Come domare una diciottenne #1

Come domare una diciottenne #1

La prima cosa che vedo è una specie di cespuglio che si muove. Castano, riccioluto. C’è troppa gente, non vedo bene e l’unica cosa che m’interessa è rum. Sì, per la madonna, rum. Poi magari capisco che diavolo è quella roba che si muove. Schivo sei bionde minigonnate. Oltrepasso un centinaio di uomini che vorrebbero trombarle.

Cavolo, ‘sto posto è veramente bello.

Bellissima atmosfera. Vittorio Veneto, Cutty Sark. Un pub inglese di fronte al fiume. Arietta fresca, atmosfera libera come piace a me ovvero né centro sociale né monta dei conigli imbellettati. La mia amica lesbo hardcore m’ha tirato pacco all’ultimo momento con un sms che recita “mia morosa se l’è rasata, vaffanculo tu e la birra”. Avere una delle tue migliori amiche a cui piace la patata fa strano, ma ti abitui. Così son tutto libero e sol soletto in questa amena località montana.

L’aria è fresca e pulita, davanti a me scorre un fiume ed io, a bordo della mia fida 600 modello base, optiamo per questo pub. Raggiungo il banco senza fare del male a nessuno, ecco il tizio.

«Mi fai un pampero, per favore?»
«Vuoi succo di pera?»
«No, no, grazie.»
Si allontana.

Cerco il cespuglio semovente, non lo vedo. Che poi le donne erroneamente credono agli uomini piaccia lo standard televisivo. E’ inesatto. Gli uomini amano la vagina ma hanno preferenze, magari semplici 

«Ciao, sei tu quello del rum?»

particolari, dettagli, quisquilie apparentemente inutili che ci fanno piacere le donne più di altre. Sicuramente il culo aiuta, ma c’è dell’altro. Di una donna può piacerti il modo di fare, di un’altra i capelli, di un’altra due tette perforanti, di un’altra le gambe. Lo sguardo, la fronte, la pancia, l’ombelico, quel cazzo che è, cose che FANNO SANGUE, capite? Ispirano anche se non

«Ehi, scusa?»

rientrano nei canoni. La cosa divertente è che questo viene percepito in maniera distorta. A nessun uomo piacciono le anoressiche, personalmente un po’ di carne nei punti giusti è una benedizione di Dio. Non c’hai paura di romperle. D’altro canto se vai in una palestra gli uomini son

«…ragazzo col berretto?»

…convinti che più grosso sei più piaci, mentre le donne generalmente puntano la definizione, non la massa. Almeno così spiega il mio istruttore. Insomma, gli standard televisivi hanno confuso le idee sia ai maschietti che alle femminucce. O magari è il contrario, ovvero

«…ragazzo con la camicia… hmm, larga? Orrenda?»

…che siamo noi ad aver portato queste baggianate sul grande schermo. Può essere. Però a me la gnoccolona bionda barbie non ispira. Poi chiaro che una botta non la si nega a nessuno, è questo il motto che unisce gli uomini di tutto il mondo, però a me piace la bellezza latina. Oh, cazzo. Diciamolo. La mediterranea. La latina, chiamatela com’è ma QUELLA mi fa sangue. 

«Ragazzo scuro? Ehi? Con le… le braghe bianche? Sciur parun dali beli braghi bianchi…»

Cazzo sì. Mediterranea. Ulivi nel codice genetico. Pomodori e rosmarino. Fianchi larghi, capelli scuri, occhi nocciola, pelle ambrata. Mare nostrum. Sì, quello è il mio tipo. Ah, Dio, sì. Magari che portan la gonna (cottola, in veneziano). Le gonne mandano via di testa perché sono l’abito femminile per eccellenza. Vedo gonne e mi piace perché non ti dan tutto in faccia subito, ti raccontano una storia. Quelle al ginocchio che tiri l’occhio per vedere qualcosa di più. Quelle ai piedi che vai VIA DI TESTA, perché fa tanto rustico vecchio stile. Oh, insomma, adesso me lo bevo io, ‘sto rum.

Rum? 
Ah, sì, avevo ordinato rum. Ehi, ecco dov’era finito il cespu

«Ecco, ormai me lo son bevuta io, era anche buono.»
Taccio.

 «Tutto bene?»
Continuo a tacere.

«E’ un… brutto momento? Te ne faccio un altro?»
Mutismo e immobilità.

«Ehi, stai bene? Faccio un caffè?»
Coma cerebrale è il mio secondo nome.

Lo sapete, lo sappiamo. Sono cose note. Bisogna sapersi centellinare e non esser banali. So di tecniche di rimorchio orrende, frettolose, volgari, noiose, inconcludenti, imbarazzanti. No. Si parte piano, non si esagera, ci si posa leggeri come una piuma sul filo dell’acqua mentre poi con stile e savoir faire

«Gesù, sei la donna più bella che io abbia mai visto» espiro.
Ecco.

