[parte 1] – [parte 2] – [parte 3]
«La storia inizia a Milano, una mattina del settembre 1991. Vicino alla darsena c’è un negozietto chiamato I signori del tempo. Entra un vecchio robusto, si sfila l’orologio e lo getta sul bancone. Tenetevelo voi, dice, io non lo voglio più. Quell’uomo è il marchese Luigi Durand de la penne, e ha gettato davanti all’esterrefatto commesso un Panerai Radiomir; ma non uno qualunque. Di quel modello sono stati fatti pochi esemplari, commissionati dallo Stato perché rispondessero alle esigenze della X°MAS, ossia gli incursori della Marina. Ogni Panerai ha sul retro inciso il nome in codice della missione e “Memento audere semper”. Quello ha la sigla B.G.2. Lo indossava il 30 ottobre 1940, nel secondo tentativo di forzare la baia di Gibilterra assieme ad altri cinque incursori.»
«Perché l’ha buttato?»
«Durand alla fine della guerra aveva chiesto udienza ai vari capi di Stato. Nessuno gliela concesse mai, perché… beh, perché la X°MAS col tempo è diventata l’emblema del fascismo. All’ennesima porta in faccia, schifato, torna a Milano e getta il suo orologio. Il commesso conosce un po’ di Storia, vede la sigla e dice non credevo avrei mai visto uno dei sei BG-2. E Durand, uscendo, dice che si sbaglia: i BG-2 sono sette. Ora, ai giorni nostri sono arrivati solo due di quei Panerai. Uno è nel museo della guerra a Londra. Il secondo nella cassaforte della Panerai. Gli altri quattro sono andati persi. Tra i collezionisti la leggenda esisteva, ma poco prima di morire Durand l’ha confermata. Esiste un settimo BG-2, e vale più di tutti.»
«E dov’è?»
«La domanda giusta è: per chi era?»
«Gibilterra è un disastro. Devi entrare in un sommergibile, arrivare vicino al porto nemico, uscire sott’acqua, di notte, al gelo, a cavalcioni di un siluro. Guidarlo fin sotto le navi evitando mine, reti, sentinelle, mandarglielo contro e tornare a nuoto. Il tutto con la tecnologia del 1940, ossia ferraglia, cazzotti e bestemmie. Son tre volte che ci proviamo e gli inglesi hanno reso il porto impenetrabile. Ma noi abbiamo i terroni.»
«In che senso?»
«Dentro il porto c’è un piroscafo italiano, turistico, che era lì quando la guerra è scoppiata. È piantonato da due sentinelle inglesi, ma sono abituate al viavai dei civili che fan la spesa, vanno in paese, eccetera. In realtà quel piroscafo è stato riadattato a base sottomarina dai nostri servizi segreti. Cioè, abbiamo costruito una base dentro la loro base. Solo i napoletani, cazzo. Adesso attenta: delle missioni raccontate, la BG-2 è quella più snobbata. Da quanto ho trovato, gli unici che la documentano nei dettagli sono Virgilio Spigai su Cento uomini contro due flotte e Beppe Pegolotti su Uomini contro navi. Poi c’è Marcantonio Bragadin nel film I sette dell’Orsa maggiore.»
«Bello?»
«Una cagata abominevole. Comunque: gli incursori sbarcano e arrivano tra mille peripezie in un locale dove un nostro agente segreto gli rivelerà ora e modo per colpire. L’agente è la cantante del locale. Davanti a tutti si porta il capitano in camera dove gli dice quello che devono sapere. Ma sono in una situazione difficile, nel bel mezzo della guerra, lontani da casa. E hanno vent’anni.»
«Fanno l’amore?»
«Secondo me in una situazione così scoperebbe pure Gesù Cristo, ma il problema è che parlano in italiano. E un inglese dall’altra parte della porta stava origliando per segarsi. Capisce che qualcosa non va. Gli incursori partono appena in tempo. Lei viene arrestata: o parla o la fucilano.»
«Oh, Dio. E lei?»
«Non parla. Viene uccisa e il resto va come va.»
«Che storia triste» dice Reaper.
«Sì. Ma qualcosa non mi tornava. Pensa a lei: se anteponi il tuo paese alla tua vita, significa che lo ami più di te stessa. Come minimo ci si aspetta il paese ringrazi. Giusto?»
«Credo di sì.»
«Già, ma nessuna donna ha mai meritato una medaglia d’oro in tutta la seconda guerra mondiale. Nei riconoscimenti ufficiali della missione BG-2, a questa tizia non hanno dedicato mezza riga.»
«Forse perché era un’agente segreto.»
«Forse. Ma davvero ti perdi l’occasione di avere un simbolo tanto bello, tanto puro, tanto grande? Due anni fa ho girato librerie specializzate senza trovare niente. PERCHÈ? È passato quasi un secolo. I nomi degli incursori sono noti. Perché di lei non c’è traccia?»
«Mi stai mettendo curiosità, in effetti.»
«Beh, per una decina di anni me la metto via. Poi l’anno scorso vado in gita in montagna e trovo un monumento ai caduti del mare. Posto strano, per dei marinai. Ma può starci. Tra quei nomi c’è quello di una donna con un cognome spagnolo. Vado sul sito dell’AMNI, mando una mail chiedendo chi erano ‘sti caduti. Rispondono con una lista dettagliata da cui manca un solo nome: quello.»
«Come fanno a non saperne niente!?»
