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Quando la realtà supera l’immaginazione c’è più epica che mai

Treno per Trieste.
Caschetto nero, occhiale hipster, rossetto rosso, tacchi “moderni”, abbigliamento tipico della mac user.
È difficile dire quale di queste cose mi ammosci di più.

Prendiamo il rossetto rosso: in natura il rosso è il segnale di pericolo. Rane, serpenti e funghi velenosi hanno sempre colori accesi. Qualunque idiota sa che una donna con il rossetto rosso è mentalmente instabile e potenzialmente cacacazzi. Del resto chi lo usa? Quelle che fanno burlesque, le egopatiche e nonna Abelarda. Tre categorie di donne dove non infilerei mai il pene. Il lucidalabbra fa sesso. Il rossetto rosa fa sesso. Il rosso no. C’è un motivo se nel racconto di Poe “La maschera della morte rossa” la peste è rappresentata vestita di rosso.

“ma adesso va di moda”.
Io invece lo odio da tutta la vita.

Segue il caschetto, pettinatura che nella mente debilitata di queste Donna Moderna soldiers fa “vintage”. E’ vero, fa 1930, ossia l’anno del fascismo e della crisi economica; due dei periodi peggiori della storia dell’Umanità. Il capoccia di Casapound in un’intervista a La Zanzara ha dichiarato che il fascismo è stato un periodo “di grande eleganza”. Tutto torna, tranne la mia voglia di scopare. Subito sotto ci sono occhiali modello montatura ferroviaria, esteticamente più pesanti di un treno merci. Lo scopo sarebbe nascondere le rughe degli -enta, in realtà evidenziano con prorompente mestizia una donna che è stata svezzata dal Fatto Quotidiano.
E ora che ritorna Berlusconi è una donna felice.

Le scarpe. Dio, quante cose ci dicono di una donna le scarpe che indossa. Sono la cravatta delle donne. Ci sono i tacchi da suora, i tacchi da signora, i tacchi da padrona e i tacchi da puttana. I tacchi a spillo, i plateau a squillo, quelli audaci e quelli atroci. Se gli occhi sono coperti dagli occhiali, i tacchi fanno la sinossi. Come le portano, quando le portano, dove le portano e quanto le portano. Le scarpe di questa donna dicono “su Polyvore e Pinterest so abbinare tutto tranne il carisma“. Quelle che vestono così di solito vogliono trasmettere che hanno un mac, guardano tumblr erotici e sono sarcastiche. In realtà il risultato è “mia madre è la mia migliore amica e faccio pompini disgustosi”.

La aiuta a mettere su la valigia un ragazzo sulla ventina. E’ caruccio, somiglia vagamente a Fedez. Piercing, occhio azzurro, pieno di capelli, un po’ rapper e un po’ truzzo. A me ‘ste nuove generazioni piacciono. Si sono svegliati presto, non sono stati svezzati a bugie e sogni di grandezza e ora affrontano la vita con un bel mix di autoironia, leggerezza, ingenuità, voglia di fare e curiosità. Dopo averla aiutata si siede di fianco a me.

Tu tun tu tun, fa il treno sotto di noi.
Tu tun tu tun.

«Ehi, scusa, io comunque sono Sandro» porge la mano il ragazzino.
Lei alza gli occhi, sbuffa e si rimette a leggere.

«Cosa… che leggi di bello?» domanda lui.

Lei lo guarda con commiserazione, sporge la testa e guarda platealmente la copertina di Donna Moderna. Comincio a sentirmi di troppo. Guardo nelle poltrone dall’altra parte. C’è un uomo distinto sulla quarantina che osserva la scena di sottecchi. Sul sedile di fianco a lui c’è un altro ragazzo sui trenta. Gioca con l’iPad.

«Intendevo dentro» corregge il nostro.
Lei rimane in silenzio.

«Dico perché magari lo compro… anch’io» termina, inorridito dalla frase che ha appena detto.

Guardo fuori dal finestrino. Devo fare finta di niente. Sono un sedile. Sono un candido, morbido e grigio sedile delle FS. Che panorama bellissimo, c’è fuori. La neve, gli alberi, la neve, gli alberi, la neve. Gli alberi con la neve. Dal riflesso noto che il quarantenne sta sorridendo guardando verso il basso. Trentenne invece si copre la bocca con la mano. Sandro, sei troppo giovane per capire che non c’è trippa per gatti.

«Potresti, sì» fa lei con un sopracciglio alzato.
«Non nel senso che… era per dire che mi sembri una che legge» diventa viola «legge… tanto. Bene. Cioè, che sei intelligente» abbassa la testa.
Lei chiude Donna Moderna: «Mi lasci in pace, per favore?»
Ecco, Sandro. Ti sta inavvertitamente salvando la vita.
Fuggi.

«Era per conoscerti. Ti vedo sempre che scendi a Portogruaro, l’ultima volta avevi la valigia pesante e volevo aiutarti ma si è bloccata la porta dello scompartimento.»
Nnnnnngh, Sandro, porca puttana.

«Cioè mi segui?» fa lei.
«No! Ti… ti… vedo…»
«Ma solo io becco il treno dei maniaci, oh!» sbotta.

