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Storie di droga in un mondo che si droga

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Conoscevo Consuelo dai tempi dell’AIDA, un drogatoio di Jesolo chiuso per innumerevoli reati nel ’99.

E’ una bionda ossigenata con cinque centimetri di ricrescita, sopracciglia depilate e ridisegnate a pennarello senza motivo, occhi azzurri che guardano il mondo come un cane guarda un gioco di prestigio con le carte, piercing al naso, quarta di reggiseno, manigl corrimani dell’amore, tribale sul culo, gambe tozze e sgraziate regalo di generazioni di tiratori d’aratro. Le Consuelo d’Italia solitamente restano gravide prima dei 20 perché il fiocinatore di turno, causa abitudine, si lega il goldone alla base del cazzo a mò di fifì credendo funzioni con il principio del laccio emostatico. Consuelo è sfortunata. Nel ’99 a Mestre cambiano i vertici della polizia, scopa nuova fa rumore e i tutori della legge aprono i fascicoli targati “inutili coglioni senza futuro”. La sua compagnia viene ferocemente triturata e Consuelo passa da “Io e te 3msc” a “un happy meal e una coca media”. Nel 2000 lavora al merdonald della stazione e la dà in omaggio col McMenu, ansiosa di trovare qualcuno che le fecondi l’unico ovulo non illegale al suo interno.

«Eccoci arrivati!» esclama Atza, girandosi verso di lei «hai fame, Consuelo?»
«Che sboro, me magnaria ea mona de na morta»

 

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In giro corre voce questo biondo parabordi covi un tesoro nascosto. Il suo fidanzato Misha di professione “ho lo scooter” le aveva affidato un intero mattone di fumo. Quando la mannaia in divisa si presentò a casa dello scaltro scooterista fu talmente estasiata dal quantitativo di droga presente da non soffermarsi nei dettagli, e il mattone andò perduto nelle 876486546 pagine di verbale necessarie per spedire Misha a lucidare scroti magrebini. Per qualche mese Consuelo se ne dimentica, poi ne parla alla migliore amica che ne parla alla migliore amica e in tre settimane il merdonald ha una fila di rottami ansiosi di uscire con lei. Tra loro c’è Atza, che ne esce vincitore grazie al fascino da metallaro con occhio infossato, pallore mortale, aria dimessa, trench di pelle nera e rullanti riverberati sotto la pioggia.

«Dai, vedrai che ti piacerà, vero Nebo?» chiede Atza, guardando nello specchietto retrovisore.

 

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«…Nebo?»
«Ciò, dio can, ma gò da caminàr in ‘sto luamaro?» domanda Consuelo osservando il fango sottostante «vara che gò ‘e scarpe de Gucci!»

Atza per avere la droga deve trombarla e per trombarla deve portarla fuori, ma c’è un problema: senza divisa del McDonald, Consuelo veste sobria come un’ucraina ubriaca. I tacchi della madre la obbligano a camminare come un tirannosauro, calze autoreggenti cinesi sporgono da minigonna inguinale leopardata, maglione cinese con decolleté aumentato a forbiciate illustra un paradiso di carne eccessivo anche per un bordello di Saigon; collo, orecchie e polsi totalizzano più oro di Mister T. E’ impresentabile in qualunque posto Atza sia anche solo remotamente conosciuto. Deve quindi condurla in luoghi ove gli umani sono in percentuale inferiore ai bovini. Opta per un trogolo a Mellaredo di Pianiga, amena località di lap dance e cadaveri interrati.

«Magari avvicino la macchina» sorride Atza.
«E ghe sboro, voria anca vedar! ‘e go pagae duzento euro, sa!»

Siccome li ho presentati io, almeno la prima sera devo fare il gesto di uscire con loro. Ecco perché entriamo in tre nel locale.

«I mi morti, xé roba da schei!» trilla l’elefante.

In realtà, no. E’ un cacaio dove maschi di ogni età e provenienza portano le loro vergogne a cenare per dare loro un’impressione di socialità prima di scoparle o squartarle in oscuri motel. In questo caravanserraglio l’aria profuma di promesse di divorzio, suppliche di sconti e ignobili menzogne sul proprio status lavorativo. Attraversando i tavoli trovi chirurghi che si spacciano per ragionieri e ragionieri che si spacciano per chirurghi, pompieri, SEALs, incursori della marina, ghost writer di Fabio Volo, registi televisivi, agenti della CIA. Al nostro ingresso tutti i maschi si girano in preda al panico. Chi siamo, testimoni scomodi? Conoscenti della moglie? Ci squadrano, deducono “threesome con grassona, uuuno di noiiii, voi siete uuuno di noiiii” e tornano a guardare il volto delle loro perversioni. Durante la cena Consuelo esprime il proprio gradimento a bestemmie, tracanna mezzo litro di rosso e si smolla. Sbocconcellando il tiramisù semicongelato, confessa. Possiede il tesoro. Cosa più importante, ne ha con sé massicce dosi.

«Ciò» ammicca «dopo xé femo do bombe?»
Annuiamo con convinzione, senza sapere quello che sta per succederci.

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Di ritorno l’atmosfera è molto più allegra. Decidiamo di rullare le trombe e squillare i tamburi in camporella. Siamo a Mellaredo di Pianiga, l’asfalto è oggetto di venerazione da parte degli abitanti, non è quindi difficile trovare uno sterrato erboso che scende piano nel buio, allontanandosi dalle luci gialle della statale. I fari della Y10 di Atza illuminano un muro nero tagliato dalle goccioline di pioggia. Facciamo altri dieci metri. L’erba lascia il posto alla terra, i fari illuminano una fila di vigneti. Spegniamo il motore e ci mettiamo all’opera. Il fumo è un po’ invecchiato ma niente male, Ce ne facciamo tre e stiamo lì a ridere come idioti di cose che non fanno ridere, tipo stilare un elenco dei conoscenti caduti durante il proprio dovere. Tre overdosi, cinque carcerati, due accoltellati, incidenti stradali e conseguenti mutilazioni, qualche suicidio.

«Devo pisciare» dice Atza, e tenta di aprire la portiera.
Qualcosa la blocca. Riprova con più convinzione.
La serratura si apre, la portiera non scorre.

«Haha, che ha?» fa Atza, ridendo.

Provo io dalla parte del passeggero. Uguale. Abbasso il finestrino e mi faccio luce con il cellulare. Sbianco. Senza aggiungere nulla esco dal finestrino e le Adidas sprofondano nel putridume fino alla caviglia.

«Atza» dico inorridito «ATZA»
«Cosa? Cosa c’è?!»

La Y10 è affondata. Non impantanata, proprio affondata. Le ruote sono quasi sparite, il fango arriva a tre centimetri sopra la linea della portiera. Chi riesce ad affondare in un campo? A parte i genovesi, intendo.

«Oddìo la macchina di mia madre!» grida Atza in preda al panico, accendendo il motore e innestando la retromarcia. Prima che io riesca a dire qualcosa un’ondata di fango e merda decolla da sotto la macchina e m’investe in pieno, glassandomi senza che l’auto si smuova di un millimetro.

