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Fuck yeah, Ikea

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Domenica mattina. Tempo di dormire e scopare e dormire e
«Dobbiamo comprare le cornici per la casa! Fare il gallery wall! Arte! Design!» grida la mia soave compagna, poi mi spara il caffè in faccia, sporge dalla finestra il cane, ne spreme il contenuto sulle strade sottostanti e possiamo partire per l’Ikea.

Parcheggio tra un SUV con la targa tedesca e una Porsche con targa spagnola. Prendo il carrello e avanzo tra falangi di gente mai vista per strada. È come se un’occulta organizzazione terroristica allevasse queste creature e poi, all’alba, le riversasse qui. All’improvviso realizzo che l’organizzazione potrebbe essere la figa.

«OH AMORE GUARDA» dice una voce maschile alle mie spalle.
Mi giro.

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Il tizio muore sull’asfalto nell’indifferenza generale. Le porte a vetri si spalancano con uno sbalzo termico di 59°. Un’allegra armonica suona un motivetto dagli altoparlanti. Il lampadario Splokkenbeurk di carta igienica a 22 euro e 49 centesimi! Mi precede una famiglia di bomboloni. Lui con la faccia che poi vedi sul Gazzettino sotto il titolo “uccide la moglie e fugge in Moldavia”, lei una medusa di stracci neri e stivaletti modello Joe Tempest con tacchi rinforzati titanio, preceduti da due palle di lardo alte mezzo metro che producono più rumore dell’intera industria siderurgica.

«MAMA GWARDAMI!» barrisce un botolo, poi galoppa verso un letto matrimoniale, inciampa nel tappeto di fintomontone e plana su una poltrona distruggendo lampada, tavolino, cornici, lampadari. A manina, un putto alto sessanta centimetri ulula come una sirena antiaerea. Una ragazza zompetta in una cucina di 4mq:

«Marika, tocco i due lati! Fammi una foto!»

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Una vecchia di età presocratica tenta di sedersi su un divano ecopelle e piazza una brena tale da costringere lo staff a rendere inagibile il reparto. Una coppia di gay limona in centro corsia da quarantadue minuti, guardandosi attorno nella speranza qualcuno si scandalizzi o dica qualcosa di omofobo. Una sessantenne sciabatta dentro tacchi 12 di tre numeri più grandi lanciando occhiate maliziose. L’armonica suona felice. Sono all’inferno.

«Ti piace quella camera?» domanda la mia donna.

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Sì. È meravigliosa. La voglio. Voglio le lampade da prendere a testate tutte le mattine quando mi alzo e gli spigoli dei comodini altezza gengive quando mi giro. Voglio i deliziosi cavi in bella vista. Voglio il letto pro-ana in truciolato che se pesi più di un bambino del Botswana cede. Voglio i lampadari di carta a ricordarmi che di solido, nella vita, non ho nemmeno la luce. Voglio copriletti bianchi, tappeti bianchi, cuscini bianchi, tende bianche, vasi bianchi, affinché appena torno da un lavoro precario io abbia la gradevole sensazione di precipitare nel vuoto. Solo quando mi assalirà l’horror vacui potrò guardare le ragnatele e scoprire che in realtà dormo in uno sgabuzzino.

«Hai di meglio da proporre?» domanda la guardiana dell’utero.
Mostro la foto nel cellulare.

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«Sì vabbè, ciao nonno» sospira, tirando dritto.
«Una camera così ci costerebbe un terzo.»
«Tappeto zebrato incluso?»
«Ma perché voi donne vi fissate sulle puttanate?! Sto dicendo ch
Eccoci nella sezione salotti.

«Casa nostra sarà bianca con dettagli neri e rossi» dice una trentenne con la faccia da gangbanger, passandomi di fianco. Mi domando quale mente malata possa arredare casa ispirandosi alla sbarra di un passaggio a livello, ma subito
«A me piace uno stile molto particolare, sai» dice un’altra in felpa Gucci.
«Che tipo?» domanda il marito.
«Eh… Ho un sacco di idee, ho un dono per l’interior design» fa lei.
«Sìsìsì, figurati se penso tu sia una di quelle che vedono due foto su Facebook coi mobili di vernice scrostata e i fiorellini, leggono shabby chic e si credono arredatrici d’interni!»
«Ha ha ha» ride lei.
«AAAAAAHAHAHAHA MAGARI I MOBILI FATTI COI BANCALI DEL CAZZO HAHA HAHAHAA E LE GABBIETTE DEGLI UCCELLINI AAAAHAHAOHOHO QUALE TROIA DEMENTE POTREBBE MAI VOL
Lei gli spacca un vaso in testa.

Al bar vedo un’altra coppia. Lei tirata come fosse al matrimonio della sorella, lui pantaloni della tuta e scarpe collezione Prophughy 2003. Doppio passeggino coi loro trofei da scopata, uno s’è cacato addosso, l’altro vuole il saccottino. Ta ta tararà, tararà ta, canta l’armonica. Intere tribù in processione sono accorse per esprimere un parere su un salotto che, montato a Milano, crolla alla prima scossa di terremoto in Basilicata.

«Su questo non puoi dire niente» dice la mia consorte.

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Ma infatti.

Immagino la delizia di stare disteso lì, tremando a ogni scricchiolio del divano col terrore gli scaffaletti soprastanti crollino uccidendomi. La lettera Z in acciaio, lassù, vigile, pronta a conficcarsi su chiunque osi ruttare troppo forte. La lampada di plastica col cavo che pesa più di lei e come tenti di accenderla ti arriva in faccia. In questo salottino si respira l’epica del quarantenne felpa&canna che dai bastioni del suo castello respinge l’assalto delle responsabilità.

«Dai, proponi, invece di fare il disfattista» incrocia le braccia la suggitrice.

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«Oh, tesoro, ma certo» mi abbraccia «poi quando tornerai dai campi i nipotini ti chiederanno di raccontare la guerra di Albania.»
«E allora viviamo nella rete delle palline del McDonald.»
«No, meglio nel delirio di un vecchio latifondista del 1800.»
Ta ta tararà, tararà ta.