Lui è color vinaccia e non sa più cosa dire. Lei ha finalmente assunto la posizione che più le compete, ossia la rompicoglioni ansiosa di rovinare giornate. Io vorrei gettarmi dal finestrino. A quel punto, dall’altro sedile, proviene un
Ma chi te caga

Ci giriamo tutti e tre.
Dalla voce credo sia stato quarantina.

«SCUSA?!» fa lei.
Quarantina chiude il libro. La guarda da sopra gli occhiali: «L’approccio non era sgarbato, via. Immaturo, magari» prosegue quarantina guardando trentina «è vero o no?»
Trentina ci pensa, poi chiude l’iPad: «Non mi piace niente la parte di lui che la segue. Però l’atteggiamento impacciato-ma-timido paga, a quell’età.»
Donna Moderna si gira a guardare me.

«Gli dici qualcosa, per piacere?»
Ora devo scegliere se essere un cavaliere e difendere una pulzella in difficoltà, astenermi da qualunque commento per evitare d’immischiarmi o seguire il flusso di spermatozoi come ho fatto 32 anni fa.

«Bè, avrei da ridire sui gusti. Io l’avrei lasciata in pace molto tempo fa.»
«Oh, GRAZIE.»
«Ho capito che c’avrai vent’anni, Sandro, ma su ‘sto treno c’è di meglio. Hai visto la moretta nell’altro scompartimento?»
Donna moderna si prende malissimo.

«O la negretta che sale a San Donà» annuisce trentina.
«Vero.»
Donna Moderna si alza di scatto e fa per tirare giù la valigia.
Si blocca.

Tu tun tu tun.
Tu tun tu tun.

Si gira lentamente a guardare Sandro. Lui scatta, tira giù e porge. Lei se ne va nell’altro scompartimento. Nessuno di noi quattro si rivolge la parola e io capisco che, tra commilitoni, le parole non servono. Uno dopo l’altro scendiamo alle nostre fermate.

La motonave Sandra Z. e dubbi legittimi sull’esistenza dell’inferno



Essere sindaco di Venezia è come essere il marito di Lea di Leo: te la invidiano tutti, ma devi periodicamente ricostruirle le pareti interne.

Il problema di Venezia è il moto ondoso. Il sale a ogni onda entra nei pori dei mattoni, si secca, si dilata e li spacca. Le case si deformano, i muri diventano concavi o convessi, i marmi vanno cambiati, i canali ripuliti e l’ano sbiancato. Dopo settecento anni siamo diventati molto bravi a farlo, ma sono lavori che costano. Per ridurre il moto ondoso sono state proibite le imbarcazioni da diporto per rii e canali secondari e gli yacht nel canal Grande.

Non basta.


Venezia è una città medioevale con il traffico nautico di una metropoli. Ci sono vaporetti, aliscafi, chiatte, motonavi, ferry, traghetti che ogni giorno spostano tonnellate di merci e persone provenienti da ogni angolo della terra. Serve un rimedio radicale e funzionante. Nel 1999 l’azienda dei trasporti veneziani (ACTV) ha l’idea della nave mangiaonde, progettata da un ingegnere navale californiano. Il primo tentativo sarebbe interessante da leggere su un quotidiano, ma io non ho voglia di fare un’inchiesta da 9879 pagine per 3 euro. Vi basti sapere che finì con uno scafo abbandonato e 900 milioni di lire nel cesso.

Ma dopotutto quella della nave che mangia le onde era un’idea della madonna e decisero di tentare ancora, magari migliorando il progetto iniziale. A chi viene delegata la progettazione di questo nuovo capolavoro?

A Xzibit. 

La soluzione è semplice, signor sindaco.
Prendiamo una barca, tipo così, e mettiamola in acqua.
Cosa succede?
… che si gira. Fa onde.
Il problema delle barche in acqua è che girano.
Senza controllo. Girano.
Le barche girano.
E… e quindi?
Mi sono detto “aggiungiamo delle eliche, tipo che girano anche loro”.

Eliche che girano mentre la barca gira, mi spiego?
Adesso immaginate la barra dell’elica, OK?
E’ fissa, sta in acqua tipo così.
Ma se noi facciamo girare anche la barra che fa girare le eliche…


…allora le eliche girano, GIRANDOSI, su una barca che GIRA MENTRE GIRA.

SETTE MILIARDI DI LIRE.

Costata nientemeno che quattro milioni di euro la motonave mangiaonde viene creata a Messina e recapitata a Venezia tra squilli di fanfare. Non si capisce come mai la prima volta per andare in USA e farsi portare un rottame son 900 milioni mentre da Messina sono sette miliardi, ma tralasciamo. Il 19 dicembre 1999 La Nuova Venezia blatera roboanti lusinghe in stile Istituto Luce: 

Flotta nuova, guardando al Giubileo. Ma anche a un servizio migliore per i veneziani. Sono stati inaugurati ieri all’Arsenale i due nuovi motobattelli. Gioielli della tecnica, veloci, confortevoli e manovrabili, intitolati a due piloti dell’azienda scomparsi lo scorso anno per un male incurabile, Sandra Zennaro e Ruggero Gorin.


