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La nave più pazza del mondo

Non appena la USS William D. Porter esce dal cantiere riceve l’incarico di scortare il Presidente degli Stati Uniti attraverso l’oceano atlantico fino in Iran. Il motivo, una riunione segreta tra Roosvelt, Stalin e Churchill. La flotta è blindatissima. Incrociatori, fregate e cacciatorpedinieri serrati attorno alla corazzata USS Iowa, fiore all’occhiello della marina militare statunitense che custodisce al suo interno un plotone di agenti CIA ed il presidente Roosvelt.

La prima parte è semplice: basta partire. Levare gli ormeggi, salpare le ancore ed andare incontro ad una delle missioni più importanti della seconda guerra mondiale. Solo che é tanto una bella giornata, i gabbiani volano alti nel cielo, i marinai son tutti belli impettiti, le fanfare, la brezza marina, fatto sta che la USS William si dimentica le ancore in acqua e dà l’avanti tutta. A bordo si comincia a subodorare che qualcosa non va quando il romantico squillìo degli ottoni viene sostituito da lamiere accartocciate, deflagrazioni, raffiche di mitra ed urla. Il comandante Wilfred Walter si sporge dall’oblò e nota che la sua nave si sta sbadatamente tirando dietro una dozzina di altre imbarcazioni, l’auto del generale, qualche barile di petrolio, un paio di marinai, il direttore d’orchestra ed il suonatore di trombone. Abbastanza impressionato ordina l’arresto, ma un incrociatore pesa svariate tonnellate ed ha un’opera viva di migliaia di metri cubi, ossia un abbrivio trenta volte superiore ad un treno merci su ghiaccio. La USS William impiega cinque minuti ad arrestarsi, al termine dei quali al posto del porto c’é una credibile rappresentazione dell’ano di Cicciolina.

«Signore, dal porto chiedono di tornare indietro che devono dirci una cosa»
«Non c’é tempo. Ditegli che abbiamo da fare una missione top secret, noi. Motori avanti tutta. E tirate su l’ancora.»

 

 

«YAAA-HAAA, COMANDANTE!» risponde l’equipaggio.

 

Quando i cannoni del porto sono in grado di aprire il fuoco l’incrociatore birbantello é fuori tiro e galoppa a tutto vapore verso il rendez-vous concordato. Dopo 24 ore di navigazione la William D. Porter si riunisce alla flotta di scorta del Presidente.

Ora, dovete sapere che gli incrociatori sono dotati di svariati tipi di armi: missili, cannoni, siluri e bombe di profondità. Quest’ultime non sono altro che barili carichi di esplosivo che una volta lanciati in mare affondano e schioppano spaccando le paratìe degli eventuali sottomarini nemici. La mattinata prosegue nel sole di quel lontano novembre  del 1943. Tutto procede per il meglio. Le navi di scorta alla Iowa fanno esercitazioni con bombe finte perché, visto l’incarico, è bene essere preparati. Anche a bordo della William fervono le manovre, quando sul ponte di lancio viene percepito un “ops”. Tutti si bloccano. L’ufficiale guarda un marinaio che si sta mordicchiando il dito.

«Marinaio Russell, in che senso “ops”?»
«Cosa? Che “ops”? Io non ho detto “ops”, signore»
«Sì che l’hai detto»
«Avrà sentito male»
«Hai detto “ops”!»
«TENENTE, LE GIURO CH

 

La detonazione fa tremare l’intera flotta. Una colonna d’acqua alta quaranta metri investe lo scafo della USS William D. Porter mentre i sonar di tutte le navi alleate cominciano a suonare uso clacson-a-matrimonio-trevisano e le navi deducono di essere sotto attacco. Scattano le manovre evasive, tutti vanno un po’ dove cazzo gli pare tranne la corazzata Iowa con a bordo il Presidente che fugge sparando contro qualunque cosa si muova, onde comprese.