Su una scrivania, un uomo della mia età è a pecorina mentre un commesso gli stantuffa nel culo un martello pneumatico con la punta a pugno. La moglie gli accarezza la testa e lo tranquillizza: stanno acquistando il sublime divano BUDDAK, millesettecento euro per plastica, truciolato e pregiato acetato cinese. Terminato il pagamento ci si siedono sopra e il Buddak si rompe in tre pezzi, ma per quel breve istante hanno assaggiato il paradiso. Un ragazzo prende un deodorante per ambienti, lo esamina con attenzione, estrae un accendino.

«Voglio vedere se è davvero infiammabile» dice, poi si immola.

Siamo qui dentro da due ore. Ormai ho raggiunto una sorta di torpore atarassico, niente m’importa, ho solo fame e voglia di andarmene. Usciamo nel parcheggio con due tappetini per il bagno, canovacci e stracci, attaccapanni, una bottiglia, un set di bicchieri.
E nessuna cornice.

 

Torneremo domenica prossima.

“Smettete di avere la diarrea e combattete, ve lo dice il baronetto”

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Arthur Aitken è il figlio del barone Aitken ed è una persona migliore di noi.

Inglese, ricco, si fa sistemare in ambasciata in India e finge di lavorare tra un cocktail party e l’altro. Lui è figlio di un magnate dell’editoria. Quando scoppia la prima guerra mondiale, Aitken vuole essere un eroe come nei romanzi cavallereschi, ma non ha voglia di andare tra fango e spari. Telefona a papi e si fa promuovere generale, poi si sistema a capo di una spedizione militare pro forma. Conquisterà un porto sfigato della Tanzania dove i tedeschi hanno due soldati negri e un paio di catapecchie, poi potrà tornare a casa e guardarti dall’alto in basso. Annuncia quindi ai giornali (del padre) che guiderà un attacco a sorpresa, dopodiché fornisce un dettagliato resoconto logistico di dove, come, quando. Un giornalista fa notare che i tedeschi potrebbero leggere. Viene subito licenziato, perché i plebei non possono permettersi certe impertinenze.

 

 

L’equipaggio

I soldati sono indiani raccattati da risaie, vicoli, baracche e convinti a salire a bordo in cambio di un vestito e un piatto di minestra. Il loro addestramento è simile all’ISIS. Questa portentosa forza d’assalto viene stipata dentro navi con la stessa densità di un volo Ryanair classe profugheconomy. Tutti soffrono il mal di mare e si vomitano addosso l’un l’altro. Non possono camminare, lavarsi o fare esercizio fisico. Aitken li nutre a carne di manzo, peccato gli indiani considerino la vacca sacra. Alcuni digiunano, altri la mangiano ma l’intestino non è in grado di metabolizzarla trasformandoli in bombe diarroiche. Gli ufficiali invece sono inglesi, vengono selezionati per titolo nobiliare o convenienza sociale. L’età media è dunque databile solo col Carbonio 14, la loro esperienza sul campo è “nel my castle ho un painting of questo selvaggi’s desert” e sono sordi da non sentire gli spari.

Arrivano a Tanga dopo sei mesi.

 

 

 

“Tra 24 ore vi faremo un attacco a sorpresa”

Oggi Internet è pieno di uomini integerrimi e donne moralissime che si domandano dove sono finiti i Grandi Valori di una volta. Per rispondere a questa domanda basti pensare che nel 1914 bisognava dare un preavviso di una settimana prima di un attacco a sorpresa. Era per educazione. Giunto a destinazione, Aitken invita un rappresentante tedesco a bordo della Costa Protesi per discutere la resa. Sale il commissario Auracher, alza le mani dicendo “ach, zorprezoneee!” e annota con cura armi, mezzi, uomini e morale del nemico. Aitken gli chiede di firmare la resa, lui dice di non essere autorizzato a prendere una decisione tanto grande. Domanda una proroga di 24 ore per consultarsi col suo comandante e Aitken lo lascia andare. Prima di congedarlo domanda se le acque del porto sono minate. È come se per strada un tossico ti fermasse dicendo “scusa, casa tua ha un allarme?”. Auracher dice “sisisisisi minatisssssime” e se ne va, felice di sapere che di sicuro gli inglesi non attaccheranno dal mare.

 

 

“Sono degli idioti, truffiamoli”.

Tanga era un porto inutile, pieno di vecchi, vagine e bambini. Le armi a disposizione erano scarse e guaste, gli uomini utili pochissimi e privi di artiglieria pesante. Ma il comandante è Paul Emil von Lettow-Vorbeck, un uomo più del nostro tempo che dell’epoca. Considerato dagli Askari una divinità, quando altri tedeschi fanno discorsi razzisti li cazzia dicendo “siamo in Africa, siamo tutti africani”. Ha una forza fisica notevole, un senso dell’umorismo spietato, due turbine al posto dei coglioni ed è considerato il primo McGyver della Storia. Non pensa neanche per un attimo di arrendersi. Sfolla bambini, figame e vecchi, organizza gli Askari su punti altolocati. Distribuisce le poche armi, razionalizza le munizioni, regala a tutti una bottiglia di birra. E aspetta.

 

GIORNO 1

Passate le 24 ore Aitken si spazientisce. Fa retromarcia e rovescia un primo reggimento di indiani a Manza bay, oltre un miglio di distanza dalle acque piene di mine immaginarie. Per raggiungere Tanga i venditori di rose dovranno attraversare sabbie mobili, vipere d’acqua, zanzare, ragni, mostri. Scalare una parete di roccia crivellata di crotali, ridiscenderla, saltare un fossato pieno di coccodrilli e atterrare in una pianura piena di leoni famelici, rinoceronti aggressivi e scimmie che scagliano sassi da 10 chili sugli intrusi. Il tutto tirandosi dietro equipaggiamento, viveri e armi a mano, perché le mosche tse tse han ficcato le larve negli animali da soma e se li stanno mangiando vivi dall’interno. È anche la stagione dell’accoppiamento degli elefanti, quindi al primo sparo si rischia che dalla selva esca un mastodonte di tre tonnellate incazzato perché lo disturbi mentre cerca di chiavare.