Sandra e Ruggero sono morti in coppia di un male incurabile non meglio specificato. Sono certo che cominciate a capire dove stiamo andando a parare.

Un investimento complessivo di oltre 100 miliardi, che dimostra secondo l’azienda, il nuovo corso Actv. […] Agli inizi degli anni Novanta, l’azienda di trasporto viaggiava su deficit intorno ai 100 miliardi l’anno. Pian piano la tendenza si è invertita e sono stati avviati gli investimenti. Ed ecco ora i nuovi vaporetti. […] Piccolo gioiello anche il «Sandra Z.», costruito da De Poli con motore azionato dal sistema Schottel. Un vaporetto senza timone, con le manovre affidate al movimento dell’elica, come per i piccoli fuoribordo. «E’ un sistema di sicurezza», spiega Renzo Giuponi, direttore del progetto, «perchè il vaporetto è manovrabile perfettamente anche durante la retromarcia». 


Come se la tragedia non fosse già abbastanza annunciata la guida di questo abominio viene affidata ai chioggiotti dell’ACTV, una peculiare subspecie umana che incrocia il genoma di Snooki a quello dei bonobo. Il giorno del varo sono presenti tutte le più alte cariche di Venezia, il capo dei vigili in alta uniforme e il comandante della Capitaneria di porto. Si respira aria d’innovazione.

-Venezia è vecchia, dicono! – ride il direttore.
-E’ in mano alla mafia, dicono! – sghignazza il presidente.
-Siamo dei rincoglioniti, dicono!- sbraita il vicesindaco.

La bottiglia di Dom Perignon s’infrange contro la prua di Sandra Z., le navi attorno fanno suonare le sirene, quelle dei pompieri creano meravigliosi getti d’acqua nel cielo, le fanfare suonano l’Inno di Mameli con esaltata convinzione; turisti e veneziani applaudono felici. A bordo della motonave Sandra Z invece si respira quell’aria spensierata tipica degli ultimi giorni di Hitler giacché Tony Fassina e Gigi Bromba, marinai in cabina di comando, non trovano il timone. Ovunque è scritto in tedesco. E’ pieno di led, manopole e quadri digitali a loro incomprensibili. Fuori, gli applausi si smorzano fino a sparire. La fanfara termina l’Inno.

Silenzio.

Tutti rimangono immobili e impettiti, in attesa che Sandra Z. muova i suoi primi passi. Il comandante della capitaneria di porto si gira verso un marinaio e sussurra a mezza voce “chiama a bordo”. Il marinaio scatta sull’attenti, apre il cellulare e telefona a Tony Fassina.

Tuut.

-Squilla – dice il marinaio.

Tuut.

Tuut.

Tuut.

-Eh, non rispondono –
Il comandante assume l’espressione di una mietitrebbiatrice.

Tuut.

Tuu*click*

-CHI CASSO XE’? –
-Parlo con il marinaio Tony Fassina? –
-IO ORA IMPEGNATO-
-Ecco, chiamo da parte del comandante della capitaneria di porto…

Il comandante strappa il cellulare al marinaio.

-Fate partire quella nave, imbecilli! – ringhia.
-Non essere semplice –
-Fatela partire prima di subito o vi mando a pulire il canale dei petroli con un boccaglio –
-Essere complicato –
-Perché? –
-Noi no trova timone e non sapere come fare brum brum nave –
-C’è tutta Venezia che vi sta guardando, scimmie di merda, partite a costo di buttarvi in acqua e trainarla coi denti –
-Ci essere tasto con scritto ZUNDUNG, che pare no buono, poi SHEINWERFER, che io caga sotto solo a guardare, TROMPETE che sembrare autodistruzione e due grandi manopole RUDER, forse armi di cattiva magia. Cosa noi preme? –

-Lo chiedi a me, idiota? Non hai fatto il corso d’aggiornamento? –
-No, io qui perché cugino di moglie di assessore –
-E l’altro? –
-Amante di moglie di assessore –
-Premi qualunque cosa – sospira il comandante.
-ZUNDUNG io paura noi trasforma in robot, quadro comandi pare cabina di Daitarn –
-PREMI TUTTO, BESTIA FOCOMELICA, PREMI! –

Tony Fassina pigia TROMPETE. Nel silenzio absidale di Venezia, sotto lo sguardo di milioni di persone, risuona un garrulo “pè!”.

Nessuno si muove.





-…era clacson –
-EH SI, ERA CLACSON – latra il comandante, abbassando la voce e sorridendo al vicesindaco.

In rapida successione Tony Fassina attiva fari, tergicristalli, aria condizionata, vuota le latrine, cala l’ancora che affonda un barchino sottostante, eietta tre salvagenti che abbattono una scolaresca sulle rive e finalmente preme ZUNDUNG. E’ il momento più buio della storia della marina commerciale veneziana. 