«Ma…» balbetto «ma quei brutti cadaveri…»
«Cioè semo blocai qua? Qua drento?!» barrisce Consuelo nei sedili posteriori «semo drio afondàr nel leame? Ah no no no me manca l’aria, me manca el respiro, vojo ndar fora! Aah! Famme uscir!»
«Calmati» dice Atza.
«FIGA TA MARE» grida Consuelo, battendo i pugni contro il vetro.
«Ferma, oh! Esci dal finestrino, piuttosto!»

Dal sedile posteriore, abbassare il sedile impedisce l’accesso al finestrino. Il capodoglio spiaggiato allora tenta di scavalcarli, ma farla passare nell’intersezione di una Y10 è come cercare di far passare un’anguria nel culo di una donnola. La cicciabomba tenta l’impresa. Le riesce in parte. Frana spaccando il poggiatesta e rovinando di faccia sul cruscotto. Barrisce. Per girarsi, la montagna di lardo perde le scarpe e piazza un ginocchio in faccia di Atza, poi tenta il tutto per tutto ma il suo culo immondo non passa per il finestrino. Vi resta naturalmente incastrata con tette, braccia e trippa da una parte, portammerda e cosciotti dentro che si agitano come teste dell’hydra.

E tutto questo sa succedendo davvero, penso mentre un piede della mortadella umana scartavetra la faccia di Atza.

«Aiutoooo» urla Consuelo «tireme fora!»
Le afferro le mani e tiro. Le tette penzolano nel vuoto, lei si divincola urlando come una bestia scannata. Dall’autoradio parte “Alfieri” di Elio e le storie tese.

«NO VOJO MORIIIIIR»

In un mondo che ci è ostile, rovinato dalla drooogaaa..

«Rilassati» dico, appoggiando un piede alla portiera e tirando con tutta la forza che ho, scatenando una selva di ululati dalla mia parte e di oscene scorreggie dall’altra, la cui aria mefitica investe in pieno la faccia di Atza che urla anche lui, poi abbassa il finestrino e si eietta fuori tossendo.

«AH DIO NO NO FERMO CHE ME CAGO DOSSO, FERMO!» bramisce il parabordi.
«Ho un’idea» dico, mollandola «ma devo toglierti i vestiti»
«COSSA?»
«Uso il fango per farti scivolare fuori»
«VOLE’ SDRUPARME?»
«Ma no, deficiente» dico «ti faccio scivolare»
«NO VOJO CHE ME SDRUPE’»
«Consuelo, guarda!» dico, prendendo una manciata di fango e sparandogliela sotto le tette «vedi, è scivoloso!»

«Ma cosa cazzo dicihihihi» piange Atza, coprendosi la faccia mentre io giuoco all’allegro fanghetto ricoprendo i bordi del finestrino e ricominciando a tirare le mani di Consuelo, cosa che scatena una seconda selva di peti. Piange lei, piange Atza, qua l’unico che lavora sono io. Sto oramai strattonando il corpo esanime e semisvestito della butrona quando il contadino ci trova, richiamato dalle urla. Dobbiamo calmare Consuelo e convincere il latifondista – con fucile – che non la stavamo stuprando e che non è una prostituta, poi il vecchio va a prendere il trattore e ci libera dalle paludi di Mordor restituendoci un golem di palude al posto della Y10. Ritorniamo a casa fortunatamente senza incrociare pattuglie. Non rivedremo mai più Consuelo né parleremo dell’aneddoto, consci del fatto che se un sussurro fosse giunto alle orecchie di Ario avremmo finito di vivere per sempre.

I diritti dell’universo

Banchetto

Strada. Ragazza del banchetto mi punta in diagonale.

«Ciao! Tu ami gli animali?» esordisce con uno splendido sorriso, tenendo in mano un foglietto.
«Sì, fin da bambino» annuisco.
«Ah, grande! Allora ti lascio…»

«I miei genitori avevano due pappagallini» spiego, ignorandola «li guardavo vivere in una gabbia di neanche un metro quadro e li trovavo bellissimi. I miei genitori divorziavano, gli amici non mi chiamavano e le donne mi mollavano, ma quei due pappagallini no. Stavo ore a guardarli beandomi del fatto che non avrebbero mai volato né cacciato né visto un posto diverso dalla mia cucina per tutta la loro vita. Stavano dentro quel cubo d’acciaio a bere, mangiare, cacare e invecchiare. Li guardavo e li amavo. Rosicchiavano le sbarre, sì, ma rimanevano sempre lì con me, capisci? Un becco non può rompere una sbarra di ferro. Ho quindi deciso che gli animali sono meglio degli uomini»

Mi guarda confusa.
«S-sull’ultima frase sono d’accordo con te, ma… ehm, io ti chiedevo se volevi lasciarci un contributo per…»
«Sono cresciuto. Ho avuto una ragazza ma ero sicuro guardasse gli altri ragazzi. Quindi li desiderava. Anch’io guardavo le altre, ma per un uomo è diverso»
«Ma che c’entra?»

«Ci arrivo. Io la sgridavo e lei replicava. Mi giudicava, capisci? Apriva bocca e parlava. Aveva opinioni. Pareri. Diceva che ero un insicuro, ma sapevo che in realtà erano i suoi amici a metterle in testa certe idee. Una donna non può pensare certe cose su di me da sola, così le ho detto di smettere di frequentarli»

Lei mi guarda.
Occhi vacui, confusi e via via più astiosi.

«L’ha fatto, naturalmente. Se mi ami fai quello che dico io. Ma per strada continuava a guardare uomini più muscolosi di me, meglio vestiti di me, con una macchina più bella della mia, con un lavoro migliore del mio. Allora abbiamo iniziato a uscire di meno, ma ogni volta che non eravamo insieme e la chiamavo sentivo che era allegra. Più allegra di quando stava con me, il che era intollerabile»

«Sì, ma io volevo spiegarti che siamo un’associazione…»
«Le chiedevo se era con qualcuno e lei diceva di no. Ero così spaventato mi lasciasse che le ho chiesto di sposarmi. Ha detto di no e mi ha lasciato. Ti pare un bel comportamento, dopo tutto quello che ho fatto per lei? Rispondimi sinceramente»
«Non lo so, non la conosco»
«Nemmeno io conosco tutti gli animali, però mi hai chiesto se li amo. Tu ami il rottweiler che ha sbranato quel bambino? Ami le lontre che stuprano cuccioli di foca a morte? I delfini che uccidono le focene per divertimento? »

«I delfini non fanno una cosa del genere!»

«Sì. Ma solo per allenarsi a uccidere i loro figli. Per non parlare dei pinguini, il pigoscelide di Adelia è necrofilo. Uccide e scopa i corpi. Per non parlare delle scimmie, che per scoparsi una femmina le uccidono e mangiano il figlio davanti. Li ami?»