Sono stupito non ne abbiano fatto un videogioco.

Appena mettono piede a terra, il problema dei diarroindiani si manifesta in tutta la sua semplicità. Non solo spruzzano merda come seppie, ma dopo sei mesi di ‘sto istituto di bellezza emanano un afrore mostruoso tale da far convergere su di loro qualunque insetto presente nell’Africa subsahariana. Alcuni hanno le gambe anchilosate da mesi in mare, non camminano e annegano sul bagnasciuga. Altri sono a digiuno e svengono per la fatica, il caldo, il proprio odore corporeo. Gli Askari li osservano dall’alto, divertiti. Appena i primi entrano nella giungla sparano un colpo. Uno.

È subito strike.

I portantini fuggono verso la spiaggia urlando in preda al panico. I soldati non capiscono cosa gridano, perché nessuno capisce cosa dice manco il compagno di branda. Sono di caste diverse, non si conoscono, non hanno mai combattuto. Nessuno sa dove si trova, cosa deve fare o perché è lì. Però anche un elettore del M5S sa che quando degli adulti scappano urlando dal punto A verso il punto B, andare verso il punto A non è una buona idea. Quindi fuggono in spiaggia anche loro, dove i cecchini tedeschi hanno campo libero e li sterminano come poiane.

A bordo della Costa Protesi, il resoconto del sergente viene ascoltato dal baronetto con impassibilità: «Bene, sono dettagli di cui si occuperanno gli ufficiali, sergente. Io vado a leggermi un libro» dice Aitken, abbandonando la stanza.

 

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«Quali sono gli ordini, signori?» domanda il sergente.

 

«Sellate subito i cavalli, voglio vedere la Borgogna» dice il maggiore, alzandosi e scoprendo di essere uscito senza braghe.
«AVANTI, AVANTI! DIO SAPRA’ RICONOSCERE BRACCOBALDO BAU» urla il colonnello, poi conficca la testa nell’oblò e sviene.

 

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«Fate avanzare gli arcieri» decreta il capitano, infilando con decisione l’indice nella zuppa bollente.
«Chi osa pisciarmi sui pantaloni?!» sbotta il tenente colonnello, mentre una pozza di urina gli si forma sotto i piedi.

 

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GIORNO 2

Tutti gli 8,000 uomini vengono fatti sbarcare. La vista e l’odore spaventano gli Askari che si ritirano. Sulla spiaggia gli ufficiali organizzano i portatori di Polaroid in battaglioni e riescono a farli avanzare nella giungla fino a impattare con la prima linea di difesa tedesca. Gli indiani non hanno idea di chi sia il nemico. Non sanno nemmeno dov’è, la Germania. Sparano contro chi gli spara e fuggono. Gli ufficiali allora sparano sui fuggitivi, il che, agli occhi di una mente bestiale, trasforma anche loro in nemico. Se mi spari sei cattivo, no? Dopo neanche un’ora la giungla è un posto dove un indiano spara a un africano e viene ucciso da un inglese che viene sbranato da un leone che fugge dagli spari di un tedesco che mirava a una scimmia che tirava pietre a un coccodrillo che scappava da un elefante che voleva scopare.

 

cool-proud-gif-714È questo, essere maschi.

 

A bordo della Costa Protesi, Aitken decide di non scaricare i cannoni perché tanto non gli servono. Preferisce usare quelli della nave. Quando dicono che da lì non si vede una madonna e tirerebbero alla cieca, lui dice di provare lo stesso. Il primo colpo emula Baggio ai rigori del ’90 e si perde nella stratosfera. Il secondo disintegra l’ospedale assieme a feriti, medici, infermieri, anziani, parenti, bambini. Il terzo piove in mezzo alla giungla triturando inglesi, indiani, negri, tedeschi, leoni. Da Costa Protesi sentono urla, credono di averci preso e insistono su quel punto.

Nella giungla, l’unico tenente inglese sotto la quarantina urla all’ufficiale Malleson addetto alle comunicazioni di riferire alla nave l’errore.
«Si rivolga a me con più rispetto, tenente» dice l’anziano «deve chiamarmi signor colonnello e conte Malleson di Oxfordshire.»
«PRENDA LA RADIO E DICA ALLA NAVE DI NON SPARARE!»
«Non l’ho portata» dice il signor conte, guardando altrove «la radio è una moda da giovani, non ha futuro. Il baronetto è d’accordo con me.»
«SI MA LA USI E DICA C …eh?»
«Non abbiamo radio. Ne vado fiero, è roba da plebei. E poi il nemico avrebbe potuto intercettarla.»

Nel cielo c’è un fischio, poi la cannonata esplode tra gli alberi in una fontana di schegge d’acciaio e legno falcidiando indiani ormai in preda al panico.

«E come pensa di comunicare con la nave, signore?»
«Segnali luminosi.»
Il tenente tiene gli occhi in quelli del conte: «Segnali luminosi» ripete.
«Sì, con gli specchietti. Riflettono il sole.»

La seconda cannonata stermina in un colpo tutto il 125° battaglione.

«Il sole.»
«TENENTE, GIOCHIAMO AL PAPPAGALLO?»
«Signore, piove da tre giorni.»

 

 

 

«Ah, ecco cos’era ‘sta umidità.»
«Sì. Siamo a novembre, Africa tropicale, stagione delle piogge. Piove.»
«Bravo, bravo.»
«Grazie. Dunque» fa il tenente «come interrompiamo l’autodistruzione, signor colonnello e conte Malleson di Oxfordshire?»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Polvere di luce tra le stelle col suo spirito ribelle sta arrivando Vultus 5» dice l’anziano ufficiale, poi galoppa nella foresta.

Decidono di mandare delle staffette su e giù dalla spiaggia, purtroppo fanno un’enorme fatica a trovare indiani capaci di comprendere il messaggio da riferire. Ne trovano una decina che non appena ricevono l’ordine di correre verso il campo base si perdono nella giungla, muoiono divorati dagli animali o fuggono verso la salvezza delle sabbie mobili. Il secondo giorno si conclude con un niente di fatto, 200 dispersi e un battaglione disintegrato. A bordo, gli ufficiali più giovani si riuniscono e tirano una moneta per decidere chi ucciderà Aitken.

