Una notte al Decadence fetish hospital



Arriviamo all’ingresso verso l’una. Io sono vestito da dottore, la Leo e la Fra da porno infermiere con tacco 569 e due miei amici che non hanno capito un cazzo e sono in camicia elegante con sopra un camice. In strada c’è una dark raggomitolata in posizione fetale, coperta da un cappotto. La coccola un emo dall’aria stravolta. In fila c’è uno con una calzamaglia a scacchi che gli copre il viso, un berretto da ufficiale nazista, bastone settecentesco e stivali borchiati. Escono due ragazzine sui 19-20 con addosso solo un perizoma, stivali di lattice, reggicalze e bustino. Una ha nastro isolante per coprirsi i capezzoli. Si mettono a fumare, ignorate da tutti.

– Dovete fare la tessera, vero? Di qua – fa il buttafuori indicando una porticina secondaria.



Dentro ci accoglie una mummia coperta di sangue con un collare di siringhe, due aghi che gli trafiggono le sopracciglia ed il cervello di fuori. A fianco c’è uno in pannolino e capelli blu, entrambi molto cordiali. Fotocopiano i documenti, ci fanno compilare il modulo e ci spediscono all’ingresso vero e proprio. Questo giro due travoni in abbigliamento da regine del deserto pigliano 20 euro a testa e rilasciano regolare tesserino.


– Signori buonasera, mi fate vedere il vostro abbigliamento, per favore? – chiede una donna.


Apriamo le giacche, ci ispeziona rapidamente, fa segno di entrare. Per capire l’atmosfera dovete immaginare Marilyn Manson che scopa Lady Gaga sul set di Mad Max. Ovunque infermieri e dottori sporchi di sangue, pazienti in fuga con cuore ed organi vari scoperti, zombie, un vero paralitico in sedia a rotelle, tizi vestiti in una versione gay di Neo, donne uscite da set di film porno, fruste, catene, aghi, ganci, tatuaggi. Dopo una fila per il guardaroba dietro a tre tizi vestiti da incursori raggiungiamo il bancone. Un havana cola 5 scudi. Sono appoggiato in attesa di pagare quando una donna al mio fianco mi avverte di stare attento al suo cane. Guardo verso il basso e c’è un tizio a quattro zampe con addosso solo una maschera da dobermann ed un paio di mutande in pelle nera. Prima che io riesca a dire qualcosa lei se ne va tirandoselo dietro per il guinzaglio. Lui la segue gattonando in mezzo al cacaio che c’è in terra.



– E’ tipo il posto più figo dell’universo – urla la Leo.

La Francesca è a bocca aperta, occhi sbarrati, sorriso estasiato ed occhio lucido della ventenne che ha appena avuto una botta ormonale. 

– Le cose che farei a quel dobermann – sogghigna.
Non approfondisco. 

Paolo e Frank li ho già persi nella calca. Armati di cocktail raggiungiamo la prima stanza dove una colonna sonora psicotica fa da cornice ad uno spettacolo non meglio definito. Ci saranno un centinaio di persone in cerchio. Dal mio metro e ottantatrè riesco vedere solo la faccia di una tizia che urla dal dolore, un ragazzo con camice e volto tatuato che armeggia su di lei e, sulla destra, un vero paramedico del SUEM che osserva il tutto. Chiedo ad uno spilungone vestito da spartano che stanno facendo.

– Operazioni senza anestesia –

Mi faccio largo tra la folla con il metodo diagonale, incredulo. La tizia sul tavolo operatorio è una moretta sui 25 anni con più piercing che capelli. Ha il braccio trafitto da una cinquantina di aghi, una ferita aperta ed il tipo che ci armeggia dentro con un bisturi. Le grida di lei sono coperte dalle casse che sparano suoni distorti e grotteschi. Il vero spettacolo è la faccia delle persone presenti. Su tutte spicca quella dell’unico vero infermiere del SUEM; occhi spaesati e perplessi di chi tra qualche minuto dovrà spiegare per telefono al chirurgo cardiovascolare cos’è successo prima che la tizia muoia dissanguata per essersi fatta recidere l’arteria brachiale per giuoco. 




