Un attentato da leoni

Pattaya+Bars

Nel febbraio 2012 a Bangkok ci sono 28 gradi all’ombra, l’aria è quieta e immobile. Le strade traboccano di venditori, carretti, scooter, biciclette e ultimi turisti. Sunan, tassista di 43 anni, percorre a passo di capra il quartiere Ekemai alla ricerca di eventuali clienti. Vediamo piccole prostitute, ladruncoli, spacciatori, buttadentro, commercianti, un iraniano coperto di sangue che agita una bomba a mano urlando “taxi”, turisti che fanno fotografie, il sole tra le p

 

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Facciamo qualche passo indietro.

 

Il sogno di Ahmadinejad è avere la bomba atomica, il Philippe Patek degli status symbol per estremisti di un certo livello. Al mondo però non piacciono le sostanze radioattive in mano ai pazzi, così Ahmadin dichiara che l’Iran necessita di centrali nucleari per scopi energetici. È come dire che il Venezuela ha bisogno di figa. L’idea che l’Iran e i suoi schioppados siano in grado di polverizzare Israele premendo un tasto non aggrada gli USA. Gli ammeregans tramite chiavetta USB iniettano Stuxnet; un virus informatico che da un lato imputtana tutto, dall’altro fa sembrare tutto funzioni. Risultato, Ahmadinejad non osa accendere manco mezza centrale perché non sa se i sistemi sono infettati e rischierebbe di trasformare l’Iran in Chernobyl director’s cut extended version. Incazzatiello, decide di vendicarsi contro Israele usando il metodo vintage.

«Allora, Alì, che mi hai procurato?» domanda Ahmadin al suo segretario, entrando nel salone del palazzo.
Tutti gli uomini si alzano in piedi, fieri.
«Lasci che le presenti i nostri guerrieri» dice Alì, indicando il più grosso «lui è Assan “Cammellator” Ramallah, lo chiamano così perché s’è addestrato con gli americani e una volta, fatto di eroina, ha ammazzato tutti i cammelli»
«Mi fissavano» precisa Assan «quei cammelli mi fissavano»

«Lui invece è Madib “Miracle blade” Al-Arab, è talmente abituato a usare bottiglie rotte che ormai le usa anche per affettare il pane»
«Poffa il profeta protefferfi» sorride Madib mostrando gengive imperlate di schegge verdi.
«E ora il più puro dei nostri soldati di Dio» sancisce con orgoglio Alì, mettendo una mano sulla spalla dell’ultimo «lui è Saied “San Culamo” Moradi, 28 anni, segue i precetti del Corano rigorosamente»
«Chi è quella?!» sbotta Saied, indicando nell’angolo «cosa ci fa una donna, qui?! Chi l’ha fatta entrare?!»
Tutti seguono l’indice con lo sguardo.

«È un sacchetto della spazzatura» dice Ahmadinejad.

 

 

«Hm»

Il dittatore prende per il collo il segretario e lo porta via: «Questi avanzi di psichiatria dovrebbero essere i migliori kamikaze iraniani?» domanda a denti stretti.
«Maestà, sia comprensivo, abbiamo perso il migliore»
«Jamal? Che fine ha fatto?»
«Ha spedito una busta esplosiva negli USA ma l’affrancatura era insufficiente»
«E quindi?»
«È stata rispedita al mittente. Così lui l’ha aperta e…»
Ahmadinejad chiude gli occhi. Allah, perché tanto ritardo mentale?

«Avevamo un campo d’addestramento» fa il dittatore.
«Sì, ma siamo a corto di alunni. L’ultimo istruttore ha spiegato troppo bene come indossare le cinture esplosive»
«Troppo…?» tenta di indovinare Ahmadin.
«Sì, ha detto “prestate la massima attenzione, ve lo faccio vedere una volta sola”, poi bum. Hanno trovato una gamba sul tetto ieri. Però almeno ora il mondo sa che i nostri istruttori sono una bomba» ride Alì, menando una pacca sulla spalla al dittatore.

È un tipo allegro, Alì.

