Il buon anno del mio migliore amico

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«…e così ho vinto il master con il dottor Brazzilio Garrusoni Analkin Cristo, non so se sai chi è, tipo Dio.»
«Complimenti» dico.
«Sì, lui ha un approccio tutto suo, pazzesco. Appena uscita mi ha contattata la Rudolph&Ciccino per uno stage. Non pagavano quasi niente, però non hai idea delle cose che sono successe dentro.»

Caterina è bionda, un fisico splendido avvolto in un tubino nero e un paio di plateau neri di quell’altezza in bilico tra la manager e la pervertita. Lavora nel mondo delle banche, ha 26 anni ed è single perché il suo candidato marito all’ultimo minuto ha cambiato idea. Al primo appuntamento si fa la ruota cercando di mostrare il meglio di noi e di ridurre al minimo il peggio. È un sottile equilibrismo tra balle clamorose, mezze verità, omissioni ed egopatia. Devi essere affidabile, rispettabile, economicamente stabile, socialmente integrato, sportivo ma non fissato, simpatico ma non idiota, maschile ma non aggressivo e così via. Non devi solo venderti, devi saperti vendere bene.

«…così son stata io quella che ha dovuto rimediare a tutto, ti rendi conto?! Una stagista!»
«E io che pensavo la banca fosse un lavoro noioso.»
«Noo, perché tu vedi l’esterno! In ufficio ci son giochi di potere paurosi. Ti racconto questa.»

Lo vedo entrare dalla porta principale. Pupilla lucida, lieve barcollare, sporge il collo per annusare un tizio che sta pagando al bancone. Si ritrae schifato.
Il cuore mi diventa pietra.

«…lla fine ho dovuto sistemare tutto io, perché sono solo la stagista, capito? Così. Ti sembra normale? A un’altra è capitato che»

Lui mi vede. Vede la sedia dove c’è lei.
Riporta gli occhi nei miei. Sogghigna.

«Ti annoio?» chiede Caterina.
«Nononono» dico, mentre sotto il tavolo gli faccio cenno di andarsene.
«Perché questa è la mia vita, oggi» dice lei, seria.
«Certo.»
«Sono una che s’è fatta un mazzo così per arrivar
Ario si siede sulla terza sedia, prende il mio bicchiere, lo beve guardandomi negli occhi e lo riappoggia sul tavolo.

«Dove sono i miei soldi, negro?»

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«Caterina, questo è il mio migliore amico, Ario» dico «e sta per andarsene.»
«Ensciantè madamuasèl» dice lui, facendole il baciamano «ho interrotto qualcosa?»
«Hahaha no, anzi!» fa lei «ho l’occasione per fare un interrogatorio incrociato! Il tuo amico è una brava persona come sembra?»

«No.»

Caterina fa un errore molto comune, ossia fa buon viso a cattivo gioco. Cerca di essere cortese con Ario. È sbagliato. Ario va trattato alla stregua dei tossici per strada che cercano di attaccare discorso. Va ignorato con il più gelo possibile. Non deve capire di essere stato visto o notato, perché qualunque essere vivente è una potenziale tanica di benzina senza tappo.

«Scherza, non ci badare. Cosaaa… cosa fai a capodanno?» dico.
«Ho deciso che lavoro» dice Ario, alzando la mano per chiamare il cameriere.
«Il 31?» domanda Caterina «che lavoro fai?»
«Il saldatore a porto Marghera, ma ovvio, il 31 la fabbrica è chiusa. No, no, dicevo spacciare.»
Caterina scoppia a ridere.

Nessuno di noi due la emula.

 

 

Caterina smette.

«Parla sul serio?»
«Mica droga vera. Vendi pacchi agli sbarbati. Non le hai raccontato i tempi in cui vivevi da sfollato? Ogni mattina doccia fredda con le taniche d’acqua che si riempiva in palestra della piscina del Bissuola…»
«Cosa?» fa Caterina, alzando un sopracciglio.
Il cameriere prende l’ordinazione di Ario. Io tracanno tutto il whisky e soda e gliene chiedo un altro.
Tanto, ormai.

«Sì, sì, viveva in un garage subaffittato a sala prove a Marghera, davanti al molo in via dell’Elettricità. Zero gas, zero acqua corrente, manco nel cesso. Così usava le taniche di plastica dell’acqua distillata, hai presente? Se ne metteva quattro in borsone e le riempiva lì, ‘sto brutto morto di fame.»
«Ma perché?» mi chiede Caterina.

«È una storia lunga e personale» dico.

«Soprattutto è una storia di pura illegalità. È così che ho conosciuto il manolesta, qui. Porta Nebo in una stanza tipo The Cube e troverà comunque qualcosa da grattare, è come se avesse la colla sulle mani. Ti ricordi che giornate? Sveglia alle sei, tanica e saponetta arrubbata, colazione alla terrona nella hall degli alberghi più prestigiosi e poi via, rubbare e truffare, truffare e rubbare. La connessione…

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…sniffata all’ufficio, i mobili del rigattiere nella stufa, il bottino dei cassonetti Caritas pronti per essere venduti ai mercatini, i tronchi di legno coi paralumi spacciati per lampade di design… Tempi gloriosi. E poi, la droga.»
«Cioè eri un bestia punk?» fa Caterina.

