. Sì? 

– Signore, i forum… 
– Non esisteranno. 
– Yahoo answer, Forumalfemminile… 
– Mentre parliamo le forze speciali stanno facendo irruzione nelle abitazioni e trucidando chiunque vi abbia partecipato. 

– E se sono un appassionato di qualcosa non posso aprire un forum? 
– No, usi facebook. Rifletti, Frenzi, brutta faccia di merda. Hai mai risolto un problema che sia uno cercando nei forum? No. Quando trovi la domanda giusta, nessuno gli ha risposto. Se la fai tu, due minuti dopo stai flammando. Via tutti. Riguardo a Youtube, il tasto “dislike” è stato rimosso ed è stato sostituito da “avrei voluto farlo io”. I commenti non esistono più. La SIAE aveva avuto la brillante idea di tassare tutta quella banda di stronzi che intasava la rete coi filmati di youtube, e questo era bene. Rimarrà. 


– Ma… SIGNORE! Tre quarti di blog, flickr, tumblr, tweet cesseranno di esistere! 
– Sì. Sublime. 
– E quei simpa che fanno cazzate e le postano su youtube dandogli nomi che intasano l’indicizzazione? 
– Snidare e distruggere. 
– I monologhi di Santoro! 
– Santoro in questo momento è su un razzo vettore diretto verso il sole. 
– La libertà di parola! 

– Mi sembra già di sentire il suono di migliaia e migliaia di persone inutili che decidono di dedicare il loro tempo a qualcosa di più inutile e meno fastidioso. Guarda le tweetlist, Frenzi. Libere. Niente più hashtag di merda. Niente più righe e righe di followfriday che nessuno ha mai letto né tollerato. Quest’uomo ha emesso un peto che ha svegliato il cane. Questa tizia mostra le tette. Questo fa una battuta simpatica. Questo mi mostra cos’ha cucinato e quasi quasi lo emulo. Perfetto. Direi che con i media abbiamo terminato. Ora parliamo delle zecche. 

– Ecco, generale, a questo proposito – dice il capo della polizia – ho visto che ha rimosso i manganelli e le pistole dall’equipaggiamento. Come conta di disperdere i manifestanti se i poliziotti sono disarmati? 

– Katane. 
– Prego? 
– Katane. Le forze dell’ordine non avranno a loro disposizione né armi da fuoco né manganelli, solo katane. Roba fina, già ordinata dal giappone. Voglio vedere se poi qualcuno ha voglia di spaccar vetrine e auto quando ti corrono incontro duemila Carabinieri a katana sguainata. Tutti così potranno manifestare e ti assicuro che sentirai i colpi di tosse dalla novantesima fila. I vecchi si fideranno a scendere in piazza così come le famiglie, permettendo a tutti di esprimersi. I noglobal, no, gli indignado, insomma quelli lì avranno la loro tanto anelata morte gloriosa e tutti vivranno felici e contenti. Funzionerà. Puoi andare contro un manganello con il casco, puoi perfino fottertene delle pistole, ma quando vedi uno con una katana in mano che ti punta le cose cambiano. 

– …katane.
– Sì.
– C’è il problema degli scioperi, la CGIL sarà inflessibile. 
– Me lo auguro, i cinesi sono dei duri. 
– Non la seguo. 

– L’Italia è sprovvista di sindacalisti, al momento. Sono stati lanciati in brasile, cina, india e corea. Un gruppo è stato abbattuto e due danneggiati dalla contraerea, ma ora che sono sul territorio potranno difendere i diritti dei lavoratori che ne hanno davvero bisogno. Sperando non si facciano vedere con l’iPad, perché lì non posso garantire sulla loro incolumità. 

– Quale aereo hanno abbattuto?
– Non ho mai parlato di aerei.
Mormorio.

– Signore, ci è arrivata comunicazione che se li stanno mangiando vivi. 
– Ai comizi? 
– No, no, proprio fisicamente. 