 

Nel cortile del palazzo è un tranquillo pomeriggio di sole. In sottofondo si odono gli schiocchi della frusta seguiti dai gemiti di Alì.

«Allora, miei guerrieri, gli obiettivi sono tre: nuova Delhi, Tbilisi e Bangkok. Chi vuole andare dove?» domanda Ahmadinejad.
«Per noi è lo stesso, maestà» dice Cammellator «viviamo da tutta la vita nella povertà più assoluta massacrandoci di seghe, mangiando pane raffermo, bevendo acqua stagnante e pregando Allah. Non temiamo difficoltà o stenti»
«Voi siete uomini puri, amico mio» annuisce ammirato il dittatore «non immaginate quali nequizie ci sono là fuori. In voi vedo la purezza dei martiri, con che coraggio posso mandarvi a morire laggiù?»

«Non comprendiamo» dice Saied.

«La Thailandia è una capitale del vizio. Ovunque troverete prostitute capaci di cavalcarvi per ore e ore mentre lesbicano altre meretrici. Corpi sodi e minuti, tette ingigantite da mastoplastiche e culi marmorei, aperti a ogni tipo di fornicazione. Poi alcool a fiumi, birra, rum, whisky, per non parlare di maiale cucinato in ogni modo a ogni angolo di strada. E droga, amici miei. Droga. Montagne di droga. Oppio, ganja, cocaina, tutto di qualità purissima. Inoltre avreste un conto corrente illimitato, merito dei nostri ricchi finanziatori» scuote la testa Ahmadinejad, schifato «voi siete martiri. Meritereste di morire circondati da sabbia, umiltà, morigeratezza. Due di voi andranno a Nuova Delhi e a Tbilisi, ma chi di voi si sacrificherà andando a Ba
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Cammellator arriva a Tbilisi, scopre qual è la macchina dei diplomatici e attacca la bomba sotto la marmitta, luogo visibile anche a un imbecille. L’autista passa di lì, nota l’ordigno, chiama la sicurezza e la bomba viene disinnescata senza problemi. Il mattino dopo arrestano un idiota che in mezzo alla strada continua a premere il pulsante di un telecomandoMiracle blade, a Nuova Delhi, mette una bomba sotto il bagagliaio del minibus che dovrebbe trasportare diplomatici israeliani. Esplode uccidendo le valigie mentre quattro persone si domandano chi ha scorreggiato. Ad Ahmadinejad resta una sola, ultima, disperata possibilità: la squadra di Moradi.

 

 

Saied Moradi, Mohammad Khazaei e Masoud Sedaghat Zadeh escono dall’aeroporto di Pattaya alle 22. L’idea è quella di trovare un albergo a basso prezzo per non intaccare troppo le finanze di Al Qaeda, svegliarsi di buon’ora, pregare, documentarsi sull’obiettivo e vivere in ristrettezze economiche fino al giorno dell’agguato. Questo splendido programma viene polverizzato da una ragazza-buttadentro che all’ingresso del quartiere turistico regge un cartello.

8562158(Che per la cronaca non è photoshoppato)

I tre dicono “vabbè, una birretta, giusto per ambientarsi”, dopodiché il resto è un degenero verticale di droga, alcool e prostitute. Manco tre ore dopo l’atterraggio Saied e gli altri brancolano per strada fatti come stegosauri e col cazzo fuori perennemente in tiro, perché se da loro devono infoiarsi guardando un tappeto arrotolato che cammina, qui una ha il reggiseno solo se ha freddo. Tra bamba, mortazza, whisky e pompini si fanno Pattaya, poi Phuket e in cinque giorni arrivano a Bangkok. Ormai ridotti a bestie prive di raziocinio o memoria rimorchiano ulteriori mignotte con lo splendido approccio “ciao bella, siamo terroristi, domani uccideremi gli ebrei, scopiamo?“.

0a18b037-dfac-4558-a5f1-f6ca376b3e65 Da sinistra Kahzei, Saeid, Masoud. La foto è vera.