«Nooo, tranquilla, solo un drogato» fa Ario, facendo il gesto di rassicurarla.

«Ario, per piacere» dico.
«Giusto, torniamo alla finta droga. In pratica…»
«Te ne vuoi andare?»
«In pratica mia madre inghiottiva pastiglie omeopatiche perché scorreggiava come un dinosauro» fa Ario, prendendo la birra dalle mani del cameriere «noi le tritavamo sul tavolo, aggiungevamo un po’ di chiara d’uovo, coloravamo con l’inchiostro delle cartucce stilografiche, mescolavamo. Usciva un fanghetto secco, azzurrino. Facevi lo stampo coi contenitori dei sigari, con lo stuzzicadente incidevi un cuore, uno smile o una lettera, aspettavi che si seccasse e poi via con la mia 127 a vendere ‘sta merda al Goduria, all’Extra Extra, in tutti quei posti dove gli zappamostro s’accoppiano. Appena vendevi la prima facevi partire il conto alla rovescia di un’ora, poi telavi.»

«Perché un’ora?» fa Caterina.

«L’MDMA ci mette un’ora a fare effetto, circa. Non è detto che chi la compra la prenda subito, ma così sei sicuro di volatilizzarti prima che s’accorgano della truffa. Un paio di volte c’hanno riempito di botte, ma basta mettersi la conchiglia nelle mutande e sei abbastanza tranquillo. O i paratibie perché tanto hai le braghe da rapper e non si vede. O i libri sotto la felpa tenuti fermi dalla cintura, se proprio c’è aria di coltello negro. Ti ricordi all’Euroafrique?»

«Sta esagerando» dico.
«No no, tutto vero. Sono il suo migliore amico. Abbiamo litigato una volta sola a capodanno per colpa di una zoccola.»
«NO!» dico.
«Ooh, ma che meraviglia» fa Caterina «chiami così tutte le ragazze?»
«No. Solo quelle che danno il culo per soldi sul terraglio alle tre di mattina.»
Silenzio.

«Cioè… andate con le prostitute?!»
È goal.

«AHAHAHAHA HAHAHAHA HAHAHA» fa Ario.
«AHAHA HAHAHA HHAHAHAHAAHA HAHAHA» fa il cameriere.
«AHAHA HAHAHA HAHAHAHAH HAHAHAHA» fa il barista.
«OOHA HAHAHA HAHAHAHA HAHAHAHA» fa il tavolo di fianco al nostro.
«AHAHA AHAHAH AHAHAHAHAHAH HAHA» dice un uomo, entrando nel locale con un casco da motocicletta sottobraccio.

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«P-potrebbe essere capitato» dico.
«Sì. Diciamo che se entri in una gelateria, è pieno di gente che mangia il gelato, c’è un banco pieno di gelati e dietro il banco c’è un tizio vestito di bianco con in mano una paletta, potrebbe capitare che sia il gelataio» fa Ario.
«Siete disgustosi» fa lei «gli uomini veri non hanno bisogno di andare a puttane.»
«Nemmeno tu hai bisogno di cioccolata, eppure scommetto che ti scofani Nutella alla vavavuma» fa Ario «non hai neppure bisogno di una camicetta nuova, ma scommetto il tuo armadio trabocchi di ciarpame. Quindi?»
«Ario, vattene. Per piacere. Mi sto incazzando.»
«Dov’ero? Ah, sì, la zoccola. In pratica torniamo dall’Area city fatti come faine dislessiche, sai quando provi a parlare e le lettere ti escono a casaccio, tipo isivsto hai la occozzola slu blobobordo stradada. All’altezza di villa Salus vediamo ‘sta tipa in giarrettiera. Non vogliamo intaccare i meritati guadagni, così decidiamo di trombarla in doppietta per risparmiare.»
«Ma che schifo!»
«Ario» dico.

«Devi capire che la tensione era alle stelle, il sangue al cervello scarseggiava, la pecunia anche, bisognava riuscire a penetrare in fretta prima dell’inevitabile down da bamba per cui finisci a cacare a bordo strada convinto di morire.»
«Benissimo, bravi» fa Caterina.

«Lo so, ma aspetta ad applaudire. La negra si dimostra subito una scaltra opportunista, mentre nel cuore speravamo che essendo noi giovani e gagliardi optasse per il gratuito. Capita. Invece la sguattera voleva estorcerci del danaro. Per il culo spara somme spropositate e rinunciamo in partenza, ma stacchiamo cinquanta euro per bocca e figa. La carichiamo e c’è il primo problema, ossia che in macchina non puoi trombare in tre, capisci? Dunque la mettiamo a pecora dietro la casetta del distributore di benzina. Facciamo pari e dispari, vinco io e mi prendo la bocca, perché aveva le chiappe congelate e sbatterci contro è sgradevole.»