«AH DIO CI ATTACCANO» urla l’Ammiraglio Smith su una fregata «HANNO COLPITO LA WILLIE DEE, UCCIDIAMO QUEI BASTARDI! CONTATTATE LA WILLIE DEE, PRESTO! VOI SPARATE, PERDIO, FUOCO! FUOCO!»
«WILLIE DEE, WILLIE DEE, QUI È LA USS DAKOTA, QUALI SONO LE VOSTRE CONDIZIONI?»
«Ehilà, Washington, come butta?»
La sala comando si congela.

«USS WILLIAM, NON RICEVIAMO, QUAL È IL BILANCIO DEI DANNI?»
«Oh, niente, un marinaio disperso in acqua. Poi la sala macchine é allagata e dovremo un po’ rallentarvi, per il resto tutto bene, dai. Visto che giornata?»

Sguardi confusi.
La Iowa, in lontananza, sta ancora fuggendo in preda al panico cannoneggiando pesci e molluschi. L’ammiraglio prende il microfono: «USS William, state dicendo che non siete sotto attacco?»
«Iiiih, adesso, “attacco”… ci é solo scivolata una bombetta in acqua. Che meraviglia l’oceano, oggi, eh?»

 

 

 

 

«…a parte per il nostro marinaio disperso, dico.»

 

 

 

 

 

Sono necessarie due ore per spiegare a tutti che si è trattato di un incidente e rimettersi in formazione. A bordo non c’è un bel clima. Stai scortando il Presidente Roosvelt tra nazi incazzati e nella tua flotta qualche idiota ha deciso di infilare la nazionale delle olimpiadi speciali in divisa militare. Al comandante Wilfred viene chiesto di darsi una regolata. Risponde promettendo di “aumentare le prestazioni della nave“, frase che fa correre un brivido gelido lungo la schiena di tutti.

A bordo dell’USS Iowa nel frattempo Roosvelt s’é cacato addosso tutto il cacabile e fa una domanda legittima: “ah regà, metti che qualcuno a parte la nave del ritardo mentale lì dietro decidesse di attaccarci, saremmo in grado di difenderci?” Nello specifico, se li attaccassero con degli aerei, che succederebbe? I militari a bordo dell’ Iowa si sentono punti nell’orgoglio; cominciano a rilasciare palloni-bersaglio in aria e a centrarli coi cannoni per dimostrare la propria efficienza. Buona parte vengono colpiti, altri salgono illesi verso il cielo. La cosa non sfugge al vigile occhio della USS William D., che dal fondo della flotta è ansiosa di rifarsi. Decide di abbattere i palloni sfuggiti ai cannoni dell’USS Iowa.

«Oh, Dio, ancora loro» piagnucola il comandante dell’Iowa.
Ma fino a qui tutto bene.

Esaltati dall’iniziale successo i cannonieri della William D. decidono di dare ulteriore prova di professionalità e simulano un lancio di siluri: «Altro che “la nave del ritardo mentale”» gongola il comandante Walter Wilfred dalla sala comando «guardate la precisione, la potenza di fuoco, la scia di un siluro diretta verso la co

 

 

Wilfred si blocca.
Sposta gli occhi al cielo.
Li riposiziona.

La scia in mare c’è ancora.
Incuriosito, contatta il ponte per sapere quale buffo fenomeno marino potrebbe somigliare alla scia di un siluro armato diretto verso la corazzata Iowa.
«Ecco, signore» spiega il capocannoniere alla radio «ha presente la simulazione di lancio siluri che stavamo facendo?»
«Ebbene?»
«Ne abbiamo simulati due. Al terzo, come dire… non abbiamo simulato.»
Wilfred ha le mani sudatine: «Ripeta» dice.
«Eh, il terzo siluro è uscito davvero. Plùnf. Capita.»
«Capocannoniere, sta dicendo che abbiamo lanciato un siluro armato diretto verso il presidente degli Stati Uniti?»
«Bé, detta così é brutta.»