 

All’alba del quinto giorno Masoud apre un occhio. Nell’appartamento pare sia passato l’uragano Katrina. La nebbia del fumo è densa, il puzzo di sudore micidiale. Il pavimento è allagato, dal bagno proviene il suono di acqua corrente. Ci sono bottiglie vuote, schegge di vetro, cicche, scatole vuote di Viagra, cenere e cocaina sparpagliata, porchetta in putrefazione sui braccioli delle poltrone, schizzi di sperma sui muri, sulle tende, sulle coperte. Ovunque. Sul soffitto troneggia una macchia di vomito da cui cadono, pigri, pezzetti di cibo etnico. Saied russa, nudo, con un coniglio di pelouche che gli spunta dal culo. Khazai dorme sulla poltrona. Dollari americani bruciacchiati, macchiati o arrotolati fluttuano nel putridume. Un rotolo galleggia vicino al piede di Masoud. Dall’esterno, il solito suono del traffico. A fatica raggiunge il bagno. Che ore sono? Che giorno è? Dove sono? pensa, pisciando con una smorfia di dolore su quello che resta del water. Si gira e sullo specchio legge scritto a pennarello “oggi kaboom”.

«ALLAH!» sbraita, risvegliandosi «RAGA SVEGLI, È IL GRAN GIORNO! DOBBIAMO MORIRE PER IL PROFETA, IN PIEDI!»
Saied si contorce per dire qualcosa, poi espira sconfitto e si piscia addosso. Le prostitute si alzano, vigili, poi attaccano a gridare anche loro.

«Pheṣ̄ xūṭ̄h khuṇ ca t̂xng h̄ı̂ ngein h̄ı̂ kạb reā!»
«Cazzo dite, non capisco niente» fa Masoud, arrancando nel cacaio del pavimento «allora, per montare la bomba dovevo… hmm, dovevoo…»
«Mī pheṣ̄ s̄ạmphạnṭh̒ thuk khụ̄n txn nī̂ c̀āy!» bercia una, poi gli assesta una sberla.
«Kị̀ k̄hnād lĕk cāk ngein c̄hạn h̄rụ̄x c̄hạn ca ḳh̀ā khuṇ!» fa un’altra, emulandola.
«SAIED, NOSTRO FIDO CONDOTTIERO, GUIDAMI!» geme Masoud, tentando di liberarsi dal vortice di botte.
«I laik small transex» replica Saied nel sonno.
«Mị̀ dị̂ khuṇ r̂xng khuṇ ca t̂xng c̀āy!» strillano le ragazze prendendolo a borsettate «H̄ı̂ c̄hạn ngein! HI CHAN NGEIN!»
«C̄hạn ca rāyngān h̄ı̂ khuṇ tảrwc!»

Tra le botte Masoud guarda l’orologio: ha tre minuti per svegliare i compagni, lavarsi, pregare, vestirsi in modo da non attirare l’attenzione, assemblare l’ordigno, raggiungere l’ambasciata israeliana e piazzare la bomba che avrebbe dovuto essere già lì molti giorni fa. Invece è in un appartamento circondato da drogati e puttane.

 

In quel momento, a nel palazzo imperiale a Teheran, Ahmadinejad guarda il televisore sintonizzato sul canale thailandese. Di fianco, il segretario suda.

«Tra pochi minuti i nostri martiri colpiranno, maestà» dice Alì «con la precisione, la potenza e la determinazione di chi è nel giusto»
«Inshallah» dice Ahmadinejad, orgoglioso.

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Bangkok.

«VABBÈ FORSE MI RICORDO» dice Masoud, lanciandosi sul tavolo dove sono ammassati i componenti della bomba, inseguito dalle isteriche «FILO ROSSO VUALA’, FILO GIALLO VUALA’, NITRATO D’AMMONIO VUALA’, INNESCO VUALA’, BOMBA ASSEMB

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L’esplosione disintegra l’appartamento proiettando sul quartiere una pioggia di liquidi organici, soldi, droga e brandelli di prostitute. Masoud si rialza, ferito ma inspiegabilmente vivo. Le pareti non ci sono più. Il soffitto ha lasciato il posto a un cielo azzurro. Khazai ha lo sguardo inebetito, perde sangue dalle orecchie e dondola ripetendo “i’m Prada, you’re nada”. Saeid si alza dalla poltrona, sveglio. Guarda Masoud.