«EEEH, adesso! E’ perché ho in mano del superalcolico.»
«No. No, non è per quello. Molla la bottiglia un attimo?»
Appoggia la bottiglia sul bancone.

«Sei bella uguale.»
«Come prima?»
«Forse un po’ meno.»
«Cattivo.»
«Lavori qui?»
«No, sto dietro il bancone per confondervi le idee.»
«E a che ora finisci?»
«Alle dieci.»

Guardo il polso mentre lei guarda la parete.

«Sono le dieci e cinque.»
«Lo so, m’hai fregata.»
«No, perché? Bevi Pampero a sbafo e poi fuggi dicendo che domani esci presto col moroso, che c’è che non va?»
«Hmm, sei furbo.»
«Non ne sono convinto, no.»
«Vabbene. Però se tu avessi la morosa lo faresti?»
«No, non me lo potrei permettere.»
«Oohohddio, l’uomo dai sani principi morali.»
«No. Scarse risorse monetarie.»
Ride.

«Allora il prossimo giro offro io.»
«Mi sembra giusto. Paga.»
«Ho detto il prossimo!»
«Te lo sei già fatta» dico indicando il bicchiere.
«Pignoletto. Te ce l’hai un nome?»
«Sì. Sono Nebo» dico allungando la mano.

«Leo.»
«Leo per… Leonarda?»
«No. Leonora. Si son persi una E per strada all’anagrafe.»
«Ha ha ha, carina.»
«No, è vero! Han sbagliato a scrivere! Te che scusa hai? Genitori sadici?»
Penso che le chiederò di sposarmi.

Esce dal bancone ed è una meraviglia. Niente artifici, niente puttanate. Una gonna, un paio di scarpe da ginnastica, un top. Un braccialetto etnico sul polso, un fermaglio. Hmm. Speriamo non voti verdi. Ci sediamo. Mi chiede che lavoro faccio, dove vivo, dove abito. Rispondo diligentemente anche se è difficile fare i brillanti mentre una cosa del genere ti sta davanti e ti scruta con interesse. E’ bella. E’ vergognosamente, indegnamente bella. E’ vera, onesta, un frutto di Madre Terra senza chimica addosso. Solo starle vicino mi fa sentire un gradino più vicino alla natura. Guardo come si muove, come ride, è uno spettacolo.

«Bè, quindi lavori?»
«Ci provo. Tu invece lavori sempre qui?»
«Noo, io lavoro e studio.»
«Ah, che cosa studi?»
«Te.»

Ha detto così. Taci che i bicchieri sono solidi o mi massacravo una mano.

«Ok, a parte me?»
«Vorrei fare la biologa.»
Sì, bon. Perfetto. La sposo. 

Intavoliamo una discussione sugli animali, su come mai la gente si riempia la casa di bestie e come mai spenda tanti soldi per questi per poi giustificarsi dicendo “mettere al mondo figli costa”. Da qui parte un excursus sul fatto che oggi in Italia la gente non vuole più raccogliere pomodori e disprezza chi lo fa. Lei nega e dice che non è vero, suo padre fa il contadino e c’ha il gallo che canta tutto il giorno. Con tatto sfioro il pensiero politico, parla di sinistra ma poteva andarmi peggio, una volta ho conosciuto una della lega. Alle undici e mezza siamo uno negli occhi dell’altra, il fiume che scorre, il cielo che pare un’esplosione d’argento, alla radio qualche anima buona ha messo la sigla di Pollon, lei sta doppiando i cubetti di ghiaccio mentre affogano ed io ho capito che questa è la donna con cui voglio passare il resto della mia vita.

Ho 28 anni. E’ ora, l’ho trovata e non me la farò mai scappare. E’ mia. L’ho sempre cercata. E’ spontanea e con la testa tra le nuvole. Una di quelle che tromba bene e non si prende troppo sul serio manco là. Dio, non mi sono mai sentito così, non può essere vera. Le chiedo se posso accompagnarla a casa. Accetta. Continuiamo a farneticare puttanate esilaranti e non ci stanchiamo mai, affiatati come se ci conoscessimo da tutta la vita. Arrivo sotto casa sua, la notte è ancora lunga. Le metto una mano tra i capelli, la bacio e tutto il mio corpo reagisce al massimo del massimo, tutta la chimica nei posti giusti. Tutto luce verde.

«Aspetta, però non… non corriamo, eh?» fa «non sai nemmeno quanti

L’autostrada è buia, solitaria, nera. Con entrambi i finestrini abbassati, il suono del vento a 140 tenta di calmare il testosterone. Arriva un SMS: «Anche tu stai tirando giù santi?»

«Tranquilla» rispondo «Se esiste un inferno ci ritroveremo là. Comunque tanti auguri per i tuoi 18 anni.»