 

 

«COMUNICATE IMMEDIATAMENTE ALL’IOWA DEL PERICOLO! PRESTO!»
«Ma signore!» obietta l’arguto ufficiale di plancia «ci è stato detto di mantenere il silenzio radio tranne in casi di assoluta emergenza!»
«Hmm, vero» annuisce il comandante «allora diteglielo coi segnali luminosi»

Del resto la sola ipotesi che tutto questo succeda è talmente inimmaginabile da non essere prevista in nessun manuale di bordo. Il destino del mondo é ora nelle mani del telegrafista sul faro della USS William, un tizio la cui primaria occupazione è degustare i propri escrementi e leggere Beppegrillo.it. A bordo dell’Iowa il comandante McKenna ha il sistema nervoso al limite della schizofrenia e va avanti a siringhe stordenti per elefanti. Quando viene avvertito che la USS William emette buffe lucine non la prende bene.

«Ancora i mentecatti» pìgola «vogliono altri palloncini da abbattere?»
«No, pare vogliano fare inversione.»
«Dio grazie.»
«Aspetti! Ora dicono che l’inversione dobbiamo farla noi.»
McKenna stringe il tavolo fino a sbiancarsi le nocche: «Come “noi”?»
«Correggono ancora. Hanno deciso di fare inversione a destra. No, a sinistra.»
McKenna spacca il tavolino.

«Altra correzione, signore. Destra.»
«Ma chi, perchè?»
«Credo noi. E’ difficile capire, sbagliano tre parole su due.»
«Perché fare inversione?»
«Ah, CAPITO! Dicono di avere sparato un siluro!»

 

 

 

«Verso dove» sussurra McKenna senza punto interrogativo.
«Sembra dietro di loro. Nord ovest»
«Tanto correggeranno ancora, lo so.»
«Esatto, signore! Correggono. Rinunciano ai segnali ed infrangono il silenzio radio. Dicono…»

Non esistono parole nel vocabolario per descrivere anche solo lontanamente le condizioni psicofisiche del comandante McKenna in quegli istanti.

«Il siluro é diretto verso di noi. Consigliano una manovra evasiva immediata, verso destra perché in caso non avessimo notato a sinistra c’è la USS Dakota e ci sarebbe una collisione. Chiedono se siamo arrabbiati.»

Per un lungo istante McKenna e l’addetto alle comunicazioni si guardano, poi sul ponte scoppia il putiferio. Valanghe di ordini in pochi minuti invertono la direzione delle eliche. La Iowa dà fondo a tutti i cavalli vapore possibili e vira mentre gli agenti CIA sono così disperati da mettersi sul ponte con le pistole in mano per tentare di far esplodere l’ordigno a revolverate. Per pochi metri il siluro sorpassa la USS Iowa, perdendosi nell’oceano. Può bastare. McKenna decide che é meglio una fregata in meno che avere alle spalle un bastimento di ebefrenici armati e dà ordine alla USS William di andarsene a giuocare ai pirati in qualche istituto per bambini speciali. Con aria contrita ed il capo chino la USS William raggiunge le Bermuda, dove viene circondata da Marines che arrestano tutti – e dico tutti – i membri della ciurma, cosa mai accaduta in tutta la storia della Marina Militare mondiale. Il capocannoniere “Aieie Brazorf” viene messo ai lavori forzati, il comandante e gli ufficiali invece vengono spediti in esilio nel bel mezzo dell’oceano Pacifico su un paio di rocce chiamate Isole Aleutine dove la temperatura sfiora i -50°.

Passa un anno.