La Sandra Z. si attiva con un cupo ruggito, mettendosi di traverso circondata da inspiegabili colonne d’acqua che irrorano i vestitini delle fiche urlanti. La regina del sistema Schottel inizia a procedere nella direzione sbagliata. Grazie al brillante lavoro di Tony le quattro eliche sottostanti vanno una a destra, l’altra a sinistra, le anteriori convergono verso sé stesse trasformando la compianta Sandra Z. in una riproduzione della torre di Pisa che si impenna lievemente sulla destra e procede in retromarcia verso il palco, volteggiando come una bianca ballerina di 290 tonnellate.


-Cosa cazzo fate?! – sbraita il comandante.
-SEI LA MIA SPAAADA, NEL CUOOORE – risponde Gigi d’alessio.

-…come? –
-UN EPISODIO IN TIVVUUU in cabina essere partita radio camorra, noi non riuscire *COME I CARTONI ANIMAATIIII* a spegnere *MI PIACI SEMPRE DI PIUUUUU*-
-Ascolta, subumano, trova un modo di fare andare dritta quella merda di barca e fuggi il più lontano possibile da me –
-*TU SEI FUORI DAL NORMALE* noi prova, ma *TUTTA NUOVA DA SCOPRIRE*

I giornali riporteranno “inaugurata la Sandra Z, nessun ferito”. 
Lcose sono destinate a cambiare. 













Quattro mesi dopo, sull’isola di San Michele, madre e figlia stanno guardando la tomba del padre che scende nelle fredde viscere della terra. Il cielo è terso, l’aria mite che odora di salsedine. I pigri “poo” delle navi al largo si accompagnano alle grida dei gabbiani nel cielo. Dietro di loro, amici e parenti stretti.

-Cos’è la morte, se non una nuova vita? – domanda Don Pietro, guardando la bara – e cos’è la fine, se non un nuovo inizio? Adelmo era un brav’uomo. Marito devoto, padre affidabile, uomo d’onore e dotato di grande dignità –


Da quanto ne so Adelmo se la faceva con la donnaccia dell’ACTV, com’è che si chiamava?
Ssst, non sta bene parlar male dei morti



-Oggi, amici miei, assistiamo a un ritorno del male. Mistificatori, ciarlatani, tentano di ingannare la nostra buona fede – prosegue Don Pietro – ma se c’è una cosa che Dio insegna a noi tutti, qui riuniti, è che dalla morte non v’è ritorno –


-Dai, lo sapevano tutti, come si chiamava? –
-Elvira, porta male –





-E questo non è un sollievo? Sapere che qualunque sia il dolore, la sofferenza che abbiamo passato, essa cesserà per concederci l’eterno riposo? La pace, fratelli miei. La sola idea che ci accompagna nella fine, e dovrebbe accompagnarci per tutta la vita –

-Sara… no, Serena… uffa, era anche finita sul giornale, dai. Quella bionda, sulla quarantina –
-Elvira, lascia stare, girano certe voci –





-E quindi, amici, fratelli, diciamo “riposa in pace, Adelmo!” –

-Ce l’ho! Si chiamava Sandra! –
-STAI ZITTA, TI DIC


L’unica colonna sonora possibile a tutto questo.



Sandra Z, tornata dal mondo delle tenebre e intenzionata a dare un ultimo, gelido abbraccio al suo amante, con un boato terrificante frantuma le mura del cimitero travolgendo vedova e parenti in una fontana di laterizi. Il bilancio è di quattro feriti “lievi”, dice il Gazzettino, per quanto lievi possano essere le ferite prodotte da un muro che crolla durante un funerale mentre una motonave tenta di trasformarsi in carro funebre.


Il popolo, si sa, è cattivo. Sandra Z viene ribattezzata Mazinga Z per le sue fattezze simili al robot ma soprattutto per le sue capacità distruttive. A quanto pare, infatti, non è mai stato documentato un approdo portato a buon fine. MaiI bonobo al comando assaltano gli approdi all’avanti tutta speronando tutto quello che c’è nei paraggi e trasformando le sovraffollate banchine in tagadà della morte con turisti nel panico, urla, bambini persi e vecchi che si pisciano sotto. Dopo le prime settimane ogni volta che questa sottospecie di circo galleggiante si avvicina agli approdi qualcuno urla “cazzo, arriva Mazinga Z, scappate” ed è il fuggi fuggi generale.

Alcuni che non han voglia di correre si buttano direttamente in acqua e aspettano.

Negli uffici del comune viene istituito un magazzino solo per le denunce derivanti dall’esistenza di Sandra Z. A bordo della motonave si susseguono incidenti misteriosi, marinai feriti, quadri comando che esplodono misteriosamente e altre facezie. 

Si tenta in tutti i modi di minimizzare, ma è difficile insabbiare il fatto che per Venezia si aggira una motonave coperta di sangue, calcestruzzi e schegge. Essendo l’ACTV il deposito parenti disoccupati di giunta comunale e mafie locali non è possibile farli squartare in piazza o ammettere un qualunque fallimento, così si fa finta di niente finché Sandrona travolge due gondole cariche di turisti affondandole entrambe. I bonobo e tutta Venezia sono oramai convinti che la nave sia maledetta e si rifiutano di salire a bordo. 