 

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«Il galateo impone che nella doppietta dopo un po’ fai cambio.

«Il galateo» ripete Caterina, non si capisce se intenzionata a ridere, piangere o vomitare.

«Sì, insomma, le normali regole del viver civile. Ma Nebo non ci pensa nemmeno, perché sospetto voglia tentare il colpaccio.»
«Cosa, rapinarla?» fa Caterina.
«Senti, davvero, sta inventando tutto» dico.
«Glielo butti al culo di sorpresa e contemporaneamente rilanci di dieci euro» spiega Ario, mimando il gesto di togliere il cazzo da un buco e metterlo nell’altro «lei a quel punto ci son buone probabilità lasci fare perché ha fretta. Solo che io voglio far cambio. insomma, è mio diritto. Così ci mettiamo a litigare con ‘sta zoccola in mezzo che va avanti e indietro. Insulti pesanti, escono i sentimenti e tutto.»

Vorrei non accorgermi che tutti i tavoli attorno stanno ascoltando.

«Morale della storia, finiamo a turno. Almeno Nebo in ‘ste cose è affidabile. Voglio dire, vai a trans con Luca e una volta su cinque gli scappa l’orgasmata violenta.»
«A Luca?» chiedo.
«Sì, sì. Fastidiosissimo. Come sborra attacca a prendere a pugni nella nuca ‘il viados, matematico.»
«Fate schifo» sentenzia Caterina «tutti e due, siete la prova che i maschi sono merda.»
«Sì. Ma tutto questo mi porta al capodanno del 2006» fa Ario, bevendo.
Caterina fa per alzarsi.

«Aspetta, devi saperla tutta» la ferma Ario.
«Faccio a meno, grazie.»
«Caterina, pensaci. Pensa a quante cose potrai raccontare al tuo prossimo appuntamento: una volta sono uscita con uno che. Pensa la telefonata che farai alle amiche appena esci da qui. Davvero vuoi rinunciare a tutto questo? Cinque minuti, dopo i quali qualsiasi altra persona conoscerai potrai dire ehi, è comunque meglio di quello lì. Sei giovane, bella, hai tutta la vita davanti. Starai seduta ad ascoltare uomini parlare di master e viaggi e li saprai apprezzare ancora di più. Molte donne oggi sono infelici perché hanno la testa impestata di stronzate dai telefilm. Standard troppo alti. Qui puoi conoscere il fondo del barile grattato, Caterina. Comunque te ne andrai da quella porta senza tornare mai più, ma puoi scegliere se rendere i prossimi centoventi secondi un’esperienza di vita o un aneddoto da dimenticare.»

È raro avere il privilegio di vedere gli occhi di una persona che ti odia. Oggi è tutto digitale. Silenzioso. Invisibile. Nessuno si prende più la responsabilità di confessare l’odio. Lo si maschera con battutine acide, lo si camuffa con sorrisi di circostanza. L’odio è più difficile da confessare dell’amore, forse perché ci mette sul serio a nudo. Non puoi criticare qualcuno, se ama. Se odia, invece, è vulnerabile. Magari è per questo che gli animalisti dicono di amare gli animali: suona meglio di dire che odi la società. Hitler amava gli ariani, dopotutto.

Caterina si siede con il naso e le labbra che tremano di disgusto.

«Sentiamo» dice, mettendo le mani sul tavolo.

«Brava. Il timer ci scatta che mancavano venti minuti a mezzanotte» fa Ario «e il Drogatoio 69 non è posto dove conviene stare, se hai truffato qualcuno. Così decidiamo di tornare verso Mestre. È chiaro che festeggeremo la mezzanotte in autostrada. Ci pigliamo male, anche se abbiamo svoltato bei soldi. Così andiamo in Autogrill. In parcheggio ci son tre camion. Entriamo, i commessi sono solo maschi, tutti con la faccia di chi sa fare un coltello con una lametta da rasoio. Ci guardano, li guardiamo, e scoppiamo a ridere. A mezzanotte ci offrono tutto, fuori c’era un camionista slavo sbronzo perso che correva nudo… E poi, all’una, come succede tra uomini in certi casi, ci si racconta. Non c’è la fica, possiamo dire la verità. Ecco allora uscire la rapina sgamata, lo spaccio sbagliato, il furto, lo scippo, la truffa. Le dipendenze più disparate. Dio, se solo avessimo avuto un paio di zoccole sottomano sarebbe stato il capodanno perfetto.»

«Finito?» fa Caterina.
«Sì.»
«Bene. Grazie per questa splendida lezione di fallimento umano» dice, alzandosi.
Evito accuratamente di guardarla in faccia mentre se ne va. Quando la porta si chiude, il tono di voce dei tavoli vicini ritorna a volumi accettabili. Bevo una lunga sorsata.

«Sai cosa penso?» fa Ario.
«No.»
«Era bello, rubare.»
Buon anno, signori.