In un bellissimo giorno di primavera la USS William D. Porter ed il suo portentoso equipaggio hanno terminato l’esilio. Possono tornare a casa. Entusiasti di non avere più a che fare con rocce ed animali orridi si dirigono verso climi più miti e temperati. A bordo si respira aria di speranza e riscossa. Molti festeggiano.
«Cannoniere, assicuratevi che tutto funzioni alla perfezione. Abbiamo un nome da riabilitare ed una guerra da vincere» tuona il comandante Wilfred Walter alla radio scatenando uno scroscio di applausi.
«Pronti!» risponde l’interfono.
In sala comando gli applausi non si sono ancora spenti che l’inconfondibile tuono del cannone fa vibrare le vetrate della William.
«Cos’era quello?» domanda Wilfred all’interfono.
«LA BELLA LAVANDERINAAAA, CHE LAAVA I FAZZOLETTIIII…»
«Signore» dice l’ufficiale di plancia col binocolo «ho una notizia buona e una cattiva»

 

 

 

 

 

 

 

A due miglia, sulla terraferma, la moglie del comandante in capo della base sta dando un ricevimento per inaugurare il suo giardino in fiore. Ci sono tutti gli ufficiali e rispettive consorti che si servono drink. Un pianista suona jazz. Uccellini cinguettano tra tacchi alti, foulard di seta ed uniformi immacolate. La vista sul mare leva il fiato. Una nave passa, lontano.
«Tesoro» flauta la moglie «che nave é quella?»

Il generale appoggia il calice di Franciacorta vicino alle begonie, cinge l’amata per i fianchi, guarda e sorride: «É la USS William D. Porter, tesoro. Ha una storia divertente, se vuoi te la racconto in brev

Il cortile esplode in un inferno di vetri, urla, sangue, fiamme, fiori triturati, schegge di legno e terrore.

 

 

 

 

 

 

 

«Sentiamo la buona notizia» dice Wilfred Walter, a bordo.
«I cannoni funzionano.»
«Ora la cattiva.»
«Bè, abbiamo appena eliminato il giardino della base. Sa quello deserto, con vecchie jeep, barche dismesse, rottami…?»
«Sì.»
«Ecco, noi invece abbiamo raso al suolo quello col Generale, gli ufficiali, le mogli, i bambini, la festa e le ortensie in fiore.»

Riassumendo, qualcuno a bordo ha affidato ad un marinaio ubriaco il semplice compito di testare l’ efficienza dei cannoni. Aieie Brazorf II° apre senza esitazioni il fuoco verso il primo bersaglio che ognuno di noi sceglierebbe: un giardino carico di fiche ed ufficiali. Non ci sono morti, ma feriti e contusi sono un centinaio. Dopo questo ennesimo sketch gli USA capiscono che la cosa migliore da fare é inviare questo branco di coglioni verso la morte il prima possibile. Abbiamo una guerra mondiale, perché non usarla?

Siamo nel bel mezzo della battaglia navale di Okinawa, forse uno dei più grandi scontri navali dei tempi moderni. Gli USA ed il Giappone si fronteggiano in una carneficina di fuoco e acciaio che alla fine lascerà sul fondo del mare 150.000 uomini tra marinai, aviatori e truppe. Buona parte delle due flotte si sta massacrando vicendevolmente da giorni.

«Ammiraglio McKenna!» avverte un ufficiale sanguinante «arrivano i rinforzi!»
«ERA ORA!» urla l’uomo, ormai veterano del mare «chi abbiamo?»
«È appena arrivato un incrociatore, è la USS William D. Porter!»
«…come?»

L’ufficiale vorrebbe ripetere, ma i cannonieri della Willie D lo precedono.
Ansiosi di farsi valere sul campo di battaglia sparano una raffica che centra la nave alleata la quale, tre ore dopo, affonda miseramente. Per qualche ora l’equipaggio della William D. Porter fa quello che sa fare meglio, ossia si alza la maglietta muggendo e cacandosi addosso tra pianti e risa isteriche per poi mangiare il gessetto della lavagna. Arrivano i kamikaze. La Willie D ne abbatte quattro, anche se non sono dalla sua parte. Il quinto, ferito a morte, sprofonda in acqua e si trasforma in un siluro che centra la fiancata esplodendo e trasformando la William D. Porter nell’unica nave al mondo ad essere stata affondata da un aereo affondato.

Si inabissa al largo di Okinawa il 10 giugno 1945.

