Capitolo 6 – Il presagio

Sempre a letto, sempre alle sei, mangiamo crackers e arance. Lei ha gli occhi verde bottiglia, è bianca latte e piena di nei.
«Figure di merda! Figure di merda!» saltella.
«Ho perso il conto alla 2053, ma le ho ordinate per argomento» dico.
«Hmm… ragazze!»
«E ti pareva. Allora, a una festa c’è una quinta con scollatura, vado per fare il brillante e appena apro bocca mi parte un pezzo di patatina giusto sulla tetta di sinistra.»
«Aargh!»
«Non è finita. Mi parte il riflesso condizionato di pulirla…»
«Hahahaha, ceffone?»
«Peggio. Grido inorridito e fuga dalle amiche. Tua.»
«Casa dei genitori di un mio ex, sul tavolo in cucina ci son dei biscotti. Ne assaggio uno, mi giro per dirgli “diobòn che merda” e finisco la frase in faccia alla madre. Che li aveva fatti.»

«Tempismo perfetto» sorrido.
«Te di nuovo.»

«Campeggio» sospiro «Vegeta aveva la morosa olandese, lui la svergina e lei non perde sangue. Il pomeriggio siam seduti sugli scogli, io mi faccio i fatti miei, lui e lei chiacchierano in inglese. A un certo punto Vegeta mi fa “oh Nebo, questa dice che non ha perso sangue perché da piccola è caduta su un cancello”. Io rispondo “sì, di cazzi” e ‘sto imbecille GLIELO TRADUCE.»

«Sarete diventati grandi amici!»
«Pianto e stridore di denti» dico.
Affondo la testa nel cuscino: «Giada» dico, riemergendo «ti amo.»
Mi guarda per un istante, poi si distende: «No.»
«No che?» dico.
«Ami il mio ricordo, non me» sorride, fissandomi «è molto più sicuro. Come ami il suono degli aerei che non piloterai mai. Così ogni volta che li senti dirai

 

 

 

 

 

«Potevo esserci io, lì dentro» mormoro, guardando Giada.

E’ una notte splendida a Jesolo, la patria del divertimento, della gioia, il posto e l’ora ideali per sedere al tavolo con uno squilibrato dopo essere stati drogati e pestati. Cerco di controllare quello che potrebbe essere un attacco di paranoia che si alterna ad allegri flash di lei e me. Il cuore nelle orecchie batte come un martello su un pezzo di stoffa e lei sta lì. Troia, inconsapevole e bellissima, impegnata a regalare a quel tizio risate che una volta erano mie. Non c’è mai una Miriam, quando serve.

«Gnocca, la biondina» commenta Ale.
«Eh, ma ha il moroso. Senti, di preciso cosa intendi per “bruciare”?»

Beve un sorso. La guarda ancora, tira su col naso, fa un gesto con la mano.

«Pensa in grande. Ho gli amici giusti. Ho i posti giusti. Ho i soldi per iniziare. Non hai idea quanta grana si può fare solo frequentando certi locali, quando il palazzinaro o l’industriale in vacanza cercano bamba. O ragazze.»
«Quindi sei uno spacciopappone per VIP nella Milano da bere? E’ un mondo sterile come una roccia, Ale, non sono stoppini.»

«E tutto questo tu lo sai servendo spritz ai tavolini di un bar di Mestre?»
Touché.

