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La cocktail generation

E’ stata dura. 

Anni di lotte politiche e sociali, disoccupazione, miseria, sacrifici ed angoscie non sono stati invano. Ogni partigiano caduto, ogni soldato fucilato, ogni goccia di sangue lasciata nella storia ci hanno permesso di salire. Salire, signora, un gradino dopo l’altro sempre più vicino al paradiso, corpo dopo corpo, anima dopo anima è stata riucostruita la torre di Babele dove l’ultimo guerriero, esangue, con il suo ultimo respiro ha deposto dei bambini incosapevoli. Si è spento sereno sapendo che sarebbero cresciuti in un mondo libero, felice e spensierato. Senza guerre, miserie, povertà e pericoli.

Quei bambini eravamo noi.
Questo è il mondo che abbiamo ereditato.










Non vogliamo studiare, vogliamo essere creativi. Vogliamo divertirci perché elettricisti, idraulici e muratori sono mestieri da idioti o da immigrati. Non vogliamo ascoltare vecchie storie ammuffite o intristirci con memorie inutili quanto decrepite. Vogliamo tette, addominali, long drink, macchine decappottabili, vogliamo ballare e metterci “bella ciao” come suoneria. 

Vogliamo effetti speciali, no roba scaduta da quarant’anni.

La nostra statua della libertà punta verso il cielo uno spritz che ha sconfitto obsoleti vecchiumi. Lo spritz è il nostro nuovo Dio. Le tette la nostra unica realtà. Il culo è il pensiero più profondo che vogliamo fare perché questa è la cocktail generation: possiamo scopare tra di noi già a tredici anni perché non siamo più schiacciati da moralismi, da preti malati e genitori bigotti. Possiamo fare quello che vogliamo, quando vogliamo e senza fatica. Questa è la cocktail generation e buttiamo sassi dal cavalcavia perché ci annoiamo. Pestiamo quel ritardato di merda che ci avete messo in classe perché è divertente sentirlo muggire. Lo mettiamo su youtube perché fa ridere. Se non vi piace, non guardatelo.

La nostra generazione ha un unico obiettivo: divertirsi. Ride di chi non capisce, di chi non può, di chi non vorrebbe, di chi non sa. Siamo ignoranti ma avremo l’ultima parola perché siamo tanti. Siamo stronzi ma avremo l’ultima parola perchè siamo belli. Drogati. Ubriachi. Abbronzati e stupendi. Voi avete fumato pacchetti di sigarette davanti ai libri e passerete il resto della vostra vita vecchi, soli, tristi e terrorizzati ad ogni colpo di tosse. Avete denti gialli, un corpo osceno e delle scuse vecchie tanto quanto voi. Noi dove potremo passeremo davanti a tutti e trasgrediremo ad ogni regola perché la vita finisce a trent’anni. Non pensiamo al futuro né al passato, viviamo il presente, siamo farfalle il cui unico interesse è avere le ali più belle, i colori più accesi e più belli degli altri. Non compreremo cani per combattere la solitudine come fate voi, saremo quelli che ve lo investono col cayenne. Voteremo Berlusconi perché fa bei programmi TV, perché si scopa le veline e perché è pieno di sfigati come voi che lo invidiano.

Questa è la cocktail generation.
Questa è la gente per cui i vostri nonni sono morti.

10. Le persone mentono

«Mi chiedo com’è trovare quella giusta, tòh»
«Per te sarebbe un traguardo trovarne una.»
«Io la mia stavo per farmela.»
«Pestare balene è un afrodisiaco, adesso?»
«Ario, sei te che ti sei fatto scudo della cicciona!»
«Tanto non ce la davano uguale.»

Liguria, una ventina chilometri al confine con la Francia. Tre di mattina. Seduti sul prato dell’autogrill finendo un Mars. Atza e Solero già dormono in macchina.

«Te come la immagini? La donna che sposerai, dico.»
«Fica.»
«Non fare il bambino.»
«Oh imbecille, se devo fare un bambino lo faccio marrone in bocca a tua madre.»
«Ha ha haha ha ha ha questa era carina.»