 

 

 

 

GIORNO 3

Il mattino Aitken fa distribuire una colazione abbondante a tutti gli ufficiali e fa digiunare gli indiani. Terminata la colazione annuncia che metterà piede a terra per dare una lezione “con lo stivale e la pistola” alla truppa inconcludente. Inizia benissimo prendendo a calci in culo quelli che stanno pregando, spara nelle gambe a quelli che gli sembra stiano scappando e, secondo un aneddoto molto controverso, spara in testa a un indiano perché aveva una spada in mano e lo guardava. Poi nel suo diario racconta di essere stato al centro della battaglia e di aver affrontato ufficiali crucchi in duelli molto cavallereschi riassumibili con questa gif.

 

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Gli Askari cedono. Gli indiani dopo due giorni di calci in culo si esaltano e gli corrono dietro come scimmie assetate di sangue arrivando in una piantagione. Qui c’è uno scontro a fuoco che distrugge un intero allevamento di alveari dentro cui dormivano milioni di api africane già nervose per spari e cannonate. È il massacro. Una nuvola nera di orrore e pungiglioni copre il sole, poi le api crivellano ogni essere vivente scatenando un fuggi fuggi generale. Si salvano quelli che le api odiano di più, perché a quanto pare insistevano a pungerli nonostante fossero svenuti, cosa che li risvegliava e gli permetteva di fuggire nella bocca di qualche leone, o incontro al machete di un Askaro. All’ora di pranzo l’intero esercito inglese è una distesa di ospedalizzati incapacitati a combattere. Hanno la faccia così gonfia da non riuscire ad aprire gli occhi o la bocca.

Aitken è costretto ad arrendersi. Ha il permesso di raccogliere i feriti, li carica a bordo e torna in India, dove cerca di scaricare la colpa su chiunque tranne che sé stesso. Stranamente gli ufficiali non lo coprono.

 

_____________________

Tanga passerà alla Storia come il più grande fallimento nella Storia dell’esercito inglese di tutti i tempi. La battaglia delle api verrà tramandata dai cori gospel in maniera sempre più romanzata, tanto da dire che le api furono tutta una trappola di quel gigante di Lettow. Non è vero. Lui stesso dichiarerà

“i may now perhaps betray the fact that at the decisive moment all the machine guns of one of our companies were pit out of action by these same trained bees, so that we suffered from this new training quite as much as the english” 

The Meinertzhagen mistery, pg.98

 

In Internet le fonti sono poche e, per la maggior parte, sbagliate. Per il post mi sono basato sulla tesi di laurea del dottorando F. Jon Nesselhuf, dell’università del Texas, 2012. Ho consultato il libro The Meinertzhagen mistery, 2009, di Bria Garfield, il rapporto ufficiale della Commonwealth Grave Commission, 2014, La prima Guerra Mondiale, Hew Strachan, 2010 e Storia dell’Inghilterra, di Kenneth O. Morgan, 2015.

Poi l’ho buttata in vacca perché era più divertente.

Disagio, Un altissimo momento di

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«Raga shkussate?»

Milano, una di mattina. Io e Leonora siamo all’Abnormal gallery per salutare un amico. Gente che conosco, fumettisti, birre, sigarette, vaffanculi vari. Ambientarsi in una città nuova è difficile. Non abbiamo ancora la nostra abbeverata personale, quindi vaghiamo alla ricerca di quello che un giorno diventerà il nuovo bar Verdi.

«Shkussate, oh? Raga?»

Non so chi stia facendo quest’imitazione femminile di Gollum. Al momento fingo di non sentire un baggeo impegnato a fare il monologo del cosmopolita con Leonora. Mi diverte grandemente quando ci provano con la mia donna, è come vedere i poeti che s’arruolano nella Legione Straniera: grandi progetti, grandi ambizioni, grandi discorsi al funerale.

«Raggazi shkussate vorrei dirvi… cose…»

Il monologo del Cosmopolita consiste nel riuscire a dire di essere stato a Londra, Parigi, Berlino, Barcellona e New York nella convinzione questo faccia scopare. Come tecnica d’approccio nel 1990 strappava le mutandine delle aratro renegade, ma ormai nel 2016 anche il vicebidello di Caltanissetta ha fatto un interrail e del tuo biglietto Ryanair superoffertissima non frega un cazzo a nessuno.

«Raggha vi possho dishturbare?»
Mi giro.

Entrambe bionde, entrambe sulla trentina, entrambe vestite di nero e rovinate di alcool.

«Shiamo thornate da un mathrimonnio no? E c’è una feshta da noi dietro l’angolo, no? Siccome shembrate delle persone a modo volevamo invitarvi, no? Shè il diggei con la consolle e la locashion è molto cool. L’indirizzo è via Burziburzi 32, shercatelo su Guglmàpsh. Venite, no?» si allontanano.

«Che cazzo ha detto?» chiedo.
«Festa, casa sciccosa, moroso DJ» riassume Leonora «tanto non andiamo.»
«Co… Perché?!?»
«Non conosciamo nessuno, tu sei brillo, quelle sono fatte come il Cosmopavone e ci ficcheremmo in situazioni dove disagio, imbarazzo da empatia e voglia di sotterrarsi dominano.»
«Hai riassunto le migliori feste della mia vita.»
«Dimmi UN SOLO buon motivo per andare» incrocia le braccia Leonora.

«…talia il turismo è proprio una merda, eh? Non sappiamo sfruttarlo. Invece prendi Parigi. Io sono stato mesi, anni, a Parigi, ho anche dei parenti a Parigi, praticamente vivo più a Parigi che qui, anzi, ho proprio la doppia cittadinanza, cazzo come sono Parigino. Le donne amano Parigi. O anche Manhatt’n» insiste il monologhista, improvvisamente affetto da pronuncia uso Bastianich «ho vissuto molti giowni in un appawtamento a Brookl’n, y’know? Sei mai stata a Brookl’n?»