– A-HA! Sapevo che avrebbero avuto un’utilità, prima o poi. Mettete al lavoro le tizie di Senonoraquando, bisogna che sfornino figli in fretta. Se non sanno come fare, dite alle loro figlie di spiegarglielo. Oh, a proposito di università. Le facoltà che cominciano con “scienze” sono abolite. Filosofia, lettere, arte, ginnastica, via. 

– Troveremo migliaia di professori e insegnanti disoccupati per le strade! 
– Strade della Cina, intendi. Gli facciamo ingravidare le Senonoraquando e poi li mandiamo a dare manforte ai sindacalisti, non c’è problema. Poi. Bisogna che questo popolo di rincoglioniti crei un paese nuovo, quindi il servizio di leva obbligatorio è ripristinato a partire da ieri. Gli obiettori di coscienza sono richiamati a farlo. I renitenti alla leva saranno renitenti ai diritti civili.

– Ma… ma perché?
– SVEGLIA, FRENZI, SVEGLIA! Se domani vorranno davvero ribellarsi a qualcosa o qualcuno, saprebbero farlo? No. Non sanno organizzarsi. Non sanno convivere. Non sanno usare un’arma. Non sanno manco difendersi. Abbiamo addestrato una generazione di vacche indù, non di uomini. Ci credo che son incazzati dalla mattina alla sera, han paura di tutto. Pensa alla Val Susa. Supporto della popolazione locale, viveri, posizione sopraelevata, tempo e uomini a disposizione. Potevano tenere la valle per mesi, li han sgombrati in due ore. Perché?

– Si schioppavano di canne?

– No! Cioè, anche, ma principalmente perché sono fighette incapaci di organizzare gli uomini per competenze e gerarchie. Se solo l’avessero fatto avremmo dovuto calare lo sbirrume dagli elicotteri e non avremmo fatto una bella figura, tanto che l’opinione pubblica avrebbe persino provato empatia e avrebbe notato che ehi, la TAV è veramente una porcata e gli abitanti del posto hanno ragione. Tu!

– Io? – dice uno, alzandosi.
– Tu, tu che scrivi tanto, chi sei?
– Il Dottor Fassina Giacomo della Rovere, giornalista per Liber
Lo sparo assorda tutti.

– Che cazzo, a me non li regalano i proiettili. Abbiamo mica gente del Fatto Quotidiano?
Silenzio.

– Giusto, avevo risolto il problema l’altra notte. Va bene, ci sono domande?





Dal fondo della sala si alza un tipo.
– Generale… la prego, faccia presto.

Power Francers



Il mondo della musica italiana ha una regola non scritta: deve essere istruttiva. Chiunque prenda un microfono o una telecamera deve cantare o rappresentare una sensibilità politica o sociale. Se non lo fa rischia di non venire preso sul serio, e questo è l’incubo ricorrente dei nostri artisti: essere scambiati per artisti. 

Va bene guru, opinionisti, educatori, filosofi, ma cazzo: artisti no. 
Fa sfigato.



Dalla parte del pubblico invece si è sviluppato un distorto senso di colpa. Se ti piace qualcosa di non formativo, non culturale, non educativo, sei una persona vuota. Oggi bisogna giustificarsi se ti piace qualcosa, premettere che normalmente ascolti tutt’altro sciorinando i nomi più underground possibile. Così siamo finiti che pubblico e cantanti vivono nel costante terrore di sé stessi, i primi hanno paura di fare musica e i secondi di ascoltarla. 

Poi sono arrivati i Power Francers.
O i Katerfrancers, devono ancora decidersi.