«Nebo. Questa roba per alcuni è un mezzo, per altri il fine. I secondi, quelli che vogliono la Ferrari e il villone, durano come un gatto in tangenziale. Io tengo il profilo basso. Non do nell’occhio, non faccio le solite cazzate da circo. Resto buono e intanto mi guadagno tutto quello che possono darmi. Non mi servono amicizie di truzzi o zoccoline, quella è gente che non conta niente e al primo scossone finisce in strada. A me interessano banchieri. Imprenditori. Finanzieri. Carabinieri. Giornalisti. Servizi segreti. Gente che non hai mai sentito nominare e che per questo non può cadere. Grazie a loro mi farò una fama indistruttibile come l’aveva mio padre. Ci sono due mondi, qui. Quello che vedi, fatto da imbecilli avidi e stupidi che sbavano per una foto in copertina o la piscina più grande e quelli che contano davvero. Il potere e gli status symbol sono inversamente proporzionali. Quelli che falliscono sono sempre quelli che pensano al marmo del bagno. Quelli che falliscono sono quelli che vogliono il potere PER il marmo del bagno. Prendi la mafia. I grandi mafiosi. Vivono in buchi di merda grandi come celle, murati dentro cascinali abbandonati e braccati da avversari e carabinieri. Ti sei mai chiesto perché? Se questo è il risultato, chi glielo fa fare?»

«Mai capito» dico.
«Il potere. A loro non importa niente di club, nightlife, yacht o balle varie da vippanza da copertine. A loro interessa essere. Il potere è una cosa talmente grande, talmente enorme, che è invisibile. Il tuo cervello non riesce nemmeno a concepirlo. Puoi intuirlo, ma non riesci ad andare oltre. Vedi solo il bunker, la merda delle capre e le foto degli arresti. Oppure vedi il cellulare figo, la barca. Capisci?»
«Non del tutto.»
«Ci sono due cani e una bistecca, ok? Un cane è bello, di razza, curato, lavato, tenuto bene. L’altro è un cane randagio, malandato, malnutrito e brutto. Tutti e due hanno fame. Chi mangerà la bistecca?»

Ci penso: «Non lo so.»
Ale sogghigna, un sorriso sadico che nessun attore ha mai riprodotto con tanta naturale follia: «Quello a cui decido di darla.»

Madre mia.

«Ho capito. L’invisibilità del burattinaio.»
«Bravo!»
«La tua conclusione, Ale?»
«Rovinare il maggior numero di persone possibile» minimizza.
«E c’è gente che studia cure per il cancro a 1100 euro al mese.»
«Sono sicuro i vermi storceranno il naso quando verrà il momento. Senti, mi sono rotto di star qui con te che sbavi dietro alla biondina. Andiamo da un’altra parte, ti va? Voglio mostrarti una cosa.»

«Torniamo verso Mestre, magari. Che ore sono?» chiedo.
«Le due. E Mestre la vedi dal finestrino, ce ne andiamo a Bologna!»
«A BOLOGNA?! Sono le due di notte, arriveremo alle quattro, se stiamo lì un minuto torneremo a Mestre alle sei. Non so se vedi la mia faccia, ma la cameriera mi ha indicato due volte al proprietario.»

«L’hai mai vista, Bologna?»
«No.»
«Andiamo.»

Si alza. Prima che io riesca a prendere la strada di destra va dritto verso il tavolo della Giada. Lo seguo, inorridito all’idea di quello che leggerò nella faccia di lei appena mi vedrà. Eccola che alza la testa, parte dal basso, arriva alla manica della giacca di lui, rapido sguardo al viso, ora tocca a me. Giada sbianca molto prima di vedermi, e quando finalmente intercetta il mio viso passa dallo stranito a qualcos’altro. Alzo la mano e faccio un saluto di cortesia, un flebile “ciao” che spero lui davanti a me non senta. Lei non ricambia. Passa gli occhi velocemente da me a lui, da lui a me. Siamo fuori dal campo visivo. Mi giro un’ultima volta, con lei che ci guarda e dice qualcosa al nuovo trombatore.

Siamo in macchina all’altezza di Santa Maria di Piave quando mi arriva un suo SMS.

 

COSA CAZZO CI FACEVATE VOI DUE ASSIEME??

Rispondo.

Ale è un mio vecchio compagno di classe.
E tu eri bellissima.

Passano cinque minuti, poi lo schermo si illumina di nuovo.

Non si chiama Ale.

«Casini con le donne, biondo?» sogghigna lui, voltandosi.
[continua]