A diciassette anni non puoi capire.
Ormoni, seghe, droga e prime libertà ti fanno innamorare i giorni dispari. Il mondo è la scuola, la cena è sul tavolo, tua madre davanti alla TV sonnecchia. E’ dopo, che le persone cambiano, perché per natura le persone mentono. A sè stesse, soprattutto. Usiamo le balle per anestetizzare il dolore della realtà, ma siamo sempre bambini che accettano caramelle da sconosciuti. Telepredicatori comici, fidanzati saccenti, padri frustrati, giornalisti rockstar, cantanti della mediocrità, scrittori da Internet, politici sorridenti, tutti hanno una caramella da regalare e noi dobbiamo solo scegliere quale inghiottire. Il risultato non cambia. Le persone mentono. In amore si dice “non era quella giusta”. Giustifica in un colpo solo tutte le porcate, tutte le peggiori vigliaccate, le più disgustose e abiette azioni che abbiamo fatto. Non era quella giusta, che ci frega se è vero o no.

«La persona giusta non esiste. La rendiamo noi giusta o meno.»
«I’m figo.»
«? Cosa?»
«Come si dice in inglese sono figo
«I’m cool.»
«No i’m figo? Tipo internazionale?»
«No. Ma che c’entra?»
«Ho scritto Marika i love you sotto casa sua con il lucido da scarpe spray.»
«Scritto con cosa?»
«Col lucido da scarpe spray, problemi?»
«Ario… va bene, allora?»
«Siccome non potevo scrivere chi ero sotto ci ho scritto I’m figo
«Capirà»
«Davvero?»
«Ario, conosco un solo uomo in grado di scrivere su un muro una cosa del genere.»

Come tutte le idee inizialmente sembra funzionare. A suon di raccontarti palle riesci a saltare la sofferenza e tutta l’evoluzione che comporta. Una, due, trenta volte e va bene. Non era quella giusta. Poi la persona giusta arriva davvero ma sei troppo abituato alla fuga per vederla in tempo. Come nei cartoni animati dici uh-oh nell’esatto momento in cui è troppo tardi. Però passa. Ci metti sopra un altro nome, un lavoro nuovo, un trasloco.

«La donna giusta la riconoscerò dalle tette.»
«Fanculo le tette, il culo paleserà la retta via.»
«Te finirai a incularti bambini, te lo dico io.»
«Vuoi che intanto faccio pratica con gli illegittimi di tua madre?»
«Brutt…»

Dopo anni ti guardi allo specchio e realizzi che la promozione, la nuova storia, la vita del single che nel monolocale invita le quarantenni rimorchiate, c’ha un sapore fiappo. Non brutto, solo fiappo. Come i sapori sentiti dai fumatori. Ti diverti con gli amici, fai sport, hai ragazze, viaggi, fai feste, tutte cose normali. Poi quando sei sotto la doccia ci ripensi e commenti sempre “mah, bòh”. Quando la tua mano scrive quel messaggio hai l’impressione non sia la tua.

«Ho la domanda definitiva» dico.
«Spara»
«Che lavoro farai da grande, ma SERIO.»
«Il pappone.»
«Ecco.»
«Scusa, te non hai detto che volevi avere tante figlie?»
«HO DETTO
«Non so, fondare un impero in qualcosa, fare carriera.»
«Ma se hai mollato l’ITIS per comprarti il motorino!»
«Mbè? A che cazzo mi servivano quelle robe? Io parto dall’officina, poi non posso costruire astronavi?»
«No!»
«Perché?»
«Perché non è come cambiare la guarnizione o testare la centralina, deficiente!»
«Tutte le macchine funzionano uguali.»
«Eh vabbè, adesso un ingegnere aerospaziale e un meccanico sono la stessa cosa!»
«No, gli ingegneri sono sfigati e non scopano.»
«Non ti ho ancora sentito parlare di amore.»