«Hai fatto bene ad aprire la finestra» sbadiglia, togliendosi una tetta di silicone sanguinolenta dalla faccia. Si esamina. Ha il corpo martoriato di schegge e di ferite aperte.
«È ANDATO TUTTO AFFANCULO, IMBECILLE!» grida Masoud, barcollante «LA BOMBA È ESPLOSA, ARRIVANO GLI SBIRRI, SCAPPIAMO!»
«COME ESPLOSA?!» sbotta Saeid «e gli ebrei? Il Corano dice che se non moriamo uccidendoli…
«Ma tu l’hai mai letto, il Corano?» fa Masoud, raccattando roba e ficcandola in borsa.
«No, ma ho visto il film»
«È proibito rappresentare Maometto o Allah, cazzo di film hai visto?»
«Dai, quello che ci siamo noi vestiti di nero guidati dall’occhio di fuoco che andiamo a spaccare il culo all’occidente perché ha le donne e noi no»
«Quello è il Signore degli Anelli» si blocca Masoud «cioè tu credi davvero di lavorare per Sauron l’oscuro signore?»

Saied impiega un po’ a realizzare che quello in cui crede sono baggianate e le cose sono ormai irrimediabilmente fottute. A quel punto afferra due bombe a mano e corre in strada perché tanto, ormai, a ‘sto punto andiamocene con stile.

 

A Teheran, gli occhi di Ahmadinejad giocano a ping pong tra l’orologio e il televisore. Di fianco, il segretario divora unghie e trema con brio.

«Questione di secondi, maestà» pìgola «sa, queste cose non possono essere proprio precise. Uno scarto di qualche secondo, il tempo che i giornalisti assemblino le notizie…»
«Hmm» commenta Ahmadinejad.

Mahmoud Ahmadinejad

Bangkok.

Saied raggiunge la via principale indossando solo una tunica insanguinata, l’afrore di urina e due bombe a mano. Vorrebbe raggiungere l’ambasciata, ma a piedi impiegherebbe mesi; così l’idea più logica che il suo debilitato intelletto partorisce è di chiamare un taxi agitando una bomba. Qualunque tassista farebbe salti mortali per caricare uno straccione ansioso di farsi esplodere, ma non quel giorno. Non lì. Il taxi lo dribbla e Saied ci resta male. Gli lancia dietro la prima granata, che rimbalza e detona senza conseguenze.

«Ah, bene, ora le granate rimbalzine» esclama, mentre la folla attorno fugge. «Adesso ci starebbe un mojito».

 

 

In Iran, Ahmadinejad riceve un plico di fogli coi prelevi del conto corrente. Li sfoglia con impassibilità. Il segretario butta un’occhiata e riesce solo a leggere “Anal vortex stripclub – 12.590 dollari” e “Pork paradise kitchen – 6.799 dollari”. Ruota la testa verso il segretario molto, molto lentamente.

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A Bangkok tutta la polizia dell’Asia sudorientale arriva nel quartiere a sirene spiegate e intima a Saied di lasciare la granata. Il terrorista reagisce con un gesto così idiota da immobilizzare lo sbirrume; invece di giustiziarlo, i poliziotti restano a guardare la granata che colpisce la fiancata di un’auto, rimbalza, poi colpisce un albero e rimbalza ancora fino a rotolare tra le gambe di Saied, ove detona gloriosa.

A Teheran la televisione racconta i fatti mostrando in mondovisione le immagini di Saied ridotto a un moncherino sul marciapiede che ride, probabilmente perché ha letto quelli che si lamentano della loro giornata su Twitter. Masoud verrà arrestato a Kuala Lumpur mentre si ubriaca in un bar, Khazaei lo ammanettano all’aeroporto mentre tenta di volare in Malesia.

Processati, riceveranno tutti e tre il carcere a vita.