Questo matrimonio è una strage di stato

Questo post è tutto reale, anche se le fonti scarseggiano. Treccani, Storia d’Italia di Montanelli ed Internet non sono d’aiuto. In alcuni forum se ne parla in tono vago. Nei libri delle biografie, invece, c’è. Trovate un breve resoconto di quello che dico qui.




A Vittorio Emanuele II dei suoi figli non fregò mai nulla davvero. Appena fu possibile li mollò in affidamento a preti e militari che li educarono come spartani. Sveglia alle 5, messa alle 6, compiti e preghiere, preghiere e compiti fino alle ore 21, nanna. Ogni tanto Vittorio si faceva vedere per un saluto, ma di suo preferiva starsene in un cascinale con Rosina che gli tagliava le unghie dei piedi e le conservava sotto teca. Lui giocava coi suoi cagnuoli bastardi che adorava:


– Guardate come vengono su bene – diceva a tutti – quando si mescola il nostro sangue a quello del popolo!

Nel dicembre del 1866, tuttavia, suo figlio Amedeo, di anni 21, si presenta  dal re annunciando che si sposerà con Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna.


– Ti sposi chi?
– Ma veramente c’è una che si chiama così?
– Sì, papà.
– Ho idea che sposare donne nel pozzo porti male, figliolo.
– La sposo lo stesso.
– Ti ripeto, dare anelli a ragazze nel pozzo non è bene.

Amedeo I se ne frega. 



















E’ il 30 maggio 1867. 
La primavera esplode in tutto il suo rigoglioso splendore sotto un cielo azzurro e limpido. A palazzo decine e decine di camerieri, attendenti, cuochi, sarte, fiorai, valletti e maggiordomi lavorano come formiche ai preparativi della cerimonia. La futura sposa è accerchiata da truccatrici, parrucchiere e damigelle d’onore in fregola, del resto non capita spesso che la tua amica si sposi un principe d’Italia. E’ il momento della prova vestito.

– Dov’è la guardarobiera? – chiede impaziente una dama d’onore.
– E’ andata un attimo di là, ha detto che allungava lo strascico. Vado a chiamarla.

Esce. Pochi istanti dopo un urlo riecheggia in tutto il palazzo. La damigella d’onore rientra, pallida.


– Cos’era quell’urlo? – domanda una dama di compagnia.
– Tutte voi ricorderete la guardarobiera, immagino.
– Sì, mbè?
– Niente, è di là che dondola dal lampadario.
– S’è ubriacata?

– No, s’è impiccata.

















– Impiccata al lampadario – ripete impassibile, sorseggiando acqua, la nobile.
– Sì.

















– Bè, pace all’anima sua, dopotutto era solo una guardarobiera.
– Vero. Solo che vedi, Maria Vittoria, non c’erano corde a disposizione, nella stanza.














– E con cosa s’è impiccata, allora?























































E’ così. Non sono neanche le dieci di mattina che la guardarobiera, Dio sa perché, ha deciso di porre fine alla sua indispensabile vita impiccandosi al lampadario col vestito della sposa. Forse non aveva duplicato la cassetta. Maria Vittoria del Pozzo della Cisterna decide – come qualunque donna – di sposarsi comunque, ma serve un vestito diverso perché quello non si può dire porti bene. I paggi gettano il cadavere della guardarobiera nell’immondizia e si affrettano a convocare una sarta, che appronta un nuovo vestito alla bell’e meglio. Ora Maria Vittoria del Pozzo della Cisterna sembra ancora di più Samira, o un preservativo da cui spunta fuori una testa. Alle 11.30 il gruppo della sposa esce dal palazzo tra carabinieri a cavallo, fanfare, paggi e 30° all’ombra. La carrozza si avvia lungo il viale. Attraverserà il giardino, varcherà i cancelli e la condurrà all’altare. Nella carrozza le dame cercano di consolare la sposa.