Adesso siete seduti in un bar. Se sei in grado di contare gli anni passati agli angoli dei suoi occhi rabbrividisci pensando a cosa devi essere tu. Che lavoro fai adesso? Ma dai, e tu. Bello, però, eh? Eh. Ho sempre voluto andarci. Poi dal nulla arriva. Sale dallo stomaco, passa per il cuore, strappa le frattaglie ed esce dalla bocca in un miscuglio di rabbia, nostalgia, speranza, affetto e paura. Una specie di rutto sentimentale. Questo è amore? No, ti dici.

«L’amore è una cosa che hanno inventato i comunisti per scopare gratis.»
«Tuo padre cosa vota?»
«Bertinotti.»

Non è amore perché l’amore rincoglionisce, omette un sacco di dettagli, si mescola con il sesso, stara i sensi. Nel complesso è uguale ad una dipendenza da droghe. Questa invece è consapevolezza. Lucida, assoluta consapevolezza. Quando ce l’hai davanti lo sai, non prima. E’ un fusibile che salta e non ritornerà a posto; il tuo cervello scatta sulla posizione successiva e realizzi che dovevi tenerti stretta quella donna. Che era previsto accadesse, solo che qualcosa è andato storto. Realizzi che te la porterai dentro e non importa quanti posti, nomi o chilometri metterai tra lei e te, per entrambi il tempo non passerà mai. Figure congelate in una fotografia, immobili, condannate a guardarsi senza riuscire a toccarsi. Non ci si può disinnamorare di quella persona, però si può imparare a vivere senza di lei.

«Senti» fa Ario, stiracchiandosi «dormiamo, che è quasi mattina.»
«Ok» dico «notte, ebete.»
«Notte, mongolo.»

E’ una vita bella, tutto sommato. Ti permette di avere conversazioni brillanti coi colleghi perché il dolore rende cinici. Crea comunione. Permette di far bella figura alle cene, di sembrare posato, maturo e adulto, di guadagnarti il rispetto di tua moglie e dei tuoi figli. Perché è così che va. Perché è così che deve andare.

«Per te c’arriviamo in Spagna?»
«Sì.»

Perché le persone mentono.

09. Come le biscie



Un cliente sta tentando di rianimare la mugolante vescica di lardo che butta sangue come una fontana. Pare uno di quei trichechi dei documentari. Tutti fuori sono girati, coppie, famiglie, italiani e tedeschi, il silenzio è assoluto. Noi siamo impietriti. Per terra il tipo si è dichiarato “infermiere specializzato” ed è l’unico suono positivo che ho sentito. Le ragazze mi guardano con un mix di schifo, odio e fame di sangue. Sono quello che tira pallonate in testa ai neonati e prende a cazzotti le amiche grasse. 

Ora il padre uscirà, vedrà cos’è successo e mi pianterà venti centimetri di lama nel cuore. I miei tre companeros restano anche loro in piedi in attesa del pizzaiolo folle, che esce guardando già per terra. Qualche cliente zelante deve averlo informato. Cerco di spiegare, ma non mi escono bene le parole dalla bocca, solo singulti strozzati tipici dei capponi. 

Morirò a 17 anni accoltellato. 
Un po’ mi scoccia.



«ALBER-TA!» grida il padre, protendendo le mani «MA COSA FAI PER TER-RA, STUPPIDA?»
«Guardi, sono un infermiere specializzato, è sua figl
«TE LEVATI DALLE PALLE, ALBER-TA! RISPONDI A TUO PAD-DRE, ALZATI SUBBITO»
«Gnaaah» grugnisce il mostro «Ooooouiui sgrotgle glurgle gagà!»
«Ha il naso rotto» finisce l’infermiere.
«E PERCHE’ TI SEI ROTTA IL NASO, ALBER-TA?»


Alberta mi indica. Il sistema solare si blocca per guardarmi.


«Io, eh» deglutisco «l’ho colpita per sbaglio, è caduta lì, vede…»


Il padre mi guarda trasognato, segue il dito che indica il tavolo lordato di sangue.