«Sì. Cioè, no! E’ diverso»
«Lasciami finire. Dopo che la mia ragazza mi ha lasciato ho passato un brutto periodo dove le telefonavo venti volte al giorno, le mandavo messaggi e l’aspettavo sotto casa o fuori dal lavoro. Una sera l’ho vista rincasare con un altro, le ho mandato un SMS per dirglielo e due giorni dopo mi ha denunciato per stalking. Ti risparmio la menata del processo, è stata abbastanza noiosa, comunque m’è passata. Ho preso un cane»

«Ah… ah. Bello, anch’io ne ho uno»
«Sì? E dove l’hai preso?»
«Un mio amico aveva la cagna che aveva partorito»

«Ecco. Io invece sono andato al canile, quindi sono più buono di te. Ho scorso file di cani con un atteggiamento di orgoglio o di indipendenza e sono passato oltre, mi ricordavano troppo la mia ex. Ho trovato un bastardino dall’aria così afflitta da mettermi a mio agio. Era magro, triste e solo. Finalmente avevo trovato un essere così bisognoso da non poter scegliere. Quando l’ho portato via ero felice di sapere che gli altri cani rimanessero soli, era come vendicarmi di quegli stronzi degli esseri umani. Così imparano a fare tanto gli orgogliosi. L’ho subito portato dal veterinario e per fargli esami e vaccini. Lui non era d’accordo, tremava e guaiva, ma io so qual è il suo bene. Ho dovuto farlo, perché da quando l’ho preso al canile solo la morte l’avrebbe liberato da me, e non volevo correre il rischio morisse prima del tempo. L’ho chiamato Spritz perché è ironico e perché l’alcool è l’unica cosa che dà un senso alla mia vita»

«Cioè hai preso un cane al canile e l’hai curato»
«Esatto. Sono un uomo buono, io. Poi l’ho portato a casa ed è diventato il mio migliore amico. E’ proprio un membro della famiglia, il caro Spritz»
«Su quello sono d’accordissimo, io ne ho due. I cani sono così umani… ma meglio»

«Meglio, infatti» annuisco «sono meno pretenziosi. Non ti contraddicono quando spieghi perché bisogna votare Grillo. Non ti fanno notare che stai ingrassando. Non ti dicono che sbagli. Stanno lì e ti fanno sentire buono. Perché noi che amiamo gli animali siamo buoni, giusto?»

«Certo»
«Voglio dire… guardali. Li abbiamo vaccinati contro la loro volontà, li teniamo in un tale stato di carcerazione in cui cagano e pisciano quando glielo diciamo noi, non fanno nulla di loro spontanea volontà, scopano quando noi decidiamo che scopino e basta agitargli un guinzaglio davanti per renderli felici. A volte è meglio castrarli o sterilizzarli, è più pratico per loro. Prendi i gatti. Se li sterilizzi poi sono molto meno inclini a scappare. Ti dirò, se avessi potuto avrei fatto sterilizzare anche la mia ex. Avrebbe avuto molta meno voglia di vedere altri uomini, no? Sarebbe rimasta con me per sempre. Sono o non sono la persona migliore che tu abbia mai visto? Sono persino più buono di te, perché non mangio carne»

«Anch’io sono vegetariana» dice, alzando un sopracciglio.

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«Lo so, è diventato così di moda che oggigiorno bisogna essere vegan, per sentirsi più buoni degli altri. Anzi, pure quelli sono mainstream, tocca diventare fruttariani. Ma perché?» domando.

«Cos… Perché uccidere un animale è orribile»
«Risposta esatta. E come hai risolto la contraddizione del cane?»
«Quale?»
«Bè, il cane mangia carne. Tutti gli animali domestici mangiano carne. Il mangime per cani contiene carne. Per dimostrare che amo gli animali ne faccio macellare di più. L’unica soluzione è boicottare le aziende che macellano animali, ma questo le farebbe fallire e il mio cane morirebbe di fame. Come fai?»

«M-ma gli animali non possono scegliere, noi sì»
«Esatto!» esclamo, illuminandomi «e noi scegliamo di aumentare il numero di animali domestici, il che aumenta il fabbisogno di cibo per cani, il che aumenta il numero di animali uccisi per sfamare i nostri! Un essere umano mangia carne quanto, tre, quattro volte a settimana? Un animale mangia carne due volte al giorno. Cazzo, per dimostrare che amo gli animali sono costretto a farne massacrare gozzilioni. Però tutto sommato va bene, vacche e galline non sanno cos’è l’affetto, sono meno animali degli altri»

«Aspetta un attimo, chi ti ha detto che il numero di animali domestici è aumentato?»
«Il numero d’iscrizioni all’ENCI. Per non parlare dei gatti, ma quelli non si possono contare. Sai, a volte mi domando se questo dato si possa incrociare con il numero di divorzi, anche quello in aumento. Ogni tanto ho come l’impressione che… so che è assurdo, ma è come se questi due dati insieme mi suggerissero qualcosa. Qualcosa che mi sfugge. A te non capita?»

«No. Ho altre cose a cui pensare. Per esempio le crudeltà dell’uomo sugli animali. Passo giorni interi a riversare odio, insulti, minacce e auguri di torture in rete quando vedo queste cose. Mi aiuta a far sapere al mondo che io sono buona e che so amare. Per quello a me fanno più pena i mendicanti coi cani che con i bambini. Io poi adoro fare i campionati di compassione, mi fanno sentire troppo sensibile»

«Ti capisco. Ma posso farti una domanda?»
«Sentiamo»

«Ti è mai passato per la testa che siamo sacchi di carne che parassitano il calore di un sasso che si sta spegnendo nel bel mezzo di un universo sospeso nel nulla, e che il nulla non ha né spazio né dimensione, perciò sostanzialmente non sappiamo chi siamo, cosa siamo, dove siamo né dove andiamo? Hai mai riflettuto sul fatto che la nostra stessa esistenza è un’ipotesi, non una certezza, dato che non è misurabile in nessuna unità di misura? Che non esiste né una fine né un inizio? E che tra al massimo cinquant’anni saremo morti?»

«Io… amo gli animali»

«Lo so. Ma non scriveremo mai la data “2080”. La nostra vita si sta consumando secondo dopo secondo e tu la passi a odiare sconosciuti che fanno azioni ipotetiche su creature supposte in uno spazio inconsistente. Nel 2080 parte delle tue molecole saranno l’insalata in un McBacon tra un hamburger di manzo e una fettina di maiale che alimenterà l’organismo di un uomo che schiaccerà una zanzara pensando alle tette di una ragazza nata nel 2068. Hai mai pensato…» dico, incerto «…che siamo solo mostri ben disegnati?»

Per un istante mi fissa, come se qualcosa le si stesse accendendo nel cervello. Poi scuote la testa, fa un sorriso e mi porge il foglietto: «Ti lascio un opuscolo per la nostra associazione a difesa dei diritti degli animali. Fai le coccole a Spritz da parte mia»

«Grazie» dico, e riprendo a muovermi su un paio di Ranger boots scamosciati, composti con le molecole del signor Torquato Tasso. Sta iniziando a piovere, non vorrei bagnarli.

