Il tagliaerbe aveva ragione da vendere

Gli standard di Skyrim sono bassini.


Sono le cinque e un quarto di mattina. 
Il sole fa capolino dalle montagne innevate, una sfumatura rosa e gialla che si riflette sui ghiacciai perenni. Qui c’è sempre vento. Refolate gelide di nevischio schiaffeggiano senza sosta spuntoni di roccia e noi due, puntini in mezzo a questa immensità eterna. Il pelo dentro l’armatura è di scarso aiuto, solo l’adrenalina e la concentrazione mi impediscono di sentire le punture del gelo. Illia è imbacuccata nella sua corazza di cuoio e pelliccia. 

I suoi occhi, grigi e vigili, mi fissano.
– E’ un gradino di venti centimetri, basta sollevare la gamba – dico.
– Lo sai che soffro di nevrosi ossessivo compulsiva. Non posso fare scalini –
– Ma l’entrata è qui, basta che sollevi un piede – 
– No. Prenderò la deviazione. Scendo a valle, giro a destra, mi imbatto in un branco di lupi, seguo il sentiero per un paio di chilometri e risalgo la montagna dall’altra parte, se non ci sono scalini. Altrimenti ti aspetto a valle.


– Illia, l’entrata è qui davanti.
– Scalini. Male.


Sospiro. Questa donna è forte, coraggiosa e straordinariamente bella, ma ha le sue fisime. La mia compagnia potrebbe essere il revival di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Mia moglie Lydia crede io sia Dio. Il cane parla. Il cavallo ha l’Alzheimer, appena smonto lo trovo che vaga in stato confusionale e per finire ci sono io, che quando vedo graffiti sul muro sento le voci.


– Va bene, ci vediamo all’interno – dico.
– Buona fortuna –


Entro nella grotta. 
Mi giro e c’è lei accucciata e pronta.


– Illia, scusa… –
– Niente domande.
– E il cavallo?
– Niente. Domande.
– Ok. Allora, procediamo con cautela. Che armi vuoi usare?
– Sono una maga, sai che spacco il culo a tutti con la magia.
– Allora perché hai in mano una daga di ferro?
– Mi piace.


Facciamo un paio di scambi.
Dopo averle dato tutte le pozioni e i bastoni magici del cazzo possibili ci addentriamo nella caverna, un pertugio scavato tra neve e roccia che incanala un vento assordante. Vediamo un bagliore, raddoppiamo le cautele. Mi sporgo e vedo una caverna enorme, profonda, dove mani umane hanno costruito palafitte e capanne. Banditi.


– Quanti sono? – chiede.
– Cinque. Sei con il fabbro là in alto. Ascolta, l’approccio è silenzioso, chiaro? Non fare puttanate. Non fare come mia moglie Lydia.
– Che faceva Lydia?
– Eh, se sentiva voci si lanciava nel vuoto a spada sguainata e moriva dopo avere allertato anche i pesci nel laghetto prima che io riuscissi a tirare fuori l’arco. Prometti che non lo farai?
– Solo se dopo mi ridai la daga.
– Sì, sì.


Strisciamo nell’ombra, occhi vigili per eventuali sentinelle. Ne vedo una in alto che mi dà le spalle. Avveleno la freccia con le ghiandole dei ragni di neve. Incocco, calcolo la parabola della freccia, trattengo il respiro e scocco. La sentinella cade con un gemito strozzato, che per fortuna nessuno ha sentito. Ci nascondiamo dietro una roccia, studiamo la situazione in basso. Due sono a un tavolo che chiacchierano, il terzo sta dietro al bancone. Parlottano tra loro.


– Allora, Illia, facciamo così. Io secco quello in mezzo, appena quelli saltano in piedi tu accoppi il tizio dietro al bancone e… mi stai ascoltando?

Illia guarda altrove, lontano.

– Illia?
– C’è un granchio nel lago, a un chilometro da qui. Lo sento.
– Me ne inculo del granchio, hai capito cosa devi fare?
– No.
– Fa niente, ascolta, mettiti nell’angolo a contare le margherite, ti chiamo se ho bisogno.
– D’accordo.


