Vorrei tanto lavorare, ma questi cowboy me lo impediscono

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Qualche anno fa.

Se vuoi fare la cronaca bianca di una città hai due strade. La prima è conoscere i nomi e le facce dei cittadini, cosa fanno, di chi sono figli, in quali bar e discoteche vanno, chi scopano, chi mollano. Farti vedere in giro, diventare “el fio del giornale” e passare le giornate in strada, imparando ritmi e respiri della città. Solo che girare costa, per crearsi la giusta rete servono anni e io “i bravi cittadini onesti” li ravanerei tutti di botte.

«Ciao, cosa bevi?»
Una buona regola di un giornalista è non bere per mantenersi lucidi e reattivi.

«Un mojito, poco zucchero e poco ghiaccio»

 

La seconda strada è quella di coltivare i PR naturali. Di solito sono bistecconi brasati nei lettini UVA e gonfi di Nandrolone come petardi che adorano raccontarti vari retroscena scabrosi. Decodificare i loro muggiti ancestrali ti consente l’accesso a un database sconfinato di nomi, informazioni, indirizzi e gossip. Con quei dati puoi arrivare a prevedere le cose. Per esempio, se maschio A della Mestre bene lascia femmina B figlia di industriali perché sospetta lo tradisca con il cubista C, e sai che tutti e tre andranno nel locale X all’ora Y, esserci è una buona idea. Le risse fanno vendere copie.

«Credimi, Graz è un altro mondo» dice il wannabe politico alle mie spalle «trovi tutto quello che vuoi. Bianche, negrOH MARCO DOVE CASSO TI VA?!ne»
Insulto mentalmente il truzzo che mi ha interrotto l’ascolto.

Nei locali non puoi (più) saltare la coda all’ingresso dicendo che sei un giornalista, anzi. Se lo dici ti bloccano e avvisano i tavoli all’interno, dove droga, corna e amicizie scomode regnano sovrane. Invece stando zitto e allungando trenta euro di mancia al buttafuori ce la fai. Del resto, lui ne prende 50 a sera. Ti risparmi i soldi se vai nella sua stessa palestra e ti sei ascoltato il suo sfogo di poliziotto che per 1200 euro al mese si piglia sputi e coltellate da figli di papà, deve pagarsi lui l’uniforme e arrotonda nel locale fuori servizio. È vero a metà: sta sempre facendo il poliziotto e archiviando mentalmente chi spaccia e chi compra per poi riferirlo, ma prende la paga extra dai padroni dei locali che non realizzano di portarsi le forze dell’ordine in casa. Sono gli stessi gonzi che poi sbroccano quando c’è una retata e incolpano le discoteche rivali: “ah, bastardi, mi hanno mandato gli sbirri!!”. Come mi disse qualcuno, “andare a ballare al Muretto o in questura è la stessa cosa”.

«Italiane?» fa l’interlocutore, incredulo.
«Chiaro! Mica possono fare le puttane qui, no? Vanno lì, lavorano, poi tornano. E magaARA CHE GO MI QUEA ROBA, BASTA CHE TI ME FA UN CIAMO!
«Non c’è il rischio che… non so, magari ti AHAHAHAHAH ANCA TI, MORE!
«Noooo, perché? Siamo tutti e due dove non DOMAN, DAI, SE SENTIMO DOMAN!

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Sono al Marghera estate village. Sapevo che ‘sto tizio sarebbe arrivato, sapevo qual era il suo chiosco preferito, bastava sedersi vicino e ascoltare qualunque gossip politico per riferirlo e fare bella figura col mio capoccia. Per una volta, essere anch’io un giornalista che può guardare negli occhi la paraculata dalle ACLI, il figlio del politico di sinistra che stanno in redazione a emulare Camera cafè ma sono tenuti in grande considerazione dai caporedattori, specie quelli che anelano a una futura carriera politica.

