Washington, marzo 1943.
Il generale Eisenhower, capo supremo delle forze alleate, entra nell’ufficio presidenziale e scatta sull’attenti. Alla scrivania, il presidente Roosevelt alza la testa e squadra il militare: «Sì?»
«Il D-day è alle porte, presidente.»
«Lo so. Cosa vuol dire quella D, poi?»
«È segreto.»
«Sono il presidente degli Stati Uniti.»
«È segreto anche per lei.»
«Allora per chi non lo è?»
«Generale, lei non ha idea di cosa significhi quella D, vero?»
«Tanto non lo sa nessuno» minimizza Eisenhower.
Lo sbarco in Normandia è stato pianificato, ma c’è un problema: buona parte dei soldati destinati alla mattanza sono ragazzetti inesperti che alla prima granata potrebbero andare in panico e rovinare tutto. Non c’è modo di trasformarli in veterani, però Eisenhower pensa che si potrebbe almeno prepararli con
«…un’esercitazione, ho indovinato?» sorride Roosevelt.
«Fuori di qui, pazzo» dice il presidente, rimettendosi a scrivere.
«Ma perché? Sono belle, le esercitazioni!»
«Ogni volta che quel cottolengo galleggiante chiamato “marina” fa un’esercitazione raggiunge ineguagliate vette di ritardo mentale, generale. Muoiono come mosche.»
«E se invece lo chiamiamo… non so, esercizio?»
«NIENTE SIMULAZIONI, CAZZO, NIENTE! SIMULAZIONI!» tuona Roosevelt battendo i pugni sul tavolo «GIURO SULLA MADONNA DI CASTELMONTE, EISENHOWER, FAMMI SOLO UN’ALTRA SIMULAZIONE DEL CAZZO E IO T
L’exercise Tiger si divide in due fasi.
Prima gli inglesi bombarderanno la spiaggia di Sampton sands, nel Devon, simile in tutto e per tutto a quella della Normandia. Questo ricreerà l’odore, la distruzione e i detriti di un vero campo di battaglia. Poi verranno fatti sbarcare i marines, inconsapevoli si tratti di una simulazione. A quel punto gli inglesi continueranno a bombardare, ma spostando la traiettoria dietro una linea di nastro bianco tirata lungo la spiaggia in modo da non colpirli.
Tutte le munizioni vere.
Siccome le possibilità di una catastrofe non sono abbastanza mostruose, Eisenhower mette a capo della flotta americana l’ammiraglio Don P. Moon e come ufficiali delle navi da trasporto degli stronzi qualsiasi assegnati alla marina perché da piccoli andavano a pesca in un laghetto del Wisconsin. Compartimenta le informazioni in modo che nessuno faccia la spia. Fa evacuare 30,000 acri di territorio inglese dando alle famiglie dei paesi limitrofi cinque settimane per levarsi dai marroni senza dire loro perché, né quando potranno fare ritorno a casa. Né se la troveranno intera.
L’operazione inizia subito in un clima di rilassata professionalità.
Slapton sands, ore 2200, 24 aprile 1944
Accampamento militare inglese
«STIAMO NELLA MERDA PESA, COLONNELLO» grida il sergente maggiore inglese sotto la pioggia «metà cannoni sono impantanati e l’altra metà non riusciamo a calibrarli! Con ‘sto buio rischiamo di sparare in alto mare, ma se tiriamo corto disintegriamo i villaggi vuoti!»
Il colonnello, bagnato fradicio, entra trafelato nella tenda: «Comunicate alla flotta americana di posticipare lo sbarco, perdìo, qui è un macello!»
«Ho bisogno di sapere la frequenza segreta, signore» dice il marconista.
«Quale frequenza segreta?» fa il colonnello, poi si gira verso il tavolo degli ufficiali «voi ne sapete qualcosa?»
Silenzio.
USS Idaho, 9 miglia dalla costa, stessa ora
«Dite agli inglesi che siamo in perfetto orario» ordina l’ammiraglio Moon.
«Su quale frequenza?»
«Che ne so, io? È lei l’addetto radio.»
«È stata affidata a un ufficiale per motivi di segretezza, signore.»
«Allora chiamatelo.»
«È segreto anche quello, signore.»
Mancano due ore alla più grande esercitazione mai eseguita dall’uomo e i militari si accorgono che in un raptus paranoide l’intelligence ha secretato il secretatore col segreto. Potrebbe non essere in plancia, potrebbe non essere a bordo, potrebbe benissimo essere a casa a trombarsi la moglie, per quel che ne sanno. Fatto sta che le radio non riceve né trasmette.
«Provate frequenze a caso.»