– Non pensarci più, Maria Vittoria.
– Vero, non lasciare una guardarobiera ti rovini questo giorno!
– Del resto cos’altro può accadere?




















– …perché ci siamo fermate?

La processione della sposa ha dovuto arrestarsi perché l’ufficiale in testa è caduto da cavallo. Il sole, il caldo, l’età, l’attesa, una cassetta non duplicata,  tutto può essere: resta il fatto che l’ufficiale prende congedo dall’Arma e dalla vita lì. E’ secco come un bastone. I paggi aggiungono il corpo a quello della guardarobiera e fanno cenno di avanzare, ma i carabinieri non fanno un passo. Una processione non si può fare senza alto ufficiale, bisogna decidere chi tra gli altri ufficiali presenti guiderà la processione. Maria Vittoria del Pozzo della Cisterna apprende questa notizia a mascella serrata fingendo indifferenza. Dopo un lungo consulto i carabinieri si mettono d’accordo e si riparte. Alle 11.40 questa specie di carro funebre coi pizzi ha percorso sì e no dieci metri. 

Si riparte.

– Non è niente, non è niente – la consolano le dame.
– E’ come – tira su col naso la duchessa – …è come se questo matrimonio non fosse voluto da Dio, capite?
– Ma no – sussurra la testimone tastandosi la tetta sinistra – non farti impressionare da queste superstizioni da plebei.






















– …perché ci siamo fermate?

Siamo ancora nella tenuta della duchessa. Dopo seicento metri di viale la processione arriva ai cancelli. E’ un momento importante, quando la giovane sposa varca per l’ultima volta la soglia della sua tenuta da donna libera ed affronta l’esterno, l’ignoto, il futuro, per congiungersi all’uomo che ama. Le fanfare squillano:

– PASSA LA DUCHESSA MARIA VITTORIA DEL POZZO DELLA CISTERNA, APRITE I CANCELLI! – urla l’ufficiale.



Silenzio.







– PASSA LA DUCHESSA MARIA VITTORIA DEL POZZO DELLA CISTERNA, APRITE I CANCELLI! – urla di nuovo.














Uccellini. Cicale.











– VI ORDINO DI APRIRE I CANCELLI!









Cip cip cip.
















– Maresciallo, vada a vedere cosa combina il valletto.
– Alè, parte il totoschiattamuort.
– Come dice?
– Niente, tenente, scusi, coi ragazzi si scherza…
– Si muova.
– Comandi! – esclama il maresciallo scendendo da cavallo.

Non appena entra nella torretta emette un gemito.

– Eccallà, ‘o sapevo.
Esce.

– Signor tenente, il valletto è schiattato.
– Come schiattato?
– Muorto cumm’ a san gennaro, tenè. C’è sangue dappertutto e quello c’è disteso sopra c’aa facc ngopp.

Nessuno saprà mai come o perché, ma il valletto viene trovato riverso in una pozza di sangue. Morto. E’ il terzo che va a tuffarsi nella monnezza con i paggi di corte che oramai li buttano cantando canzonette popolari. A questo punto la duchessa tradisce un certo nervosismo che nei libri di storia non è riportato ma somiglia molto a “AHO’ NNAMO O QUA S’AMMAZZA ANCHE ER PRETE, NNAMO, COCCHIE’, FRUSTA”. I carabinieri aprono il cancello con una certa fatica, visto che pesa e loro con una mano devono toccarsi. 

Il re, in chiesa, è stato informato dell’accaduto. Quando la sposa giunge a destinazione con tre ore e mezzo di ritardo assieme alla marcia nuziale è tutto un fiorire di gesti scaramantici, cosa che non contribuisce al buonumore della piccola Samira la quale fa il suo ingresso con un vestito che sembra la coperta di Linus, il volto disfatto dall’orrore e gli occhi rossi di pianto. Le damigelle d’onore appaiono assenti, sgranano rosari e barcollano guardandosi attorno spaventate. Il prete è incerto se praticare un esorcismo o dichiararli marito e moglie ma, strano a dirsi, durante la cerimonia non sono riportati incidenti. Amedeo I di Spagna e la duchessa Maria Vittoria dal Pozzo della Cisterna si scambiano gli anelli in un silenzio tombale, dove nessuno vuole applaudire o dire “bravi” per paura si stacchi una navata e li seppellisca tutti. 