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Plin plon.

Il padrone di casa si chiama Diego, avrà la mia età, jeans attillati col risvolto a metà polpaccio, fantasmini bianchi dentro Oxford distrutte, bretelle, camicia a scacchi neri e rossi, barba da sant’uomo, calvizie a spazzola. La casa sarà un centinaio di metri quadri, che vista la zona sarà costato 92 vergini.

«Shiete venuthi» esclama la tappa, venendoci incontro «shono conthentha!»
«Abbiamo portato questa» dico, mostrando una bottiglia di Jack Daniel’s comprata all’Abnormal a un prezzo che meriterebbe una bomba della camorra.
«Bravih. Venithe ke vi presentho agli altri. Io shono Kathia, hic! Katia. Con la kappa.»

L’arredo è quello classico uso stanza di adolescente: tende bianche, tappeti bianchi, pareti bianche e mobili bianchi su cui troneggiano 873645 colori e giocattoli che non mi sono mai potuto permettere. Quadri a cornice bianca recitanti ordini materni “Love everything you do”, sull’angolo cucina “eat your veggies”, in cesso “wash your hands”, mi domando se sulla testiera del letto ci sia “penetrate vigorously”. Divanetti blu elettrico e una ventina di persone che chiacchierano. La musica (Indie) proviene dall’angolo libreria dove un tizio in maglietta grigia, porkpie e baffi smanetta i CDJ.

«Tu sei quello di Uomini e donne?» mi domanda uno.
«No.»
Disinteresse.

Leonora chiacchiera con l’unica gnocca della festa. Non sento i discorsi ma dal linguaggio del corpo credo vertano sui tacchi di mia morosa. È tutto un risate e sorrisi, là nella valle della vagina, mentre il vecchio Jack non riscontra grandi successi. Bevono tutti ‘naBio, “birra biologica prodotta con metodi artigianali”. Appoggio il Jack, assaggio. Riprendo il Jack. A me questa cosa che abbiamo smesso di pensare al piacere in cambio del benessere angoscia. Biologico, sano, naturale. Ho paura che alle porte dell’inferno troverò una fila di uomini che non fumano e donne che non scopano. Il meccanismo del senso di colpa anni ’90 oggi è il dovere dell’eterna giovinezza. Caffè decaffeinato, birra analcolica, prosciutto sgrassato, sigarette elettriche, pasta senza grano, fritture senza olio, chiacchiere per sms e chiavate col preservativo. Ma perché?
Soprattutto, dove cazzo è finita Leonora?

«E insomma tu scrivi» dice uno «cosa? Libri? Saggi? Sei giornalista?»
«Alterno articoli di alto livello come Le sette cose da non dire mai al primo appuntamento ad aneddoti di prostituzione, risse, degrado.»
«Sei serio?»
«Sì. Ma anche un libro di Storia.»
Non può essere in bagno.
«Tu invece che fai?» dico, perlustrando la stanza.
«Lavoro nel cinema.»
Non può essere andata via.
«Ah, bello! E… e in che settore?»
«Bè, a me non interessa la sfera della produzione, io sono al vertice del prodotto finale. Secondo me oggi il mondo del cinema è un carrozzone dei soliti che produce solo merda. L’Italia proprio non funziona, infatti lavoro molto di più con il materiale estero. Americano, perlopiù.»
«E cosa fai, il proiezionistahahaha HAHA HAHAHA HAHAHA» rido, dandogli una pacca sulla spalla.
«Sì.»

 

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«Perché, secondo te quello non fa parte del cinema?!» chiede, piccato.
«Sìsìsìsì è che…»
«Eccolo qua, per lui solo quelli che hanno il nome sullo schermo lavorano nel cinema, vero?!»
«Non ho mai detto questo!»
«Lo pensi!»
«No!»
«Sei uno snob, come tutti i milanesi! Ma che ne sai, tu? Chi cazzo ti credi di essere?!»
«Io… io sono solo un drogato!»
La risposta lo confonde.

Alle quattro e mezza sono ormai tutti cotti, fumo una sigaretta sulla ringhiera della corte interna guardando Milano sullo sfondo. Katia con la kappa esce, ormai rigonfia di birra biologica come una zecca.

«Hai prohppio na bela ragassa» dice, barcollante.
«Sì, sarei curioso di sapere dov’è. Bella festa, comunque.»
«Oh, bah… una cosa così.»
«No, no, credimi. Dalle mie parti non c’è tutta questa civiltà.»
«No? E cosa succede?»
«BE’ UNA VOLTA HO Vun mio amico, dico, ha versato il latte di suocera nel vaporizzatore d’essenze. Era una festa etnica, incenso, spirali, candele, così la nube ha impregnato le tende indiane che hanno preso fuoco. Altri ti cagano nel cellophane, ci attaccano sopra l’etichetta SALAME AL CIOCCOLATO e te lo mettono in freezer. Nove volte su dieci i padroni di casa lo trovano due giorni dopo, lo credono un regalo e lo mettono a sgelare sul tavolo della cucina.»
«GWAH GWAH GWAH» ride lei «MA QUESTA È BELLISSIMAAAHAHAHA, BELLA, BELLAOURGH» conclude, sparando un fiotto di vomito oltre il parapetto a potenza idraulica di diecimila atmosfere. I liquidi disegnano romantiche volute nell’aria, poi si spiaccicano nel cortile.
Restiamo a osservare il prezioso arabesco.

«Bel tiro» commento.
«Sì» dice, traballando «comunque la vita è un frrrrrr-r-r-r» bramisce ruttando, poi il corpo ha un tremito, le si girano gli occhi e collassa all’indietro. Di riflesso allungo la mano per prenderla. La buona notizia è che i reggiseni sono più solidi di quanto credessi. Si allungano. In alcuni casi funzionano come corda da bungee. La cattiva notizia è che invece i vestiti di Liu Jo no. Ora Katia è svenuta sul terrazzino, ha le a gambe larghe, le tette di fuori e io stringo un reggiseno strappato misto brandelli di vestito. Solo a quel punto Leonora decide di uscire con un sorriso e una sigaretta.