Cinzia

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Cara Cinzia,
questa mattina ho aperto Facebook e ho scorso la bacheca come Schindler la sua lista, giacché tre quarti dei miei contatti andrebbero gassati senza rimorso alcuno. Prendo nota del 736° amico che manifesta un’insospettabile idiozia linkando Beppegrillo.it, Tanker enemy, Informarexresistere, siti pro Stamina, Spinoza, siti animalisti, sciachimisti, cospirazionisti o immagini che gridano cazzate clamorose. Avevo stima di lui, penso, rimuovendolo dalla lista amici e dalla rubrica. Non ci perdo più tempo. Nella vita sono sicuro di due cose: la prima è che filmarti mentre ti spari in bocca non ti farà scopare Bjork, la seconda è che discutere con un cospirazionista è inutile. Con te invece vale la pena spendere due parole, soprattutto dopo che mi è apparsa questa roba in bacheca:

 

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La settimana dell’educazione speciale è dal 21 al 31 gennaio. Oggi è il 5 e in fondo alla jpg c’è scritto “2012”. E’ una fottuta catena di S. Antonio. Inoltre secondo  alcuni medici l’ADHD non è una malattia. Sai quanto tempo ho impiegato a scoprire tutto questo? Nove secondi. Ho deciso di aggiungerne altri nove per spiegarti cos’è l’ADHD: si chiama deficit d’attenzione. Succede nella testa di tuo moroso quando gli parli per più di dieci secondi. Dici “tesoro, mi accompagni a comprare un paio di scarpe così già che ci siamo paghi le bollette” e lui ad “accompagni” stava già pensando al fantacalcio. 

Sapevi tutto questo? No. Hai cercato di capirlo, ti sei informata? No. Per risparmiare nove secondi hai rotto i coglioni a tutti i tuoi contatti e fatto apparire questo abominio sulla mia bacheca. Potevi pisciarti in bocca per tenere il mare pulito, fare l’ingoio per controllare il boom demografico, incendiarti le scoreggie per risparmiare sul gas e sarebbero state tutte cose più utili, ma hai scelto di condividere un’immagine su Facebook.

Siccome non esiste il tasto “invia le squadre di ninja assassini”, non mi resta che domandarmi perché.

Mi sforzo di pensare tu fossi convinta che il popolo, scoprendo questa malattia ipotetica, ne rimanesse sconvolto tanto da cliccare “mi piace” raggiungendo cifre incommensurabili. A quel punto dalla porta USB di biologi e ricercatori sarebbero sgorgati torrenti di banconote da 500 euro ed essi, inondati di denaro, avrebbero trovato la cura e il mondo si sarebbe liberato di questa malattia che non esiste. 

Ma non è vero.
Nessuno è tanto stupido, Cinzia.

A te dell’ADHD e della settimana dell’educazione speciale non fregava nulla il secondo prima e quello dopo che hai premuto il tasto. Non te ne fregava nemmeno mentre lo premevi. Hai condiviso questa merda perché sei una pigra bigotta ammantata di quell’ipocrisia che proibisce alle donne di mostrare le tette senza giuste motivazioni. E’ per colpa di voi ottuse poiane che siamo intasati di burlesque, live performance, femen e nudi artistici. E’ il solo modo che avete per attirare l’attenzione senza assumervi la responsabilità di averlo fatto. Non mi stai supplicando un like, stai facendo una buona azione, giusto? Sotto sotto sei anche un po’ migliore di me che non la condivido, giusto?

Questa storia deve finire.

Tu e tutte le altre rincoglionite dovete smetterla, perché siete ai livelli di Pacciani che in aula declamava poesie sull’amore e il pubblico ministero gli ricordava che sì, tutto molto bello, ma lui era lì perché strappava clitoridi alle ragazzine con un rasoio. Non state salvando il mondo, siete la merce che un’azienda informatica vende ad aziende più grandi e che usano i tuoi dati per venderti puttanate. Sei seduta imbavagliata sullo scaffale di un grossista, Cinzia, non sei in un laboratorio e men che meno in parlamento. Sei un muffin che sogna pianeti. E’ un miracolo se trovi la voglia di farti la ceretta e parli di leggi da abrogare e gente da licenziare, capisci?

Usi jeans che per avere il look vintage costano vite umane. Usi Vuitton false fatte da bambini cinesi e poi frigni quando muoiono bruciati vivi. Compri cellulari prodotti da cinesi a ritmi da suicidio per poi lamentarti se qualcuno ti chiede di lavorare gratis. Posti ‘ste cazzate e parcheggi sul posto disabili. Sai che la NSA ti fruga nel telefono senza il tuo consenso e lo compri dorato. Ascolti tutto questo e dici che sono banalità perché è una cosa talmente intollerabile che non la vuoi ascoltare. Ma a me va bene. Sono come te. Tutti noi lo siamo. Stronzi qualsiasi di cui non frega un cazzo a nessuno, la cui generazione tra cinquecento anni verrà ritratta peggio dei nazisti. Non importa, saremo morti da un pezzo e chi se ne frega. Il punto è che non devi atteggiarti a donna sensibile. Non devi salire su un piedistallo. Devi stare zitta in fila da Zara con me, tacere e possibilmente fare un corso di twerking.

Ti scrivo qui perché su Facebook non posso. Mi toglieresti l’amicizia e sarei costretto a rinunciare alle tue foto in perizoma a Sharm el sheik.

Il che è inaccettabile.

Discorso di fine anno al bar Verdi

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30 dicembre. L’aperitivo al Verdi si tinge di alberelli di natale, lucine calde e intermittenti, decorazioni. Per aumentare l’atmosfera si preferisce il prosecco allo spritz. Il buffet, di solito pasta scotta al pesto e pizza gelida di gomma, viene sostituito da stuzzichini più raffinati. Osservo con estasi natalizia gli avventori massacrarsi a gomitate per avere una tartina, un’ipotesi di salame, una frenata di sugo sui piatti di plastica. La distribuzione del riso ad Haiti, porca puttana.

Siamo tutti reduci dai gozzovigli. Le ragazze, in vista dei saldi invernali, pianificano l’assalto con la precisione di una squadra d’incursori e quasi non ci rivolgono la parola. Atza è stato assunto da una ditta di traslochi. Secondo Ario questo “l’avrebbe finalmente fatto diventare uomo”, ma essendo Atza diplomato in ragioneria l’hanno messo davanti a una schermata di Excel con nostro grande disappunto. Luca dorme sul divano di un amico perché è in cagnara dura con la moglie, gelosa di una sua collega dell’ufficio mastoplasticata. Voci di corridoio dicono che ne ha ben donde. Io, dopo aver conosciuto la direttrice di Cosmo, ho 48 ore per consegnare un gigapezzo sulla masturbazione maschile perché a suo avviso “sono l’uomo giusto per farlo”. Ho fatto l’errore di raccontarlo in compagnia un mese fa. Vanno ancora avanti.

«E’ stato un bel natale, tutto sommato» dice Atza.
Luca alza gli occhi.
Atza li abbassa.