«E PERCHE’?»
«Scherzavamo, è stato un errore di mira»
«Sì, diciamo che per Albertona è un bersaglio impossibile da mancare»
«Arioooo….»
«ALLORA MIA FIGLIA SI E’ MESSA IN MEZZO?»
«No!» squittiscono le ragazze «Alberta stava in disparte, lui…»
«VOI STATE ZITTE, CHE VI CONOSCO, SEMPRE DROGATE, SEMPRE!»


Così disse. Testuale.


«E’ stato un incidente. Mi dispiace. Se vuole posso lasciarle i miei dati»
«MA… ALBERTA!» urla il padre, pazzo «ALZATI, STUPIDA! ALZATI, ALZA QUEI COSCIONI, ALZATI! STAI PER TERRA COME LE BISCE?»

Il padre la tira su di peso. La strattona, comincia ad insultarla. Quella grufola sangue.

«Glaaahrgl babà maleeh»
«SEI COME TUA MADRE, SEMPRE CHE TI LAMENTI» sbraita «GUARDA CHE PORCHERIA HAI FATTO, GUARDA!» urla indicando il tavolo.

«Guardi che è stata colpa del ragazzo, mica…» inizia l’infermiere.
«LEI STIA ZITTO CHE A MIA FIGLIA CI PENSO IO, ALBER-TA, PRENDI UNO STRACCIO E SISTEMA, CHE FA SCHIFO! E COSA PENSANO I CLIENTI, ORA? EH? CHE HO UNA FIGLIA PER TERRA COME LE BISCE!»

Alberta corre dentro inseguita dalle amiche. Siamo in un episodio ai confini della realtà. Il più sveglio di noi prende la parola riprendendosi prima degli altri.


«Va bene» minimizza Ario «stiamo calmi, Alberta avrà imparato la lezione, vero?»
«E SPERO BENE, ALLA SUA ETA’ STA ANCORA A STRISCIARE PER TERRA COME LE BISCE!»
«Mettersi a sanguinare così non sta bene, da noi a Venezia poi non le dico»
«ALBER-TA, SENTI COSA DICE IL SIGNORE, VIENI A SENTIRE»
«Ario, andiamo via tipo immediatamente»
«Ario, scappiamo»
«Ario, qua finisce in tragedia se questo riconnette un minuto, è sbroccato serio»
«Allora noi andremmo, eh?»
«NONO, TRANQUILLI, ADESSO ALBERTA PULISCE TUTTO»
«Sì ma sa, noi dobbiamo rimetterci in viaggio, s’è fatto tardi… visto che qui è tutto risolto…»
«Oh, ragazzi, è tardi, dobbiamo andare che chiude la dogana»

Notoriamente.

«EVABBE ALLORA BUON VIAGGIO, PERO’ NON FATEVI UN’IDEA SBAGLIATA, QUI NON TENIAMO I FIGLI PER TERRA COME LE BISCE, DITELO AI VOSTRI AMICI DI VENEZIA»
«Certo, provvederemo»
«Ci saluti le ragazze»
«VI SIETE SCAMBIATI I NUMERI DI TELEFONO?»
«Sì»
«Prima cosa che abbiamo fatto»
«Ovvio»


La spiaggia è un ciottolato buio. Corriamo senza che nessuno l’abbia detto ad alta voce, partiamo tutti all’unisono appena girato l’angolo. I sassi sotto i nostri piedi fanno un casino della madonna ma non c’importa. Per un istante mi perdo, poi ritrovo il punto dove bisognava girare. Ripercorriamo la stradina in silenzio, solo il rumore del fiato. Arriviamo ansimando alla 127, montiamo alla selvaggia ed Ario ingrana la retro sgommando. Inversione a U, pronto a partire si ferma. Forse stiamo sbagliando. Forse dovremmo restare lì, prenderci le nostre responsabilità. Una voce dall’esterno sbraita qualcosa, forse verso di noi, forse no. Nel dubbio partiamo a tavoletta. 