 

 

 

 

Le cadono tutti e due.

 

 

 

 

«Ha sboccato, è svenuta, io ho cercato di prenderla» riassumo.

 

 

 

 

 
«Dimmi che è viva» fa lei.
Guardo. Katia con la K russa.
«Sì. Chiamiamo gli altri e portiamola dentro.»
«Non puoi portarla dentro così, coprila.»
«Con cosa? Il suo reggiseno pare l’imene di Lea di Leo.»
«Ho una spilla di sicurezza in borsa.»
«Non azzardarti a lasciarmi da solo! Sai cosa sembra, ‘sta scena!? Vedo già i titoli di Libero.it.»
«Diocristo, allora mettile il mio» dice, facendo per aprirsi la camicia e fermandosi: «…ah, no.»
«Come no? Quando siamo usciti ce l’avevi.»

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Ma affrontiamo un problema alla volta.

Mi tolgo il montone, glielo metto sopra e chiamo la ghenga hipster che accorre in massa mentre io mi cago addosso dal freddo. Diego non è così sicuro le cose siano andate come gli racconto, ma la pozza di vomito è innegabile così come l’alito raggelante della sua donna, le mutande le ha ancora, io non ho segni di colluttazione in faccia. Recuperato il mio raffinato soprabito possiamo tornare a casa.

L’eterno meccanismo

15Inaccettabile pornografia.

Final-LookStupenda reclame di lingerie femminile.

Creating-eBay-Seller-AccountImmagine provocatoria per siti d’intrattenimento.

 

Immaginate un sito web che ha pochi accessi.
In passato ha macinato cifre notevoli, oggi è un miracolo se qualcuno entra lì per sbaglio cercando “preservativo incastrato ano aiuto”. Gli amministratori le hanno provate tutte seguendo questo meccanismo.

1. SPRUZZO DI DIARREA ISTERICA
Il capoccia dopo un pomeriggio tra XNXX e siti di sedicenti esperti decide di rivoluzionare tutto. Introduce il linguaggio SEO (consiste nell’usare parole chiave magari mettendole in grassetto, rovinando la lettura perché enfatizzano concetti del cazzo, ma l’importante è indicizzare, non creare roba buona). Gif di gattini, link acchiappa click a notizie inventate, gossip sessuali, cronaca nera, persino disinformazione. Tutto concepito da automi che “guardati ‘sto video” lo pronunciano “ti segnalo un possibile contenuto d’intrattenimento”.

Niente. A parte qualche click, la gente li snobba.
A questo punto o il sito chiude, o se ha ancora soldi in saccoccia passa alla fase

2. FRENETICA COPROFAGIA
È ora di contattare un esperto. Però gli esperti costano, e c’è un mio amico con un cuggino giocoliere che ha curato con grande successo un sito nel 1991. Viene quindi assoldato Denis, un idiota che crede spammare sia una strategia rivoluzionaria e vincente, quindi mette subito un banner che ti chiede la mail.

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Via mail, via social, via qualsiasi cosa, Denis crede davvero alla gente faccia piacere ricevere email che chiedono di leggere, mettere mi piace e condividere un articolo tradotto male e scritto peggio da un americano nel 2006 tipo “le foto migliori del Superbowl”, “10 motivi per cui è bello andare da Starbucks” e “10 cose da fare nel Tennessee”. Il sito ha una scossa iniziale perché lo spam è come l’eroina: i primi dieci minuti sembra una buona idea, poi muori. A meno che…

3. ORA CHE ME LO FATE NOTARE, C’È UN ELEFANTE MORTO SUL TAVOLO
Un giorno qualcuno si sveglia nel cuore della notte e telefona al capo.

«Capo, ho avuto un’illuminazione.»
«Deliziami con la stronzata mentre compilo la lettera di licenziamento.»
«E se provassimo a produrre roba decente?»
Silenzio.

«Tipo… originale?»
Silenzio.

«Intendo dire, bella. Originale e bella. Se una roba è buona non serve dire alla gente di mettere mi piace e condividere.»
Silenzio, poi: «Ragazzo, tu sei un genio.»

Parte la ricerca di un autore, che nel linguaggio degli alienati viene definito “content creator”. Mettiamo per assurdo l’autore riceva una proposta economica valida; gli viene richiesto di produrre un articolo “innovativo, provocatorio, con un linguaggio sopra le righe, che faccia discutere il web e sollevi un polverone”. Risultato.

Ieri sera ho scopato nel culo Pamela, poi mi sono pulito il cazzo sulle tende e sono tornato a casa.

L’editor appoggia il foglio asciugandosi le lacrime.
«Questo pezzo è fantastico» annuisce ammirato «faremo un casino di traffico. Ne parlo con il responsabile web. Ecco, però t’insegno una cosa che noi esperti sappiamo: se togli il nome della tizia viene meglio.»
Il testo diventa

Ieri sera ho scopato nel culo una tizia, poi mi sono pulito il cazzo sulle tende e sono tornato a casa.

Il responsabile web sussulta dalle risate.
«Fantastico, fantastico, esattamente il contenuto che ci serve» dice «però guarda, io conosco bene i meccanismi di Internet, è un po’ crudo. Così è perfetto e lo faccio subito leggere al direttore.»
Il testo diventa

Ieri sera ho sodomizzato una tizia, poi mi sono pulito il pene sulle tende e sono tornato a casa.

«HAHAHAHA FANTASTICO» ride il direttore, applaudendo «ora bisogna solo editarlo un pochino per non offendere nessuno e via. Cambialo così.»

Ieri sera ho fatto l’amore con la mia fidanzata, poi mi sono lavato e sono tornato a casa.

Divertito dall’esilarante contenuto di cui si sente co autore, il direttore condivide la perla con sua moglie, casalinga nullafacente a cui non sembra vero la sua opinione possa contare qualcosa.
«Tesoro, il pezzo è bellino, ma da donna posso dirti che

Versione finale.

Ieri sera ho fatto l’amore con la mia fidanzata e sono tornato a casa, ma mi mancava molto perché la amo.