This christmas, i give you my heart, but the very next day, you give it awaaaaay

«Ho ho ho» annuncia Ario, spalancando la porta. Indossa una barba finta.
«E’ arrivato pappa natale, chi di voi baby prostitute è stata cattiva?» domanda a due adolescenti «forse tu, piccola? Come sono andate le buste di Natale?»
«Lascia stare le clienti, Ario» dice la cameriera, stranamente confidente.
«MEEEEEEERRY CHRISTMAS!» esclama proseguendo verso il nostro tavolo a braccia aperte «Leonora, bel vestito, non sapevo avessero riaperto i casini. Atza, fai sempre più da cagare. Luca, pisellino birichino, quali nuove da divanoland?»

«Vaffanculo»

«Gna ha haha, due anni di matrimonio affanculo per dieci minuti di bocchino, bell’economista»
«Per una volta potresti anche portare tua moglie, così vediamo se quando c’è lei fai tanto il duro del Roadhouse»
«A me piacerebbe, ma non ha mai un buco libero»

 

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JINGLE BELLS, JINGLE BELLS, JINGLE AAAAL THE WAAAAY

 

«Ci siamo anche noi, eh» dicono Giulia e Pamela.
«Sì, sì, vi chiamo io. Allora, sfigati, che si dice? Avete passato la cena della vigilia con i parenti della vostra dolce metà, accolita di squilibrati distrutti dagli antidepressivi e accaniti sostenitori del M5S che berciano del crollo dei valori tra i giovani?»
«No»
«No»
«No»
«Io sì, e mi sa che hanno ragione. Cioè, ascoltavo i pensieri profondi, il dramma della donna oggetto e tutte quelle cagate. Guardando la loro amata figlia m’è venuto in mente di quella volta in spiaggia a Mykonos quando il mio era solo uno dei tanti cazzi che traforavano il suo dolce corpicino e ho pensato, i nostri genitori a Natale andavano in chiesa. Un crollo morale è innegabile»

«Prendo un altro prosecco» dico, allontanandomi.
«Due, poi ti do i soldi» dice lui, tirandomi la giacca.

«Comunque, da sposati, le famiglie passano il natale insieme» dice Luca «quelle normali, almeno»
«Ah, allora avete passato il pranzo di Natale con supposti parenti a cui avete regalato oggetti utili solo a essere regalati, di cui provate grande vergogna. In cambio avete ricevuto libri che non leggerete mai, sciarpe, penne stilografiche utili come un rosario in un conflitto a fuoco, cappelli e maglioni che il mattino dopo sono già esposti al mercato dell’usato, dove li comprerà Nebo»

«Compra al mercato dell’usato?» fa Pamela.
«Sono vecchie abitudini. Quando mollò l’università suo padre lo mise alla porta ed è vissuto per anni in un garage riadattato a sala prove, così si comprava la roba sciccosa lì e il mattino scroccava la colazione al grand Hotel leggendo i giornali entrando dal parcheggio, i camerieri lo credevano un cliente»
«HA HAHAHAHAHA AHAHAHA»

«No, fermi, non sapete di quando per i deodoranti entrava nelle profumerie e usava i tester»
«AHAHAH HAHAHAHA»

«Ma sul serio? Credevo che con Cosmo campasse bene» dice Atza, confuso.
«MACCOSAAAHAH HAHA HAHAHA» ride Ario, felice «metà è probabilmente refurtiva zingara, l’altra metà è roba del polverizzato padre, praticamente Nebo è un deposito di evidenze giudiziarie ambulante. Chissà cosa si prova a girare per strada con il terrore qualcuno urli “oh, dove hai preso quei jeans, somigliano a quelli di mio figlio morto”»
«Che schifo» fa Luca.
Ario si gira, folgorandolo: «Perché?»
«Boh, non mi metterei mai roba usata da uno che non conosco»
«Anche la fica di tua moglie non è roba di prima mano, eppure hai mangiato e reso grazie. Come la mettiamo?»

«N-non è la stessa cosa»
«Certo che lo è, ma non ci pensi. Quando sei nato il tuo cazzo s’è strusciato sulla fica di tua madre. Come riesci a guardarla in faccia? Non pensandoci. Il trucco è tutto lì. Non pensarci»

 

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«A che punto siamo arrivati?» chiedo, tornando coi bicchieri.
«Niente, Capitan OVS» dice Ario, prendendo il bicchiere «bella giacca»
«Grazie»

Risate sparse per il bar.
Boh.

«Comunque, parlando d’altro. Che fate a capodanno?» chiede Ario.
Le carole natalizie in stereo tacciono. Alla cameriera cade un bicchiere.

«Allora?»
«Uhnnnmm…» tento, guardando la Leo «…forse siamo a cena a casa di amici»
«Anche noi» dice Atza «niente di speciale»
«Idem, amici di mia moglie» annuisce Luca.
«Noi avevamo sentito di una serata in discoteca» fa Pamela «se volete aggregarvi…»

Silenzio.

«Solo ora realizzate di non avere la più pallida idea di cosa cazzo fare, eh?» chiede Ario «ogni volta giurate che ci penserete prima, ogni volta vi trovate in questa condizione disperata in cui chiedete a tutti cosa fanno e tutti rispondono così, VAGHI, per tenersi aperte il maggior numero di opzioni possibili sperando di rimediare qualche posto figo con gente più figa di quella che frequenta di solito. Invece finite in trogoli con gente sconosciuta a mangiare demmerda pregando quel Cristo di orologio si affretti a battere i dodici rintocchi così da poter rientrare a casa, dove dimenticare in fretta la vergogna»

Nel tavolo a fianco, un tizio grosso come un armadio crolla in un pianto convulso, tenendosi la testa tra le mani. L’amico lo consola, guardandoci di nascosto. La gente viene all’aperitivo al bar Verdi come se fosse un posto qualunque, non sapendo che potrebbe sentire queste cose e rovinarsi la vita. Io li compatisco, i novellini. Una volta ho passato una serata a consolare un tizio che aveva parlato con Ario in coda per il bagno. Non è facile.

«Io non so nemmeno perché vi frequento» mormora Luca.
«Perché ti sei giocato la casa per un bocchino, stolto»
«Almeno io ho uno stipendio decente e una moglie fedele»
«Cose di cui il giudice di divorzio terrà debito conto, non temere»

Leonora strizza gli occhi e fa una smorfia di dolore.

«Ma torniamo al discorso prioritario: che si fa a capodanno? Perché io vi conosco. Le avete provate tutte. Il capodanno romantico. Il capodanno in discoteca. Il capodanno a casa di amici. Quello a casa di amici degli amici. Avete persino passato un capodanno da soli per vedere com’era ed è stata la più grande idea del cazzo possibile. Un segreto che mai oserete svelare»
Giulia sgrana gli occhi: «C-CHE NE SAI, DAI, NON ESISTE NESSUNO CHE…»
Ario la fissa con occhi di scintillante follia omicida: «I messaggi di auguri che leggevi al buio, nel silenzio della tua casa, mentre fuori il mondo ardeva il proprio stipendio in petardi. La morte nel cuore. La sofferta decisione di mentire il giorno dopo. Ricordi, piccola Giulia?»