«Ma abbiamo l’ordine di silenzio radio…»
«STACCE» fa l’ammiraglio Moon, sporgendo il petto «noi siamo americani, ribelli e leader naturali. Le regole sono fatte per essere infrante. Poi siamo in Inghilterra, haha, chi vuoi che ci senta? I vecchi radioamatori? Hahaha ha ha, hellò hellò oggi ho fatto il pane? I bambinetti con le radioline pissi pissi bau bau? Ha ha haha ha la regina oh my God portatemi il my tea haHA HAHA HAHAH AHAHAH
Sottomarino nazista Krapfen-3
«Herr komandant, rileviamo molto traffico radio tra riva e mare. Non si capisce cosa dicono, ma dal numero di trasmissioni sembrano tanti, indaffarati e di buonumore.»
«Informate il comando e chiedete di mandare dei ricognitori.»
ORE 2358
Accampamento militare inglese
«Notizie dagli americani?»
«Bè, io ho comunicato che ritardavamo a chiunque fosse all’ascolto, ma non ho certezza abbiano recepito. Cioè, finora posso garantire per un camionista dello Yorkshire, per un pastore portoghese che mi ha anche invitato a casa sua e un tizio con accento strano che mi ha detto ya ya sehr good aber was cazzo ritardate?»
«Sarà stato polacco.»
«Ma infatti.»
«Comunque direi che annulliamo» fa il capitano, sudatino.
Il colonnello si mordicchia le labbra, poi: «No, no, proseguiamo secondo i piani, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto due cannonate le voglio tirare. Tutti ai posti di combattimento, fuoco alla mezzanotte in punto.»
ORE 2359
Spiaggia
Quando il primo marines esce dall’LST pronto a tutto si trova davanti la noia. La pioggia ha smesso di scendere, la sabbia è liscia e bianca, la quiete della notte disturbata solo dal vento e dalla risacca. I compagni escono passeggiando, spaesati. Non c’è segno di vita.
«Ehi, crucchi, c’è nessuno?» grida un marines al buio davanti a loro.
Grilli.
«Hitler merda!» grida un altro.
Whooosh, fanno le onde.
«Potrebbe essere un tranello, vediamo come rispondono a questo» fa un altro, sparando qualche colpo verso gli alberi nel buio.
Nessuno risponde.
«Qui non c’è nessuno, sergente» dice, mentre altri marines escono dagli LST col fucile in spalla e un sorriso rilassato.
«Facciamo la prova del nove» dice il militare, portandosi le mani attorno alla bocca: «DELISSIA, DELISSIA, ASSIM VOSSE ME MATA, AI SE EU TE PEGO AI AI SE EU TE P
Una tempesta di fuoco trasforma la spiaggia nell’equivalente termico del centro della Terra. Uomini, mezzi, carri armati, jeep, tutto vola verso il creatore in un virile detonar d’armi alleate. Senza perdersi d’animo, la seconda ondata sbarca in mezzo al fuoco sparando all’impazzata verso il nulla.
Nella sala comando della flotta, l’ammiraglio Moon ascolta le comunicazioni dei soldati ed è felice la simulazione sembri così verosimile. Dopo sessanta minuti di sterminio amichevole, gli inglesi spostano il fuoco dietro la linea bianca. Gli americani però sono ribelli e leader naturali, quindi senza indugio oltrepassano la linea per inseguire il nemico e ricominciano a esplodere felici mentre sparacchiano a querce, frassini, odorosi pioppi e sonnolente poiane.
È un giorno glorioso, per la marina degli Stati Uniti.
Nel frattempo le altre cinque LST attendono il loro turno. Sono mezzi grossi e maneggevoli come una vacca sbronza, quindi devono essere sempre scortate da almeno due incrociatori. Sono con loro l’HMS Azalea (inglese) e l’HMS Scimitar (americana). Presi dall’euforia dell’esercitazione, la fregata americana decide di simulare anche lei una manovra di disimpegno. Subito centra un LST e fugge in cerca di riparazioni. La HMS Azalea resta sola, così sola che i sopravvissuti dicono di non averla mai vista. A bordo dell’HMS Azalea un marinaio nota dei motoscafi non identificati approcciarsi alle paperelle in barile dette LST.
«Rigaz, quelli li avete visti?» dice «mica son nazi, vero?»
«Eccallà, il solito paranoico» dice il nostromo.
«Nel dubbio io avviserei il resto della flotta.»
«Così poi ci prendono per il culo? Non serve avvisarli, sicuramente li hanno visti anche loro. Saranno motoscafi dei nostri.»
No.
