Alex

“Ut sit magna, tamen certe lenta ira deorum est”
(Anche se grande, l’ira degli dei di sicuro è lenta)
Lost

Nel 1990 tutti quelli che non avevano voglia di fare un cazzo dopo 20 anni di discoteca, bamba e lifestyle tipo “Vacanze di natale 1986” decisero di aprire un’azienda col ragionamento “se assumo gente io faccio lo re e loro fanno il lavoro, non mi servono competenze”. Al re per aprire un’azienda serviva un capitale iniziale.

Non aveva neanche quello, così andava dalle banche pretendendo gli dessero, sostanzialmente, i proventi dei risparmi altrui. Le banche lo fanno. Ai vari re viene così data la possibilità di creare microaziende incapaci, incompetenti, inutili, che campicchiano giusto quello che serve per pagare le spese. Sono aziende che sfruttano tutto lo sfruttabile da chi ci lavora, evadono le tasse e campano grazie al sudore di stagisti, Co.Co.Co, Co.Co.Pro e contratti a chiamata. Tutti in nero. I giovani eseguono, ben consapevoli che alla prima alzata di testa scatterà la frase “uè sbarbi, se non ti va bene vattene, c’ho la fila fuori di stronzetti neolaureati pronti a fare ‘sto lavoro per meno”.

Chi sono, questi in fila?
Si chiamano tutti Alex.

Alex ha 26 anni, una laurea qualunque, scarica casse al mercato in nero col capoccia che gonfia i prezzi, parrucca la merce e non batte scontrini. Alex a 45 anni s’è trovato in strada perché l’azienda ha finto di fallire ed ha riaperto con operai stranieri. Non gli rinnovano il contratto. Alex, due lauree in lingue, lavora come commessa in aeroporto per 800 euro al mese. Gli straordinari non vengono pagati né dichiarati. Quando protesta, le dicono che se ne vada pure perché c’è la fila di laureatine che farebbero questo lavoro per meno. Alex ha appena finito un master in economia. Le propongono un lavoro di 8 ore al giorno, 5 giorni su 7, a 200 euro al mese.

E’ la migliore offerta che trova. Alex lavora al porto, fa turni di 12 ore. Il suo stipendio è stato massacrato dalle tasse ma è sveglio: vive in un garage ex sala prove, ha una 600 usata, fa fatica e galleggia. Finché non arrivano spese mediche improvvise, perché in quel caso è fottuto. Alex ha l’azienda di famiglia o è fottuto. Alex è un medico brillante ma in Italia non ha trovato posto, racconta al Sole 24 Ore: in Italia i professori anziani non schiodano e ti fanno terra bruciata attorno, a volte addirittura insegnando male per non avere concorrenza.

Grazie ad Alex – che, su carta, non esiste – i microimprenditori comprano ville, Mercedes, vacanze, filippini che gli puliscono il culo, gioielli a mogli e amanti. Sono gli anni d’oro dell’Italia. Hippie tutti kefiah e ganja trovano nell’import export la soluzione ai loro problemi: stanno in Thailandia 6 mesi a scoparsi una zoccola sedicenne con gli occhi a mandorla che passa sopra l’ascella pezzata, la pancetta, l’alito mostruoso e la maleducazione; comprano tonnellate di bigiotteria etnica fatta da manodopera (minorile) e la rivendono al 1200% in Italia perché, eh, la moda alternativa vende. Lo stesso fanno con i sexy shop che spuntano come funghi.

Nara Camicie (Treviso) crea cripte sotterranee alle fabbriche dove far lavorare Alex cinesi. I carabinieri s’insospettiscono al terzo che trovano morto in un canale vicino a quello strano paesino nel trevigiano dove tutti i cartelli stradali sono in italiano e in cinese. Nomi, volti, che non esistono, tutti sotto i diciotto anni.

L’inchiesta è ferma e anche se Alex lavorava al Gazzettino (a 4 euro ad articolo) non ha potuto scriverne.