«E va bene, m’è capitato. Mi ero mollata con Alvise e avevamo la compagnia in comune. Ho detto che ero con altra gente, ma…»
«Taci»
«Sì» dice lei, chinando la testa e mettendosi le mani tra le cosce.

«E poi la cena veloce con conseguente spostamento in discoteca, ove pagaste l’equivalente di una vacanza ai Caraibi per ascoltare musica di merda tra litigate di gelosia e spumante della COOP»
«Taglia corto, Ario, il capodanno è una rottura di coglioni? Sì. Bon. Basta, Cristo, sei qui da meno di cinque minuti e tre quarti del bar vuole ammazzarsi»

Il tipo grosso alle nostre spalle continua a singhiozzare.

«Perché, come al solito, non vedete la verità. Ricordate i capodanni passati, quelli con le feste, dove eravate felici? Sono quelli che vi hanno fottuto. Continuerete a cercare di riavere quella gioia, stupidi come la gente che tira l’acqua dopo aver scorreggiato. Ma non succederà. Non succederà mai»
«Non è detto» dico.
«Invece sì. Perché il problema dei capodanni non è la gente, è il significato. Ogni capodanno vi ricorda che dovrete imparare a scrivere l’anno nuovo giusto, correggere la vostra età quando ve la chiedono, e soprattutto vi ricorda che a furia di dire “inizio lunedì” avete buttato nel cesso un altro anno. Siete nello stesso posto, tra le stesse persone, mentalmente e fisicamente. Non è l’anno nuovo, è la solita vecchia merda da cui non riuscite a uscire. Hai cazzi di rendertela bella con spumantino e lenticchie, se ti chiedono di festeggiare il primo classificato al concorso mister cacasotto»

Il tipo grosso si alza e corre fuori ululando, inseguito dall’amico.

«E curiosità, tu cosa fai a capodanno, Ario?» chiedo coi crampi allo stomaco.
«Cena a casa di amici di mia moglie» annuisce lui, compiaciuto «mi scasso a indovinare quale se l’è trombata»

Con queste parole termina il mio 2013.

La vera trama de Lo Hobbit 2

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Abbiamo lasciato un battaglione di nani su una roccia aguzza nel bel mezzo della regione di Noncestancazzostan. Le aquile non hanno potuto portarli alla montagna proibita per la manifestazione dei forconi, così li hanno lasciati lì.

«Grazie, Pisa 10» ringrazia Gandalf, salutando le aquile.
«Che gentili, eh?» gongola il vecchio stregone, girandosi verso i nani «non hanno nemmeno chiesto il sovrapprezzo notturno. Altro che quei ladri del Radiotaxi»
«Gandalf, ora che facciamo?» chiede Hamas, ossia quello che dovrebbe sapere cosa fare.
«Bilbo, sali sulla roccia e fai delle facce buffe» ordina il vecchio.

Bilbo esegue. Storce il naso, fa espressioni di terrorizzato stupore e nota che le rocce circostanti brulicano di orchi che digrignano i denti, ringhiano, si urtano, muovono molto le possenti spalle e nel complesso si comportano come uno a cui non è venuto su davanti a Megan Fox nuda sul letto. Si guardano male e urlano di rabbia contro le montagne. Tra quelle rocce c’è anche Ciccillo detto o’ Terronator, un mostro ancora più enorme che fa gli stessi versi degli orchi, si muove come gli orchi, ringhia e sbava come gli orchi, ma è peloso e tifa Napoli. Nel 2009 ha scoperto di avere vinto la schedina, ma la moglie glie l’ha persa. Da allora urla di rabbia alle montagne anche lui.

Bilbo ha fatto abbastanza facce buffe. Scende. Li trova intenti a parlare di facezie e fa presente che attorno è pieno di roba che ha l’aria di non chiavare da tutta la vita e che è prossima a incularseli a trapano. Gandalf domanda che forma ha.

«Quella di uno che ringhia, sbava e muove molto le possenti spalle» replica Bilbo.
Fuggono.

Certo, nel tragitto qualcuno potrebbe obiettare che di tutti i posti del cazzo dove le aquile potevano mollarli hanno scelto proprio il giardino di Terronator, ma non fanno a tempo perché, di mille posti del cazzo dove possono nascondersi, scelgono di occupare abusivamente proprio la magione di Terronator. Lui li insegue per farne strage ma, giunti tutti alla soglia di casa sua, si ferma e se ne va. Evidentemente non vuole disturbare. I nani si addormentano, come farebbe chiunque è circondato da mostri che gli si vogliono fare pure nel naso ed è protetto solo da una malmessa paretina di legno. Al mattino Terronator gli offre la colazione chiacchierando.

Ora siamo in mezzo alle rovine di qualcosa. Gli orchi si urtano per passare. Un orco molto grosso si ferma davanti a un orco più grosso e si guardano male, ringhiando.

«Ho urrrrrgh» ringhia l’orco, stringendo le braccia per evidenziare i deltoidi «unnnnnh compito perrrrrr te» termina contraendo il latissimus dorsi. L’altro lo guarda come una merda, concentrandosi nell’esporre lo splendido lavoro fatto sui tricipiti con sessioni di super serie +2 negative. Non dice nulla.
«Hai uhnnnn» prosegue il primo orco, sporgendo la mascella che denota un utilizzo ben studiato di HGH e insulina «hai ancora sete di sangue di nano?»
«FFFFFFHNNN» replica l’altro, divaricando leggermente le gambe e strizzando al massimo per mostrare i quadricipiti che, dopo 15 giorni di riposo, hanno raggiunto la migliore definizione muscolare possibile.

La telecamera si allontana per lasciare allo spettatore il tempo di meditare su questo complesso scambio di opinioni.

Siamo di nuovo nella casa di Terronator, che ora ha fattezze più umane. Senza nessun motivo regala tredici cavalli ai nani – l’equivalente economico di un appartamento in centro Milano – per poi lasciarli andare felici. I nani arrivano al limitare di una foresta. Gandalf sa che lì dentro c’è qualcosa di pericoloso, quindi se ne va spiegando che ha dimenticato di chiudere la porta di casa.

«Ma che cazzo, com’è che ogni volta che fiuti casini tagli l’angolo?»
«Tranquilli, alla peggio chiamate un’aquila»
Trotta via.

