Un giorno con un agente immobiliare

e61f9e543ca911a08121a1bcb50aa159

Sono in macchina con l’agente immobiliare, un’Audi A6 immersa nel traffico di Milano. Lui ha la mia età, una cravatta regimental anni ’90 larga come una pinna, un completo Pal Zileri da matrimonio mafioso e scarpe a punta. Dice che sto per vedere un quartiere molto sportivo.

«I giovani oggi vogliono una location poliedrica, che gli permetta di interfacciarsi con immediatezza a realtà differenti dalla loro. Il social è anche street, oggi.»

Vorrei cacargli in faccia e andarmene, ma ho bisogno di una casa. Così faccio finta di capire cosa cazzo abbia detto. Mi domanda se sono sposato, dico che ho una ragazza.

«È una… vecchio stile o moderna?»
«Non la seguo.»
«Cioè, bada alla differenza tra il sesso consensuale e quello diversamente consensuale?»
«Mi sta chiedendo se le piace essere stuprata?»

Spiega che a Milano la parola “stupro” non si usa in caso di violenza sessuale. Qui una donna dice di essere stuprata se la critichi o se è pentita di essere venuta a letto con te. La violenza carnale, a Milano, si chiama sex misunderstanding. Rifletto sui pro e contro della bomba a piazza Fontana quando dal finestrino noto un uomo. Corre tenendosi un braccio sanguinante, inseguito da tre energumeni. Dico all’agente di fermare la macchina, ma lui ride e scuote la testa.

«Le ho detto che questo è un quartiere sportivo. Quelli stanno facendo reality fitness. Si tratta di jogging, parkour e crossfit insieme. Serve a simulare una rapina per rendere l’allenamento più real, invece del solito monotono weight lifting. Stanno benissimo, si fidi.»

Dico che mi pare una puttanata, ma lui dice che a Milano è così. Tutto si mescola, qui. Ci sono officine con bar, librerie con discoteche, fabbriche con ristorante, negozi d’abbigliamento con pizzeria, palestre con vegan pub e negozi di alimentari sostenibili con iPad e arredi Zara home. Rassicurato, osservo l’uomo venire massacrato di botte. Dall’altra parte del marciapiede una coppia con un bambino urla in mezzo a un capannello di persone. L’agente nota la scena e mi tranquillizza ancora: si tratta di uno scambio culturale. In certe zone di Milano, quelle più cosmopolite, a volte esci a fare la spesa e quando torni trovi in appartamento altre realtà familiari.

«Cioè la suburra ti espropria casa?»
L’agente ride del mio provincialismo.

2d54c775fee362a7e5257521f5d2c738

Milano ha voglia di fare e disfare, costruire e ricominciare. Dunque i desperados ti fanno un favore ad alleggerirti. Un trasloco coi computer, la televisione, la lavatrice, i mobili è uno strazio. Invece così prendi il bambino e sei pronto. Un nuovo inizio. Mobilità, questa è la parola chiave. Aggiunge che coi giusti mediatori culturali è possibile comunque ottenere indietro qualcosa, tipo la roba di valore affettivo. Questo mi conforta. In sette anni mia morosa ha buttato via ¾ del mio guardaroba mentre io non ho ancora trovato il modo di far sparire il suo pelouche demmerda; è bello sapere che nemmeno un manipolo di zingari può riuscirci.

Parcheggia sotto un condominio grigio circondato da aiuole che pullulano di immondizia. Tra il ciarpame noto figure umane coperte da cartoni, sacchetti della spazzatura sventrati. Uno sta cucinando un ovetto al tegamino su un falò, accompagnandolo da un delizioso Tavernello. L’agente dice che non devo preoccuparmi, si tratta di una precisa scelta stilistica dell’interior designer. Ora va l’industrial grunge, ma domani se gli gira potrebbero essere tutte boiserie di noce e carta da parati. Quando domando se è vero, mi dice di leggermi qualche rivista d’interior design.

Con la tessera dell’arcigay ti fanno lo sconto.

L’ascensore ha due travi di legno che formano una X. Sui muri leggo Rekon, Jamal Abi, Degrado Krew, Milano Bronx d’Italia, Welcome to favelas, Francesca troia, w lega nord. Le scale sono impreziosite da un tappeto marroncino che sospetto un tempo fosse rosso. Arriviamo al sesto piano senza incontrare anima viva, né sentire alcun rumore provenire dalle case. Al terzo mi sembra d’intravedere un uscio socchiuso. C’è odore di urina, vomito e qualcos’altro che somiglia a muffa e mostarda. Dico che per me possiamo anche andare perché qui dentro sembra il set di Fallout, ma lui insiste dicendo che sono provinciale. Qui, spiega, abitano fior di laureati.

«Guardi» dice, suonando un campanello a caso.
«Chi rompe collioni?» risponde l’interfono.
«Salve, sono l’agente immobiliare Vanghetti, volevo sapere se lei è laureato.»
«Sono laureato in coltelli, filio di putana, vengo giù, ti ammazzo.»
L’agente dice che oggi si laureano in un sacco di cose.

Sono sei mesi che giro appartamenti con tutte le agenzie immobiliari possibili. Le stesse che dal vivo mi fanno vedere cacai immondi, poi via mail mi mandano posti stupendi che costano tre volte il budget che gli ho dato. Alla fine ho risolto grazie al passaparola. A trentacinque anni ho imparato che non importa se vuoi andare in affitto o comprare: importa solo evitare le agenzie immobiliari. Ora inizia il capitolo mobili, dove forte del mio passato da falegname mi sono fissato col recuperare vecchi mobili, restaurarli o farmeli per conto mio evitando il più possibile la plastica e le gite all’Ikea, che temo più della morte.

10447082_890649084336824_7691550927573940282_n 10322627_890649287670137_9168927388705632502_n 10464075_890649441003455_6569190239982224678_n

Ma questa è un’altra storia.