Bar, negozi d’abbigliamento, pizzerie, sono buchi tutti uguali privi di identità, idee od originalità. Ce ne sono milioni in tutta la penisola. Quelli che non possono sfruttare Alex, sfruttano Hazim. Quelli come Hazim fanno meno i saccenti, non conoscono sindacati, li puoi ricattare con il permesso di soggiorno, pagarli meno, fare magheggi con assicurazioni e contributi. Ad alcuni re va bene: vanno in pensione a 45 anni senza avere mai fatto, davvero, un giorno di lavoro.

Per Alex, invece, la pensione non c’è.
Lavora per pagare quella dello re.

Al governo lo ammettono senza problemi.

The Artist è la storia di un attempato attore del cinema muto che durante una conferenza stampa nota una fan neomaggiorenne che lo idolatra. I giornalisti li fotografano insieme. La moglie dell’attore – ormai vecchia ed inutilizzabile – osa chiedere spiegazioni. Lui risponde giocando con un cagnuolo puccettoso e deridendola. Nel frattempo la sbarbina riesce ad avere una parte in un film dove recita il vecchio. Lei è bella, giovane, libera e allegra mentre lui è sposato e potrebbe essere suo padre.

E’ quindi ovvio che si innamorino.

Mentre la ragazza si strugge d’amore annusandogli i vestiti e sognando di essere abbracciata ad un pensionato i produttori mostrano al geronte i progressi del cinema: è arrivato il sonoro. Lui scuote la testa ridendo di loro e delle loro cazzate modaiole. Non è il futuro, è solo una stupidata da ragazzini. In pochi mesi, difatti, la sbarbina diventa una star dei film parlati facendo un successo strepitoso. Lui si ostina a far faccine buffe nei film muti che non caga più nessuno. Dramma. Noi spettatori ci restiamo male, maledicendo il maledetto progresso: andava tutto così bene, perché hanno dovuto mettere l’audio ai film? Lei ora ha una villa da sogno, macchine strabilianti, soldi a palate, le copertine di tutti i giornali, un fidanzato – orrore! – coetaneo e Hollywood che se la contende.

Ma tranquilli, a lei tutto questo non interessa. No, lei desidera ed ama solo il vecchio. Quando lui mette all’asta i mobili, lei li compra tutti. Quando lui licenzia l’autista, lei lo assume. Quando lui tenta il suicidio, lei lo ospita a casa sua e ricatta i produttori perché gli diano una parte. Loro rispondono picche, ma la ventenne non si dà per vinta: manda affanculo i sogni di tutta una vita per trovare un compromesso e ridare vita al geronte. Finisce a ballare il tip tap con lui che nell’ultimo colpo di scena mostra di avere un difetto di pronuncia. Fine.

Cinque Oscar.

La trama non è molto differente da un qualunque film italiano degli ultimi trent’anni, Vanzina e Neri Parenti compresi: i giovani sono tutti bellocci senz’anima che venerano, ammirano e cercano di emulare ciò che è vecchio. Musica, film, libri, attori, pittori, governi, ideali del passato sono meravigliose reliquie da rivisitare, discutere, idolatrare. I ragazzi fanno gli istruttori di fitness, i commessi o i camerieri. Le ragazze sono studentesse ingenue o puttane che non vedono l’ora di darla a vecchi raggrinziti in cambio di un voto o una vacanza ai caraibi. I cinquantenni, per contro, sono tutte persone di successo. Avvocati, commercialisti, banchieri, ingegneri, medici, notai che scopano questi ragazzini grazie ad un giro di raggiri, truffe e balle vergognose ammiccando e dandosi di gomito. Loro sanno come si sta al mondo. Nel lieto fine gli scaltri anziani si ricongiungeranno al talamo familiare dalla moglie/marito rompicoglioni senza che degli acerbi amanti si sappia più nulla. Sono comparse, corpi senza sentimenti né futuro che una volta utilizzati svaniscono, precipitando da quel breve momento di paradiso giù fino al loro limbo di anonimato e mediocrità.

Incassi a palate.

