La bambina nel bosco (1/4)

1930

O slaccio l’ultimo bottone della camicia o muoio di asfissia. Vedi a prendere le camicie dell’OVS, porca puttana. Di fronte a me il regista beve, appoggia il bicchiere sul tavolino, guarda altrove. C’è un adattamento jazz di Oops I did it again, nella hall. È mezzanotte e mezza. Resta qualche cliente dell’hotel, una donna da sola che fuma un sigaro e legge una rivista di moda. Vorrei bere ancora, ma non è il caso.

«Sai che mi piace?» dice.

Scatto in piedi, rovescio il tavolo, scaglio il bicchiere contro la parete, alzo le braccia al cielo, poi mi abbasso i pantaloni urlando

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Il tizio della security scatta per placcarmi. Fuggo rovesciando a manate la roba sui tavoli degli altri. Raggiungo la tizia con la rivista, le strappo di mano il sigaro, me la carico in spalla urlante, fuggo nella notte sparando in aria.
Ma all’apparenza sorrido e basta.

«Il personaggio femminile è incredibile. Però devi cambiare la doppiatrice. Non puoi usare la Reaper.»
Gelo.

«La Reaper è il fulcro del personaggio» dico.
«Beh, ci sono un sacco di altre doppiatrici. E comunque, detto tra noi… non è compito dello sceneggiatore, scegliere ‘ste cose.»
«MA»

La Reaper è stata una doppiatrice di raro talento. Peccato sia sparita da quasi vent’anni. Non recita, non doppia, non si fa vedere in giro, non risponde al telefono. Nessuno sa che fine abbia fatto. Non è strano, nel mondo del doppiaggio. Spesso c’è gente che va e viene. Lei è una delle tante, ma la sua voce da giovane era molto particolare. Aveva un’espressività tutta sua. Ora non so come sia, ma quando uno che scrive sviluppa una convinzione è difficile da sradicare.

«Nebo, fidati di me. Il cinema italiano sta cambiando, ma certi meccanismi no. Non fare lo stronzo. Non impuntarti, è sintomo di dilettantismo. Fai il tuo e lascia fare agli altri il loro. C’è un motivo se i registi, oggi, preferiscono scriversi le cose da soli. Se proprio non ci riesci, metti da parte questo e spingi un altro soggetto.»

Il mondo del cinema non è solo tastiera, studio, libri, corsi. È soprattutto chiacchiere, discorsi, progetti, strette di mano, casi umani e storie surreali. È quello che ho sempre sognato di fare, in fondo. Raccontare storie. Personaggi. Creare mondi e spolverare quelli già esistenti. Quindi eccomi nella hall di un albergo con un soggetto e delle orecchie professioniste disposte a sentirlo. Che è già moltissimo, se non fosse che mi hanno appena castrato.

«E se la trovo?» dico.
«A parte che sono passati vent’anni e non sai che voce ha adesso, poi che te ne fai? Sul serio. Lascia perdere.»
Avrei voluto ascoltarlo.

 

 

 

 

 

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CAPITOLO 1 – Numeri

Su Internet non c’è molto. Pagina Facebook abbandonata e aperta da vecchi fans. Le voci, oggi, si dimenticano in fretta. Forum di appassionati riferiscono gossip basati su ho sentito che qualcuno ha saputo che. Il sito dei doppiatori dice quello che mi serve: di che città è. Vado sul sito dell’elenco telefonico, trovo il cognome, chiamo. Dopo una dozzina di figure di merda mi risponde una voce femminile, anziana.

«Non è qui. Provi a Ferrara» dice.
«A Ferrara mi hanno detto di chiamare qui» mento.
Silenzio.
«Senta, sta perdendo tempo e ne sta facendo perdere a me. Non chiami più.»
Riattacca.
Ho trovato l’introvabile Reaper.

È in Trentino, tre ore di macchina in un paesino in mezzo alle montagne. Ci sono stato una volta sola per intervistare la Cagnotto, e da quello che ho visto non sono strade per una 600 Young con 200,000 chilometri e gomme lisce. Senza contare che tra benzina e autostrada mi dissanguerei. Compro il biglietto del treno, dormo. La mattina prendo il treno alle 8.15, arrivo a Bolzano, cambio, finisco verso mezzogiorno in mezzo ad aria pulita e caldo torrido. Per il paesino sento odore di bosco ed erba tagliata. Entro in un bar. Dietro un bancone del 1970 e brioches del 1997 c’è un omone in maglietta e gilet che rifiuta di parlare italiano, darmi indicazioni o farmi ricaricare il cellulare. Borbotta qualcosa in tedesco senza guardarmi negli occhi. Guardo i clienti, una coppietta e tre vecchi. Si girano dall’altra parte. Chiedo se qualcuno parla italiano. Nessuno risponde.

Non tira bella aria, in ‘sto posto.