L’autostrada è un mare buio di luci bianche e rosse. Fresco, accogliente, anonimo. Niente e nessuno può trovarti là dentro. L’autostrada è il nulla che permette di mondare la tua anima dalle peggiori cazzate. Scuoto la testa, mi tocco la mano. Aspetto che qualcuno abbia il coraggio di rompere l’incredulo silenzio.







«Hai una mira di merda»
«Ho una mira splendida, se i bambini e le ciccione si mettono di mezzo mica posso farci niente»
«Hai picchiato una donna»
«Ehi, quella roba non era una donna, d’accordo?»
«Accendi la radio»

Laura non c’è, è andata via, Laura non è più cosa miaaa…

«Dio mio»
«Cambia»
«A proposito di Laura, chissà come stan le ragazze»
«Staranno ridendo di noi com’è giusto che sia»

Scuuuuuuusa, so che è soltanto un’altra scuuuuuuusa….

«Cos’è, radio maria?»
«Paola e Chiara»
«Sembrano le canzoni del catechismo, ti ricordi? Vieeeeni signoooore…»
«E’ VERO! Le canzoni tristi degli scout»
«Massì, con la messa delle 10 che doveva essere giovane e mettevano con la chitarra a far canzoni due tizie del… del coso, del GRISS, no… del SERT… hai presente?»
«IO?» fa Atza «mio padre lavora al petrolchimico, ha pianto una settimana quando nel ’91 s’è sciolto il PCI, il mio gatto si chiama “Marx”, a me voleva chiamarmi “Palmiro” e se vede preti devono tenerlo fermo o li massacra a randellate»

AMIIIICI COME PRIIIIIMAAAA, NONVALEPIU’ LAPENAAAAH… 

«Senti come cresce la rabbia uterina. Che ci fanno in radio ‘ste due?»
«Scarti di S. Remo, tristezza a barili»
«La teniamo o cambio?»
«Scherzi? Se la ascolti fino diventi frocio»
«E nel tuo caso piove sul bagnato»
«Silenzio, puttane» 


TI DARO’ IL MIO CUOREE! TI DARO’ IL MIO CUORE SE VUOOOOI…

«Ma c’hai l’autoradio della sfigatron, becca solo miseria mentale e drammi»
«Il resto della macchina invece porta fortuna»
«Oh, avete rotto»
«E’ come il film dove leeeeei… faaaarà la pazzia!11!!!!111!1!»
«Ma quando mai, che nei film è sempre l’uomo che deve correre dietro alla stronza»
«MACCIO MACCIO MEEEEEN… NEBO UONNA BII.. A MACCIO MEEEEEN…»
«Nebo, se parli male delle donne la gente crederà che sei etero!»
«Atza con te invece non c’è pericolo, ascolti sempre le spice girls?»
«C-CO… COS… IO NON ASCOLTO LE SPICE GIRL!»
«Atza ascolta le Spice Girl?»
«Sì»
«NO! Ascolto i Blind Guardian!»

«Però… fioi, così per dire, eh… però io, le Spice Girl… cioè, una botta…»










«…la rossa tutta la vita»
«Cristo, lo sapevo. Ti piace il puttanone laido che pare un travone»
«AHASPETTA, te vuoi la biondina innocente che sembra handicappata?»
«No»
«La negra? Moglie e buoi dei paesi tuoi?»
«Ma vaff… Piuttosto la fighetta sempre imbronciata»
«Te o more o niente»
«Te o transessuali o niente, Ario, vedi cos’è peggio»
«A nessuno fa sesso quella in braghe da ginnastica?»
«No, sarebbe come scoparsi Dot, si vestono troppo uguale» 
«Guarda che Dot è carina»
«Sì, ma l’ho vista crescere»
«Sarà per quello che è alta come un puffo»
«La Sport Spice è l’unica intonata, dicono»
«Dicono, eh, Atza?»
«Andate a cagare»

«Vabbè, prossima tappa?»
«Un autogrill, ho sonno »
«Sì ok, intendevo prossima tappa fisica, cosa ci aspetta?»
«La dogana» dice Atza indicando il cartello, fuori.
Venti chilometri. 