Quando ho sentito “pompo nelle casse” mi parve una tale figata di ritmo, stile, talento e semplicità che mi spaccò cuore e timpani in due. Il groove strepitoso, i synth nervosi, la metrica di lei che riusciva ad essere musicale e sexy senza mostrare mezza coscia. Compro il brano su iTunes. Poi ascolto “Discoboy”. Lo compro. Trovo “Lei che lo vuole”, lo salto. Trovo “bonita”, lo compro all’istante. Divento loro fan su Facebook e dopo qualche aggiornamento di status ieri mattina leggo questo: 


“Italia! Poliziotti! Politica! Malessere! Tutti che vogliono andarsene! Noi crediamo che se non siamo noi i primi a rimanere per cambiare le cose qui non succede nulla! Facile scappare! Come chi ci chiede perché non cantiamo in inglese!! Perché è tutto fantastico quello che è italiano e noi ci indignamo più per chi vuole scappare senza provare a cambiare e rivalutare le cose che per tutto il resto! Su! Italian do it better!” 



Rileggo il passaggio tre o quattro volte. Non è possibile, penso. All’improvviso mi sento euforico. Perché Internet mi ha abituato al perdentismo, alla commiserazione, al piagnucolio sfigato, all’odio, alle realtà ricostruite e alla serietà per nascondere la pochezza. Soprattutto, Internet mi aveva quasi convinto a considerare ignoranti e presuntuosi delle persone normali. Non lo sono. Chiunque scriva una cosa del genere ha umiltà, coraggio e l’attitudine giusta, quel modo di vedere la vita che ti permette di ridere in faccia ai demoni traendone energia positiva. 

Qualche giorno dopo capito sul blog di Roberto Recchioni, si parla di fumetti. Tra i commenti salta fuori – salta SEMPRE fuori – quello che domanda se nelle tavole ci sono arguti riferimenti a chissà che cazzi. “No” risponde RRobe “sono solo storie”. E’ una frase perfetta. Sono solo storie, è solo musica. Sappiamo che voi conoscete un gozziliardo di autori e volete schiantarci di cultura riguardo citazioni incrociate e punzecchianti assoliti di satira, ma il nostro lavoro è l’intrattenimento. Non siamo professori, vogliamo solo cantare canzoni e raccontare storie. 

Forse un giorno i Power Francers avranno le pretese di educare o di ergersi a portavoci di qualche disagio, diranno che i gay hanno pari diritti, che Berlusconi è disonesto, che gli anni ’70 erano meglio, che i politici sono mafiosi o che i VIP sono stronzi. Forse un giorno scriveranno un libro con la premessa di Marco Travaglio in cambio di una comparsata del figlio nel videoclip, ma non credo. Non ne hanno bisogno. Li vedo vestititi da rincoglioniti con video disgustosi, occhi storti, peli superflui, chiazze di sudore, pancette da birra, coperti di sputi su youtube e mi rendo conto che Goldentrash, Pacchiani e Kate non hanno bisogno di dimostrare niente a nessuno; vogliono solo combattere per il loro diritto di fare festa.

E se non sei d’accordo, chupala.

Capitolo 5 – Il cane di fuoco

La parola “smarrimento” indica con simpatico distacco un’emozione sgradevole. Siamo stati tutti un po’ smarriti. A quattro anni quando all’asilo ci fregarono Gordian. A sedici quando lei voleva farlo al buio. A venti quando voleva un uomo che la facesse ridere. A ventuno quando il rombo del motore copriva le battute ma andava bene lo stesso. Smarriti. Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto lo sguardo di Flavia Vento. Ora il mio occhio sinistro ha appena visto la mia ex con tacco 13 e un’ipotesi di vestito dirigersi verso un punto indefinito, l’occhio destro invece si è paralizzato davanti ad un uomo che mi ha appena raccontato di aver seppellito tutta la famiglia in blocco. Sono smarrito. “Hai bisogno della cartina?” domanda dal 1996 Francesca, al buio, mentre tento di scoparle l’ombelico.

«Se vuoi cambiamo argomento» fa Ale.
Cerco di concentrarmi, concentrarmi, concentrarmi.

«No, bè… dipende da te, credo»
«Tanto te l’avrei raccontato lo stesso, stanotte»
La vedo che va a sedersi in un punto imprecisato del locale.