«Già. Cerco aziende, imprese o società con quel nome nella regione del monumento. Ne trovo una, ma ha DUE cognomi: uno italiano e uno spagnolo. L’azienda è fondata nel 1953. Su Google cerco a Gibilterra ristoranti, bar o taverne con quel nome. Zero. Però mio padre collezionava le guide del Touring club. La più vecchia che ho è del 1992 e lì c’è un locale “tra i più antichi della costa” che ha cambiato parecchie gestioni. Li contatto. Rispondono che durante la guerra quel locale era di una coppia con il cognome che cerco. In ingresso hanno una galleria di fotografie e me la mandano.»
«Noti niente?» dico.
«No. Aspetta… sono troppo vecchi per avere un bambino così piccolo.»
«È quello che ho pensato anch’io. E allora m’è venuta un’idea. Io credo la donna dei nostri servizi avesse un figlio, lì. Credo che non sia affatto morta per gli incursori o per il fascismo, ma perché aveva paura di rappresaglie. È morta per proteggere questo bambino qui, non la X° MAS. Ecco perché non è mai stata ringraziata né nominata. Lui è cresciuto con la famiglia adottiva, ossia i proprietari del locale. Poi è emigrato in Italia durante il boom economico, ha tirato fuori il cognome della mamma e l’ha aggiunto a quello dei genitori adottivi. Come tanti ha aperto una piccola impresa edile, è cresciuto, s’è sposato. E quando gli è nata una figlia, l’ha chiamata come la nonna: Reaper.»
«Cosa?» dice, riscuotendosi «cioè io sarei…»
«…la nipote dell’agente. Sì.»
«M-ma è pazzesco. Sei sicuro di quello che dici?»
«Scopriamolo, è anche per questo che sono arrivato fin qui» dico, tirando fuori il cellulare e mostrandole la foto di un Panerai Radiomir «tu hai mai visto un orologio come questo?»
«È uguale a quello che aveva mio padre.»
«Ecco. Io credo di sapere cos’è successo davvero, quella volta. Vedi, tua nonna morendo ha fatto qualcosa di enorme: ha dimostrato che nessuna dittatura, nessun lavaggio del cervello, nessuna retorica batte i legami di sangue. Ti rendi conto di che casino avrebbe tirato su, in un’epoca dove si idolatrava Mussolini e la donna doveva essere umile e remissiva al servizio dell’Impero?»
«Avrebbe dimostrato che… un figlio conta più di un dittatore?»
«EH, HAI DETTO NIENTE! Prova a dire in nord Corea una cosa del genere e dimmi che succede! No, era meglio cancellarla dalla Storia e tenere solo i superuomini. Ma Durand aveva un senso dell’onore enorme. Reputò l’insabbiamento una porcata e si ribellò. Credo sia stato lui a far inserire il nome di tua nonna sul monumento ai caduti in Trentino. Credo sia stato lui a dare il settimo orologio a tuo padre in sostituzione di una medaglia. E credo fosse quello il motivo per cui chiedeva udienza a Roma: voleva riabilitare la memoria di tua nonna. Rendere pubblica la storia. Quando nessuno l’ha ascoltato, ha rinunciato al suo orologio gettandolo via. Non ha detto per caso al commesso che c’era un settimo orologio. Io credo fosse l’ultimo, disperato tentativo di riabilitarla prima del buio.»
Il sole ha iniziato a scendere in questa specie di frammento d’Italia passata.
È dolce, surreale e crudele, questo posto. Ma c’è pace e silenzio.
«Dio. All’improvviso…» dice, stringendosi le braccia «la mia vita sembra così… piccola.»
«Siamo in due» sorrido.
«La doppierai?»
«Non lo so. Non so se sono in grado. E non mi piacciono i film tristi.»
«È una commedia.»
«…scusa?!»
«Una tragedia è una commedia vista di spalle. Raccontare questa storia con la retorica la renderebbe patetica. Siamo italiani. Amiamo quello che possiamo sfottere e rispettiamo ossequiosamente quello di cui non ci frega un cazzo. Quello che ha reso grande il nostro cinema ai tempi di Mastroianni era che raccontavamo noi alla nostra maniera. E io voglio fare una cosa simile» dico, porgendole la sceneggiatura.
La guarda come se fosse un burrone.
«Va bene, la leggo. Però non t
L’abbraccio.
«Non ti prometto niente! Ho solo detto che la leggo! MOLLAMI!»
Venezia, ferragosto 2016
Solo il mare, odore di rosmarino e zampironi. Chilometri di spiaggia vuota, poi casupole di pescatori che vendono il pesce alle massaie direttamente dalla barca. Non ci sono turisti, alberghi o club. Qui dormi con la porta aperta, non esiste ricezione Internet, il bar è lo stesso del 1950 così come la chiesa e l’osteria. Dopo sei mesi sono tornato a mangiare sano. Fumo e bevo di meno. Con la bassa marea mi sveglio alle cinque e vado in spiaggia a raccogliere telline; a volte ci faccio il sugo, a volte aglio e prezzemolo. Leonora dorme fino alle 10, prende il sole, legge. La sera andiamo al Lido o c’imbuchiamo a una delle tante sagre.
Quando finisco di scrivere questa roba sono passate due settimane.
Reaper ha il mio numero e io non ho il suo: può solo farsi viva lei. Se dicesse di sì inizierei a fare telefonate per mettere in moto questo strano carrozzone che poi è il sogno della mia vita. Se dicesse di no, ho l’impressione non sarebbe comunque stato lavoro sprecato. Non so dire il motivo. Ma forse è meglio così: come disse qualcuno, le parole rovinano anche le storie migliori.
Fine.