Il comandante Wilfred ed il suo circo Togni umano, tuttavia, riescono a salvarsi. Salgono sulle scialuppe e nei loro ultimi metri di mare prima di essere tratti in salvo riescono ad affondare anche le scialuppe. Vivranno senza poter raccontare la loro storia fino al 1958, quando i dossier vengono resi pubblici ed ogni genere di sito, libro ed enciclopedia iniziano a raccontare le sue mirabolanti gesta.

E questo è il popolo che sfotte la Costa Crociere, signore e signori.

#Fossidonna



Liberamente riadattato da “Fossi figo” di Elio e le storie tese.



Fossi donna, incolperei chi non è donna.
Fossi donna, avrei in camera un cazzo di gomma.
Fossi donna, romperei le palle a tutti
con l’eguaglianza ed i pari diritti
per poi andare agli strip show.
Fossi donna, avrei amiche a data di scadenza
Fossi donna, oggi l’adoro il giorno dopo è stronza
Fossi donna, avrei la sindrome premestruale
Poi la sindrome mestruale
E certe volte quella post.
Vorrei un uomo senza un difetto.
sì, sono un cesso, ma lui deve essere perfetto
I miei anni, sono volati via col vento
Sognando assegni di mantenimento
E ora chi mi caga più?

(Coro)

LE SCIARPE, LE SCARPE
BUTTO SOLDI VIA
DOPO NON LE METTO MAI
IN PIAZZA, VADO A CACCIA
DI CAZZATE DI COSMETICA
CHE PROMETTONO DI
ESPELLERE LA MERDA CHE TRACANNO NEL WEEKEND

(Piano)

Fossi donna, guiderei Yaris o Smart.
In rotonda, la precedenza chi cazzo ce l’ha?
Mentre guido, mando messaggi e vado a trenta all’ora
Con l’ambulanza dietro che mi suona
gente che fa inversione a U.

NEL MASCHIO, LO SGUARDO
E’ CIO’ CHE GUARDO PIU’
PROPRIO COME SPARTACUS
TI GUARDO, MI GUARDI, E
SI SCATENA NEL MIO CORPO
QUELLA STRANA SENSAZIONE CHE NELL’UTERO
FA RIMA CON “Ciao, che lavoro fai, mi offri da bere?”

(Piano, archi, assolo di chitarra)

(Coro in background)

LO SO CHE SONO GRASSA, SI LO SO, PERO’ TU MENTI SEMPRE (SEMPRE)
POI, STRANAMENTE, NON MI RICORDO QUANTI EX HO AVUTO,
PERO’ LE TUE VOGLIO SAPERLE

IO, PER PIACERTI, ERO CON TACCHI MINIGONNA E TRUCCO
OGGI INVECE SE MI DEPILO E’ UN LUSSO.

Quando una cosa è così sbagliata da diventare giusta

– Oddìo – dice Frank.

Lo vedo stranamente teso, poi seguo lo sguardo e capisco perché. E’ appena entrata un pezzo di figliola dai capelli corvini e due smeraldi conficcati nel viso con gambe chilometriche e tette in grado di confondere le idee anche al più scafato leccatore di protesi. Fa il suo ingresso trionfale al Dining room tra bicchieri che cadono, drink che vanno di traverso e donne che cercano sullo smartphone le palestre più vicine.


– Quella è Angelica Tiengo – mugugna.



Le guardiamo il paraurti svoltare a sinistra e sparire nelle salette.


– Chi è quella tigre da ribaltabile? – fa Ario.
– La peggior figura di merda della mia vita – sospira Frank.
– Cioè?
– L’ho sverginata.
– Cazzate.
– SKUSA FRANKCESKO MA IO NN C KREDOOOOOOO

– Nebo, la smetti di parlare come Internet?

– No, sul serio. L’ho sverginata.
– Allora facciamo così, io ordino altri tre Havana cola, torno, mi sbottono e tu racconti tutto entrando nei particolari.
– Ario, non c’è da ridere. Mi vergogno ancora adesso.
– Mi eccita di più se passi per coglione, non iniziare, aspetta –
– Nooo-o.