I nani senza Gandalf sono un branco di naziputtihandicappati, difatti tempo due minuti si perdono e vengono assaliti da ragni giganteschi che invece di ucciderli chiacchierano tra loro dicendo “uccidiamoli”, l’altro ragno risponde “sì, sì, uccidiamoli”, un altro interviene dicendo “no, è meglio se li uccidiamo” ma, proprio quando la conversazione inizia a farsi interessante, arrivano gli elfi e li ammazzano tutti. I nani vengono tradotti in catene nel regno degli elfi silvani, la cui architettura verticale fa sì che per andare dalla cucina al cesso si impieghino trenta minuti di scale e molti preferiscono pisciarsi addosso. Tra questo popolo di scaltri architetti troviamo Legolas e Kate di Lost. Tra i due sembra esserci del tenero, ma Kate si rivela attratta da perversioni sessuali interrazziali e manda frecciatine a un nano. Si guardano, si piacciono e, quando la prigione è deserta e tutti dormono, chiacchierano di stronzate tipo la luna, le stelle, un mare di opali iridescenti, fammi ‘sto bocchino. Il nano mostra un sasso con incise delle rune. Gli cade. Lei si avvicina per ridarglielo. Le loro mani si sfiorano. A questo punto qualsiasi persona definibile come “guerriero” le afferrerebbe la mano, la tirerebbe con forza contro le sbarre, le afferrerebbe la testa dislocandole l’osso del collo, prenderebbe le chiavi, aprirebbe le sbarre e libererebbe tutti i suoi compagni. Io mi limiterei a sporgere il cazzo dalle sbarre voltandomi dall’altra parte e dicendo “se le chiavi ti pesano puoi metterle qui, non guardo”, ma questa è una fiaba per bambini.

Decapitazioni sì, sesso guai al mondo.

Bilbo usa l’anello di Sauron come il manto invisibile di Harry Potter, ruba le chiavi, libera tutti e approfitta del fatto che gli elfi di guardia sono sbronzi.

«Scusa Bilbo» fa Hamas, scendendo le scale «hai detto che gli elfi sono ubriachi?»
«A merda, russano che è un piacere»
«Ma se Legolas nel signore degli anelli beve ettolitri e manco si scompone, com’è che questi…»
«Siamo in un fantasy»
«Sì, ma le regole o valgono sempre o non valgono mai»
«Non ti lamentavi così quando sei passato dalla paralisi nella ragnatela al perfetto controllo del corpo e dei sensi»

Si infilano in delle botti di legno e precipitano in quella che sarà la futura attrazione dei parchi divertimento di tutto il mondo, ossia galleggiano tra le rapide splendidamente renderizzate. Qui orchi, elfi e nani si ammazzano tra di loro in un crescendo di balletti, ciccioni con l’agilità di ghepardi, archi col mirino laser e la consapevolezza che nessuno si farà mai male. Dopotutto nel primo sono precipitati per uno strapiombo di duecento metri atterrando di faccia sul granito senza manco fratturarsi il naso, possiamo stare tranquilli. Il nano che Kate voleva scoparsi viene colpito da una freccia a una gamba. Come se non fosse un problema  suo salta in un barile e il bordo gli strappa la freccia teoricamente squarciandogli il quadricipite, tranciando i tendini, formando bolle d’aria dentro le arterie recise e lasciando schegge infette dentro il muscolo. In realtà il nano fa una smorfia e si rimette a dondolare felice nel fiume, seguito da tutti i suoi compagni illesi.

Stacco. Montagna. Gandalf arranca su dei gradini abbozzati che danno su uno strapiombo.

«Ma io dico» ansima, saltando su un altro «il dramma delle barriere architettoniche, qui, non è contemplato?»
Per un istante vacilla, sfiorando il baratro.

«Voglio dire, metti che ho preso una freccia da piccolo, o che ho i crociati a troie» sospira, saltando su un altro masso «o che ho sessant’anni, metti. Ecco, metti che ho sessant’anni e voglio andare a trovare quel cornuto di mio figlio» esclama, saltando «perché a sessant’anni una Cristo di femmina da ingravidare l’avrò pur trovata, magari per sbaglio ma deve pur capitare, anche in questo mondo dove se caghi escono fiorellini ma quando fa comodo la merda sgorga copiosa»
Sassolini rotolano nel vuoto.

«Ecco, io devo veramente farmi tutta ‘sta menata?»
«Queste sono prigioni, non tombe» risponde Radagast alle sue spalle, emergendo dal buio.
«OOORCODDIOCOSACAZZO» urla il vecchio, sparando per errore un incantesimo che gli polverizza la testa, la barba con la merda d’uccello e gli uccellini sotto il cappello. Il cadavere di Radagast, decapitato, precipita nel vuoto e il cinema esplode in un’ovazione. Famiglie si abbracciano, cassieri ammettono di “commuoversi ogni volta”, donne si sditalinano senza ritegno, il proiezionista rimanda la scena per le successive due ore sovrapponendo la nona sinfonia di Beethoven e tutti cantiamo “freude shoner gutterfunken” in piedi con il volto rigato di lacrime.

No. Scherzo. Si salutano come se fosse una cosa normale trovare amici nascosti nell’ombra di tombe inarrivabili. Ma siamo in un fantasy, dopotutto. Nel frattempo l’acqua del fiume rallenta e i nani possono guadagnare la riva. Si fermano a parlottare, quando alle loro spalle appare un tizio che prima gli punta un arco con la freccia incoccata alle spalle e quasi ne ammazza due, poi si mettono a fare conversazione.

«Hai una bella barca, immagino tu abbia anche una bella moglie» dice un nano.
«Ce l’avevo, è morta» risponde l’uomo.

A questo punto Hamas si dimostra subito il solito leader carismatico, empatico ed educato che è sempre, e non appena l’uomo dichiara il lutto egli replica con «abbiamo bisogno di cibo, armi ed equipaggiamento, puoi aiutarci?»

L’uomo decide di raccontare a dodici sconosciuti di cui non si fida che nella vita fa il contrabbandiere. Li carica a bordo in cambio di denaro, si parte. Segue un piccolo siparietto dove Legolas&friends torturano un orco catturato, il quale prima di venire giustiziato ammette con un certo orgoglio che durante il loro attacco sono morti in 8.763, sì, ma un nano s’è preso una freccia avvelenata in una gamba. Grande festa a casa Sauron. Facendo una rapida stima, se per ferire uno dei dodici ciccioni è stato necessario sacrificare un battaglione, gli scienziati reputano la minaccia di Sauron si collochi tra “zanzare a dicembre” e “scadenza dello yogurt in offerta” ma hey! Siamo in un fantasy, giusto?

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Giusto.

 

Il lago è gelato ed è avvolto nella nebbia. Queste due condizioni atmosferiche rendono la navigazione impossibile perché 1) non si vede un cazzo e 2) se c’è nebbia non c’è vento, e senza vento una barca a vela è utile come chiedere a una donna dove vuole andare stasera. L’uomo però governa con maestria l’evidentemente barca entrobordo e giungono senza problemi a Venezia. La città è blindatissima. Impossibile entrare o uscire senza sottostare a decine di controlli, grate, cancelli e posti di blocco. Con uno stratagemma pietoso riescono a entrare. Qui si scopre che l’uomo è il figlio del peggior mitragliere del mondo. Suo padre era addetto a scagliare le uniche frecce capaci di uccidere un drago, ma ha fatto una serie di padelle catastrofiche, il drago ha disintegrato la città e ora vivono mangiando acqua salata. C’è tuttavia la solita FOTTUTA PROFEZIA fatta da non si sa chi né come, la quale sostiene che un giorno arriveranno dei nani, scasseranno il culo al drago e tutti vivranno felici e contenti. La cosa infastidisce molto l’uomo.

E’ per questo che ha portato i nani in città.