Punto l’arco. Tendo. Scocco. La freccia trapassa il cuore del bandito da parte a parte, uccidendolo. Gli altri due saltano in piedi armi alla mano.


– COS’E’ STATO?! – urlano, guardandosi attorno.
– DANNAZIONE, DOVE SEI? FATTI VEDERE! –


Sto immobile. Un’ombra tra le ombre, trenta metri più in alto, nascosto tra le rocce. Invisibile. Li vedo guardarsi attorno spauriti. Ora verranno a cercarmi e saranno costretti ad attraversare quella passerella così stretta. Sarà come fare uno spiedino. Avveleno una freccia, preparand


– Bah, qualunque cosa sia, se n’è andata – dice un bandito, sedendosi a fianco del cadavere.


Prende il boccale di birra fradicio di sangue dell’amico, sorseggia e comincia a parlare dei fatti suoi col barista. 


















Forse bluffano, penso. Bèh, io no. Scocco un’altra freccia che si conficca in piena faccia del bandito. Riscattano in piedi sguainando le spade, incazzati neri. Cominciano a girare, esplorano la passerella e i dintorni. Dopo quaranta secondi si risiedono.


– Sarà stata la mia immaginazione – dice il bandito con la freccia conficcata in fronte.
– Sono quei dannati topi, te lo dico io –



























Hmmm.







– Usiamo il Wabbajack! – suggerisce Illia, con un mazzo di margherite in mano.
– Ricordi cos’ho detto del Wabbajack? Si usa solo in casi estremi per ridere.
– Ma è perfetto!


No. Il Wabbajack è un bastone magico, me l’ha regalato Sheogorath. Il Dio della follia. E’ un vecchio amico e ci parlerei per tutta la vita, ma ha un senso dell’umorismo tutto suo. Quel bastone dà risultati imprevedibili. Durante uno scontro con un drago Illia presa dalla furia l’ha usato. Il dannato s’è trasformato in un coniglio di quattro pixel che saltava come un canguro e correva come Bolt, c’ho messo quattro giorni a pigliarlo e appena l’ho colpito è esploso diventando un drago di trenta tonnellate in pieno centro abitato. Ho dovuto abbatterlo a vaffanculi in draghese e ho passato un casino con le guardie.

– Allora cosa suggerisci?
– Arma bianca. Io li sdereno a martellate, tu ci dai di magia, pronta?
– Aspetta, succede qualcosa!

Guardo.
Nella grotta, inspiegabilmente, dall’acqua è emerso il mio cavallo che sta riempiendo di botte i banditi. Mi lancio nella mischia giusto in tempo per vedere Illia sparare laggiù, lontano, verso un granchio che non esiste finché non mi avvicino. Sbuffo e trito di botte i banditi intontiti dal cavallo, che ora passeggia confuso verso un baratro.

– ILLIAAAA! QUI ABBIAMO FATTO!
– E’ tutto qui quello che sai fare? – urla al granchio la mia fedele compagna.


Vabbè.
Sciacallo i morti di oro ed eventuali oggetti di valore, pozioni, verzure varie. Sento gli insulti degli altri banditi troppo tardi, una freccia mi trafigge il braccio. Illia questa volta è prontissima, e spara a forza dieci contro i nuovi nemici. Mi lancio contro di loro nel b

TIRIRIRIRI TIRIRIRIRI TIRIRIRIRI
Cellulare. Chi diavolo è, adesso. Oddio, quello delle riviste.


– Ciao Franco, come stai?
– Ciao Nebo, io bene, volevo sapere com’eri messo con i pezzi, non per metterti fretta ma siamo un po’ a corto di tempo.
– I p… quasi finiti, li sto rivedendo.
– Ah, ok, grande. Me li mandi appena puoi?
– Sereno, in giornata.
– Ciao!
– Ciao, ciao.
Click.

Non ho idea di cosa parli quest’uomo, ma non c’è problema: