Capitolo 5 – Il cane di fuoco

La parola “smarrimento” indica con simpatico distacco un’emozione sgradevole. Siamo stati tutti un po’ smarriti. A quattro anni quando all’asilo ci fregarono Gordian. A sedici quando lei voleva farlo al buio. A venti quando voleva un uomo che la facesse ridere. A ventuno quando il rombo del motore copriva le battute ma andava bene lo stesso. Smarriti. Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto lo sguardo di Flavia Vento. Ora il mio occhio sinistro ha appena visto la mia ex con tacco 13 e un’ipotesi di vestito dirigersi verso un punto indefinito, l’occhio destro invece si è paralizzato davanti ad un uomo che mi ha appena raccontato di aver seppellito tutta la famiglia in blocco. Sono smarrito. “Hai bisogno della cartina?” domanda dal 1996 Francesca, al buio, mentre tento di scoparle l’ombelico.

«Se vuoi cambiamo argomento» fa Ale.
Cerco di concentrarmi, concentrarmi, concentrarmi.

«No, bè… dipende da te, credo»
«Tanto te l’avrei raccontato lo stesso, stanotte»
La vedo che va a sedersi in un punto imprecisato del locale.

«Non riesco ad immaginare come ci si senta»
«Oh, il peggio possibile. Calcola che i miei sono morti reputandomi un fallito incapace che nella vita non avreebbe mai combinato nulla di buono»

Sto zitto. Non so come guardarlo. Immagino dovrei dire qualcosa, ma sono attratto dal suo sguardo assente e scanzonato. Sembra stia raccontando un film o una storia non sua. Non riesco ad associare le parole alla faccia, è una scena surreale.

«Insomma, devi capire che mi sono trovato solo, bambinone, con un patrimonio discreto che non sapevo né come usare né perché. Ho passato buona parte della mia vita ad aspettare che i miei risolvessero tutti i problemi. Sai, una specie di sicurezza inconscia, tipo la vita con la rete di salvataggio. Tanto ci sono loro, tanto ci penseranno loro… Per quello potevo permettermi il lusso di avere paura»
«Quando è successo?»
«Un anno fa, circa»
Gesù.

«Mi sembra tu abbia reagito bene» tento.
Solleva le sopracciglia: «Me so comprà na bottja de Laphroig, un Cohiba, sono salito sul tetto di casa con l’obiettivo di buttarmi sul parcheggio che c’è sotto, un volo di cinque piani circa. Bam, fine. Il Laphroig è perché un po’ mi cagavo addosso»
«Ah»
«Eh. Mi son fatto tre quarti di bottiglia ed avevo quasi trovato il coraggio, quando mi è venuta in mente una vacanza di quando ero bambino, in Calabria. Sarà stata l’estate del ’94, quella lunga e calda»

«Me la ricordo»
«Bè, un giorno io e mio padre stiamo andando in spiaggia, incrociamo il guardiano. Un vecchio senza denti messo lì per nulla, ma se non lo pagavi ti spaccava tutte le finestre. Papà si ferma a farci due parole, entra nell’argomento incendi. Quello annuisce con l’aria stanca che hanno i calabresi e ci racconta come si appiccano gli incendi. Tu lo sai?»

«Non so, i mozziconi di sigaretta, una tanica di benzina…»
«Noo, sei matto?! Una tanica di benzina lascia tracce e crea incendi isolati. Li puoi spegnere facilmente. Il trucco per un incendio fatto bene, di quelli che fanno tabula rasa, sono tanti incendi isolati appicciati nello stesso momento. Il segreto sono i cani»
Mi scuoto: «I cani?»
«Già. In Calabria prendono dei cani randagi, li inzuppano di benzina e gli danno fuoco. Le bestie impazziscono per il dolore e corrono fino a morire attraverso ettari di erba secchissima, a cui basta una fiammella per accendersi. In pochi secondi fanno il lavoro di un esercito. Tanti piccoli focolai. Poi quando muoiono non lasciano tracce; anche se trovano le carcasse sono alcuni tra i tanti animali carbonizzati. E’ geniale, se ci pensi. Così, sbronzo e depresso sul tetto di casa mia, ho realizzato che è esattamente quello che volevo essere: un cane di fuoco»

Oh, guarda, il tono di voce di un malato mentale. I peli delle braccia si raddrizzano: «Caaaapisco»
«Non credo. Per me le persone importanti… Il loro disprezzo me lo tengo senza possibilità di rimediare. Amici o amori sono andati o non ne ho mai avuti. Quindi vaffanculo. Il cambiamento arriva per una tragedia o per coraggio. Ho un bel gruzzolo da parte, mi faccio schifo e la vita per me ha un significato ridicolo. Queste cose messe assieme creano un cambiamento. Così sono sceso dal tetto felice. Finalmente nella mia vita sapevo cosa fare. Ho iniziato questa sera»

Il dente comincia a pulsarmi: «A far che?» chiedo.
«A bruciare tutto» sogghigna.

Inizialmente non capisco. Poi qualcosa nella mia testa si domanda se il nostro incontro sia stato casuale. È paranoia? È la droga? Cosa so davvero di lui? Mi accorgo troppo tardi che Ale sta seguendo il mio sguardo fino a vedere lei, seduta al tavolo che ora sembra orrendamente vicino.