Li sgamano, il governatore crede alla profezia e li manda nella montagna a uccidere il drago mentre nella città che prima era inespugnabile all’improvviso arrivano orchi dai tetti, elfi dai pontili, venditori di rose dal Bangladesh e si menano perché boh, a Venezia di sera non c’è mai molto da fare. La compagnia del McDonald giunge alla montagna e manda Bilbo dentro a conoscere il drago, che si sveglia ed emerge da un oceano d’oro. Questo spiega la totale assenza di fica dal mondo: sono tutte morte lì tentando invano di arraffare gemme, monete e gioielli.

«Volevo farle alcune domande, oh potente drago» dice Bilbo.
«Mi chiamo Smaug. Dimmi»
«Lei è ritratto come un personaggio incredibilmente complesso, carismatico, affascinante. Volevo sapere perché vive in un buco del genere e colleziona oro, se non se ne fa nulla»
«Non è importante. Questo è un fantasy, giusto?»

 

tumblr_lmd0da7Wu21qzbkx0o1_400Giusto.

 

«Capisco. Mi dica, come mangia, come si nutre, si riproduce? Insomma lei che cazzo fa, qui dentro?»
«Sto a guardia del tesoro»
«Sì, ma perché?»
«Perché sì e basta, vaffanculo»
«No, aspetti un attimo. Io sono l’unico essere vivente con cui lei può parlare da non so quanti anni. Non ha voglia di fare conversazione?»
«No. Io sono il fuoco. La morte. La distruzione!»

Il signor Fuoco-morte-Smaug decide di incenerire dodici obesi che deambulano ad andatura disabile in visita al Louvre su un terreno ad alto contrasto, che conosce perfettamente e offre scarsi ripari. Inoltre tutti e dodici i naziputtihandicappati camminano su una montagna d’oro, notoriamente un superconduttore. Se spari una fiammata, nel raggio di trenta metri il pavimento ha la temperatura dell’ano di Valentina Nappi dopo che c’è passato Lexington Steel. Ma questo il signor Fuoco-morte-Smaug pare ignorarlo e insegue i dodici vesciconi di lardo in un turbine di stanze, saloni e inquadrature splendidamente renderizzate e proiettate a 48fps.

«Freghn!» grida Hamas «portiamo il signor Fuoco-Morte-Smaug alle fucine! Puoi costruire dell’esplosivo?»
«Certo!» esclama il nano.

 

 

«COME CERTO?!?» sbotta Bilbo.
«Abbiamo tutto il materiale per farlo» sorride il nano, entrando in una stanza «dunque, zolfo, zolfo… Ah, eccolo. Un po’ di questo, un po’ di quello…»
«MA SIETE DEFICIENTI?!» urla Bilbo «POTETE FARE DELL’ESPLOSIVO?!»
«Certo. 75% salnitro, 10% zolfo, 15% carbon fossile. Polvere nera»
Bilbo ferma il nano, bloccandogli le mani.

«Che fai, Bilbo, non c’è tempo!»

«Tu non ti muovi. Nessuno si muove. Ora mi spiegate perché avete la polvere nera e avete scavato queste montagne per secoli a picconate. Perché avete la polvere nera e combattete a spadine e accette. Perché a me va bene tutto. Mi va bene una carrettata di obesi che fanno piroette. Mi va bene Legolas etero. Mi va bene che…»

Il nano si gira a guardare il drago. Bilbo lo afferra per il bavero e lo attacca al muro.

«…mi va bene che le aquile sono radiotaxi e che le pigne diventano granate per magia. Ma tu non puoi dirmi, vaffanculo, che avete l’esplosivo, vaffanculo, e non avete la balistica, vaffanculo»
«Questo è un mondo fantasy che si ispira al medioev
Bilbo centra la mascella del nano con un destro, stendendolo.

«Adesso comando io. Volete ammazzare il drago? Ammazziamo il drago. Crepa solo con le frecce magiche, giusto?»
«Sì»
«Quante ne abbiamo?»
«Sapendo che i draghi sono invulnerabili ne abbiamo costruite poche. In compenso abbiamo forgiato decine di milioni di armi inutili»
«QUANTE NE ABBIAMO, NON FATEMI INCAZZARE»
«Una»
«Bene. Prendetela. Tu e tu, trovatemi una canna con uno spessore di almeno quattro centimetri. Non mi frega di che materiale, abbiamo distrutto montagne usando leghe oscene tipo l’ottone»

«Ma come parli?»
«Fate quello che vi dico o vi trasformo la casa di Durin figlio di Gloin in una baraccopoli serba a cannonate, quant’è vero Dio»

I nani portano un robusto tubo di acciaio. Bilbo fa un foro alla base. Ci versa dentro un chilo di polvere nera, la comprime con uno scovolone più forte che può mentre Hamas si fa correre dietro dal drago che è carismatico e non riesce ad ammazzare un robo grande come una blatta. Bilbo sistema pietre e macigni dietro il tubo, inserisce la freccia, prende un pezzo di ferro, ci avvolge attorno uno straccio e lo cosparge di petrolio. Lo avvicina al foro alla base del tubo.

«Bene. Portatemi qui davanti il signor Morte-Fuoco-Smaug, forza»
«Oh mio Dio, sta arrivando! Presto, fate liquefare ettolitri ed ettolitri di oro per tentare di seppellirlo vivo, in modo che… oh, no! Si è liberato!»
«CREDEVATE DI POTERMI FERMARE, SCIOCCHI NANI?» grida Smaug, scrollandosi di dosso l’oro che si cristallizza «IO SONO UN DRAGO!»
«…e quindi fottere coi sapiens è sconsigliato» dice Bilbo, dando fuoco alle polveri.

In una frazione di secondo elementi combustibili reagiscono a comburenti. Combinazione molecole. Massimo grado di ossidazione. 10 KNO + 8 C + 3 S ® 2 K2CO3 + 3K2SO4 + 6 CO2 + 5 N2. Detonazione. La chimica passa alla fisica. Massa M del cannone, massa m del proiettile, velocità v del proiettile rispetto al cannone al tempo t=0. Rinculo:

m ( V + v ‘) + M V = 0
m V + m v ‘ + M V = 0
V (m + M) = – m v ‘
V = – (m v ‘) / (m + M)

I sassi dietro il cannone bloccano il contraccolpo. Il proiettile esce dalla bocca di fuoco a una velocità di circa 500 m/s superando la barriera del suono (334 m/s) in un TA-PUM assordante. Perfora la corazza del signor Smaug-Morte-Fuoco attraversandolo con uno spostamento d’aria tale che, uscendo, si tira dietro cervello, brandelli di cranio e schegge d’osso. Smaug smette di esistere prima che il corpo inizi a cadere. Quando crolla a terra, i nani restano a guardarlo increduli.

«Grazie per aver visitato la cima della catena alimentare, tornate a trovarci» dice Bilbo, lasciando cadere il ferro e iniziando a racimolare tutto l’oro che ha sottomano.

La telecamera si allontana, archi, titoli.
Film mediocre che si risolleva molto nel finale.