Per ascoltare questa storia straordinaria io ed Ario dobbiamo aspettare altri due giri, poi un sospiro è l’inizio. 

– Allora, a quindici anni facevo scout.
– Gna ha haha sfigato demmerda, lo sapevo.
– Se fai così non ti dico niente.
– Ok, ok, sto muto, parola di lupetto.
– ARIO STAI MANKANDO D RISPETTO A FRANK CN QST ATEGGIAMENTO CAXXO!!!!!!!!!!
– Piantala, Nebo.

– Dicevo, a quindici anni ero a scout. I miei sono sempre stati molto cattolici, ci tenevano, così un’estate mi mandano in ritiro spirituale. E’ una specie di gita in qualche buco sperduto dove fai cose da scout con ragazzi delle parrocchie. Ufficialmente serve a far avvicinare i piccini a Dio, in realtà serve ad accoppiare amici e fidanzatine tra figli di famiglie credenti. Quell’estate siamo in un cascinale spersi per le colline dalle parti di Vittorio Veneto. Siamo ragazzi e ragazze in piena adolescenza, ci vuol poco che iniziamo a metterci gli occhi addosso. Io non sono mai stato… insomma, bellissimo. Però dopo qualche giorno noto che una certa Angelica – quella – mi guarda spesso. Già allora era un pezzo di fica stellare che normalmente avrebbe avuto la fila di spasimanti, ma aveva un difetto che la escludeva dall’accoppiamento: la sedia a rotelle.


– …Uh?
– LOL EPIC FAIL!!!!!!!!
– Nebo, te devi piantarla con Internet. Davvero.
– LO S’O MA NN RIESKO EPPOI O VISTO TANTE KOSE LOLLINE
– Che palle. Frank, come sedia a rotelle? Quella stangona lì?
– Sì, al tempo aveva dei problemi ai muscoli o che ne so e i medici preferivano aspettare fosse un po’ più grande per operarla. Di più non so dirvi, fatto sta che era su una sedia a rotelle. A me lei piace, poi è l’unica donna che mi fila. Ci attacco bottone con un niente. Chiacchieriamo un sacco, blabla, due giorni dopo ci diamo un bacio, nel pomeriggio una limonata.


– Come hai fatto a limonarla? Ti sei seduto in braccio a lei?
– ARIO SMETTI D TROLLARE O T BANNO DA GOOGLE
– Quella troll di tua madre, Nebo.
– Il punto è che dopo tre giorni di limonate io le metto le mani sulle tette, lei non protesta; qualche tentativo a vuoto e mi fa pure raggiungere l’ingresso dei fornitori. Capisco che ci sta e ti giuro che è talmente fica da farmi dimenticare il suo problemino. Il pomeriggio parliamo, lei dice che è d’accordo nel provare. La sera siamo tutti in ‘ste tende da campo nel cortile del cascinale, lei però dorme dentro. Sto fuori ad aspettarla per un’eternità e proprio quando decido di andarmene la sento che arriva. E’ notte, c’è solo un gruppetto di sfigati davanti al fuoco che canta “il cowboy arturo” e io la spingo su per la collina, al riparo tra gli alberi.

Lì le cose si fanno complesse.

Tirarla giù da quel coso è difficile, avevo i muscoli di un quindicenne e lei pesava. La prendo per le gambe e faccio per tirarla giù, proteste. Faccio per sollevarla dalle spalle, proteste. Mi caco il cazzo e me la carico in spalla in un’esplosione di sibili infastiditi ed imprecazioni. Mi giro per appoggiarla sulla coperta e finalmente siamo in posizione tattica. La coccolo un po’ per metterla buona, limoniamo, ci tocchiamo, tento di sfilarle il reggiseno senza riuscirci. Mi dà una mano. Vi giuro, alla vista delle prime tette della mia vita vado fuori di testa. Nelle mie mutande si accende uno stratoreattore, tanto che non mi fa nemmeno impressione toglierle jeans e mutandine con le gambe che vanno affanculo da tutte le parti. La tocco appena; smadonno per trovare il buco perché tra buio, pelo ed inesperienza era un’impresa.