Nel 2006 il comune è costretto ad ormeggiarla al Tronchetto dove è ancora oggi, visibile al pubblico più temerario.

I musei di videogiochi non hanno senso, ma la proposta di metterceli ce l’ha eccome



Siamo un popolo così malato di vintage che per stare alla moda dopo le scarpe, la musica e i pantaloni abbiamo riportato anche i consumi ai tempi del 1990. Quel periodo è stato il mio Vietnam. Lo è stato per molti, troppi di noi che si sono assuefatti alla guerra aliena e oggi compilano tabelle Excel in cubicoli 2×2 con una capa dal culo stretto che s’è dopata di Sex and the city. Quelli che fanno le pagine sfigonostalgiche “noi, che mangiavamo il tegolino”, sono quelli che oggi passano la vita a mangiare pane e merda.

E devono morire.
I videogiochi per noi sono stati palestre di vita, templi del sapere, alfabeto e genitori. Abbiamo imparato tutto da loro, non certo dall’ex hippie reinventatosi professore che blaterava numeri, cifre, nomi, posti come un registratore. 

La nostra educazione sessuale erano giochini demmerda che se riuscivi a chiudere le linee appariva una donna nuda pixelata. Chun li quando faceva la spaccata ci ha spiegato tutto quello che c’era da sapere sul sesso anale. Mortal kombat ci ha eruditi sul fatto che non importa quanto le hai fatto male durante il rapporto, alla fine sei figo solo se mentre vieni urli “finish her”. Poi vuoi mettere? Asteroids: punta sempre quelli più grossi di te e avrai soddisfazioni. Attacca i piccoli solo se ti puntano e comunque non ti sentirai granché. Super Mario Bros: devi costantemente star dietro alle bionde perché sono stupide e te le rubano tutti. Sonic: la metanfetamina è bella e fa bene. Tekken: più fanno capriole e coreografie, più sono delle seghe.


Noi dobbiamo tutto a Space Invaders, un gioco che dietro di sé ha più filosofia di quanto Hegel potrà mai concepire. Sei solo davanti a tanti. Se non li freghi sul tempo, prima che arrivino a toccare te e la tua missione, morirai o diventerai uno di loro. Le tue difese mentali e morali si logorano e hai ben poco spazio di manovra. Ogni tanto, lassù nel cielo, passa una fica che ti distrae. Riuscire a centrarla è quasi impossibile, preso come sei a sterminare ottusi ebefrenici che tentano di frantumarti le palle. A volte, se sei disfattista, negativo o imbranato, sarai tu stesso a distruggere le tue barriere. A infangare ideali e passioni che avevi in partenza.

Space Invaders è un trattato di filosofia, non un videogioco.
Ma se sei uno di quei diecimila alieni che avanzavano compatti, o uno che si è arreso, mi detesti. Tenti di rendere tutto uguale al tuo modo di vedere la vita. Inscatoli. Schematizzi. Dai una definizione anche a qualcosa di unico perché così lo sbattezzi, gli togli anima e credibilità. Un leone in gabbia non fa più paura. Mettiamo i resti dei nostri antenati nei musei e i cimiteri distanti perché smettano di farci sentire a disagio. 

Perché se sei un alieno, un mediocre o uno sconfitto, l’idea che siano passati ti fa sentire bene.
I musei per videogiochi sono la stessa cosa. Significa inscatolare sensazioni selvagge ed ancestrali che provavamo quand’eravamo ragazzini. Quando la fica non ci aveva tolto ogni raziocinio, quando invece di elemosinare bucchini come piccoli fiammiferai esibivamo con orgoglio il nostro nome nelle topten, venivamo sponsorizzati dagli altri con dei gettoni per finire gli schemi. Quando eravamo piccoli uomini capaci di sconfiggere invasioni aliene, bande di assassini, barrette tenniste, zombie pixelati, sconfiggevamo qualcosa perché nella testa, nel cuore, eravamo capaci di farlo.

E alcuni di noi, pochi, lo sono ancora.


Mettere videogiochi nei musei significa venerare il passato e smettere di combattere per il presente o il futuro. Vedere Space invaders in una maglietta o dietro una teca è un messaggio molto chiaro: “ogni resistenza è vana, ogni cosa è passata”. I suoni digitali a 8 bit nell’iphone, film consolatori sfigodinamici come Scott Pilgrim, la costante venerazione per i videogiochi passati non sono altro che un tentativo di etichettare, bollare e rendere inoffensivo lo spirito selvaggio, libero e umano che avevamo nel cuore allora, quando se t’impegnavi e restavi concentrato vincevi.

Mettere vasi e ciarpame vario nei musei ha senso se li hai persi. Ma se hai ancora una vita e una barretta di energia non metti i videogiochi nei musei, li tieni nelle sale giochi più malfamate della città dove l’ultimo nerd avrà la possibilità di riscattarsi agli occhi della tribù.






Chiamata alle armi

Questo sarà il primo esperimento di post interattivo, o di guerriglia virale, dipende da voi. La porcata delirante qui sopra è “l’inno della rete”, forse il punto più basso di Internet da molti anni a questa parte. 