San Remo, il festival della canzone che tutto il mondo ci invidia, invita più o meno gli stessi ospiti da quella volta. Iva Zanicchi, Celentano, Gianni Morandi, Loredana Bertè troneggiano in mezzo a ragazzini che sì, anche s’impegnano, ma non hanno il talento di Gigi d’alessio. Si vede. Del resto le preselezioni sono state rigorosissime: era prioritario segare qualsiasi emergente che avrebbe tolto luce agli anziani, rischiando di far notare quanto facciano pena. Niente deve guastare un festival dove vecchi circondati da ragazzine seminude si autocelebrano. Per migliorare gli ascolti il prossimo anno è stato suggerito il ritorno di Pippo Baudo come presentatore. Il passato, dicono, è il nuovo futuro. I Pooh sono d’accordo. Il loro nuovo singolo, “Dove tramonta il sole”, dura la bellezza di 11 minuti e 30 secondi. Non è strano: gli anziani diventano logorroici e il più giovane dei Pooh ha 61 anni.

Ad un tratto il giocattolo si rompe.

C’è qualche anno di scompenso, di confusione, di ricerca del capro espiatorio semplice e facile che una volta ucciso rimetterà tutto a posto. Goldstein. Berlusconi. I comunisti. I terroni. Gli statali. Gli immigrati. Qualunque colpevole va bene, pur di non guardare nello specchio del bagno, persino i propri figli. E’ colpa di Alex che è un fannullone, dice uno. E’ colpa di Alex che è un bamboccione, dice l’altro.

Non sa godersi le cose. E’ debole.
Non basta.

Arriva un governo tecnico – l’equivalente economico della legge marziale – e dopo aver fallito ogni altro tentativo ammette di dover iniziare a chiedere le tasse arretrate ai re sparsi per l’Italia. BOOM. Ogni categoria professionale toccata insorge. Persone incapaci, mantenute dallo stato che tanto disprezzano e dai figli che sfruttano, scoprono di non essere intoccabili e che oltre ai diritti c’erano dei doveri. Doveri che hanno abbondantemente ignorato per tutta la loro vita. Lo stato comincia a chiedere a commercianti, bottegai e imprenditori di pagare le tasse che non hanno mai pagato. Quando le banche si rifiutano di prestare soldi a quelle aziende che senza banche non vivevano l’economia collassa. Bar, negozi ed aziendine tutte uguali falliscono, svendono, affittano.

Una generazione che nella propria esistenza non ha mai affrontato nessuna responsabilità né conseguenza delle proprie scelte si trova per la prima volta con le spalle al muro. Reagiscono come hanno sempre fatto: scaricano le colpe e cercano di scappare. Alcuni si suicidano. Altri gettano molotov e minacce contro gli uffici che pretendono i soldi che hanno rubato ad Alex. Giornalisti, colleghi ed amici si stracciano le vesti urlando stato assassino, di tasse si muore, bisogna fare qualcosa, fiaccole, manifestazioni, “salviamo le piccole aziende, salviamo gli artigiani, i piccoli imprenditori”. Un vecchio, costretto da Equitalia a pagare ben mille euro di tasse, prende un fucile, 15 persone in ostaggio e si barrica nella sede di Equitalia.

– Ma perché? – urla, incazzato – ci siamo buttati da un aereo diecimila metri fa e non ci è mai successo niente, perché ora stiamo per schiantarci? Andate a vedere quelli che non le pagano davvero, le tasse, tipo Alex! Io mi vergogno di essere italiano, questo paese è una merda, me ne vado, bisognerebbe fare la rivoluzione! Anzi, Alex, falla tu!

E all’improvviso, per la prima volta, Alex viene interpellato.

Gli hanno preso soldi in busta paga senza chiedere, gli hanno rubato la pensione senza dirglielo, lo hanno sfruttato senza che potesse scegliere, lo hanno deriso senza che potesse replicare, lo hanno fatto suicidare senza che potesse spiegare, gli hanno chiuso facoltà senza che potesse salvarsi, gli hanno mangiato la sua razione senza che potesse difendersi e ora gli chiedono: non provi un po’ di pietà per questi suicidi, Alex?