«Fioi, farete esattamente quello che vi dico di fare» dice Solero.
Nessuno risponde.


Diciannove chilometri.

Il declino della civiltà occidentale in streaming nel mio iPhone



Dio mio, dove sono? Buio. Poco ossigeno. Aria umida, calda da soffocare. Un battito costante, ossessivo ed onnipresente. Mi contorco nel viscidume maleodorante di materia organica. Attorno a me carne sudata che si contrae. Tenebra accogliente coccolata dal battito cardiaco materno. Per un attimo intravedo una luce. Sono un feto nell’utero? 

No. 
Sono in discoteca.


CSO Rivolta, Alta Voz.
Musica elettronica e droghe psichedeliche incontrano i disobbedienti ed il popolo di Internet. La Leo vuole andarci a tutti i costi. Scaraventato in questo freak show, rido pensando a come le cose belle della vita capitino sempre quando non hai con te dinamite o armi da fuoco. Ho pagato 15 euro per questo safari, ma devo dire che li vale tutti. Ad una prima impressione è il Circo Togni senza giraffe, più elefanti ed un presentatore sui 100 chili vestito come Mila e Shiro che balla invasato sul palco. Schiacciati come ebrei nei carri bestiame si boccheggia un mix di aliti alcolici, fumo, ganja, sudore, piscio, vomito e merda. I dredd impregnati di forfora e sebo di un punkabbestia si intingono sbadatamente nella mia birra. C’è un ragazzo rachitico appoggiato alla parete con gli occhi bianchi, semisvenuto; una cicciona vestita da brucomela lo prende per entrambe le braccia e gli ficca la lingua in bocca. 

Sbavando.

Mentre rimango estasiato dalla musica coinvolgente osservo la fauna suburbana del momento. Qui i maschi indossano occhiali finti, pantaloni aderenti da donna, scarpe All Star, una maglietta che dovrebbe far ridere e/o citare qualche cosa di moda su myspace/facebook ed una pettinatura ispirata allo scopino del cesso. Attraverso la folla percepisco “myspace”, “emmesseenne”, “faccialibro”, “profilo”, “flickr”, “blogstar”, “youtube”. Queste persone si fotografano ogni trenta secondi. Vorrebbero bersi una birra, provarci con una donna o parlare con qualcuno ma non possono, sono troppo impegnati a fotografarsi mentre lo fanno per poter scrivere sul loro profilo myspace “ieri sera troppo bello!!!1!” e dimostrare di essere social. Non c’è nulla di più importante, oggi, che dimostrare a degli sconosciuti di essere social. Davanti a me una ragazza chiede ad un tizio se ha da fumare. Lui dice che ha smesso. Ah, che storia, risponde lei. 

All’improvviso lei alza la digitale, si mette vicina a lui e scatta una fotografia a tre quarti dall’alto. Torna dalle amiche ridendo e studiandone l’anteprima, lo guardano da lontano. Sembra vogliano dire qualcosa ma non possono perché non sanno il suo nomecognome e non possono cercarlo su faccialibro. Sono certo sappiate che oggi bisogna dire faccialibro. E’ un modo ironico per dimostrare che sapete l’inglese,face=faccia, book=libro, allora si dice faccialibro! Haha, capito? Facebook, faccia-libro!

Il ragazzo le guarda, è incerto. Se ne va.


Il piccolo Jamal, vistosi circondato, fa la cosa giusta.

Fantasie a parte è stata una bella serata.

One shot, one kill



Driiiin. Driiiiiin. Drii 

– Ammmmore, ciao!
– Uè fica, a che ora passo?
– ”Fica”?
– Leo, è una sineddoche. Una figura retorica, hai presente? Si usa una parte per descrivere il tutto. Le veloci prore per indicare le navi degli Achei… capito?

– Sì.
– Bene. A che ora passo a prenderti, fica?
– Alle nove, coglione.


































– Sei ancora lì, coglione? Pronto, coglione? Pronto?