Trascino via le ragazze e troviamo una stanza dove apparentemente si può ballare. La musica è trance o come cazzo si chiama, i tentativi di rimorchio sono pochi e garbati. Mi aspettavo le care vecchie scazzottate del 2001 all’Odissea di Quarto d’Altino, ma dopo mezz’ora che balliamo capisco che qui non potrebbe succedere niente del genere. Son tutti personaggi tranquilli di un’età che va dai 18 ai 50+. Abbastanza provati ritroviamo Frank e Paolo che si stanno rimorchiando due lolite goth. Li lasciamo lavorare e vaghiamo esplorando. C’è uno coperto di catene con un cilicio che sanguina. Una vestita da suora con il culo di fuori. Decine di dark dall’aria assente. Passando, uno in giacca e torso nudo mi annusa. Saliamo una scala e dopo cinque minuti di attesa entriamo nella bondage room, musica rilassata ed una donna sui 40 legata con otto milioni di corde ad una gabbia d’acciaio. Un individuo dall’aria sinistra la gira, le frusta la fica, la appende. Uno vestito da militare sta ciucciando i capezzoli di una quarantenne aggrappata ad una ringhiera. Attorno le persone bevono e chiacchierano, disinteressate. 

Nei posti che ho frequentato una cosa del genere avrebbe scatenato un putiferio di urla, insulti, derisioni ed inevitabili risse. Qui no, forse perché sotto tutto quel trucco ci son davvero occhi miti e intelligenti. Ci sono buone probabilità io sia l’unico non laureato in tutto il locale.




La barista, una lesbo hardcore con la testa rasata e le lenti a contatto rosse, la sta buttando alla Leo insistentemente. la tiro via per l’orecchio. Scendiamo le scale e troviamo una ressa composta ma scalpitante di fronte all’entrata di una stanza guardata da due travestiti che indicano e ripetono insistentemente questo:



– Voi quanti siete? – domanda.
– Tre –
– Falli passare. Entrate, entrate –
– Momento, che c’è là dentro? – chiedo.

Mi sorride: – Dai, dottore, non farmi l’ingenuo, eh? Hahahaha!

Ha, ha, ha. Cazzo ride? La stanza è piccola, musica tecno bassa, separée e penombra quasi impenetrabile. Sui divanetti vedo un tizio grosso come un armadio che si tromba a pecorina una alta si e no un metro e cinquanta. Un uomo con la cresta sta facendo un pompino ad un altro con una maschera da cavallo. Cerco le ragazze che si sono messe contro il muro. Le raggiungo stando attento a dove metto i piedi.

– Guarda, non è per cattiveria, ma nel culo proprio non mi entra – spiega scocciata una voce femminile alla mia destra. 

Guardo. Sta cavalcando un paziente fasciato. L’altro, un goth coi capelli lunghi, rinuncia alla doppia penetrazione, torna davanti e le mette il pistone dell’amore in bocca. Tutto è bene quel che finisce bene. Usciamo dalla darkroom dopo una decina di minuti. Ho un improvviso bisogno di bere e di fumare, così piglio un gin lemon e raggiungo l’uscita dove trovo i miei due compagni che proseguono la loro opera rimorchiatoria. Bisogna dire che qui dentro è un terno al lotto, non puoi mai sapere se poi finite in bagno e quella papparappà, ha la sorpresa.





Alle 5.20 di mattina ho la malsana idea di andare da solo nel bagno delle scale, dove c’è una versione hardcore della darkroom e qualunque cosa viva scopa qualunque altra cosa viva su qualunque posto. C’è una seduta a gambe aperte su un orinale che si sta facendo sifonare dalla copia sputata dello storpio di Pulp fiction. Ci credo che non si può entrare con animali, qui dentro dopo una certa ora rischi che si scopino pure quelli.

Arriviamo in albergo barcollanti, di Paolo e Frank non abbiamo notizie fino al mattino dopo quando ci telefonano dicendo che è andato tutto bene, erano donne.


Nel complesso concordo con la Leo: è il posto più figo dell’universo. Fanno eventi in media ogni due settimane. Appena posso ci torno.