«Senti, tornando alla storia del… hm» tentenna l’interlocutore, abbassando la voce.
GIOVANNIIIIIIII NON CORREREEEEEEH
«Tranquillo» minimizza il candidato «sereno, se mi eleggonoGIOVANNIIIIIIIIIrò pur bisogno di consulenze, no? E allora noi facciamo cheGIOVANNIIIIIII

Niente di tutto quello che sto origliando è pubblicabile, ma è riferibile. Nella bianca funziona tutto a riferimenti, la moneta contante dei freelance. Se vuoi fare ‘sto lavoro da zero, oggi, non devi scrivere notizie. A nessuno frega niente del negozio che chiude, delle conferenze stampa della confartigianato o dei premi raccolta differenziata al Palaplip. Per quelli non serve nemmeno sbattersi a mandare un galoppino a far presenza. Oggi gli addetti stampa ti spediscono tutto via mail, ci metti cinque minuti a redigere il pezzo e vaffanculo. La cosa che ti fa fare strada, se non sei di quelli con stage e master a New York, è il numero di riferimenti buoni. Porta in redazione 200 articoli di bianca e t’ignoreranno, portagli 10 gossip controllabili o quasi, e ti inviteranno all’aperitivo. Se sembra un mestiere di merda, non avete fatto ripavimentazione stradale.

«Sono 12 euro» fa il barista.
«QUANTO?!» sbotto.

Il punto è che tutto questo è teoria. La pratica richiede lucidità, capacità, pazienza, pratica e fortuna, motivo per cui io sono fuori luogo come una braciola in una sinagoga. E infatti

«Prezzo maggiorato, c’è il concerto country»

 

 

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Con la faccia deformata dall’orrore mi giro verso il palco. La pista sotto s’è improvvisamente riempita di cowboy. Cowboy.

Ma perché? Chi, cosa ha partorito il country in Italia? Cioè, a un certo punto nella storia del nostro paese una coppia s’è presentata in discoteca vestita da cowboy e non solo non è stata espulsa a bastonate: ha cominciato a ballare così bene da convincere venditori di trattori, addetti alle mietitrebbiatrici, segretarie, impiegate e falegnami a emularli? Cazzo, io dov’ero quando tutto questo succedeva? Soprattutto, perché di millemigliardi di cose che potevano andare a troie, io dovevo avere il tavolo vicino alla parata degli agenti immobiliari in crisi etnico culturale?

«E ORA, DAME E CAVALIERI, IN PISTA!» urla il cantante, poi parte una musichetta di banjo e le assi di legno detonano in un fragoroso trum trum trum. Donne e uomini vestiti come rincoglioniti danzano in coreografia.

Quante possibilità c’erano?

Voglio dire, io sono un ex rapper. Anche noi copiavamo una cultura americana per scopare, ma avevamo 16 anni. Quale dramma umano spinge un ragioniere di provincia a presentarsi alla sagra della sbrisa col cappello da sceriffo di Ritardatown? Eazy E mi diceva di fottere la polizia, ma per vivere country cosa fai? Ti lanci al galoppo di un Fifty in parco Bissuola? Prendi obese al lasso? Come socializzi con gli altri, dici “bella raga, anch’io ho quarant’anni e voglio giocare ai cowboy”?

«A… E… UTO, …ITO?»
«…OSA?!»
«…AMO …À, uAembrr …TO!»
Guardo i due alzarsi e allontanarsi col bicchiere in mano, la morte nel cuore, il Vesuvio negli occhi che erutta lapilli su questi allegri baggei che scalciano e si prendono a braccetto, danzando.

«Anche tu sei qui per il country, eh?» fa il barista.
Non rispondo, perso in immagini di carneficine.
«Io son matto per l’honky tonk style» precisa.

Oggi sono andato a vedere cazzo fosse ‘sto Hoky tonk. Il primo risultato su Youtube è un barile di lardo che suona il piano circondata da cadaveri in carrozzella che vagano senza meta urtando contro i muri. Giuro, non ce n’è uno che deambuli con le proprie estremità. A 0.41 entra in scena un ippopotamo che va a cazziare un cadavere, poi appare una negra e ne cazzia un altro, tutto con musica da saloon live.

«No, a me piace il rap» rispondo.
«Ma è roba vecchia!» ride…

 

 

 

 

 

 

…e Il resto lo sa, immagino» concludo davanti all’appuntato della pattuglia che mi scruta tentando di rimanere impassibile. Dice che il barista non mi ha denunciato per l’aggressione e domanda se ho qualcuno che può venirmi a prendere, perché di farmi guidare non se ne parla. Il giorno dopo in redazione domandano se per caso ieri sera ero al Marghera village, perché c’è stata una rissa. Dico di no.

«Ma cazzo, Nebo» fa il capoccia «devi imparare a essere nel posto giusto»