Il giorno dopo il direttore dà il via libera alla pubblicazione del pezzo. Il sito spamma l’articolo su tutti i social network possibili. Tre quarti della gente vede il titolo, clicca, legge scorrendo veloce, pensa “che cazzata” e se ne va. Ermenegilda Zacconi, però, è un’obesa gattara che vive in una casa che odora di urina e soprammobili polverosi. È qualcuno, in Internet, perché ogni giorno combatte sulla pagina VIVISETTORI ASSASSINI e TE LO REGALO SE TE LO VIENI A PRENDERE BURZATE SUD. Leggere l’articolo le ricorda che ogni notte lei s’addormenta abbracciata alla propria pancia, così non esita a condividere l’articolo sulla sua pagina Facebook aggiungendo le seguenti righe.

SKUSATE MA KE RAZZA DI ARTICOLO È??????????? DOVREBBE FARMI SENTIRE IN COLPA XKE’ NN HO 1 RAGAZZO?!?

Sheron Bonesso, impiegata all’Esselunga di Rozzano, non legge l’articolo. Legge solo il commento di Ermenegilda. Tiene molto a fare bella figura con lei, perché è pur sempre una figura di spicco nel panorama animalista. Lo condivide aggiungendo

LEGGETE KE SKIFO!!!!!

Dopo decine di questi meccanismi il link arriva sulla bacheca dell’ARCI di Caltanissetta, che legge non per capire o divertirsi, ma per trovare qualcosa da dire. Condivide l’articolo sulla sua bacheca aggiungendo

Certo, perché al mondo gli omosessuali non esistono… gli unici che possono fare l’amore sono etero, giusto?
10,938 condivisioni indignate.

La marea d’odio arriva sotto gli occhi del direttore del sito che telefona al responsabile web per dirgli che è un coglione incapace. Il responsabile web dice che non è colpa sua ma dell’editor che non sa fare il suo lavoro. Gli telefona e gli dice che è uno stronzo. Il responsabile web pigola che no, lui non c’entra, ha fatto quel che poteva per correggere quell’articolo orrendo. Poi telefona all’autore e gli dice che è licenziatissimo. Il direttore nel frattempo riceve mail e messaggi di profonda disistima, tra cui spiccano quelli di gente che non conosceva il sito, non ha mai letto il sito, ma dice che non lo leggerà mai più perché si sente molto offeso. Di corsa, il direttore fa modificare il contenuto in

Nel rispetto delle diversità, dei diritti e dell'eguaglianza di ogni individuo, nel pieno consenso di entrambi e in ottemperanza delle regole dell'ambiente sociale e umano in cui mi trovo, senza trasgredire alcuna legge ho fatto qualcosa di eticamente corretto con qualcuno.

Il che, come la Storia insegna, peggiora le cose. Quando c’è una rivolta, MAI dare una concessione alla suburra. Perché gli dimostri che contano qualcosa. Se sanguini, puoi morire. Se cade un mattone, può cadere il muro. Non appena la suburra legge la correzione, tutti quelli che prima fottesegavano vedono che c’è la possibilità di sentirsi qualcuno. La suburra triplica in rumore e numero. L’articolo viene rimosso tra la folla festante che, soddisfatta, va a dar da mangiare al gatto da vincente. I siti concorrenti si affrettano a cavalcare l’onda del momento e saltare sul cadavere dell’avversario.

Noi ieri siamo stati a casa a guardare serie TV, dice un concorrente.
Noi ieri abbiamo avuto rapporti omosessuali consenzienti, dice un altro.
Noi ieri abbiamo salvato un gattino abbandonato, dice un altro ancora.
Tutti applaudono solenni.

Il sito torna a riciclare vecchi articoli che non fanno indignare nessuno perché non sono letti da nessuno. Due anni dopo, una rivista emergente con una redazione composta da persone “nuove, dinamiche, coraggiose e trasgressive”, contatta l’autore.

«Ci servirebbe un articolo sopra le righe, coraggioso, innovativo» dicono.

 

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L’autore manda “5 motivi per cui il tuo gatto è bellissimo” e aspetta il pagamento. Nell’ufficio, il responsabile web finisce di leggere, annuisce soddisfatto e gira il pezzo al grafico chiedendogli un’estetica chiara e d’impatto. Il grafico consegna. Il direttore apprezza, ammirato.

 

 

 

 

 

 

Basta cambiare un paio di cose.

Il pezzo con 54 colori, 35 font e le animazioni in flash appare sulla bacheca di Ermenegilda Zacconi che chiude l’informativa sui cookies, poi chiude la richiesta d’iscrizione alla newsletter, poi chiude il banner pubblicitario, poi cerca di installare flash player sul telefonino, annulla, riprova, annulla, riesce a leggere mezza riga e chiude l’articolo, sbuffando. La solita cazzata.

Volevo una palestra, ho trovato il cyberdiavolo

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«Noi le offriamo piscina, idromassaggio, solarium, corsi di zumba…»
«Sì, ma avete i pesi o no?» chiedo.
«Le faccio fare un giro.»

Mentre percorro questo curioso pollaio, noto che la clientela è giovane, predominanza femminile, pochi ragazzi paffuti e scazzati con l’inconfondibile faccia di chi si è iscritto da due settimane a causa dei bagordi e tra altre due settimane svanirà. Attraverso gironi danteschi di donne in idromassaggio che scrivono al cellulare, una piscina infestata di bambini urlanti e spalti gremiti di genitori. Ovunque, macchinette che distribuiscono merendine proteiche da 12.000 calorie l’una. Una pletora di quaglie da scopo che si contorcono a tempo di musica latinoamericana davanti a uno specchio.

«Questa è la sala dove occasionalmente facciamo anche soft crossfit. Conosce il crossfit?»
«Sì» dico.