Ma c’è del potenziale. I grillotardati sono gente dalla psiche instabile, basta una spintarella e detonano dando luogo ai più esilaranti teatrini, perché come tutti i fanatici ridono degli altri ma se sfotti loro tagliano teste.

Quelli di voi che sanno cantare e suonare uno strumento qualunque sono ufficialmente chiamati alle armi. Come tutti gli inni, più sono semplici e più sono epici. Una chitarra acustica in solitaria è molto più potente di ‘sta merda fatta con le tastierine MIDI anni ’80. Ricantiamogli il testo, facciamo un video su youtube e spammiamolo ovunque. Blog di Grillo, Facebook, Twitter. Facciamogli arrivare la versione migliorata prima che quello qui sopra diventi virale.
E’ tutto per il lol, signori.

Forza, coraggio brava gente, linciamo il dissidente
però facciamolo democraticamente
balle che corron sulla rete, lo stronzo che ci crede, c’è in ogni città.
Basta un buon comunicatore, un palco e un buffone, per fare la rivoluzione

UNO, CHE VALE UNO, TRANNE QUELL’UNO CHE LI CONTESTERA’
figlio di brava gente, come del resto, era anche Saddam.
Presto s’impara dalla Storia che per l’ego e la gloria, non si cambia l’Italia
Santi, navigatori, eroi che in tomba si rivolteràn.

Basta, né padri né padroni, vogliamo dittatori, che ci dicano cosa fare.
Questa, è l’idea di noi grillini: urlare vaffanculi, il mondo fa salvare.
Quindi, cosa conseguenziale, è che se si vuol cambiare, ci si deve affidare a…

UNO, CHE VALE UNO, tranne Favia, Tavolazzi e quella là.
Tanti, noi siamo tanti, e solo uno decide cosa fàr.

Uomini uccisi dal lavoro, ma senza più decoro, rinchiusi nelle case
dagli, la biowash ball, e non sai quanto, la vita cambierà.
Forza, amici cittadini, fermiamo quei massoni, che vogliono i nostri bambini
ora dobbiamo valutare, cosa si può mangiare, Grillo diccelo tu.

Pensa a quei nonni poveretti frugar nei cassonetti senza più dignità
noi torneremo a far baratti, soldi per tutti quanti, stampando a volontà!

UNO, CHE VALE UNO, E VAFFANCULO CHI NON APPROVERA’
Tanti, noi siamo in tanti, e l’importante, è non protestàr.

Fratelli uccisi dal lavoro, ma senza più decoro, rinchiusi nelle case
Santi, navigatori, eroi del mondo sconfiggeranno l’HAARP.

UNO, CHE VALE UNO, in nord Korea tanto male non si sta
Tanti, noi siamo in tanti, grazie alla rete, e la magia che fa.

Questa canzone non è niente, la nostra brava gente, sa già che cosa fare:
Guarda, le scie nel cielo, un tubo in giardino sparire le farà.








Se ve la sentite, si ride.
Se vi pesa il culo, accontentatevi di avere scoperto questo video meraviglioso.

Uno psicologo, due gemelli e anche oggi la missione è fallita

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Dr. John Money, psicologo, sessuologo e pazzo.

 

E’ il 1955. Siamo in un’aula dell’universitá John Hopkins, Stati Uniti. Un medico sta tenendo una lezione rivoluzionaria a una platea di studenti ammutoliti. Sappiamo tutti che la Storia dell’uomo é piena di idee brillanti finite in una nuvola di sangue tra manette e risate,

«Ma non é il nostro caso» sorride il Dottor John Money, psicologo, attraversando l’aula a grandi passi.
«Professore» osa un ragazzo, alzando la mano «io penso…»
«Lei pensa stronzate» lo interrompe «perseguire la Scienza é questo, sconfiggere le leggi della natura ormai superate. Perché questa tizia é nata donna?» dice indicando una studentessa.
«…per il DNA» risponde uno studente.
«Ah, giá» annuisce John, colpito «…quello.»

Il silenzio è palpabile. Fuori, una meravigliosa primavera filtra dalle finestre della facoltà. Il professore si appunta “DNA” sul taccuino, tamburella con la penna, alza gli occhi con espressione dubbiosa: «Sì, ma cosa sappiamo davvero del DNA? Potrebbe essere una moda»
Gli alunni si guardano perplessi.
«E’ stato scoperto nel 1869 da Friedrich Miecher. Quasi un secolo fa»
«EH, ALLORA SAI TUTTO TE» sbotta John Money «sapete anche dirmi perché a questa tizia piace accoppiarsi con gli uomini?»

Risatine.

«Ma io…» fa la ragazza, avvampando.
«È inutile che fai la timida, co’ ‘sta faccia. Rispondete alla domanda»
«Suppongo ai fini della riproduzione»
«No!» lo rimbrotta John «perché le hanno insegnato a farlo! Se la mammina non le avesse messo addosso una gonna ma un paio di pantaloni? Se invece di bambole le avesse regalato pistole e spade? Chi dice che miss Bucchini, qui, sarebbe venuta fuori cosí?»
«Come si permette!?»
«Silenzio! Tant’è vero che questa slabbrata, come buona parte delle donne, adora pigliarlo nel cacapranzi! Perché?»