Al termine gli invitati escono per accompagnare gli sposini in stazione e salutarli per la loro luna di miele, forse un villaggio vacanze a Silent hill. Il corteo è lento e cauto. Nessuno gioisce né applaude.


– E’ il giorno più bello della mia vita – sussurra Amedeo alla moglie.
– Continua a ripetertelo – sibila la duchessa.
– Perché?
– Sa
Urla distanti.















– …perché ci siamo fermati?
– ABBIAMO UN ALTRO VINCITORE, TENE’! – urla il maresciallo.

Immagino questo matrimonio tipo Final Destination versione steampunk; non fai a tempo a guardare da una parte che dei tizi muoiono dall’altra nei modi più improponibili così, per ridere. Pieghi il vestito, muori. Passeggi in giardino, muori. Ti fai i fatti tuoi in una torretta, muori. Allunghi gli anelli agli sposi e indovina un po’ cosa succede? 

Sì.

Un testimone di nozze reso euforico dalla troppa allegria della cerimonia ha deciso di fare un ictus e trapassare lungo la strada. A questo punto la comitiva riparte in versione ridotta, perché man mano la gente si ricorda di impegni urgenti tipo il libro aperto davanti alla finestra, pettinarsi le ascelle, smacchiar coccinelle o guardare l’erba che cresce.

– Siamo maledetti, ti dico!
– Tesoro, calmati! E’ suggestione!
– SUGGESTIONE?! QUESTO MATRIMONIO HA PIU’ CADAVERI DELLA GUERRA D’ALBANIA! SIAMO A QUATTRO MORTI!

La carrozza ha uno strano sobbalzo.

– Cinque – corregge da fuori il maresciallo.

E’ ora il turno di un capostazione che fa il suo ingresso in scena a petto in fuori dicendo “li aiuto io a scendere, ‘sti sposini”, “so io come ci si comporta con le giovani coppie” “la faccio io la bella figura col re” e decede investito e tranciato in due dalle ruote della suddetta carrozza. Voglio visualizziate bene questo momento: la carrozza reale macchiata di sangue ed interiora che si apre e fa uscire Samira in lacrime.

I paggi di corte decidono di disertare ed aprire una ditta di pompe funebri, ormai l’apprendistato è fatto. Gli invitati sono pressoché scomparsi tutti per un motivo o per l’altro e la duchessa gronda lacrime e muco singhiozzando isterica. Lo sposo tenta di buttarla sul ridere, ma un inaspettato temporale copre le sue parole con tuoni e fulmini. Vittorio Emanuele II subodora che nei piani alti sono incazzatielli e ordina che nessun essere umano, a parte la coppia, tocchi o salga a bordo del treno. I pochi superstiti accettano l’idea con entusiasmo e fuggono.

– Buona fortuna! – dicono le damigelle al treno in partenza – quanto durerà la luna di miele?!
– Sette gior



































– SEI! – urla il maresciallo.

Per un insieme di cause che elencare qui sarebbe un insulto alla fisica e all’umana intelligenza la carrozza vuota e macchiata di sangue, diretta a palazzo, investe anche il Conte Francesco Varasis Asinari di Castiglione. Non è tanto l’incidente ad ucciderlo, ma la caduta; il medaglione che porta al collo si mette in verticale e gli trafigge il cuore. Non riesco ad immaginare quante probabilità di fossero, ma succede. Il resto della folla a questo punto si disperde in preda al panico aspettandosi che da un momento all’altro inizino a piovere meteore. Termina così il matrimonio del principe d’Italia Amedeo I.