Ho trovato me stesso mentre mia moglie emetteva peti in barattolo

God-02

Bar Verdi, Mestre, ora d’aperitivo. In piedi tra birra, spritz e altri infreddoliti party-giani come noi chiacchieriamo del solito rilassante nulla. Maschi presenti io, Luca, Atza, Ario. Donne presenti Leonora, Pamela, Claudia e il nuovo acquisto della banda, tale Giulia, trentenne mollata dal moroso alle soglie della convivenza che fa la stronza per nascondere le ferite e la paura del futuro. Le ragazze giurano e spergiurano che quando non ci sono uomini è adorabile. Boh.

«Che fate ‘sto fine settimana?» domanda Claudia.
«Riesco a portare la Pamela allo stadio per la prima volta» annuncia Atza con orgoglio.
«Eccitante» commenta Giulia.
La ignoriamo.

«Noi ci spacchiamo in un agriturismo dalle parti di Padova, venite?»
«Nebo e Leo?»
«Trieste»
«Avete mai contemplato il concetto della coscienza di sé?» chiede Ario.

Bicchieri si fermano a mezz’aria.

«A che spritz sei?» chiedo.
«Rispondi»

«Ario, funziona così, ci si trova a fine giornata per non pensare a niente, dire cazzate e dimenticare che il nostro stipendio serve per pagare la raccolta differenziata»
«E quei bastardi dell’ACEGAS» precisa Atza «l’anno scorso 1100 euro. Quest’inverno attacco il riscaldamento al limite del sonno criogenico»

«No» scuote la testa Ario «diciamo puttanate perché conosciamo troppo bene i nostri difetti e se provassimo a dire cose sincere l’amicizia che ci lega se ne andrebbe affanculo. Già ci facciamo schifo, vedere che gli altri vedono in noi le stesse cose sarebbe intollerabile. Quindi non sto parlando del fatto che Atza non riesca ad ammettere di essere gay o di Nebo che ci ha tenuto nascosto per due anni che suo padre stava male perché non si fida di noi, o di Pamela che ha messo le corna con Luca la volta che l’ha accompagnata a casa. O del fatto che le donne presenti dicono cose orribili ai relativi morosi di quelle che qui baciano e abbracciano. O del fatto che passo metà della vita distrutto di droga perché sono un fallito con una vita di merda che ha mollato scuola a tredici anni credendomi furbo. Cioè, se volete parliamo di quello, ma io volevo sapere se voi coglioni avete mai pensato alla coscienza. A cosa ci fa essere noi e non qualcun altro. Cosa ci rende unici. Di cosa volete parlare?»

bounce

Intervallo.

La cameriera si ferma con la mano a mezz’aria e gli occhi sgranati. Ario senza guardarla prende il bicchiere vuoto e glielo mette in mano. Lei non raccoglie gli altri e se ne va di fretta. Stiamo ancora cercando qualcosa da dire quando nella mano di Ario appare per magia un’altra birra. Non ringrazia e continua a fissarci.

«Sei veramente un animale, Ario» mormora Pamela.
«Allora parliamo di come ci sono arrivato»
«NO!» gridiamo tutti insieme.
Ride compiaciuto, annuendo.

«Illuminaci, cosa vuoi che ti dica» sbuffo, sedendomi.
«Ieri sera ho visto un film con svarznegher che c’erano i cloni e siccome ero fatto come un cavallo mi sono messo a pensare»

«Un prologo degno dell’Iliade»

«Vi siete mai chiesti cosa ci rende noi? Come facciamo a sapere di essere davvero noi e non qualcun altro? Se metti che mi clonassero uguale uguale, quale sarebbe l’originale? Quale sarei io? Mi potrei riconoscere? TU, mi riconosceresti? Sarei sempre io? Abbiamo coscienza di noi stessi. Sappiamo di essere noi e non qualcun altro. Ma è così? Noi siamo davvero noi? Dunque ho chiesto a mia moglie di scorreggiare nel barattolo del caffè»

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A Luca cade lo spritz sulle braghe. Io sussulto. Un tizio alle mie spalle sputa la birra tra convulsioni di tosse. La cameriera inciampa. Una macchina inchioda e si schianta contro il palo della luce nell’indifferenza generale. Il pilota con la testa sanguinante abbassa il finestrino e si sporge per sentire meglio.