Il crossfit è l’allenamento di Rocky o di qualsiasi pugile. Una volta te lo faceva fare il sor vittorio per 7 euro in una palestrina di pugilato di periferia, oggi te lo fa Denis, laureato in scienze motorie, per 120 euro al mese. Chi fa crossfit lo riconosci perché se ne vanta come se fosse una medaglia d’oro al valor civile. Ogni volta che uno si bulla di ‘sta cosa mi sembra di vedere le sue labbra pronunciare “io mi faccio estorcere mensilmente danaro da ex truzzi cresciuti a droga, Barbie girl e RICH sul culo”. Milano sembra essere la capitale di questo meccanismo, il che mi affascina oltre ogni dire.

«Vorrei solo dei pesi» faccio «sa, due bilanceri, manubri, una panca…»
«Sono nella sala wellness.»
«La cosa?»
Mi squadra come a dire non conosci la sala wellness, grezzo di merda? e tira dritto senza rispondere, finché si gira con aria orgogliosa e decreta: «Eccoci!»

Sei multipower.
Nessuna panca piana.
La barra per le trazioni usata come appendino.
Donne che chiocciano o leggono riviste sulle cyclette.

 

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«Non avete la panca piana» decreto, dimenticando il punto di domanda.
«È per allontanare i bodybuilder.»
«Cosa?»
«Sì. Spaventano la clientela femminile e fanno sentire inadeguati gli uomini. Noi vogliamo essere una palestra più friendly, sia dal punto di vista del budget che dal punto di vista emotivo. Una persona viene qui per rilassarsi, per stare bene, non per essere competitiva.»

Nemmeno i loro prezzi sono competitivi.
Gli va riconosciuta una certa coerenza.

«Ora venga, le parlerò diffusamente di come funziona qui» dice, trascinandomi via.
Ora sto scrivendo questo post sul cellulare sperando questa donna si renda conto che mi sta annoiando ai pazzi, dato che sono seduto in questo ufficio da mezz’ora e lei parla interrompendomi ogni volta che dico qualcosa più di “sì, ma”.

«L’abbonamento minimo parte dai 12 mesi, ma la promozione più conveniente sono i 36. Se lei…»
Tre anni.

Sgrano gli occhi: «TRE ANNI?!»
«Trentasei mesi» mi corregge.
«Signora, un patto col demonio è più brev
«Se non vuole versarli tutti subito, c’è la possibilità del prelievo dal conto corrente mensile fornendo i numeri di una carta di credito valida.»
«Sì, ma il passo successivo è darvi mia moglie in ostag
«Tenga presente che sarebbe l’offerta più conveniente.»
«Di cos
«Molti dei nostri clienti hanno fatto questa scelta.»
Faccio per parlare, mi giro verso le tizie che si contorcono sulla zumba.
Riporto gli occhi sulla venditrice.

«Quelle hanno gli alimenti dal marito» dico.
«Anch’io. È Milano. Secondo lei perché qui la maggioranza dei maschi è gay?»
«Per la moda?»
«No, per difesa. Firmi il contratto.»
«Sìsìsì, ci penso su» dico, alzandomi.
«Non se ne può andare. Ora voglio raccontarle la storia della mia vita. È il primo uomo a Milano che mi ascolta» dice, agguantandomi la manica.
«Mi lasci.»
«Ho fatto un figlio con un uomo sbagliato.»
«Signora, lasci la manica.»
«Mi ha mantenuta fino a cinquant’anni e adesso devo fare questo lavoro di merda, ma sono una persona solare.»
«Molla!»
«Ho anche un profilo su Badoo e Adottaunragazzo.it»
«MOLLA, PAZZA, MOLLA!»
«Firmi questo contratto, il maestro di sci del bambino devo pagarlo io perché il giudice…»
Le entro in faccia in maniera strabiliante.
Le labbra di gomma mi rimbalzano il pugno, strappandosi e rivelando una mascella metallica sotto cui scorrono fibre ottiche e lucine.

«Lasci cinquanta euro per la consulenza» dice, tentando di ghermirmi con le dita magnificamente curate. Mi tolgo la cintura e la frusto facendola retrocedere. Le sferzate strappano i vestiti svelando uno scheletro metallico e circuiti. La fibbia le colpisce un occhio, sotto cui pulsa una microcamera con luce rossa. Il cyborg si rialza.
Tento la fuga.
La porta è sbarrata dall’esterno.
Afferro uno schedario e lo scaglio contro il vetro della finestrella, infrangendola. Dallo schedario piovono cambiali, reni in pegno, fedi nuziali, polmoni seminuovi, certificati di verginità, documenti di adozioni, feti in formaldeide, chiavi di automobili, contratti firmati col sangue, denti, orologi, un lingotto d’oro con la svastica nazista. Lo uso per ripulire il bordo della finestrella dalle schegge di vetro e lo scaglio sul petto dell’automa.
C’è un TUNNNG metallico.

«Va bene, mi ha convinto» dice l’essere, ora con voce meccanica «le parlerò della tariffa basic. Con soli settanta euro al mese lei avrà diritto…»

Prendo il monitor con entrambe le mani e glielo spacco in testa, poi mi arrampico verso la salvezza. Mi afferra i pantaloni: «…Illimitato accesso all’area ristoro, le centrifughe bio a soli 8,99 e

La parola BIO scatena in me un attacco di diarrea incontrollabile. Dal culo scoperto esplode un geyser verdastro che centra il volto del cyborg.

«Becca ‘sta caparra, mostro» dico, divincolandomi.
«Ha quindi scelto l’opzione TOTAL WARM UP VIP ACCESS, con consulenza plicometrica e/o esame delle feci/urine/prelievo del sangue necessari ad ottenere punti FIT per assicurarsi uno sconto del 2% su certificato medico (obbligatorio entro una settimana dal primo accesso) eseguito da personale medico convenzionato al prezzo di 74,99 euro?»

Frano sul marciapiede sottostante. Mentre mi spolvero i vestiti la sento continuare a borbottare di incredibili vantaggi e fantastiche offerte. È quasi ora di pranzo, devo fare la spesa. L’Esselunga è un’istituzione, per Milano. Entro nel primo che mi capita, guardo i prezzi dei petti di pollo. Ruoto lentamente, molto lentamente, la testa verso destra.

Head-turn-GIF
Un commesso mi fissa con espressione vuota.
Con cautela, porto la mano alla cintura.