«IO?!»
«Taci, Sodòmia! Questo come giova alla riproduzione? Avanti, rispondete a questo, visto che siete tanto intelligenti»
Nessuno risponde.

«Oh, adesso nessuno ha più un cazzo da dire, eh? Questa é la missione della mia vita: dimostrare che non esistono maschi o femmine, eterosessuali od omosessuali. Nasciamo neutri, solo l’educazione ci rende maschi o femmine» ansima il professor John Money, paonazzo.
«Scusi, il pene e la vagina?» chiede uno studente.
«Non significano niente»
«Ma l’utero…»
«OH, DIO, BASTA, BASTA con questo vecchiume. La Natura é superata. Tutto il mondo un giorno sará popolato di uomini che saranno liberi di avere le mestruazioni, guardare Sex and the city, fare gare di rutti con gli amici e fingere un orgasmo. Un giorno saremo davvero tutti uguali. Questo, signori miei, è il futuro. Un giorno anche gli uomini partoriranno. Ora forza, apriamo il dibattito. Sodòmia, portami un caffè»

images La signora Reimer con i gemelli Brian e Bruce.

E’ il 1966, nello Winnipeg. A migliaia di chilometri da quell’aula universitaria nascono due gemelli, Bruce e Brian Reimer. I due piccini sono belli e in forze, ma sono entrambi affetti da fimosi. Si tratta di un lieve difetto di fabbricazione per cui il prepuzio non si schiude del tutto. Se é leggera basta fare un taglietto, se è più incaponita si circoncide. Si risolve facilmente a patto che l’urologo non sia Fantozzi con una fiamma ossidrica. Per l’operazione di Bruce il chirurgo non è disponibile e viene sostituito da un apprendista generico, che a sua volta viene sostituito da un laureando in Storia antica capitato da quelle parti perché voleva provare.

Dalla sala operatoria risuona una detonazione, degli ululati e il suono di un estintore. Dopo un’ora Bruce viene presentato alla madre in sedia a rotelle con addosso un camice bianco.

«Problem solved» risponde l’apprendista alzando il camice e mostrando un cratere dove prima c’era il pene. La madre sgrana gli occhi: «Ma… dove…»
«Non c’è. Il pene di suo figlio è distrutto.»
«Distrutto!? COME DISTRUTTO?!»
«Bé, normalmente si usa il bisturi, ma siccome io so molto più di Etruschi che di chirurgia mi sono permesso di cauterizzarlo»
«CIOÈ?!»
«E’ una tecnica che si usava nel 786 a.C. per chiudere le ferite. Si prende un ferro rovente e si appoggia sulla ferita, cicatrizzandola. Sorpresa delle sorprese…»
«AVETE MESSO UN FERRO ROVENTE SUL CAZZO DI MIO FIGLIO!?»
«Sì, ma non è quello il punto. Il ferro rovente ha fatto un gioco strano con le sacche d’aria, ha preso fuoco, la combustione funziona in un certo modo e pùf, il pene di suo figlio è andato in fumo.»
«E come piscia?»
«Dalla pancia. Gli abbiamo già fatto il buco. Pantaloni a vita alta e via»
«E come vi aspettate che si riproduca?»
«Il sesso è tutto marketing, signora. Fará come gli scambisti sugli annunci: microdotato? “leccatore instancabile”. Coprofago? “Amante del sapone”. Poi è un ottimo aneddoto per attaccare discorso. Tutti gli uomini si vantano dell’auto, della casa, del lavoro… Vuol mettere uno che arriva e dice “mi hanno distrutto il cazzo durante un’operazione e ora non ce l’ho piú”?»
«EH, FARANNO LA FILA, TUTTE LE DONNE SOGNANO UN EUNUCO»
«Andiamo, siete proprio voi donne a dire che le dimensioni non contano»
«Sì, ma intendiamo superati i venti centimetri!»
«Guardi, la vita trova sempre un modo. C’è la fecondazione indiretta. Per esempio Bruce si masturba sulle sedie dei bar e aspetta che una donna senza mutandine ci si sieda sopra»

«…come ha detto?»
«E’ la prima cosa che m’è venuta in mente.»
«La seconda cos’è, unicorni deformati dalle radiazioni?»

Dall’ombelico di David parte uno spruzzo di urina che lo colpisce in pieno mento.
I medici si girano a guardare: «Ah, dimenticavo, quando piscia deve tenere la testa all’insù.»
«Capito, Bruce? Testa alta!» fa eco un altro medico.

«Io vi denuncio tutti»
«Signora, non rompa il cazzo» replica il medico «oh, scusa, Bruce.»