«Non riesco ad immaginare come ci si senta»
«Oh, il peggio possibile. Calcola che i miei sono morti reputandomi un fallito incapace che nella vita non avreebbe mai combinato nulla di buono»

Sto zitto. Non so come guardarlo. Immagino dovrei dire qualcosa, ma sono attratto dal suo sguardo assente e scanzonato. Sembra stia raccontando un film o una storia non sua. Non riesco ad associare le parole alla faccia, è una scena surreale.

«Insomma, devi capire che mi sono trovato solo, bambinone, con un patrimonio discreto che non sapevo né come usare né perché. Ho passato buona parte della mia vita ad aspettare che i miei risolvessero tutti i problemi. Sai, una specie di sicurezza inconscia, tipo la vita con la rete di salvataggio. Tanto ci sono loro, tanto ci penseranno loro… Per quello potevo permettermi il lusso di avere paura»
«Quando è successo?»
«Un anno fa, circa»
Gesù.

«Mi sembra tu abbia reagito bene» tento.
Solleva le sopracciglia: «Me so comprà na bottja de Laphroig, un Cohiba, sono salito sul tetto di casa con l’obiettivo di buttarmi sul parcheggio che c’è sotto, un volo di cinque piani circa. Bam, fine. Il Laphroig è perché un po’ mi cagavo addosso»
«Ah»
«Eh. Mi son fatto tre quarti di bottiglia ed avevo quasi trovato il coraggio, quando mi è venuta in mente una vacanza di quando ero bambino, in Calabria. Sarà stata l’estate del ’94, quella lunga e calda»

«Me la ricordo»
«Bè, un giorno io e mio padre stiamo andando in spiaggia, incrociamo il guardiano. Un vecchio senza denti messo lì per nulla, ma se non lo pagavi ti spaccava tutte le finestre. Papà si ferma a farci due parole, entra nell’argomento incendi. Quello annuisce con l’aria stanca che hanno i calabresi e ci racconta come si appiccano gli incendi. Tu lo sai?»

«Non so, i mozziconi di sigaretta, una tanica di benzina…»
«Noo, sei matto?! Una tanica di benzina lascia tracce e crea incendi isolati. Li puoi spegnere facilmente. Il trucco per un incendio fatto bene, di quelli che fanno tabula rasa, sono tanti incendi isolati appicciati nello stesso momento. Il segreto sono i cani»
Mi scuoto: «I cani?»
«Già. In Calabria prendono dei cani randagi, li inzuppano di benzina e gli danno fuoco. Le bestie impazziscono per il dolore e corrono fino a morire attraverso ettari di erba secchissima, a cui basta una fiammella per accendersi. In pochi secondi fanno il lavoro di un esercito. Tanti piccoli focolai. Poi quando muoiono non lasciano tracce; anche se trovano le carcasse sono alcuni tra i tanti animali carbonizzati. E’ geniale, se ci pensi. Così, sbronzo e depresso sul tetto di casa mia, ho realizzato che è esattamente quello che volevo essere: un cane di fuoco»

Oh, guarda, il tono di voce di un malato mentale. I peli delle braccia si raddrizzano: «Caaaapisco»
«Non credo. Per me le persone importanti… Il loro disprezzo me lo tengo senza possibilità di rimediare. Amici o amori sono andati o non ne ho mai avuti. Quindi vaffanculo. Il cambiamento arriva per una tragedia o per coraggio. Ho un bel gruzzolo da parte, mi faccio schifo e la vita per me ha un significato ridicolo. Queste cose messe assieme creano un cambiamento. Così sono sceso dal tetto felice. Finalmente nella mia vita sapevo cosa fare. Ho iniziato questa sera»

Il dente comincia a pulsarmi: «A far che?» chiedo.
«A bruciare tutto» sogghigna.

Inizialmente non capisco. Poi qualcosa nella mia testa si domanda se il nostro incontro sia stato casuale. È paranoia? È la droga? Cosa so davvero di lui? Mi accorgo troppo tardi che Ale sta seguendo il mio sguardo fino a vedere lei, seduta al tavolo che ora sembra orrendamente vicino.