Richiamati dal porcaio di onde radio, i nazisti arrivano alla festa con nove E-boat pieni di siluri. Quando il primo sventra un LST, il cargo deflagra in un geyser di fuoco alto trenta metri, proiettando un carroarmato nella stratosfera. A bordo i soldati superstiti devono indossare i giubbotti di salvataggio, ma non quelli veri: quelli della COOP, ossia un salsicciotto da gonfiare a bocca e mettersi attorno alle ascelle. Tutto si trasforma in un circo di lemmings. I primi non riescono a trovare il tubicino dove soffiare e affondano come tanti genovesi. I secondi s’infilano il salsicciotto attorno alla vita uso paperella gonfiabile, si tuffano e il peso dell’equipaggiamento li tiene giù mentre il giubbotto gli spinge il culo in su: risultato, affogano a pecorina in centinaia. I terzi dimenticano di slacciarsi l’elmetto, che causa della sua conformazione appena impatta con l’acqua fa effetto sacchetto e col peso dello zaino e dell’uomo da’ una tirata tale da spezzare l’osso del collo. I quarti fanno tutto correttamente, ma si tuffano nell’enorme chiazza di carburante che sta venendo spanto dagli altri LST sventrati, con pirotecnici risultati. I quinti esplodono qui e lì per cannonate amiche, siluri nazisti, mitragliate inglesi.
Presi dal panico, senza istruzioni e con la radio che urla “è tutto finto”, “questo no”, “questo forse”, “questo probabilmente”, tutti aprono il fuoco.
Contro tutti.
HMS Azalea
«SIGNORE!» urla il nostromo «I NAZISTI!»
«Ma perdìo, sparate!»
«A cosa?!»
«Ai nazisti! Quest’esercitazione non è un’esercitazione, fuoco!»
LST 1
«SIGNORE!» urla il secondo «IL 4 È SALTATO PER ARIA! I NAZISTI!»
«Perdìo, sparate verso le fiammate di quei cannoni, sono loro di sicuro! Fuoco!»
HMS Azalea
«SIGNORE!» urla il nostromo «SIAMO STATI COLPITI DA FUOCO AMICO!»
«Dite agli LST di non rispondere al fuoco, riveleranno la loro posizione! E fuoco a volontà!»
LST 5
«NON STAREMO QUI A FAR LE ANATRE!» urla il capitano «RISPONDETE AL FUOCO!»
«A quale!? Qui sparano tutti!»
«Spara nel mucchio, Dio saprà riconoscere i suoi»
Sulla spiaggia
«Dove stracazzo è il tenente?!» urla il sergente della terza ondata.
«Vuole provare a trattare con quel castagno in fiore» risponde il soldato, indicando una figura che si allontana.
«Avrà una medaglia. Dite agli altri di sbarcare, abbiamo bisogno di rinforzi!»
«Non rispondono, signore! Sulla nostra frequenza ricevo solo uno strano glu glu glu e su quella degli inglesi c’è un’interessante inchiesta di Beatrice Bo
«…il bilancio è di 946 morti» conclude il segretario della Difesa, nello studio ovale.
«Però Eisenhower dice che ‘sta cosa ci ha insegnato molte cose.»
«Tipo?»
«Che le frequenze radio bisogna condividerle. Oh, e che i salsicciotti di salvataggio son più da party in piscina che da guerra. Magari potremmo farne un modello a pois per i civili, rientrare nei costi, dare un’immagine più sbarazzina all’esercito. Chissà.»
«Classificate tutto a livello oltre il top secret» fa Roosevelt «nessuno dovrà mai saperne nulla. Ai familiari dite che sono dispersi in combattimento.»
«In Inghilterra?»
«Sì. L’importante è che nessuno sappia mai nulla. Riderebbero di noi fino alla fine del mondo. Esistono prove che tutto questo è accaduto?»
«Oddìo, qualche carrarmato potrebbe sbucare dalla sabbia, ma è improbabilissimo.»
I sopravvissuti all’operazione furono minacciati di corte marziale se ne avessero parlato con qualcuno. Ai medici fu detto di trattare i feriti come fossero veterinari: non dovevano chiedere niente. Quando nel 1974 iniziarono a saltar fuori resti, domande e casini, gli USA dissero che sulla spiaggia della simulazione c’erano stati “solo 29 feriti” e nessun morto.
Parlarono di 639 morti totali attribuiti ai nazisti, ma la BBC sa fare il suo lavoro. Secondo un telegramma segreto di Don P. Moon i morti erano 749. La differenza è di 110, ossia i morti sulla spiaggia seppelliti in fretta e furia in fosse comuni. Tre mesi dopo il D-day, Moon si suicida. Di quell’operazione nessuno parla volentieri. Restano punti oscuri, vaghi o contraddittori. Oggi, i veterani che parteciparono allo sbarco in Normandia, dicono che non hanno incubi sul D-day, ma sull’operazione Tiger.
Nel 1953, Eisenhower fu eletto presidente degli Stati Uniti.