«E’ così» annuisce, sorseggiando la birra con aria assente «era l’unico modo»
«Prosegui, ti prego» dice Luca, asciugandosi con le salviette.
«Tieni» fa un tizio mai visto prima porgendogli dei fazzoletti.
Luca li prende.

«Scusa, possiamo sederci in due?» chiede una donna alla Leo.
Annuisce.

«Avete presente quel fenomeno per cui scorreggi fetido, tutti hanno sforzi di vomito ma tu no? Anzi, te ne compiaci. E’ un ottimo odore, non ti infastidisce per niente. Lo senti diverso, perché è tuo. Allora mi sono chiesto: se un mio clone scorreggiasse, il tanfo mi darebbe fastidio o no? Quella sarebbe la prova definitiva che io sono io. Quindi ho preso due barattoli di caffè vuoti, sotto ci ho scritto A e B. Ho chiesto a mia moglie di scorreggiare dentro uno e lei l’ha fatto»

«Non ci credo che hai convinto tua moglie a scoreggiare in un barattolo» mormora la Leo.
«Mia moglie fa tutto quello che dico io, se vuole continuare a trombarsi il personal trainer»
«Ma tua moglie ogni tanto te la scopi anche tu?» chiede la Giulia.

«Di rado, mi fa fatica. Andiamo avanti a leccate di passera e pompini, il lavoro pesante lo faccio fare al sottoproletariato che io devo giocare a GTA»
«Ma che razza di matrimonio è?!»
«Felice. Tu a trent’anni hai uno che ti sposa? No. Quindi sono il più esperto in materia, come su quasi tutto. Altre obiezioni?»

«Ma come ti permetti?!» sbotta Giulia.
«Si sente l’odore della tua passera»
«…cosa?» chiede, mentre il suo viso diventa rosso carminio.
«Dico, si sente l’odore della tua passera. Non ti sei cambiata le mutande, solo i jeans, pensando che tanto non ti deve trombare nessuno. Si sente»

Giulia per un attimo rimane immobile, poi prende e se ne va.
Nessuno la segue.

«Davvero…?» inizia la Leo.
«No, sfigati, non sentivo niente. Ma tanto è così per tutte le donne single, ho sparato a caso. Posso andare avanti?»
«E vai avanti» gemo.

«Allora, lei scorreggia nel barattolo del caffè e lo richiude subito. Io appena mi viene faccio lo stesso in un barattolo identico. Sotto scrivo col pennarello A e B, poi li mescolo a occhi chiusi. Ora non so quale sia il mio e quale sia il suo, ci siete?»

Atza annuisce.
Nel bar Verdi il silenzio è imponente.

«Bene. A quel punto apro e annuso prima uno e poi l’altro. Indovinate? Indistinguibili. Facevano da cagare tutti e due. Roba tremenda, eh, mia moglie mangia quasi solo erba che le fermenta e fa la merda verde che paiono ghirlande di natale. Comunque, indistinguibili. Ergo, l’odore dei nostri peti è nostro solo perché lo sappiamo. Se ci clonassero non esisterebbe più un originale o una copia. Non ci sarebbe un prima o un dopo. L’anima non esiste e io sono io solo finché voglio credere di esserlo. L’essenza dell’uomo, in sostanza, sono i suoi limiti. Di conseguenza è per questo che non troviamo il senso della vita, perché la risposta travalica la nostra identità e quindi la capacità di comprenderla»

Nessuno fiata. 

 

 

 

 

 

 

«Questo è il mio numero di telefono» sorride la cameriera, consegnandogli platealmente una salvietta «quando vuoi, dove vuoi, come vuoi, non c’è problema. Altra birra?»
«Altra birra»