 

La casa è una piccola villetta su una collina. Muri scrostati e anneriti dagli anni, un cancello arrugginito che non sembra venire usato da molto. Faccio il giro. C’è una rete deformata dalla ruggine, una porta di legno con la finitura che si stacca per il sole. Foglie secche, stato di abbandono, una sdraio di tela coi bordini in cuoio integra e nuova. Non c’è tanta gente, in casa. Forse una volta sì. La villa è una di quelle che ti ricordano l’Italia che non c’è più, quando i figli dei ricchi stavano in campagna per paura dei sequestri, le strade erano tappezzate di pubblicità dell’Alemagna e di Cinzano, in TV Fantozzi e Colpo grosso andavano alla grande, Ornella Muti era la donna più bella del mondo e noi eravamo i bambini che potevano diventare tutto quello che volevano.
Dlin dlon.

«Krauzen deutsch wienersnitzel?» domanda una voce maschile.
«Eeeeh… parlate italiano?»
«Zì, eine wenig.»
«Mi chiamo Nebo, sono uno sceneggiatore» dico «sto cercando Reaper.»
«KAPRUNZEN VERSTANDEN KLEIN GRAM»
«Aveva detto che un po’ l’italiano lo parlava.»
«DAS IST ITALIENICH»

giphyRappresentazione grafica della conversazione.

«But why not uno poco di english. Lei parla english?» oso.
«JA»
«Good! So, I cam fino a qui to meet Pavlonia Reaper and I have very caldo.»
«Du hasst zu ask her mutter.»
«Open and I will parlare con old babbiona.»
«KAME INZIDE» dice, aprendo il cancello.
Mi sporgo. È un tizio qualsiasi della mia età, penso turco.

Attraverso il giardino sgarruppato, entro in un secondo portone che da’ su un giardino interno, uno scorcio oscenamente bello. Inseguo Ataturk tra piante incolte alte come me ed entro in una cucina. Ha le tendine a scacchi rossi, pavimento di pietra grezza, l’isola centrale di legno su cui sono appoggiati due piatti con resti di cibo consumati da poco, mobili di una volta, ceramiche esposte, un vecchio caminetto. Somiglia alla casa dei Weasley.

«Hans!» grida una voce «verdammt krauten fraulein sieg heil kulshrank?»
«Es ist eine zinema maker.»

Minchia, zinema maker.
Il numero di reati che sto sfiorando oggi è più alto del solito.
Crudelia De Mon versione terzo reich appare in abito arioso e troppi anni sulla faccia. Mi squadra con sufficienza. Dovrò stare attento a dire la cosa giusta, perché la situazione è già di per sé delicata ed equivoca. Cerchiamo di entrare nelle grazie della geriatrica.

«Lei è un doppiatore?»
«No. Sceneggiatore. Emergente.»
«Non mi sembra di età emergente.»
«Nemmeno lei.»

MuPisBAPAM, vecchiademmerda.

Ups.

«…kosa vuole da mia figlia?» dice mostrando i denti.
«Farle leggere questo» dico, mostrando la sceneggiatura «vorrei fosse la voce della protagonista.»
La donna si fruga nel taschino, estrae un paio di occhiali, se li appoggia sul naso senza inforcarli: «Visibilità zero» legge. Fa una smorfia: «di kosa parla?»
«È una tra le storie meno conosciute e più incredibili del nostro paese. C’è una guerra, una donna, sei uomini e il mare.»
«Ma mia figlia non lavora più. Ha smesso da anni.»
«Potrei magari… parlare direttamente con lei?»
«Le ho detto che ha SMESSO! HA SMESSO!» sbotta, pestando il piede per terra «HA SMESSSSSO! COL CINEMA, CON LA TIVVU’, CON QUEL MONDO D-DI… KEINE GESUCHT KRAUTEN KRAUTEN!»

È rossa come un peperone. Coi pazzi non è mai il caso di discutere, specie se in giro per casa c’è mister Allah Akbar. Prendo la sceneggiatura e filo. Uscendo, mi cade l’occhio su una di quelle cornici da due soldi, col vetro e i morsetti di ferro. C’è la pazza, la Reaper ormai quarantenne e un uomo troppo giovane per essere il padre e troppo vecchio per essere un fratello. Chiudo la porta e affretto il passo, anche perché non ho tanta voglia di passare la notte in questa ridente cittadina. Arrivo a Milano che è sera. Leonora chiede che ho combinato.

«Sto cercando una doppiatrice introvabile. Son stato dalla madre. Pazza.»
«…scusa?»
«Eh, la figlia è introvabile. Mi serve per Visibilità zero. Perché fai quella faccia? Mica voglio trombarla, mi serve per lavoro.»
«M-ma… ma sei COGLIONE?!» sbotta.
«Che gridi? Non c’entra il sesso.»
«Quando mai t’ho rotto le balle perché infilavi il cazzo random?»
«Eh, ma allora?»
«Ti dicono niente parole tipo mobbing, stalking, femminicidio…?»
«Cosa c’entrano?»
«Nel 2016?! Che basta un’azienda posti la foto pubblicitaria con la modella distesa sull’asfalto per scatenare l’assalto dei pescivendoli dell’Internet?»
«Leonora. Io ho un lavoro. Ho una candidata da assumere. Non posso contattarla Che dovevo fare?! Ho un lavoro, ti piace ok, non ti piace ciao. Fine.»
«MA SEI IMBECILLE?!»