Due mesi dopo la signora Reimer vede in TV John Money, ascolta la sua teoria della neutralità sessuale e ne rimane stregata. Si presenta all’università coi pargoli in braccio. John Money è raggiante: non solo ha un paziente ideale, ma ha anche un fratello gemello che sai mai, può tornare comodo. Convince la madre a far rimuovere quel poco di testicoli che rimangono a Bruce, gli mettono una gonna e lo ribattezzano “Brenda”. La gonna è molto importante, perciò lo obbligano ad andare in giro anche in pieno inverno con la versione estiva del kilt. La madre gli regala bambole, vestitini da principessa, pentole e tegami di plastica. Il Dr. John Money provvede un supporto psicologico con colloqui settimanali per oltre dieci anni, pubblicando ogni mese i risultati.

Io a 6 anni giocavo con i GI Joe organizzando operazioni di recupero ostaggi, battaglie epiche, missioni subacquee nel bidet di casa, combattimenti aerei e guerriglia nelle sconfinate praterie della moquette del salotto.

Brenda deve pettinare bambole.
Non “può”. Deve.

A otto anni io avevo una cesta dei lego con cui costruivo improbabili invenzioni, mi riempivo di botte coi miei compagni delle elementari, giocavo con i Tiger (Double Dragon e After Burner) scambiandoli con gli altri e sognavo che mi regalassero Voltron di ferro e il Gattigher.

Brenda cucina per Ken e veste la Barbie.

Dopo 12 anni di questa vita, coi compagni di scuola che lo trattano come cacciatori di frodo i cuccioli di foca, il geniale psicologo decide che è ora d’impartire a Brenda i primi rudimenti di educazione sessuale. Quale età migliore per farlo? Del resto sei un bambino eterosessuale privo testicoli e vittima di bullismo a cui un vecchio vuole insegnare a scopare. Messa così è banalotta, quindi il Dr. John Money decide di introdurre un nuovo elemento: l’incesto. Sì. Secondo il debilitato intelletto del professore, il partner ideale con cui spiegare il concetto dell’ape e del fiore a Brenda è suo fratello. Che cazzo, se li vestiva da animali avevamo tutti i problemi della psichiatria moderna in una scena sola.

Li prende, li fa spogliare e ordina ai due bimbi di mimare degli amplessi mentre lui scatta fotografie. Secondo il luminare questa procedura è ottima per far sì che i due nell’età adulta abbiano una sana e normale vita sessuale. Anche per Internet “normale” è sinonimo di “scopati tuo fratello gemello vestito da donna mentre un vecchio vi dice cosa fare e scatta fotografie”. Le conseguenze non tardano a manifestarsi. Brian diventa schizofrenico e passa le giornate imbottito di psicofarmaci a sbavare su un divano.

Fuori uno.

La cosa non viene resa pubblica e John Money pubblica mensilmente aggiornamenti sull’esperimento che raccontano grandi progressi, cosa che incita uomini e donne a farsi asportare/trapiantare organi genitali a caso. Brenda spiega ai propri genitori che ha imparato benissimo il nazismo e la biografia di Mengele, ma ora vorrebbe passare ad altro. John vorrebbe iniettare estrogeni a Brenda in modo che le spuntino le tette. A tredici anni Brenda manifesta, finalmente, le prime tendenze depressive e suicide. Avverte che se gli fanno ancora vedere il professore si butta dalla finestra.

A quattordici anni Brenda urla che a lui la Barbie ha sempre fatto cagare, si strappa i vestiti da fica, si taglia i capelli e si autobattezza David. Fa iniezioni di testosterone, si fa rimuovere le tette e a novembre del 1997 si sposa con una donna. Non chiedetemi cos’hanno fatto in luna di miele perché non lo so e probabilmente non voglio saperlo.

Odio Risiko.

davidreimerDavid Reiner [TAG Inno alla gioia; Idee arredamento; Justin Bieber]

Ma la vita è come un cavallo arrapato: pochi lo domano e molti lo evitano, ma in entrambi i casi dargli le spalle non è una buona idea. David è disoccupato, probabilmente per un elementare problema di curriculum legato alla domanda “barrare con una crocetta maschio/femmina”. Suo fratello Brian nel 2002 schiatta dopo un triplo Xanax on the rocks. Il 2 maggio del 2004 sua moglie chiede il divorzio perché va bene instancabile leccatore, ma vederlo che le frega i tampax è intollerabile. Tre giorni dopo David si mette un fucile in bocca e preme il grilletto.
La sindrome premestruale è anche questo.

«Questa è propaganda antifemminista» dice John Money al giudice «fole oscurantiste fatte da giornalisti faziosi e schierati politicamente.»
«Hmm. Invece riguardo alle accuse di pedofilia…?»
«La pedofilia non esiste.»
«Prego?»
«Ha sentito benissimo. Se un ragazzino di dodici anni è attratto da un uomo di trenta e scopano non c’è niente di patologico. E’ normale. E’ l’eterosessualità che invece è una stronzata, se mi permette.»
«Le permetto, le permetto, prosegua. I nostri figli leggeranno e rideranno.»
«Non c’è niente da ridere. L’eterosessualità è un concetto ideologico, superficiale.»

«Certo. Senta, lei è psicologo per mancanza di prove. Secondo lei quali sono le cause della schizofrenia del fratello gemello, Brian?»
«Boh, avrà preso freddo.»
«Capisco. Grazie, può andare.»

Si ringrazia Susanna Raule per la segnalazione.