– ROFL LO STAI FACCENDO SBAGLIATO!!!
– Hai rotto i coglioni.
– ARIO STAI FAILANDO LOLOLOL

– Riesco a entrare. A lei la cosa sembra andare bene. Quando faccio un po’ di strada incontro della resistenza, lì le cose cambiano. Si lamenta, si preoccupa. Esco, la rassicuro, riproviamo. Dai e dai a un certo punto SPRà, entro del tutto e lei caccia un urlo. In quello stesso momento, lontano, la canzoncina del cowboy arturo smette. Me ne frego, vado avanti perché è tipo la cosa più bella dell’universo e tra un gemito e l’altro vengo un po’ fuori e un po’ dentro. Ansimiamo uno sopra l’altro. Io guardo verso giù e mi cago addosso.

La sedia a rotelle.
Non c’è più.

Mentre armeggiavamo per metterla in posizione non mi sono accorto di averle dato una spinta col piede, così questa ha lentamente disceso la collina impattando dritta contro il falò dei bimbiminchia. Ora, dovete capire che una sedia a rotelle vuota che appare da sola nel cuore della notte suscita un certo terrore, così quelli chiamano a gran voce Don Sandro, che appare armato di una torcia elettrica, nota la sedia e punta il faro verso la collina, dirigendosi verso di noi a grandi passi. In un attimo realizzo a cosa saremmo andati incontro, cosa avrebbero detto a mia madre, cosa avrebbero detto i miei amici ed impazzisco di paura. Le luci si avvicinano, io mi alzo, tiro su i pantaloni e dico ad Angelica:

– Cazzo, è Don Sandro! Corri!








E’ naturalmente inutile dire che la piccola Angelica non ha corso, così Don Sandro ha scalato la collina per trovarsi di fronte ad Angelica nuda, a gambe aperte, con la passera usata di fresco e che tra una bestemmia e l’altra tentava di aggrapparsi ai fili d’erba per strisciare nell’ombra. A voi questa scena vista dall’esterno cosa sembra? Ecco. Vi risparmio l’arrivo dell’ambulanza a sirene spiegate, la volante della polizia che cercava di farsi dire chi l’avesse violentata, i genitori che arrivano nel cuore della notte ed il bastimento di botte che ho ricevuto da due famiglie in stereofonia. Non ci siamo mai più parlati, da quella volta. Gli scout manco mi vollero più ai campi estivi. 

Ecco, questa è la storia mia e di Angelica Tiengo – conclude Frank, finendo in un sorso l’havana cola.







– Frank, amico mio – dice Ario, sospirando – quella è la notte in cui sei diventato uomo.
– Vaffanculo, Ario.
– NO! Non vergognartene. Secondo la comunità, quando a soli quindici anni Frank decise di volere una donna prese una paralitica e la stuprò nel bosco mentre sotto i sudditi cantavano e bruciavano olii propiziatori. Questa non è la storia più sfigata del mondo, è una leggenda di Omar.
– See, e Erika. “Omero”, Ario.
– Tòh, mi sei tornato normale?
– Questo racconto mi ha rinsavito. Comunque è Omero.
– Quello lì. Guarda com’è cresciuta bene, dopo. E’ merito tuo se ha capito che le conveniva imparare a correre. Frank, tu sei il messia. Essa non camminava, tu con il tuo bastone magico l’hai trasformata in una centometrista. Tu hai osato intingere la più sacra delle tue estremità lì dove nessun mortale avrebbe osato. Tu, Frank, e non il chirurgo, l’hai fatta camminare. Sei il Cristo redivivo. Un giorno scriveranno canzoni, su di te.










Ario paga da bere a tutti, siamo a casa per l’una.
E’ ormai chiaro che io non conosco persone normali.