Hmm. Potrei provare il mio avvocato, giusto per sicurezza. Data la mostruosa mole di soldi che gli ho lasciato ho il suo cellulare. Chiamo. Risponde al terzo squillo. In sottofondo urla, sirene, qualcuno grida col megafono.

«ZULIANI! Come sta? È bello sentirla!»
«La disturbo?»
«No, no, sono qui con il mio cliente che chiacchieriamo con la polizia, fuori. Sa, a Mestre il lavoro non manca mai. Gennaro, lascia stare gli ostaggi. Mi dica, che succede?»
Gli racconto tutto.

«Sa, lei mi ricorda Mohammad Kadrubn, che noi in studio chiamiamo lo scaltro Mohammad. Recentemente impiccatosi in carcere.»
«Cos’aveva fatto, lo scaltro Mohammad?»
«Bè, la sua idea era che lo stupro è illegale, ma il vilipendio di cadavere meno. Così invece di stuprare e uccidere una signorina, l’ha prima uccisa e poi stuprata.»
«Un genio moderno.»
«Sì. Tuttavia il giudice non ha colto la finezza legale e gli ha dato l’ergastolo. Gennaro… Gennaro. No. Giù quella roba. Lo sai che poi i cecchini si intesiscono. Parla con l’agente, su. Ci sono qui io.»

«Non capisco il collegamento.»

«Che lei è il classico idiota che crede di sapere la legge, fa la cazzata e finisce in galera col conto corrente prosciugato e occhi stralunati. Gennaro, vai. Sì, vai. Dritto verso l’agente. Mani belle in aria, che vedano che t’impegni.»
«Può dedicarsi a me per un attimo?»
«Ah, sì. Creda a me, anche solo nominare la femmina umana è potenzialmente illegale. Se vuole figli vada alla banca del seme e poi in un orfanotrofio. »

tumblr_mizrjyVYi91rlwc99o1_500Alla banca del seme e poi…

«…v-vabbè. Quindi lascio perdere.»
«Sì. Ma si rallegri, la realtà virtuale staGENNARO, PERDIO!
Click.
Ceno guardando uno dei pochi film che la Reaper ha doppiato. Riesce a essere simpatica e seria allo stesso tempo, quel misto di femminilità, simpatia e cazzutaggine alla Ginger Rogers. Tanti sottovalutano quanto la voce sia importante.
Oggi il doppiaggio sta svanendo perché ai professionisti si preferisce mettere VIP. O perché sempre più gente guarda la roba in lingua originale. Ma è il mio personaggio. Poi regista e produttori ci metteranno la loro parte. Cambieranno, taglieranno, modificheranno. Mi sta bene. Mi piace, l’idea. È come vedere un figlio che si fa la sua vita invece di diventare un tuo clone. Ma il DNA è il mio. Dovunque andrà, qualsiasi cosa farà, avrà il MIO codice genetico. E so che non mi compete. Che la voce è un dettaglio irrilevante. Il cinema è movimento, estetica, fotografia. Un film muto può essere un grande film. Un film senza video è uno sceneggiato radiofonico.

– Tu chi sei?
– Sono… sono una-a di passaggio. Passo.
– Vattene, non puoi stare qui.
– Ehi, io sto dove voglio!
– Ho detto vattene, ragazzina, non costringermi a sparare.
– E tu non costringermi a scappare!

Ironia. Femminilità. Paura. Orgoglio. Tutto in una frase. Dio, quanto talento può esserci in una voce. Del resto cos’è che ti fa davvero innamorare di un personaggio? I corsi di sceneggiatura ti insegnano la formula, ma lo spirito umano e l’empatia sono meccanismi complicati. Nel mondo reale una persona ci piace per come ci da’ la mano, la stringe, ci guarda, ci parla. Al cinema lo decidiamo in una frase. Una frase! Devi spremere tutto, lì. E la voce fa una differenza enorme. Kubrick lo sapeva bene, tanto che sceglieva personalmente i doppiatori dei suoi film. La voce è lo specchio dell’anima. Non voglio una velina imboscata in sala doppiaggio da un senatore. Non voglio una showgirl che al primo segno di cellulite cerca di reinventarsi.

Io voglio la Reaper.

Però Regista dice di lasciar perdere. Leonora dice di lasciar perdere. La madre dice di lasciar perdere. L’avvocato dice di lasciar perdere. Quindi è la cosa giusta da fare. Tanto è solo un copione senza finanziatori. Non so che voce ha adesso. Poi non ho modo di trovarla. Sua madre è pazza e non parla. Lei non è in Internet. Nessuno dell’ambiente ha idea di dove sia. Fine della storia.

 

 

 

 

 

 

RDJ_Woah

…’petta un attimo.
[continua]